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Messaggi - iano

#3991
La ricerca di senso in filosofia potrebbe vedersi come effetto e causa della coscienza.
#3992
Citazione di: Ipazia il 24 Novembre 2021, 14:48:41 PM


La relazione tra causa e fine implica una coscienza. In sua asseza vi è soltanto la relazione tra causa ed effetto.
Si possono scrivere le storie della materia,  che sono le leggi fisiche, nella misura in cui si possono isolare e separare le cause, e dalle pieghe di questa possibilità mi pare di intuire che emergano il tempo e lo spazio come separatori. Ma il modo in cui si possono separare le cause non è scontato.
Nella misura in cui ogni separazione di cause è stata coscientemente operata, può essere modificata, e in ciò forse trova origine la falsificabilita'. Nella misura in cui tale separazione non è cosciente percepiamo gli effetti come ciò che sono, non criticabili, non falsificabili, da cui deriva il concetto di essere in quanto tale.

Raccontare le storie della vita è più complicato perché la memoria su cui le coscienze insistono, al contrario , riunisce diverse cause nel tempo che diventano di fatto concause, come fossero cause che agiscono allo stesso tempo grazie alla coscienza. Perché si possa ancora parlare del loro effetto occorre ricondurre le diverse cause ad una, dandogli un senso unificante.
Quindi esistono tante piccole storie con un senso predeterminato.
La difficoltà di trovare il senso della storia umana, sta nel fatto che pretendiamo di raccontarne una.
Quindi dovremmo iniziare a capire da dove deriva questa esigenza.
Quale causa agisce dietro alla ricerca di un unico senso?
#3993
Citazione di: Kobayashi il 23 Novembre 2021, 08:51:45 AM
Concordo sul fatto che con la razionalità se si arriva a Dio, si arriva a un Dio completamente inutile dal punto di vista del senso della vita.
Sul punto B le cose mi sembrano più complesse.
Bisogna innanzitutto dire che l'ateismo ai tempi di Feuerbach e Strauss pensava che la negazione scientifica di Dio avrebbe condotto l'uomo a riappropriarsi del senso, della pienezza umana, che si riteneva avesse proiettato nell'idea stessa di Dio.
Un progetto nobile ma fallimentare (nel senso che all'ateismo non è seguito un nuovo umanesimo, ma anzi la dissoluzione di ciò che rimaneva di esso).
Per questo motivo, l'asserzione di Viator che il senso umano deve essere ricercato al di fuori dell'umanità è interessante soprattutto come sintomo della malattia della nostra civiltà che, essendosi imposta il divieto alla trascendenza, non sa da dove ripartire non dico nel trovare il senso della vita ma anche solo su come stabilire la dignità della persona.

(La prova che la dignità umana attualmente, al di là della retorica umanistica di facciata, è determinata dalla potenza del soggetto, dalla sua capacità di produrre etc., la si è avuta la primavera scorsa in pieno lockdown quando iniziava a emergere esplicitamente la domanda se fosse lecito sacrificare l'economia per salvare un po' di anziani. Poi i contagi sono diminuiti e ci si è affrettati a dimenticare la cosa).
Credo che entrare nell'umanesimo abbia significato iniziare a vedere quello che da sempre era sotto i nostri occhi, quindi quello che dobbiamo trattenere è la sua lezione.
Se è successo una volta può risuccedere. Il fatto che ancora non sia risuccesso è testimoniato dal fatto che ne lamentiamo ancora la perdita in cambio apparentemente di nulla.
È lo schema che ha portato all'umanesimo che deve ripetersi nuovamente, non l'umanesimo.
La ricerca di senso deriva dall'intuizione che un senso ci sia, ma è " dentro di noi" e lavora in incognito, e per questo lo cerchiamo., ma una volta trovato altro non possiamo fare che sostituirlo con uno nuovo, perché esso funziona solo finché resta incognito, non potendo diversamente essere condiviso.
Noi vediamo quel che vediamo, e non vediamo quel che, pur essendo sotto i nostri occhi, non vediamo, attraverso quel senso.
La percezione propria dell'individuo, può riferirsi ad una collettività quando condivisa, ma per essere condivisa deve essere ignoto il senso che la genera.
Il senso che ci fa' vedere è allo stesso tempo un paraocchi che ci protegge dalla complessità del reale, limitandola al sostenibile attuale.
Una lente comprensiva di filtro. Quando la cambiamo ci sembra di vedere per la prima volta, mentre prima credevamo solo di vedere.
In effetti continuiamo sempre a credere di vedere, perché in un certo senso vediamo quel che crediamo, e questo è propriamente il senso di cui qui parliamo, a mio parere.
Ci sarà sempre qualcosa sotto i nostri occhi che non vediamo.
Se oggi si fa'pressante la necessità di rinnovare la nostra visione, non essendo più sostenibile la vecchia, il compito della filosofia è quello di svelare cosa sta dietro alle evidenze, per sostituirle con nuove evidenze.
Se attraversiamo una fase di pessimismo, nichilistica, è perché in questo processo di sostituzione ci appare meglio evidente la parte necessariamente distruttiva, che viene letta giocoforza , come perdita di valori. Concordo con te che ancora non si intravede ciò che li andrà a sostituire., ma credo che faccia parte di questo continuo gioco del vedere e non vedere per tornare poi a rivedere.
Non si è ancora completata la fase alla cui fine diremo: " Come abbiamo potuto essere così ciechi finora?", anche se qualcosa si inizia a muovere palesandosi come crescente insofferenza al solito bla bla.


In un certo senso si verifica col vedere ciò che succede col sentire, che ascoltando le stesse cose a ripetizione si smette di udire e tutto acquista la consistenza di un bla bla.
#3994
Riflettendo bene la mia impressione è che espressioni che ci appaiono ovvie , ovvie non sono mai.
Dire che. una cosa sta dentro o sta fuori temo valga come il credere che esista il sopra e il sotto.
Infatti se si disegnano due circonferenze concentriche si può ugualmente dire che una stia dentro l'altra come il viceversa.
Dipende quale scegliamo come confine, e noi ci percepiamo come cosa confinata, come cosa che sta dentro un altra.
Fino a ieri percepivamo lo spazio come Euclideo, e non altro, e non abbiamo ancora tratto le conclusioni sulla percezione di noi stessi , come se per essa valesse ancora quello spazio come unico possibile.
Ci percepiamo come dentro un confine, ma da quale parte del confine veramente stiamo?
Nella misura in cui incerto è il confine, direi un po' di qua e po' di la'.Meglio tenersi larghi. 😊
Sembra esserci in effetti un preciso senso in cui ci percepiamo, è vero, ma ciò non corrisponde mai alla realtà, ma solo a quel preciso senso senza del quale non vi sarebbe percezione. È un senso a tenere insieme una storia, a partire dalla definizione dei suoi soggetti.
#3995
Citazione di: Ipazia il 22 Novembre 2021, 22:08:05 PM
Ipazia non pensa che la scienza sia depositaria della verità, nè che l'oggettività dei suoi responsi sia sinonimo di verità assoluta. Ipazia pensa che tanto le scienze umane che quelle naturali possono usare le stesse metodologie epistemologiche per interrogare la realtà. Il responso in entrambi i casi è falsificabile (fino a prova contraria) e quindi in progress.
In effetti condivido.
Ma col senno di poi toglierei quel "vero fino a prova contraria" che ha contraddistinto fino a qui la visione filosofica della scienza. Proporrei di dare per certa la prova contraria ( questione di tempo) di modo che non si debba neanche più scomodare la verità.
Distinguerei fra ciò che è noto, quindi criticabile, e che prima o poi certamente lo sarà.
Noto come ciò che criticamente nasce e criticamente muore.
È fra ciò che essendo ignoto, può apparire, quando appare, solo come evidenza, quindi non criticabile, non falsificabile.
Si può anche negare l'evidenza , ma senza buoni motivi per farlo come non c'è alcun buon motivo logico per sostenerla.
In sostanza proporrei di sostituirà a una verità una certezza, perché comunque un punto di partenza da cui sviluppare la logica ci vuole, così come non può svilupparsi la vita se non a partire da un senso.


Tutto sommato non è assurdo cercare il senso della storia, ma il credere che la storia non sia fatta di tante storie.
Significativo è che quando pensiamo alla possibilità che non vi sia una storia unica dobbiamo immaginarci mondi paralleli.
#3996
Citazione di: viator il 22 Novembre 2021, 21:03:44 PM
Citazione di: Jacopus il 22 Novembre 2021, 18:59:56 PM
CitazioneDio non esiste. In tal caso il senso UMANO della VITA UMANA non può collocarsi all'interno della sfera UMANA, ma dovrà collocarsi fuori di essa.   


Su che base fai questa affermazione?

Salve jacopus. Il senso dell'Uomo non può stare dentro l'uomo poichè TUTTI gli umani - se ne avvertono il bisogno - sono capaci di attribuirsi un senso dopo essersi guardati allo specchio.Ma in questo modo diventa un pò troppo facile barare (ma quanto siamo pieni di senso, cioè di noi stessi !). Il senso corretto di noi stessi (umani) non dobbiamo/possiamo essere noi a darcelo. Ci deve essere dato da chi ciò che non sia umano (quindi estraneo e superiore alla condizione umana). Saluti.

L'unico senso che possiamo conoscere è quello che ci diamo, ma se esso non può stare dentro l'uomo, allora forse l'uomo non sta dentro l'uomo, e lo dico senza ironia, ma per stimolare una riflessione, perché possiamo dire che qualcosa sta dentro un altra se queste sono ben definite, e io non credo che lo siano.
La tua intuizione è secondo me da prendere sul serio.
Ma ti invito a considerare  il fatto che qualcosa che stia dentro di noi, ma di cui non siamo consapevoli, equivale come cosa fuori di noi. La cerchiamo però, perché ne intuiamo la presenza.
Per qualcosa che sta fuori di noi tu certamente intendi qualcosa che sia indipendente da noi, noi intesi come esseri indipendenti nelle nostre scelte, almeno  nella misura in cui siamo consapevoli di noi.
Esiste però una parte di noi "indipendente" da noi, intesi come esseri consapevoli, e in tal senso indipendente da noi, come fosse fuori di noi.
È un senso dentro di noi che si evolve con noi, mutando la nostra consapevolezza.
Un senso che invece fosse fuori di noi, del tutto indipendente da noi, per essere tale, una volta individuato, dato che lo stiamo ancora cercando, non baserebbe che venisse condiviso, perché anche quando lo fosse al momento, dovrebbe restare tale nel tempo per sua natura, sul che non potremmo giurare.
Come potremmo allora mai dimostrare di averlo trovato, se pure lo trovassimo?
Da cosa c'è ne accorgeremmo?
Non basta allora trovare il senso, ma anche capire in che modo dovrebbe manifestarsi la sua evidenza, evidenza che è cosa che si presenta come ovvia, non bisognevole di giustificazione. Fuori dunque da ogni possibile produzione logica, ma come punto di origine di una produzione logica. E siccome una logica viene prodotta, allora ci sarà un punto di partenza, una evidenza che non si produce, ma da cui si sviluppa la produzione logica.
Il senso che noi cerchiamo è invece, come tu suggerisci, il prodotto di una logica, un suo punto di arrivo.

Se un tale senso esistesse lo sarebbe di fatto, indipendentemente dal nostro giudizio, ma l'unico modo perché lo sia, è che non si renda noto. Dio non è colui che garantisce un senso, ma è l'esemplificazione di questo ipotetico senso, immune alle nostre opinioni, perché è e resta un mistero.
Ma non è necessario dire che sia esterno a noi, come se tutto ciò che è in noi ci fosse noto.


Alla luce di tutto ciò non vi è una chiara definizione di uomo che renda paradossale il fatto che un uomo stia dentro a un uomo, dei quali uno in posizione defilata nella funzione di senso, a partire dal quale l'altro in bella evidenza disquisisce dottamente di logica,producendo le meraviglie del pensiero e della scienza che "conosciamo", quelle falsificabili, e falsificabili perché note. Un uomo che si prende tutti i meriti, fin troppo pieno di se', ma che da solo non si esaurisce, come se avesse un senso nascosto, che non smette di cercare, perché ci che gli appare di se', per quanto si vanti, non gli basta.
#3997
Ciao Viator.
Dio come senso funziona finché il senso non viene trovato, perché non appena si trovasse qualcuno lo muterebbe criticandolo.
Immagino però che dalla ricerca di un senso ci si aspetti che una volta che a noi mai  si palesasse non si potrebbe che condividerlo, non lasciandoci scelta.
Quindi credo che al nocciolo della questione vi sia il considerare la possibilità che vi sia almeno una possibilità che l'effetto delle scelte individuali non abbia luogo.
#3998
È paradossale chiedersi il senso della storia di qualcosa che se fosse ben definito non avrebbe una storia, perché può avere una storia solo se non ben definibile.
Questo, diversamente da quel che ne pensa Ipazia, vale anche per la ricerca scientifica.
Detto ciò sembra impossibile raccontare una possibile storia di alcunché.
Rimane l'evidenza però che siamo capaci di raccontare storie, e che attraverso queste , che sia letteratura o che sia scienza, ci interfacciamo con la realtà .
Non si tratta di storie a lieto fine, ne del suo contrario. È già tanto che ci siano storie, e se vi sono è perché vi è un senso, uno per ogni possibile storia.

L'essere non è tale in quanto tale, ma è tale in un certo senso, senso che  quando viene condiviso perché non criticabile, e non criticabile perché  a noi non presente, ci appare allora come tale.
Ma che vi sia un senso dietro l'essere lo intuiamo evidentemente, se poi lo andiamo a cercare, e questa ricerca è ciò che lo fa mutare, perché appena lo si trova lo si critica.
Se lo cerchiamo questo senso un motivo pure ci sarà.
#3999
@ Daniele 22
In effetti, il senso inteso come una previsione a lunga scadenza, che al limite diventa infinita, mi sembra che ne giustifichi sufficientemente il parlarne.
Siccome coscienti facciamo previsioni (a che servirebbe sennò la coscienza) le quali non hanno un limite temporali predefinito, e in relazione al diverso limiti considerati diamo un diverso nome alla previsione, che al limite diventa un senso.
Prendendo a prestito la terminologia matematica la storia è una serie infinita di eventi che può convergere a qualcosa di definito , finito o infinito, come a nulla, come è possibile dimostrare.
Lo si può dimostrare perché, pur essendo infiniti i termini, ciò non impedisce ai matematici di trattarli, perché sebbene essi non possano attingere a tutti i termini, non ve ne è alcuno a cui essi non possano attingere, come se i termini fossero tutti attuali.
Nel caso della storia umana, o in generale la storia di una specie animale, manca questa surrogata attualità .
Una serie matematica ha un senso che risiede nella sua definizione, ma ciò non garantisce che essa vada a parare in qualcosa di definito, esistendo la possibilità che vada a parare a nulla.
Per analogia quindi il fatto che la storia umana possa avere un senso non ci garantisce che vada a parare da qualche parte di preciso.
Per non parlare della imprecisione con cui può individuarsi il soggetto della storia, diversamente da come può farsi in matematica, essendo il suo soggetto puramente ipotetico.
Quando parliamo di storia dell'umanità ammettiamo che un soggetto ipotetico abbia un preciso corrispettivo reale.
Come è possibile ciò?
È possibile perché noi non ipotizziamo la umanità, ma la percepiamo, e solo successivamente proviamo a darne una definizione, rendendoci conto però che non è possibile farlo con precisione, cioè che non vi è un preciso corrispettivo reale.
La percezione richiede una elaborazione di dati, e in questa elaborazione risiede già un senso.
L'umanità è tale solo secondo un preciso senso, che abbiamo, ma che  non è a noi del tutto presente , e che possiamo provare a ricavare a posteriori.
È un senso funzionale, non assoluto
Quindi stiamo parlando della storia di qualcosa di non perfettamente  precisabile, ma che noi comunque proviamo a precisare assegnandogli un senso. Se cambia il senso cambia il soggetto della storia.
Che senso ha quindi chiedersi il senso della storia?
Ha senso se cioè equivale non alla possibilità di trovare un senso, ma semplicemente a cercarlo, con l'avvertenza che quando ci sembrerà di aver trovato il senso della storia di un soggetto, il soggetto è già cambiato.
Il soggetto in effetti, al di là del relativo modo di individuarlo ,non è mai uguale a se stesso se ha una storia.
Ma chi è allora veramente questo soggetto, se non ben definibile.
È come facciamo a raccontarne la storia.
Possiamo raccontarla solo forzandone il senso.
#4000
Citazione di: Alexander il 21 Novembre 2021, 09:29:13 AM
Buona domenica a tutti


Tra l'altro se cerchiamo di non trovare un senso esplicito al corso degli eventi, gli eventi stessi ci impongono un senso implicito
I dati che riceviamo attraverso i sensi si trasformano in sensazioni, eventi, solo se vengono interpretati e non c'è un modo univoco per farlo. Dentro ad ogni tipo  di interpretazione è già implicito un senso , un pregiudizio, a noi ignoto, se condiviso.
Non potremmo interagire con la realtà, se non secondo un senso arbitrario, quanto prestabilito, quanto ignoto, se condiviso.
Nella ricerca scientifica invece questo senso è noto, esplicito, quindi in genere non condiviso, ma condivisibile.
Noi non vediamo i quark, ma in "un certo senso" è come se li vedessimo, se condividiamo la teoria dei quark.
In generale ogni volta che abbracciamo un nuovo senso stiamo sperimentando un nuovo modo di vedere il mondo.
Uno ci vuole sempre comunque.Senza saremmo ciechi.
Quando il senso è ignoto è condiviso, e questa condivisione ci fa' umani.
Quando invece è esplicito, siccome criticabile, non è in genere condiviso.
La storia del covid ci insegna che tanto più siamo informati, tanto meno concordiamo.
Quando eravamo non informati ci vaccinavamo tutti.
Il senso di avere tanti sensi è che essi possono confrontarsi creando ricchezza di soluzioni possibili ad ogni problema contingente, anche se la loro stessa gestione e' problematica.
La storia del covid ci dice che non siamo ancora preparati a gestire un surplus di informazione, perché questa se non debitamente elaborata non porta a nulla, e si può elaborare solo scegliendo un senso.
Se vi fosse un solo senso da trarre dalla storia sarebbe una storia monolitica, uguale sempre a se stessa, da qualunque prospettiva là si giudichi.
Ogni individuo così la vedrebbe allo stesso modo, tanto che la presenza di diversi individui sarebbe difficile da giustificare. Quantomeno sarebbe economicamente insostenibile.
Ne basterebbe uno, magari eterno, magari Dio.
Un solo Dio e un solo senso da trarre dalla storia, perché non vi è storia.
Una bella noia immagino. Io non vorrei essere al posto suo.
E tu?
Ci avrà' creati perché si annoiava?

#4001
Citazione di: Ipazia il 20 Novembre 2021, 14:13:15 PM
Anche il privitivista filosofico dà un senso/significato al mondo che lo circonda essendo pure lui un animale semantico che dalle tracce/segno sul terreno deriva il significato di una preda o predatore nelle vicinanze.

L'assenza di senso è assenza di vita, l'eccesso è un falso problema. La verità sta nel mezzo, in tutti i sensi.
Alla fine questa lunga discussione , a differenza di tante altre andate apparentemente a vuoto, sembra aver trovato un senso.😅
Possiamo intendere Dio al limite come ciò che , siccome possiamo considerare, ci sembra avere un senso. Esso appare come la mancanza di un limite, che però è l'esagerazione del concetto di un limite, che siccome si può porre, allora indefinitamente si può spostare, in una progressione di senso che vale una evoluzione vitale.
Credo che l'assimilazione del senso alla vita sia una perfetta conclusione.
#4002
@Phill.
Dici bene.
Il senso di vanità deriva da una aspettativa delusa, la presenza della quale, aggiungo io, è connaturata ad un essere cosciente.
Attraverso l'estrazione di un senso dalla storia noi interagiamo indirettamente con la realtà, la quale non sembra avere un limite di complessità, se non quello che noi riusciamo a porvi, pena la mancata interazione.
La ricerca di un senso sembra somigliare, nella sua arbitrarietà, alla ricerca di limiti fittizi che rendano la realtà gestibile.
Rileviamo il male laddove non riusciamo a imporre questi limiti arbitrari , riscontrando una situazione caotica, cioè una complessità che appare irriducibile e quindi  incontrollabile, priva di senso nella misura in cui non siamo riusciti a darglielo, laddove riuscirci è di importanza vitale.  il senso è connaturato alla vita se si ammette che non esistono esseri se non coscienti, seppur in diverso grado. Senza non vi è interazione con la realtà, quindi non vi è vita .
#4003
La maggior consistenza che si attribuisce ai fatti naturali, intesi come puramente materiali, sembra risiedere  nella rilevata uguaglianza dei soggetti coinvolti,  che si presentano identici, se non per differenze spazio temporali che li rendono soggetti di una storia.
Ma poi si vede che più se ne scoprono di questi soggetti e più il loro essere individuale non sembra giungere a fine.
Non si finisce di scoprire particelle materiali sempre diverse, se le si cerca.
Se invece non le si cerca cio' che appare e' uniforme, e a ciò che è uniforme, ripresentandosi uguale, si attribuisce un senso, impossibile da attribuire a ciò che mai si ripete uguale, e quando ciò non sembra accadere ci sembra esser male , esser vano.
La ricchezza, la diversità, non sono facili da amministrare, e quando se ne perde il controllo ogni azione diventa vana e subentra il caos, e ciò è male, così che a volte ci sembra illuderci di riprendere il controllo, ritrovare un senso, negando la diversità.
Cosa appare più vano ad  un essere cosciente se non la dispersione di senso che leghi in una relazione di causa ed effetto i fatti tutti, al di la' del contingente presente e del particolare  luogo?
Il senso lo si può perdere per lo stesso motivo per cui lo si può trovare.
#4004
Gli oggetti della storia della vita  si evolvono in base a un senso, come quelli materiali in base a una legge.
Senso e legge sono astrazioni di astrazioni.
Astrazioni di secondo grado che risentono della consistenza della astrazione primaria da cui derivano.
Maggior consistenza, o minor vanità, sembrano possedere i fatti naturali, perché più consistente sembra essere l'astrazione primaria da cui derivano.
Paradossalmente la ricerca spirituale di un senso assoluto tenderebbe a ricondurre la storia della vita a quella materiale, con le sue certezze, come se ciò fosse bene, e laddove l'operazione fallisce si intravede il male.
Le pretese certezze a cui si giunge ereditano però sempre l'arbitrarietà della primaria astrazione da cui derivano.
Dalla pretesa che le prime siano assolute deriva il senso di vanità, quando le seconde vengono messe alla prova dei fatti.
A me sembra più ragionevole, piuttosto che dare al senso la consistenza di una legge, dare alla legge la consistenza dl un senso.
La ricerca di un senso assoluto nella vita poggia sul fatto che si crede se ne abbia un esempio nel campo materiale.
Si cerca un assoluto in un campo perché si crede che esempi di assoluti vi siano in altri campi, e perciò sembra sensato farlo, secondo la perfetta logica degli opposti, per cui non vi sarebbe spiritualità senza materia.
Ma, se essi nascono insieme, se si originano dalla stessa astrazione, allora condividono la stessa consistenza.
#4005
Citazione di: Ipazia il 20 Novembre 2021, 07:37:39 AM
Citazione di: iano il 20 Novembre 2021, 04:41:29 AM
Senso è il nome che diamo a una previsione da cui si astragga la scadenza, rendendola vana.
Direi di no rispetto alla vanità - della previsione e/o della scadenza - perché il senso è un prodotto, non un risultato. Un prodotto che si autolegittima e realizza nel momento in cui produce.
CitazioneLa realtà però ha sempre una scadenza, ed è un'altra storia.
Come insegna Epicuro, quando c'è la scadenza noi non ci siamo e finché ci siamo non c'è la scadenza.
Giusta la prima precisazione.
Attraverso la produzione di senso da ricercare nella storia il passato non cessa mai di essere causa ben al di la' del ristretto paradigma deterministico.
La storia stessa è un prodotto degli individui dalla quale gli individui a posteriori si possono astrarre, estraendone un senso che si fa' causa.
Si prova ad estrarre un senso dalla vita, astraendo la breve storia individuale, come dai fatti materiali si prova ad estrarre leggi astraendo il caso.
Se la ricerca di senso fa' tacito riferimento, come credo, alla storia e al destino del singolo individuo, allora non se ne può trarre che un senso di vanità . Il destino del singolo individuo è la morte, così come ci si aspetta che si arresti ogni dado lanciato.
Il senso riferito al singolo ,traendolo da una storia che si accartoccia su se stessa, non può che risultare dunque vano.
L'effetto delle azioni libere individuali , nella misura in cui possono assimilarsi al caso, rendono il senso vitale contiguo alla legge naturale, come ciò che si può astrarre dai contingenti fatti.