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Messaggi - iano

#3976
Noi ci chiediamo il senso del nostro agire, ma per poterlo trovare dobbiamo prima rilevare le nostre azioni isolandole dal continuo vissuto. Ma come facciamo a isolarle?
Privilegiando un senso, quindi in modo pregiudiziale.
Il fatto di possedere una coscienza non ci salva dall'essere parte del continuo flusso naturale, quindi di esso dovremmo chiederci il senso , ciò che solo noi possiamo fare , seppur con la complicazione di esserne parte.
Possiamo aumentare la complicazione chiedendoci il senso della storia di chi racconta una storia, che può avere un senso però solo se è un altro a raccontarla in una possibile regressione infinita che si blocca solo quando si trova un narratore fuori da ogni storia. Ma nessun narratore può raccontare una storia se non dandovi un senso predeterminato che la distingua dal continuo naturale.
Se affermiamo che senza Dio non vi è un senso, stiamo affermando che Dio ha creato il mondo secondo un suo preciso senso, come fa' qualsiasi narratore.
Dio da' un senso in quanto creatore della storia.
Ma se una storia ha un senso predeterminato come possiamo pensare dimostrarlo a storia ancora in corso?
#3977
Citazione di: Ipazia il 30 Novembre 2021, 22:49:03 PM
@iano
La scienza vera, non politicamente corretta, non si regge sul (con)senso ma sulla sperimentazione i cui punti di forza sono la predittività e la riproducibilità. La falsificazione nella scienza fondamentale (quella dei principi e delle teorie) si verifica quando cambiano i paradigmi in seguito a scoperte epocali. Ma generalmente non vengono coinvolte le scienze empiriche, se non riducendo il loro campo di validità. Il principio di Archimede resta eternamente infalsificato nel sistema fisico terrestre. Così come la meccanica Galileiana. Una scienza matura come la chimica continua a funzionare perfettamente con gli stessi principi individuati nei secoli della rivoluzione scientifica che ne ha perfezionato i paradigmi.

La debolezza della scienza covidemica, politicamente ed economicamente corretta, non è dovuta al rifiuto della tecnica e dell'intelligenza artificiale, ma al fatto che non mantiene quanto promette ed è costretta a manipolare continuamente i suoi protocolli terapeutici e la bioetica per non affondare.
Ciao Ipazia.
Credo che l'unico discrimine sia l'uso della coscienza che ci permette di fare in modo diverso ciò che diversamente si può comunque fare, come ci insegna la ricerca naturale.
Sicuramente man mano che la scienza procede aumenta la sua predittivita', ma tutto quello che possiamo dire è che l'efficacia dei paradigmi scientifici riguarda esclusivamente la nostra interazione con la realtà, cioè il progredire del nostro agire, e non la realtà. Se la scienza si basa sui fatti, i fatti possono produrre solo altri fatti.
Dietro ogni azione vi è un senso perché senza non esisterebbe un individuo agente, quindi è un senso che cambia con la sua individuazione. Una azione per essere tale richiede una coerenza di fondo. Una costanza che duri almeno il tempo dell'azione.
#3978
Ciao Daniele.
Nessuno conosce l'intelligenza  artificiale,  così  come nessuno conosce la propria intelligenza , perché anche se una è programmata e l'altra no, nessuno può dire dove vanno mai a parare.
Paradossalmente però si rifiuta l'intelligenza artificiale per il motivo che non la controlliamo, come se controllassimo la nostra, ma invece è proprio questo il motivo per assimilarla alla nostra.
Ci comportiamo sempre come se ciò di cui parliamo fosse a noi del tutto presente, e consideriamo ciò che esiste come se l'esistenza non avesse mille sfumature, pensando di poterle condensare tutte nella definizione dell'essere come ciò che è.
Che ognuno di noi finga , indossi cioè una maschera, è spiacevole quanto banale.
Meno banale è che tutti fingiamo allo stesso modo, quando succede.
Siamo uniti da ciò che essendo ignoto condividiamo, ma anche da ciò che pur essendo noto tutti rimuoviamo.
Le religioni si dice che siano basate su un credo, che però può leggerei anche  come l'insieme delle cose che riteniamo opportuno ignorare.
#3979
Anche se non lo conosciamo, noi siamo noi in base a un preciso senso.
Nel momento in cui trovassimo quel senso non saremmo più noi, perché una volta noto il senso esso diverrebbe soggetto al dubbio e conseguente confutazione.
Ma che il senso secondo il quale percepiamo la nostra individualità inizi a mostrare le sue crepe lo si evince dalle diverse problematicità che mi sembrano ormai argomento di cronaca .
Fra questi argomenti quello a me più caro è il rifiuto della tecnologia come cosa altra da noi, perché non riusciamo a percepirla come nostra parte .
La additiamo come causa di alienazione, e sicuramente non si può che sentirsi alienati quando rifiutiamo di percepire una parte di noi, o se si preferisce, manchiamo di ridefinire la nostra individualità.
Non è facile ridefinire ciò che ci è ignoto, ma prima o poi ciò che è ignoto inizia a mostrarsi .


A tal proposito mi chiedo, restando alla cronaca ,se gran parte del lavoro per produrre i vaccini è fatto dalla intelligenza artificiale, e se noi rifiutiamo l'intelligenza artificiale come disumana, allora perciò rifiutiamo il vaccino?
Sarà un caso, ma prima di ciò i vaccini non venivano rifiutati.
Però ammetto, è solo un vago indizio, che vale solo come possibile esempio.
Ma il fatto è che in questo strano e imprevisto  caso del vaccino  nessuno riesce a trovarci un senso, come se lo avessimo smarrito , come se si stesse avverando  l'apocalittico regno della confutazione.
#3980
@ Ciao Ipazia.
Solo un appunto su potere e scienza.
Io credo che la scienza sia l'agire dell'umanità, e quando questo ha luogo, nel bene e nel male, mostra perciò  un potere non paragonabile a quello relativo all'agire del singolo individuo.
L'agire dell'umanità ha luogo quando gli individui condividono "una verità ", ma in effetti non occorre alcuna verità, perché è sufficiente che concordino su un senso comune da dare all'azione.
Certamente nell'azione voi chimici condividete un senso comune su cui tutti concordate, tuttavia una pur unanime concordia rimane sempre soggetta al dubbio, e il dubbio è nemico dell'azione.
Quindi , sebbene l'esercizio del dubbio sia cosa buona e giusta, vi è un tempo per il dubbio e uno per l'azione.
Questo secondo tempo chiamiamolo pure "tempo di scoperta della presunta verità " che potrà essere confutata, ma in un altro tempo distinto.
In effetti però, fuori da questa esigenza psico-pratica non vi è alcuna verità .
Se dobbiamo basarci sui fatti, questi ci dicono che non vi sono verità che nel tempo non siano state  confutate, salvo quelle inconfutabili perché le possediamo senza averne consapevolezza, e il fatto che questa sequenza di confutazione tendano per approssimazione alla verità è una illazione non basata sui fatti.
È una illazione che ha i suoi pro e i suoi contro, ma si può affermare quanto negare a piacere.

Ognuno di noi possiede le evidenze di cui sopra dicevo, il che comporta una condivisione di fatto, priva di alcun accordo necessario  ed esente da ogni dubbio possibile nemico dell'azione.. Qui la verità, semmai gli si possano attribuire diverse sfumature, si presenta nella sua forma più pura, quella dell'evidenza, ciò che a causa della sua ovvietà non richiede che si dica nulla, ma la verità è che , se una verità esiste, è che nulla possiamo dire come ci ha suggerito S.Agostino, ed è cosa ben diversa.


Nella mia campagna contro la verità sono ben consapevole di smontare comunque una macchina di ricerca naturale ben oliata. Ma a me in effetti interessa solo oliare il meccanismo delle confutazioni che si susseguono in serie, necessariamente, ma con farraginosità ed esagerate inerzie.
Chissà' poi se faccio bene, ma a tal proposito mi sembra significativo il comportamento di Gauss, il quale avendo messo nero su bianco le geometrie non euclidee, decise di non pubblicarle , per non darle in pasto ai beoti subendone l'ostracismo.
I beoti siamo tutti noi, ovviamente , e a me scoccia un po' questa consapevolezza.
Siamo noi che ci beviamo le verità, e che poi le cambiamo pure, ma non senza prima averne fatto una questione di stato o di religione.

È questi stati e queste religioni racchiudono un po' il senso che in questa discussione andiamo cercando , e vi è in effetti più di un senso, perché fra individuo e umanità non vi è in mezzo il vuoto.
Possiamo distinguere però diverse umanità, diverse per cultura e credo, seppur in modo arbitrario , e questa arbitrarietà io credo andrebbe proiettata perfino sul l'apparentemente intoccabile e indivisibile individuo, quale noi ci percepiamo in modo inconfutabile, ma solo perché non possiamo "confutarci".
Noi siamo una di quelle cose che noi condividiamo, senza sapere perché.
#3981
Attualità / Il riscontro dell'efficacia dei vaccini.
28 Novembre 2021, 20:28:17 PM
@ciao Eutidemo.
Mi chiedo se inconsapevolmente non si sia effettuata propriamente una sperimentazione in "doppio falco", se non addirittura in  visione "mosca multioccellare ", avendo i nuovi mezzi di informazione moltiplicato i nostri occhi senza darci le istruzioni per l'uso.
Se è così i risultati della sperimentazione in multipli occelli sono evidenti ormai.
La sperimentazione scientifica non è perfetta, ma sempre perfezionabile, e l'adozione del doppio cieco è un significativo passo avanti in tal senso.
I nuovi mezzi di comunicazione ci hanno messo ad intimo contatto con realtà che fino a ieri non si riteneva producente esplicitare. Gli scienziati lavavano i panni sporchi in casa, ma a un certo punto non hanno più potuto farlo, e questo è valso come un esperimento non voluto quanto privo di ogni previsione , che vale come una previsione sbagliata al 100 per 100.
Cosa abbiamo imparato da ciò?
Forse di questo dovremmo parlare, per quanto il covid insista ancora come attuale.
Quale sarà il prossimo esperimento non voluto in multi-occellare?
Il problema della recente sperimentazione involontaria è derivato da  una imprevista partecipazione diffusa, dove ognuno dal suo punto di osservazione ha potuto vedere come si sporcavano i panni.
Il prossimo passo reso inevitabile dalle nuove tecnologie sarà sporcarsi attivamente le mani.

Non dovremmo mettere quindi in evidenza il fatto che, pur con epidemia ancora in corso, dovremmo sviluppare già adesso adeguati  anticorpi culturali?
La scienza stessa è un esperimento sempre in corso al quale sembra che dovremo partecipare senza poter più scegliere di darci come volontari.
Ciò era inevitabile che prima o poi succedesse, perché il potere della scienza non sta in alcuna verità di cui alcun virologo o presunto tale sarà mai depositario, ma nell'essere un impresa collettiva forte della sua condivisibilita' e tanto più efficace quanto più si realizzi una condivisione di fatto.
Noi impariamo dai nostri errori , e la scienza si limita a dirci che possiamo sbagliare tutti insieme, con più danno quanto con maggior vantaggio.
Se al prossimo esperimento non voluto nessuno potrà accusare nessun altro, pensando di liquidare così la questione,  sarà un altro bel passo avanti per la scienza e per tutti noi, che quella scienza siamo.
#3982
@Ipazia.
Direi che può essere falsificato solo ciò che può essere arbitrariamente posto, quindi ciò che già nasce come fittizio, ma non sempre la falsificazione è immediata come la cancellazione di un segno , perché non sempre si ha la consapevolezza dell'assegnazione fatta.
Una assegnazione fatta in modo inconsapevole non può essere consapevolmente cancellata se non si riesce a risalire alla sua origine, perché le assegnazioni le ereditiamo culturalmente e/o geneticamente e quindi le possediamo anche senza possedere la consapevolezza della loro nascita. La scienza ammette falsificazione delle sue teorie nella misura in cui siamo noi a costruirle, e non oltre per cui le sue basi nascoste rimangono metafisiche.
Essa infatti assume arbitrariamente che la verità stia nei fatti, e ciò è condivisibile, ma non falsificabile.
Per una teoria che muore un altra nasce, e ciò si esemplifica con infelice espressione, dicendo che una teoria è vera fino a prova contraria., ma la prova contraria è sempre un altra teoria, e ciò garantisce che nel suo complesso la scienza non può essere falsificata, cancellata come un semplice segno.
Se così non fosse come si potrebbe giustificare la sua presunta tensione alla verità?
Il suo confondersi a volte con la religione?
Ma allora in cosa si distinguono?
Direi in un diverso modo di interpretare i fatti.
Per una è sufficiente l'interpretazione che dei fatti da' un profeta ispirato.
L'altra invece ci impegna tutti a produrre segni.
Ma, a parte questo, nessuna dice la verità, perché la verità è per definizione sottesa ciò che si cerca, dunque ciò che non sappiamo.
Può esistere una verità da raggiungere solo se il percorso della conoscenza è già segnato, se c'è un senso da seguire.
Ma l'unica realtà è quella del percorso il quale solo e' possibile se a partire da un segno già esistente  e  infalsificabile,
ma solo perché ignoto.
Se la filosofia ha un compito è quello di esplicitare questi sensi nascosti, per falsificarli , con la consapevolezza che ciò è possibile fare solo sostituendo un senso nascosto con un altro.
#3983
@Ciao Alexander.
Per raccontare una storia ci vuole un autore esterno ad essa, che da essa non venga intaccato, e Dio è un perfetto esempio di ciò, nonché unico esempio. È, al minimo, questa esemplificazione.
È ciò che ,rimanendo fisso, racconta un divenire. Non esistono altri esempi di ciò al di fuori di lui, e se lui non dovesse esistere resterebbe l'esemplificazione di ciò che è impossibile, stare fuori dalla storia che si racconta.
Se Dio, in quanto tale, da' un senso alla storia, allora il senso è fuori della storia, e non è quindi da cercare dentro alla storia.
Per come la vedo io Dio è anche l'unico esempio credibile, se vi si crede, di ciò che è , cioè dell'essere in quanto tale, di cui ogni altro essere è un surrogato.
Il paradosso delle storie è che raccontano un divenire a partire da soggetti che possiedono però una fissità.
Le teorie fisiche sono possibili racconti solo se includono al loro interno delle costanti oltre alle variabili.
Se queste costanti nella realtà non esistessero, al fine di poter raccontare una storia, bisognerebbe inventarle, e io non escludo che le cose vadano così come risultato dell'impossibilità del narratore di stare fuori dalla storia.
Ma ci sono due modi di inventarsi le cose, una consapevole e l'altra no.
Il risultato di una invenzione inconsapevole è l'essere in quanto tale.
Laddove vi è l'essere vi è questa invenzione, e di esso altro non si può dire che è, se non fosse che non lo diciamo per suscitare risa, ma perché altro non possiamo davvero dire, perché inconsapevoli del modo in cui si origini.
Se l'essere corrispondesse davvero alla realtà dovremmo ammettere che essa è un paradossale miscuglio di ciò che muta e di ciò che non muta e ogni storia sarebbe la storia del mutamento di ciò che non può mutare.
Dunque tutto si rinnova in Dio, ma per restare sempre uguale.
Se qui parliamo della storia dell'uomo il soggetto deve restare uguale a se stesso nel suo mutamento, sennò di chi staremmo raccontando la storia?
Non possiamo cambiare in continuazione il soggetto della storia in ragione del suo mutamento, perché sennò' di chi staremmo raccontando davvero la storia?
Dio è un perfetto esempio di ciò che agendo, avendo quindi una possibile storia, resta uguale, e perciò è possibile raccontare la sua storia.
Siccome però siamo noi i veri autori della storia, Dio ci serve per spostare altrove l'imbarazzante paradosso che noi siamo, in quanto soggetti che mutano senza mutare nel corso della storia.
Siamo in quanto siamo i necessari soggetti immutabili di una storia che in quanto tale descrive un divenire.


Per quanto riguarda l'amore a me pare sia ciò che ricuce quel che abbiamo arbitrariamente diviso per inventarci i soggetti di una storia, i cosiddetti individui.


È come se non potessimo relazionarci con la realtà se non inventandoci qualcosa di arbitrario , il quale però raggiunge lo scopro solo quando entra in funzione una conseguente contropartita, che annulli i potenziali effetti a senso unico della nostra arbitrarietà  col suo contrario.
Ciò significa che ai fini di rapportarci con la realtà, esistono gli individui, ma solo a condizione che vi sia un amore che li "ricucia insieme".
Questo si esemplifica dicendo che Dio è amore, cioè è, ma non in modo incondizionato, ma a condizione che sia amore.
Infatti a un Dio che non fosse amore che altro senso potresti dare?
Non esiste un essere slegato dalla sua funzione.
Quindi non può esservi un senso nella storia se astraiamo il narratore, che poi mi pare infine sia quel che tu stesso affermi.
#3984
Solo così si può svelare il mistero.
Ogni contraddizione, ogni paradosso, ogni ricerca impossibile, nasce dal credere che vi sia "una storia del mondo" che ne contenga il senso essendo vero il contrario.
L'errore, l'illusione, consiste nel credere che per quanto la storia non sia del tutto oggettiva, là si possa sempre perfezionare, e rimane comunque "la storia".
Ma la vera storia può raccontarla solo chi ne è fuori, un ipotetico Dio.
I fisici stessi hanno compreso che i limiti oggettivi delle teorie fisiche sono i fisici stessi, il non essere essi fuori della storia.
#3985
Ma il dilemma del divenire che tanto ci tortura, dove il "ci" sta per un soggetto stabile, non volatile, è stato risolto dai fisici che descrivono il divenire mediante leggi di conservazione.
Il divenire si ha per il mutare di un tipo di energia in un altro, conservandosi l'energia totale.
Se l'energia iniziale e' uno, alla fine della trasformazione troviamo sempre uno.
Il senso non è da cercare nell'uno immutabile quindi, ma nella trasformazione per la quale la vigna non è mai uguale a se stessa, pur essendo quota di qualcosa che non muta.
Lo stesso dicasi per i vignaioli che sono quel "ci", e questo bisogna dire è davvero un mistero.
Il mistero è che tutto ciò ammetta una storia, come se in questo mutamento vi fosse un punto fisso, immutabile,esterno alla storia, che possa quindi raccontarla.
Il paradosso è che la storia non può fare parte della storia. Come può il divenire raccontare il divenire?
Deve esserci sempre un ente esterno fisso che la osservi e che la giustifichi.
Questo ipotetico Dio non da' un senso alla storia, ma la rende possibile.
Perché ci sia una storia deve esserci qualcuno che la racconti.
Dio ci racconta la storia, ma non è lui il senso della storia.
Ci da' i segni, ma non potrebbe farlo se fosse un segno.


Il mondo è uno e contiene tutte le sue possibili rappresentazioni , nessuna delle quali quindi gli corrisponde.
#3986
@ Ciao Alexander.
Bel post il tuo.
Ma tu parli di vigne e vignaioli come se non fossero prodotti di un percorso che non abbia una meta definita.
Usi la vigna come metafora di qualcosa di altro che però non c'è.
C'è solo la vigna adesso e domani al suo posto potrebbe esserci altro, e quindi nessuna di queste cose può prendersi a metafora di mete definitive, a meno che non si creda che esse non siano il risultato di un percorso , ma siano state create per restare sostanzialmente tali.
Se è vero che la vigna, sempre la stessa vigna, sia stata creata per dare l'uva, sempre la stessa uva, allora che la dia.
Ma noi cosa c'entriamo in questo?
Siamo quelli che mangiamo l'uva?
Bene, allora mangiamola.
Ma cosa c'entra allora il dover lavorare la vigna?
In sostanza tu credi che non abbia senso il divenire se non va' a parare da nessuna parte di preciso.
Ma se c'è un posto preciso dove stare che senso ha andarci. È sufficiente starci.
In effetti quello che ci dice la Bibbia è che noi ci stavamo, ma c'è ne siamo allontanati e adesso il senso del nostro percorso è quello di un ritorno. Non vedo che senso ci potrebbe essere in ciò, in questo Dio.
Se questo ritorno si dovesse compiere il premio sarà tornare ad essere esattamente quel che eravamo.
Lo stesso risultato avremmo ottenuto se non ci fossimo mai allontanati.
La metà che tu, ma sotto sotto tutti agogniamo , è restare noi stessi in eterno.
Una meta che si raggiunge stando fermi.
Quindi non è tanto il fatto che una vita con tanti sensi  sia noiosa .
È il fatto, che diversamente non sarebbe vita.
Una vita che rimane identica a se stessa in eterno, cioè Dio, non è una vita.
Dio può fare quel che vuole, ma nulla di quello che fa' lo muta, quindi che senso ha il suo fare.
È un fare che va' a parare in qualcosa di preciso che è tornare al punto di partenza, come se non ci si fosse mai mossi. Che senso dovremmo trarre da ciò?
Un cambiare per non cambiare nulla infatti che senso ha?
Il senso che si trova alla fine del percorso è lo stesso che stava al suo inizio. Dio.
E l'unica cosa priva di senso è ciò che sta in mezzo, il percorso.
Infatti tornare al punto di partenza equivale a stare. A nessun percorso.

#3987
È uno di quei classici problemi che non si può affidare all'intelligenza artificiale.
Questo è un caso che può risolvere solo Salomone.
Partiamo dal punto che accettando le leggi accettiamo un sacrificio potenziale, quello di essere puniti come colpevoli seppure innocenti.
Nel caso di un assassino seriale, caso grave, se fossi uno dei due gemelli, quello innocente, metterei in atto questa potenzialità e mi costituirei.
Quindi osserverei come si comporta il gemello.
In alternativa proporrei alla polizia di inscenare la mia colpevolezza., per vedere l'effetto che fa'.
Per smuovere una situazione in stallo occorre introdurre elementi fittizi.
Montalbano direbbe "sfondapiedi".
#3988
Ciao Eutidemo.
Riflettevo sul fatto che quando è impossibile scoprire il colpevole, allora il possibile colpevole è ognuno di noi, perché, se pure non lo siamo, avremmo potuto esserlo.
Cioè, dal punto di vista delle possibilità, non lambrosianamente  intese, siamo tutti gemelli.
Mi chiedo se il modo migliore per scongiurare gli assassinii , compresa la pena di morte, non sia il sentirsi tutti assassini potenziali.
Così di fronte ad un assassinio non dovremmo limitarci a provare sdegno, ma anche sollievo, quando non siamo stati noi , per puro caso.
Così mi chiedo, quando i legislatori scrivono le pene, in che veste si vedono?
Hanno vera  coscienza del fatto che ad essi esse saranno applicate, e perfino quando innocenti?
#3989
Che il caso sia vero o assimilabilmente tale, con esso di fatto abbiamo a che fare, e non si può rispondere al caso con un megasenso predeterminato, anche se , nella misura in cui siamo uguali, come nati tutti da uno stesso stampo, impronte successive dei passi di un misterioso Dio, lo facciamo.
Siamo dunque somma di due parti della quale ci preoccupa solo quella che meglio vediamo, quella che ci fa' disuguali, e già per ciò come privi di senso, perché il senso per essere tale lo immaginiamo come unico e predeterminato, e che, come tale non puo' farci  che uguali, se non fosse che avere tante repliche uguali non sembra avere un senso.
Se vi è un solo senso basta un solo portatore di senso, magari Dio, e noi siamo un di più di troppo.
Ma se noi ci siamo, il senso deve essere, almeno in parte, un altro.
Dio può essere portatore di senso, ma non lo esaurisce.
Così nelle pause della ricerca di un senso in lui ci rifugiamo.
Credenti o non credenti, chi ciò nega mente a se stesso.
Comunque ci atteggiamo, la nostra capacità principe è quella di saper credere, e la fede è a nostro fondamento , però la storia non finisce lì. È solo il suo inizio e il resto è da scrivere.
#3990
Citazione di: bobmax il 24 Novembre 2021, 17:04:31 PM
Ma se la necessità è esclusa, non resta che il caso.

A questo punto ho perduto ogni possibile riferimento.
Non vi è più alcuna ipotesi razionale a cui mi possa aggrappare per dare un senso alla mia vita.

Ma non è forse proprio adesso, che compare la mia autentica libertà?

Dico la verità. A me il caso sembra non meno sostenibile della necessità .
Forse esistono davvero e forse no.
Quello che è certo è che riusciamo a simularli, isolando le cause negli esperimenti scientifici, o moltiplicandole quando quando vogliamo ottenere gli effetti del caso.
Ma che il caso abbia precisi effetti dovrebbe già insospettirci, anche se vanno considerati globalmente.
Nell'esperimento scientifico invece della globalità, funziona la località', perché ha senso solo se si riesce ad isolare il laboratorio dal resto del mondo.
Così, quando invece vogliamo mimare il caso, proviamo al contrario a far rientrare il mondo dentro una stanza.
Fra queste due estreme tendenze forse potremmo inserire il senso, come ho provato a dire, e ne esistono due tipi.
Un senso ignoto, e quindi condivisibile perché incontestabile, che somiglia un po' a Dio, come noi gli somigliamo.
Nella misura in cui siamo uguali Dio ci rappresenta  nel suo essere un mistero.
Dentro a questa rappresentazione ognuno di noi vale l'altro, come sono uguali fra loro gli elettroni in un esperimento di elettricità, come se rispondessimo ad una necessità.
Nella misura in cui invece "pecchiamo", rendendoci eccentrici a questa rappresentazione , in quanto consapevoli e liberi di scelta autonoma, diventiamo una perfetta imitazione del caso.
Se guardiamo gli effetti delle scelte individuali, per quanto queste possano riempire di senso la cita dell'individuo, viste da fuori si mostrano vane, come una cita vissuta a caso. Perché facciamo certe scelte e non altre?
Se però guardiamo i risultati globali delle singole scelte, assimilabili a scelte casuali, il risultato è una curva monotona, che si può interpretare ad esempio come una continua sopraffazione reciproca, una competizione che somiglia a una selezione naturale.
In qualche modo lo stesso caso, vero o assimilabile, agisce sull'inanimato quanto sull'animato.
C'è però uno scarto temporale, che rende le azioni animate più credibili.
Le necessità materiali infatti hanno effetto, sia che lo consideri immediato, sia che richieda il tempo della luce, prefissato.
Mentre la vita si prende il suo tempo, sia nel chiamare a raccolta le cause in memoria, sia nel dargli effetto.
Ciò può avvenire solo con la mediazione di un senso che si sostituisce alla necessità cronometrica.
Senza quel senso la coscienza non potrebbe essere causa.
Che vi debba essere un senso è dunque legato al fatto che vi sia una coscienza.
Il senso però in effetti non è necessario, perché la coscienza non è necessaria.
Senza di essa nessuno se lo chiederebbe.
Noi, per la parte che ci fa' uguali, seguiamo un senso senza saperlo.
Agiamo per istinto, come per necessità.
Diversamente seguiamo un senso consapevole, che però altro non fa' di noi che un onesto lancio di dado, quando tutto funziona, quando cioè curiamo la nostra libertà.


Io non credo che noi vediamo il mondo per quello che è, ma per quello che lo crediamo, cioè per il senso che gli diamo.
Pur nell'ottica del doversi accontentare, di prendere le cose per quello che sono, a me pare questo già un appagante miracolo.
Nel dover scegliere, come Einstein ci ha invitato a fare, fra "ogni cosa è un miracolo" e " nessuna cosa è un miracolo" , io scelgo la prima , e mi sforzo di vedere un mondo sempre migliore, perché so' di poterlo fare.