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Messaggi - iano

#3916
Tutto ciò richiederebbe una riflessione filosofica per trarne una conclusione, che io, a differenza delle premesse vi propongo con brevità', che non sia piuttosto falso che la matematica sia una astrazione della realtà, quando pur sembra servire a qualcosa, e che non sia vero il contrario, perché a me non pare una coincidenza che la matematica di cui aveva bisogno Einstein per descrivere il mondo che si era immaginato, senza che lui lo sapesse, c'era già', dimenticata dentro al cassetto di un matematico, ma ancora fresca di inchiostro. Guarda il caso e guarda la contemporaneità, perché non è che quella teoria la tenesse nel suo cassetto Archimede o Cusano, ma un contemporaneo di Einstein .
E in questo nuovo mondo che Einstein ha creato che fine hanno fatto i punti e i segmenti della nostra discussione?
Ci sono ancora , ma dentro una nuova teoria, soggetti a nuove regole, ma certo più difficili da disegnare, che neppure Eutidemo ci riuscirebbe, pur essendo il nostro riconosciuto  disegnatore ufficiale.
Li chiamiamo ancora punti e segmenti, ma sarebbe meglio chiamarli Mario.


In altri termini noi non descriviamo ciò che vediamo, ma vediamo ciò che descriviamo, quando riusciamo a tirare fuori un mondo dal cassetto, che, anche quando ancora chiuso,  rimane parte sempre della realtà.
Una invenzione con una corrispondenza più o meno reale. Non una realtà che siccome rileviamo in quanto tale, allora riusciamo a trattare, ma che ci appare nella misura in cui la riusciamo a trattare.
Punti e segmenti non esistono , sia che li si consideri astratti che reali, se non nella misura in cui li riusciamo a manipolare, e ciò che non si può negare è che la manipolazione aumenta la sua efficacia quanto più gli oggetti che manipoliamo ci spariscono fra le mani.
#3917
Per Archimede e Cusano le teorie matematiche non avevano una origine indipendente dall'esperienza reale.
Oggi noi abbiamo esperienza del contrario.
La matematica usata da Einstein è nata in modo indipendente dalla teoria della relatività, e infatti c'era già, astratta quanto inutile finché Einstein non l'ha usata per costruire un nuovo mondo del tutto lontano dalla nostra esperienza diretta, ma capace di incidere ancora meglio sulla realtà.
Gasati da questo inatteso successo, hanno preso spunto per non farsi dell'astrattezza più un problema, moltiplicando a dismisura la costruzione di teorie sempre più astratte in numero tale da non poterle più governare, non riuscendo ad averne più una visione di insieme, se non a costo di aumentare ancora il grado di astrazione..
Tale rincorsa all'astrazione e senza freni potrebbe sembrare assurda quanto più la matematica sembra allontanarsi da una corrispondenza reale che si possa intravedere.
Tuttavia lo scopo di mettere ordine nel cumulo di teorie , in modo che un matematico potesse riuscire a comprenderle tutte nel breve arco della sua vita si è ottenuto, ad esempio scoprendo, non senza sorpresa, che teorie ritenute diverse fra loro, erano uguali, e che di fatto si erano dati nomi diversi a cose uguali.
In altri termini l'ordine che l'astratta geometria di Euclide sembrava aver introdotto in quella che appariva essere la complicazione del reale, comprimendola meravigliosamente in pochi assiomi e regole logiche, lo stesso è toccato fare ai matematici moderni per mettere ordine nella apparente molteplicità slegata da loro stessi creata.
Siamo all'astrazione dell'astratto, un numero che solo questo circo vi può dare...accorrete scorri e siori.😊
Non è questo il numero dell'uomo cannone , sparato in carne e ossa. Qui si sparano teorie...direbbero i detrattori di tale nuova  deriva della matematica.
#3918
Ciao Eutidemo.
Gli enti della geometria euclidea, punti, rette etc..., secondo una visione moderna della matematica, che Archimede e Cusano non potevano possedere, non hanno a priori corrispondenti reali, il che consente a posteriori di attribuirgli corrispondenti reali di diverso tipo, di cui quelli tradizionali cui noi qui stiamo facendo riferimento, sono un esempio particolare. La geometria Euclidea, sperimentata per millenni, non presenta alcun paradosso , mentre ci può apparire che questi siano presenti in un suo corrispondente reale, ma questo allora significa che abbiamo sbagliato corrispondenza, o che non l'abbiamo applicata correttamente.
Nella geometria euclidea i punti non si ottengono da altro, ne' altro si ottiene dai punti, come non si ottiene Giovanni da Mario.
Quando suddividiamo all'infinito un segmento oppure Mario, non stiamo facendo un operazione che la geometria euclidea preveda, quindi ne stiamo andando fuori.
A tal proprio infatti i matematici  usano una altra branca della matematica, che già Leibnitz e Newton avevano perfezionato, L'analisi Matematica.
Questa nuova matematica ci permette di definire e calcolare la velocità istantanea, cosa della quale immagino Euclide avesse vaga cognizione (la butto lì) , ma di sicuro attraverso la sua geometria non poteva definirla.
Ma esiste davvero la velocità istantanea? Riesci a immaginarla?
Non dimentichiamo che ad essa possiamo dare sempre il nome Mario, e che cio'  per i matematici è sensato.
Ancor meglio dargli nome che non corrisponda a nulla che conosci, perché magari conosci uno che si chiama Mario che ti sta antipatico, e questo ti predisporrebbe male verso la teoria.
Aheyeye Brazow va' già' meglio.


Ma questa è solo una premessa che apre una discussione molto più grande di questa, che questa al confronto scompare.
Archimede e Cusano avevano a che fare con una sola geometria e una sola aritmetica, sui cui dettagli potevano non del tutto concordare, ma non sul fatto che dovevano aderire perfettamente alla loro esperienza, e quindi alla realtà .
Le vedevano come materie astratte, ma comunque aderenti alla realtà, anche se non erano chiaro a loro, e ancora non è del tutto chiaro a noi, essendo astratte, come facessero a mantenere i piedi per terra.
Non era ancora chiaro, è rimane ancora oscuro in parte, come si potessero manipolare enti che non sembravano avere una esistenza reale, in modo indipendente dalla corrispondente manipolazione di cose esistenti e reali, tanto indipendenti nel modo di manipolarli che Platone li poneva in mondi separati.
#3919
Ma caro Bobmax, non vorrei proprio fare la figura del saccente che ti guida nella comprensione delle cose, perché capisco in questo momento ciò che ti invito a capire, e lo capisco interagendo con te.
Avevo in effetti idee ancora confuse e tu ed Eutidemo, volendovi rispondere, mi avete costretto a focalizzarle.
Grazie, e spero di esservi utile a mia volta.


La matematica non ci dice alcuna verità.Se cerchi la verità la matematica non ti serve. La matematica si limita a dimostrare l'uguaglianza di cose potenzialmente diverse, perché in diversa forma appaiono.
A è certamente uguale ad A, ma non è uguale a B se abbiamo usato simboli diversi per designare, ameno che no si dimostri il contrario. Così si dimostra a volte che cose che appaiono in forma diversa sono uguali, perché una dimostrazione altro non è che dare forma diversa alla stessa cosa.
Si può anche dire che sia una grande tautologia , ma se serve a perfezionare il nostro intuito, a qualcosa allora serve.
Non è certo un caso che la matematica non sia amata dai più,,se il suo compito non è di dirti la verità, ma di evidenziare quando il nostro intuito sbaglia, e quindi noi sbagliamo, sopratutto se nel dircelo non usa garbo.😅


Quindi la matematica non serve affatto a cercare la verità, ma se pensi di poterla intuire la verità, allora la matematica serve, perché affina il tuo intuito.
Se l'intuito è la lama che vuole tagliare il capello in due, la matematica è la mola.
Per quanto mi riguarda non solo credo che non esista una verità, ma che se esistesse non mi occorrerebbe conoscerla.
#3920
Ciao Bobmax.
I numeri interi sono quanto i numeri pari e si può dimostrare, ma per evidenziare che stiamo confrontando insiemi infiniti si dice che possiedono la stessa cardinalita'.
Ma non si possono confrontare contandoli, perché il conteggio non avrebbe fine.
Seppure la nostra intuizione dice il contrario, per i pedanti matematici l'intuizione non è un argomento definitivo.
Così  essi avranno ragione a dire che se non si possono contare , e se non ci è alternativa al contare, allora non si può dire in modo definitivo ne' che siano diversi, ne' che siano uguali.
A meno che non vi sia un alternativa al contare, che sia un modo diverso di fare la stessa.
Qualcosa che non è il contare, ma che vi equivale, se si ammette che esistono modi diversi di fare la stessa cosa.
Se di due insiemi finiti possiamo mettere in corrispondenza biunivoca i loro elementi, di modo che ad un elemento di un insieme corrisponda uno ed un solo elemento dell'altro, e viceversa, allora i due insiemi hanno la stessa quantità  di elementi.
Se accetti questa operazione di confronto come equivalente al contare , allora i numeri pari sono tanti quanto i numeri naturali, perché ad ogni n corrisponde uno ed un solo 2n.
Concordo con te che la matematica non ci dica alcuna verità, ma tanto meno lo fai il nostro intuito, e quando essa va' contro il nostro intuito è il nostro  intuito che si deve adeguare.
La cosa richiede un certo sforzo, ma alla fine si viene ricompensati.
Per aiutarti in questa operazione ti consiglio di sostituire la formula di identità A=A con A=B, la quale ultima suggerisce che due cose uguali possono avere una forma differente, e perciò bisogna dimostrare che sono uguali.
Allora ti potrà' apparire che , se invece  di astrarre i numeri pari dai numeri naturali come loro parte, costruisci ex novo i due diversi insiemi in modo indipendente , ti accorgerai che , al di la' della diversa simbologia usata, essendo la scelta di questa libera, stai costruendo però esattamente la stessa cosa.


#3921
Ciao Bobmax.

Eutidemo ci illustra il paradosso che un segmento, seppur definibile  come fatto di infiniti punti,  non si può costruire  reiterando l'operazione di mettere un punto dietro l'altro.
Nel dire quindi che un segmento è fatto di infiniti punti messi in fila, non ne stiamo dando una definizione operativa.
Se diciamo invece che un segmento può dividersi all'infinito, allora stiamo dando una definizione operativa di punto come risultato di una operazione reiterata all'infinito a partire da un segmento.
Nel parlare di infiniti attuali, argomento che vedo non ti appassiona, credo sia importante che nella loro definizione sia compresa una reiterazione.
La reiterazione di una operazione è presente in ogni possibile definizione di infinito, ma fino a prova contraria se diverse sono le operazioni da reiterare diversi sono gli infiniti da esse generati.
Aggiungere un pixel dietro un altro è una operazione, mentre dividere un segmento in due è un altra operazione che a naso mi pare generino con la loro reiterazione due diversi tipi di infinito.
Nel primo caso quello dei numeri naturali, nel secondo quello dei numeri reali.
Sono infiniti diversi, s meno che tu non possa dimostrare il contrario, perché costruiti in modo diverso.
Ma non è che noi dobbiamo costruirli. Noi ci limitiamo a dire come vanno costruiti.
Se l'infinito invece non fosse da costruire, perché già esiste, creato con una operazione unica e sola,  non reiterata, se creato, allora è uno solo.
Io credo che siano di diversi tipi, anche perché diversamente dovrei rinunciare ad una libera ricerca matematica ponendovi paletti mistici.


Ti invito comunque a riflettere sul fatto che un infinito, oltre a poter essere immaginato, può anche essere definito operativamente, e quindi  considerare se forse le due cose non siano strettamente legate, e ancora considera che in definitiva un infinito sta dentro a una definizione finita , la cui lunghezza e' confrontabile col segmento che sta per il diametro del nostro che immagina, e dentro cui  dunque può stare.



#3922
In definitiva Eutidemo, i simboli analogici servono a capire quanto a fraintendere.
Mentre i puri simboli non aiutano capire quanto a non fraintendere.
In ciò credo possiamo far risiedere la lamentata astrattezza della matematica, la quale però ha nella sua natura di essere astratta. Questo è il suo pregio e il suo difetto, che non riferendosi a nulla in particolare può riferirsi a tutto.
Un segmento disegnato su un foglio non si riferisce a nulla in particolare , oppure a tutto, ma non a cose diverse insieme.
#3923
Non è vero Eutidemo che gli Dei non avessero una corrispondenza con la realtà, e non è vero che stai perdendo colpi per l'età, e quest'ultima cosa mi accingo a dimostrare.
Vero è invece che nell'uso dei simboli siamo a volte colpevolmente approssimativi, e altre significativamente approssimativi.
Significativo è infatti che , come tu hai fatto, usiamo lo stesso simbolo grafico per designare due cose diverse, perché riteniamo magari prioritario che il simbolo richiami analogicamente quel che vogliamo rappresenti.
Perciò usiamo lo stesso simbolo per indicare un segmento e una semiretta ( non a caso dunque le hai confuse) perché privilegiamo un simbolo continuo, anche solo pseudo-continuo, in analogia alla continuità di ciò che vogliamo rappresentare. Ma come  dicevo, l'uso di puri simboli, non necessariamente analogici quindi, ci aiuta magari a non capire quanto a non sbagliare.
Il tuo errore quindi è ben significativo dell'approssimazione con cui affrontiamo la questione, privilegiando una simbologia piuttosto che un altra.
Un simbolo non sta per qualcosa in quanto la richiama, ma perché noi convenzionalmente decidiamo per cosa  sta, e tanto meno saremo approssimativi tanto meglio riusciamo a condividere con precisione  i nostri contenuti mentali.
Quindi, rinunciando all'analogia simbolica di continuità, possiamo meglio decidere di simboleggiare una semiretta con un segmento relativamente lungo, seguito da un tratteggio fatto con segmenti più brevi.
Così non possiamo sbagliarci, essendo una simbologia a prova della nostra veneranda età intellettiva.
Si è vero, tu avevi spiegato già' tutto ben coi tuoi disegni, che io ho voluto ribadire a modo mio ponendo l'accento sul linguaggio simbolico, che è poi la matematica, tanto più difficile da comprendere quanto più pretendiamo da essa non ci porti a confusione. Una matematica puramente astratta non ci suggerisce volutamente alcuna analogia seguendo le quali analogie ognuno rischia di immaginare cose diverse, il prezzo da pagare alla precisione è perciò' una difficoltà a immaginare,,e quindi a capire, a far propria in breve la materia.
Oggi però possiamo delegare le operazioni matematiche ai computer, i quali non sbagliano mai, anche perché non hanno nulla da capire..😊
#3924
Eutidemo dice
- io posso  benissimo immaginarmi un piano o una retta (che presuppongono, come giustamente dici tu, la  consapevolezza dello spazio);
- però non sono assolutamente in grado di immaginarmi uno spazio vuoto.
————————————-

Una possibile spiegazione è che immaginare uno spazio vuoto equivalga a non immaginare uno spazio, se uno spazio esiste solo nella nostra immaginazione, che è una possibilità da non trascurare, in quanto, seppur in disaccordo col nostro intuito, ci aiuta a spiegare tante cose.
Se esiste solo nella nostra immaginazione, si spiega ad esempio perché ogni teoria fisica pur parimenti di successo, possieda un suo spazio personale.
Ma se ci sono tanti spazi diversi quale sarà quello vero?
Una risposta possibile è nessuno., se non appunto nella nostra immaginazione.
Ogni diverso spazio sarebbe quindi solo un diverso modo possibile di rapportarsi con la realtà .
Se pur cosi è, però nessuno di questi spazi è gratuito, ma nessuno sta fuori dalla nostra mente.
Ogni diverso spazio corrisponde operativamente alla stessa realtà, perché diversamente ci rapportiamo con essa a seconda della diversa teorica che applichiamo, ad ognuna delle quali è relativo un diverso spazio.
La difficoltà sta nell'accettare che la nostra percezione sensibile equivalga a una teoria fisica cui in questo caso è occasionalmente relativo uno spazio Newtoniano.
Gli spazi sono mappe diverse della stessa realtà, che siamo più o meno bravi a disegnare, cioè a trasporre in simboli.
Quando disegnamo un segmento stiamo disegnando un simbolo che sta per un segmento puramente mentale che possiamo immaginare solo come parte di uno spazio parimenti mentale.
Per immaginare uno spazio vuoto invece è sufficiente non immaginarlo.
Questo ci suggerisce che uno spazio equivalga a una struttura, perciò non possiamo parlarne se non riferendoci alle sue parti strutturali., le quali per lo spazio euclideo , che poi è quello Newtoniano, sono punti segmenti e rette, mentre altre saranno per spazi diversi.
#3925
Ciao Bobmax.
Mi scappa un analogia fra verità e infinito.
Se si è dimostrato che esistono diversi tipi di infinito, e posto che tu sia convinto della dimostrazione, allora forse esistono diversi tipi di verità?
Infinito e verità sono simili in quanto irrangiungibili.
Eppure in analogia con l'infinito si parla di verità come cosa attuale.
Si è dimostrata l'attualità dell'infinito, ma a costo di moltiplicarne i tipi.
Potrebbe darsi la stessa cosa per la verità?
Immagino tu risponderai di no, anche se non saprai dire perché no.😊
#3926
Sarebbe però ingenuo credere che finiti,  infinitesimi e infiniti esistano fuori dalla nostra mente., la quale in effetti è l'iperuranio cui si riferiva Platone volendogli attribuire una esistenza reale, seppur in altro mondo diverso da questo., e il perché mi piacerebbe capire. Che fossero solo nella nostra mente e perciò reali, non gli bastava?
Immagino perché egli rilevava dei corrispondenti reali fuori dalla mente , seppur imperfetti, che quelle idee appunto richiamavano, credendo di poter avere un accesso diretto alla realtà, come tanti ancora credono.
In sostanza, non solo i punti, ma qualunque cosa crediamo esista,,esiste solo nella nostra mente, ma in corrispondenza con una realtà fuori dalla mente, una corrispondenza che non è biunivoca, perché ciò equivarrebbe di fatto ad un accesso diretto alla realtà, ma è più una corrispondenza operativa.
Le costruzioni mentali sono arbitrarie in se', ma se alcune sembrano più importanti di altre, è perché hanno una corrispondenza operarativa con la realtà, dovendosi porre più l'accento sulle operazioni che corrispondono al divenire, che agli enti mentali che corrispondono all'essere.
Potremo esser certi di possedere gli stessi enti mentali se parimenti con essi riusciamo ad operare e coi punti mi pare non abbiamo difficoltà a condividere come con essi operare, mentre più  difficile e' convincersi che abbiano una duratura esistenza, al di la' di quello che ci possiamo fare, condividendolo attraverso simboli, come quelli disegnati da Eutidemo.
#3927
Ciao Eutidemo.
Le linee che hai disegnato al computer  non sono ne' infinite ne' composte da infiniti punti, ma semmai da un numero finito di pixel, o di tratti discontinui se disegnati a matita, come si può dimostrare guardandoli al microscopio.
Tuttavia ciò che hai disegnato possiamo considerarlo come simbolo di una retta infinita fatta da infiniti punti.
Un simbolo che sta per altro,  che sta solo nella mente e che nella mente si possono manipolare.
Possiamo cioè operare mentalmente con essi, ma perché altri possano replicare nella loro mente le operazioni che abbiamo fatto nella nostra occorre servirsi di simboli.
Quindi quando disegnamo un segmento, che tu erroneamente hai chiamato semiretta, stiamo in effetti disegnando un simbolo che sta per un segmento.
I simboli possono essere di diversi tipi, dei quali i più puri sono quelli numerici, o meglio di tipo numerico, perché se il simbolo di un segmento sta intuitivamente per un segmento mentale, per un simbolo numerico non ci aiuta l'analogia, e non possiamo quindi mancare di specificare per cosa esso stia.
In qualche modo, attraverso l'uso di simboli, riusciamo a fare qualcosa di meraviglioso, condividere le nostre operazioni mentali., posto che sia chiara a tutti in modo univoco la convenzionale corrispondenza fra simboli ed enti mentali, e quest'ultimo credo sia il punto delicato. Il rischio infatti è di intendere cose diverse usando le stesse espressioni simboliche. Purtroppo la matematica diventa meno comprensibile quando la svincoliamo dalle possibili analogie che ci aiutano a intuirlo, ma questo è il orizzonti da pagare quando si vogliono scongiurare fraintendimenti.
Paradossalmente, tanto più vogliamo assicuraci che tutti intendano la stessa cosa, tanto più  alcuno la intende.
Al fine di evitare tali malintesi credo che Cantor ci abbia indicato la giusta strada, che almeno in questo caso però  è anche facile da capire. Egli infatti non ci chiede di intuire l'infinito, ma di mettersi a costruirlo, o quantomeno di iniziare, e questo tutti lo sanno fare.
Egli , in disaccordo col grande Aristotele, che a me sorprende sempre ( non conoscevo la sua definizione di punto che hai riportato) e in accordo con Platone, e andando oltre Platone, non si limita a dire che l'infinito è attuale, ma c'è lo dimostra. Come? Con un argomento molto convincente secondo me.
Egli in sostanza ci suggerisce che gli infiniti attuali esistono, proprio come esistono i numeri finiti, se posso con essi in modo simile operare .. Ad esempio se li posso confrontare e dire se sono dissimili oppure uguali.
Così ad esempio ci dimostra che l'infinito dei numeri naturali e l'infinito dei numeri razionali sono lo stesso infinito.
E  una volta che noi di questo abbiamo prova, non faremo difficoltà anche  a "vederlo" intuitivamente.
Occorre infatti considerare che un infinito che si possa definire tale, al di la' del poterlo intuire, deve avere un ben specificato processo di costruzione., e Cantor ci dice in sostanza che i diversi processi coi quali costruiamo i diversi infiniti razionali e naturali, seppur apparentemente appunto diversi , in effetti sono lo stesso processo, dovvve prima si fa' una cosa piuttosto che un altra, ma alla fine si fa' la stessa cosa in modo diverso.
Se proviamo a costruire questi infiniti aiutandoci col disegno di rette e segmenti da suddividere all'infinito, ci accorgeremo infatti di stare facendo la stessa cosa in modi diversi, a meno di un unita' di misura, la quale però è convenzionale.


Parimenti i punti esistono , hanno cioè una loro attualità, a condizione che con essi possiamo mentalmente  operare.
#3928
Ciao Viator.
La morale e l'etica non sono argomenti a cui ho rivolto mai troppo la mia riflessione.
Credo che siano uno dei tanti modi in cui si declina il paradosso dell'essere e del divenire.
La legge morale, come Socrate stesso dichiara, se esistesse, si distinguerebbe comunque da quelle fisiche per il motivo che puo' essere disattesa, ma l'obiettivo sarebbe, una volta trovatala , di farla rispettare, cioè di farla tendere di fatto ad una legge fisica, quindi in sostanza di ridurre le dinamiche della vita a quelle della materia , la quale pur divenendo non decide, e quindi non agisce.
Un altro modo di rispettare la legge morale, laddove restassero dubbi su quale sia, sarebbe proprio quello di astenersi ancora da qualunque azione.
Sarebbe in ogni caso un mondo il cui divenire, al pari di quello materiale, sia del tutto prevedibile.
Un mondo che al pari di quello materiale diviene senza evolversi.
Sotto sotto quindi chi spera in una legge morale, agisce gia' più  o meno inconsapevolmente secondo una sua legge morale, che il bene stia nell'essere, al quale si possa concedere una certa ricreazione dinamica, ma a condizione che sia ritualizzata rigidamente e che risulti comunque innocua.
Un cambiare per non mutare nulla,, proprio come avviene per la materia.
La legge morale ammetterebbe dunque il divenire, ma solo come innocente svago, a patto che non si facciano troppi casini e che non si metta troppo in disordine, dove, se  ognuno non riesce a stare proprio al suo posto, che rimanga almeno quel che è. Chi rientra dopo la ricreazione deve essere lo stesso che è uscito per l'intervallo, perché non è che ogni volta si può fare un nuovo registro e un nuovo appello.


Quindi in fondo , chissà', il problema della legge morale morale potrebbe essere legato a doppio filo con quello dell'essere, perché si può fare bene o male, ma bisogna che vi sia qualcuno di preciso che lo faccia, sennò sarebbe come se uno commettesse il male, ma un altro venisse processato al suo posto e un altro ancora venisse messo in galera.😅
Almeno finché i processi non si allungheranno fino ai tempi evolutivi.
In definitiva quindi Socrate vuole dirci che la legge morale se esistesse sarebbe la negazione dell'evoluzione, e per la sua esistenza esso dunque tifa.
Dunque , caro Viator, dove va' sempre a parare Socrate io lo so bene, ma  ciò non toglie che io continui ad aver piacere a dialogare, e se è un piacere non è uno spreco, anche perché mi porta a riflettere su cose su cui non sono naturalmente portato a riflettere.
#3929
Ciao Socrate.
A me pare che fai diverse acrobazie pur di giustificare una legge morale universale, ma intanto, se già la limiti all'uomo, perché' la dici universale?
Sarebbe appropriato chiamarla legge morale umana, e forse potremmo elidere pure umana, perché immagino tu la intendi indipendente da un uomo che si evolve.
Se fosse umana infatti , ed essendo dentro l'uomo , vi sarebbe quindi dentro l'uomo un nocciolo duro immune all'evoluzione, di modo che l'uomo, pur mutando le sue apparenze, il suo aspetto, mantenga la sua sostanza. Sarebbe dunque una legge scritta dentro lui una volta per tutte, la quale influendo sul suo comportamento, sebbene a corrente alternata come tu ipotizzi, ci permetterebbe di riconoscere l'uomo, se potessimo andare indietro nel tempo, indipendentemente dal suo aspetto contingente, che potrebbe essere completamente diverso dall'attuale.
Quindi, tornando ai giorni nostri, se riscontrassimo quel comportamento in una particolare specie di scimmie, tale quantomeno apparentemente nell'aspetto, dovremmo ricrederci avendo la prova che di uomini si tratta?
Per non dire che potremmo sospettarlo anche in mancanza di uno specifico comportamento coerente con la legge, essendovi sempre la possibilità che essa sia dormiente, come tu ipotizzi esser possibile.
Potenzialmente allora tutti gli animali c'è l'hanno, quindi perché non estenderla agli esseri viventi tutti, potendola dire allora propriamente universale?


Questtta storia somiglierebbe però alla favola della bella addormentata, dove però manca il principe che la bacia.
#3930
Tematiche Filosofiche / Metafisica del coronavirus
17 Dicembre 2021, 00:02:39 AM
Dubito che qualunque cosa facciamo , nella lunga storia della vita qualcuno non l'abbia già fatto.
La differenza è che noi decidiamo di farlo , ma è meglio se decidiamo di farlo tutti insieme, e non lasciare che siano solo  in pochi a sbagliare.
Ciò che si può fare decidendo si può fare anche lasciando fare al solo caso.
Noi ci distinguiamo solo per riuscire ad accorciare i tempi nel giungere ai risultati, non per i risultati in se', ne' perché ci sottraiamo invero del tutto al caso, perché in fondo a cosa equivale una decisione se non a tirare un dado?
La differenza è che noi li tiriamo.
Non mi pare che gli altri animali mostrino una dipendenza al gioco.
Noi invece scommettiamo su tutto.
Scommettiamo che un giorno riusciremo a volare?


Noi, come esperimento evolutivo, siamo solo un esperimento fra tanti.
Una scommessa fra tante, e il trucco della vita è che se tanti scommettono qualcuno vince e quindi vince la vita.
La nostra però è una scommessa molto particolare , non si può negare.
Non c'è 'stata finora una specie che non si sia evoluta se non accettando compromessi con altre .
Ogni essere stesso, che noi diciamo individuo è in effetti un condominio.
Siamo finora cambiati in armonia con gli altri.
Non è più  così. Per dirla in termini filosofici stiamo tentando di trasformare ciò che diviene in ciò che è.
La nostra scommessa è che nessun condomino in futuro decida per noi.
Forse è bene e forse è male.
Ma possiamo fare diversamente essendo quel che siamo?
Ha il nostro libero arbitrio questo potere, o non è solo altro che un potente acceleratore del caso?
In tal caso potremo dirci ancora naturali, se questo ci può consolare.