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Messaggi - iano

#4021
Quello che voglio dire è che noi siamo naturali e che agiamo in modo naturale, e uno di questi modi, inevitabile quanto naturale, è quello di interagire con la realtà attraverso un quadro culturale/ biologico che può ben riferirsi all'unanimità in quanto condiviso dagli individui, e che se in questo quadro disperiamo di trovare la soluzione, questa potrebbe stare in un diverso quadro , quadro che noi abbiamo cambiato già più volte nella nostra evoluzione in modo del tutto naturale, e che ancora possiamo cambiare.
Siccome il nostro modo di esprimerci fa' parte di questo quadro, per quanto sempre impreciso, è suscettibile di essere precisato, e non è male investire in tal senso.
Resterà sempre un bla bla come dice Greta, ma è arrivato il momento di mutarlo in un blo blo, o blu blu, sperando che almeno a questo seguano i fatti.
È un problema culturale che vale per ogni essere vivente.
Una specie si estingue quando la sua cultura non si adegua ai casuali mutamenti ambientali, dovendo sperare in soluzioni casuali.
Quando la causa è la cultura stessa, se pure può considerarsi ancora causa casuale , la possibile soluzione che si oppone in modo mirato alla causa , casuale non è.
Il caso è il punto focale della natura, ma non ne è il solo attore.
La vita si oppone all'entropia materiale, perché sa' riscrivere in modo inverso la storia del caso, avendone preso appunti a lezione di natura.
#4022
Citazione di: Jacopus il 14 Novembre 2021, 14:32:17 PM
La differenza Viator consiste nel fatto che tu stesso affermi: " che la specie umana non si autolimita. " Ovvero poni uno sguardo riflessivo sul fenomeno. Nessun altra specie vivente del presente e del passato sembra mai essere riuscita in questo passaggio. L'altra differenza risiede nel fatto che per la prima volta è l'azione di una specie nell'ambiente a provocarne la possibile estinzione. Le precedenti estinzioni di massa erano dovute a fattori ambientali del tutto indipendenti dall'azione delle specie estinte.

Il problema dell'estinzione ha un senso se riferito alla vita intera.
Le estinzioni di massa sono esempi in cui ci si è andati vicini.
In questo quadro generale la nuova estinzione che si profila ha una possibilità nuova, mai prima sperimentata, che sarebbe comica se non fosse tragica, che la causa sia la soluzione, e la causa è una coscienza mediamente cresciuta è meglio diffusa fra gli esseri viventi.
Come causa ha "ben" funzionato.
È come soluzione?
Supponiamo, anche se così non ancora è, che ogni individuo cosciente tenda a farsi parte della soluzione. Che non lasci, anche se ciò è contraddittorio, fare alla natura, ma si faccia parte attiva.
Qualunque cosa faremo , almeno col senno di poi, dovrà dirsi naturale, infatti.
Diversamente provalo a spiegarglielo ad un osservatore esterno alieno alla vita terrestre.
Possiamo immaginare che meccanismi naturali simili a quelli che che hanno reso la coscienza individuale causa di annunciato disastro, agiscano come soluzione?
O dobbiamo solo sperare che questa coscienza se ne vada a dormire per un periodo sufficiente che la natura impersonale rimedi?
La natura troverà la soluzione ripudiando parte del suo naturale prodotto, la coscienza?
Mi rendo conto di essermi espresso in modo contraddittorio, ma il punto sta proprio qui, se considerare la coscienza come prodotto naturale, o come alieno alla naturalità.
Volendo essere pratici, considerando impraticabile come soluzione invitare la coscienza ad andare a dormire, direi di tenerla in conto invece come soluzione.
Approfondire intanto i meccanismi che l'hanno resa causa prima, essendo seconda il suo insistere a livello individuale.
Quali meccanismi collettivi si sono prodotti da rendere letale ciò che insiste a livello individuale?
Possono quindi individuarsi meccanismi simili inversi, partendo da quella che indichi come novità assoluta, la consapevolezza che la specie non si autolimita?
Intanto dovremmo iniziare a bandire proclami apparentemente innocenti che portano fuori strada , del tipo " l'umanità deve fare questo è deve fare quello " perché non credo che abbia orecchi per intendere😄 prima ancora di non avere coscienza.
In sostanza, se come mi pare praticabile a senso unico, dovremo usare coscienza per trovare la soluzione, bisogna che essa aggiusti il linguaggio, se nella pur arbitraria definizione di umanità questo è centrale.
Non è che io voglio dire che l'uomo, in quanto manipolatore di simboli, sia una invenzione del tutto arbitraria, perché la sua individuazione ha comunque un senso funzionale, ma se questi simboli sono il prodotto della coscienza, e nella coscienza è l'unica soluzione praticabile, affinare e adeguare il linguaggio all'emergenza non è questione da poco.
Ovviamente non è una critica a te rivolta.😊
#4023
Citazione di: Ipazia il 14 Novembre 2021, 17:08:11 PM
La storia umana non è divisa in buoni e cattivi, ma in dominanti e dominati. È una storia classista che ha separato il senso e gratificazione del vivere in base all'appartenenza di classe e agli obblighi e privilegi connessi.

Questo è un dato di fatto a prescindere da ogni giudizio morale. Se non si parte da questo dato storico oggettivo è impossibile discutere di senso della storia umana collettivamente intesa. Si possono esternare le proprie sensazioni soggettive, ma non è questo la domanda implicita nel titolo della discussione.
La risposta a questo post sta già nel mio precedente in tua risposta.
Aggiungo solo che dominanti e dominati sono sempre uomini, per cui cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia.
E che storia sarebbe questa, se vale la proprietà commutativa fra gli uomini?
È vero quello che dici, se non ci inventiamo uomini dominanti e uomini dominati che storia potremmo raccontare?
Ma è proprio questo il punto.
Una storia obiettiva , basata sui fatti, là si può raccontare solo se si individuano i personaggi della storia, che però sono sempre fittizi, cioè convenzionali.
Se dividi gli uomini in due classi racconti una storia.
Se li dividi in tre ne racconti un altra.
Gli uomini stessi sono il risultato di una arbitraria divisione degli messeri viventi.
Qual'e' allora la storia sensata se le divisioni possibili, e le relative storie,  non hanno limite?
Se però tu credi che esista una divisione sensata allora poi la storia ha lo stesso senso dato a quella divisione.
Personalmente non mi sento parte di alcuna classe ne' di altro, neanche in via momentanea, figuriamoci poi in via ereditaria.
Queste divisioni hanno fatto la storia, ma credo sia arrivato il momento di riscriverla.
Una storia dell'umanità come convenzionale parte dagli esseri viventi, che , dividili come vuoi, sono tutti sulla stessa arca. Dividici  come vuoi , ma restiamo tuttti minolli.😅
#4024
Citazione di: viator il 14 Novembre 2021, 16:26:21 PM
Salve jacopus. Citandoti : "Non tutti sono uguali. Tu ad esempio difficilmente dici " hai ragione", oppure " grazie per la spiegazione", oppure dire: "si su questo punto hai ragione ma cerca di vederla anche dal mio punto di vista". Altri utenti hanno un approccio molto diverso e quindi il dialogo può diventare una danza dalla quale ciascuno può trarre un insegnamento o lo stimolo per approfondire un argomento".


Infatti, circa l'atteggiamento che mi attribuisci, hai ragione. Tendo ad essere esageratamente apodittico.


La spiegazione, indipendentemente dal fatto che tu od altri la comprendiate e/o l'accettiate, consiste nel fatto (ahi, ahi, ahi !!, gravissimo dal punto di vista di quasi tutti) che io non cerco affatto il confronto con altri punti di vista ma.................ad EVENTUALE supporto di quanto affermo io cerco di non addurre le opinioni mie (che esistono e sono soggettivissime) oppure le opinioni di altri (magari anche illustrissimi, ma anch'esse soggettivissime !).


Ad EVENTUALE SUPPORTO io vorrei chiamare non le parti, ma ciò che sta fuori e sopra le parti, se si crede che esista : LA LOGICA. Per questa ragione abbastanza spesso io - quasi sempre inascoltato - chiedo di replicarmi in via logica e non ideologica, pregiudiziale, convenzionale, dottrinaria, fideistica, idealistica, sentimentale, umorale.


Naturalmente nessuno è obbligato a conoscere o a condividere l'esistenza di una qualsiasi logica (la quale logica non sarà mai assoluta, ma semplicemente estranea alle psiche di coloro che stiano discutendo di un argomento).


La logica altro non è che l'espressione formale del RAZIOCINIO, cioè della funzione mentale per eccellenza.


Se poi l'interlocutore nega che logica e raziocinio siano funzioni mentali, oppure che le menti non esistano, oppure che esistono ma - dialetticamente - devono restarsene subordinate ad una psiche, a dei sentimenti oppure ad uno spirito.........beh, si conferma che ciascuno si contenta di ciò in cui gli piace credere. Saluti
Il tuo ragionamento, a proposito di applicazione della logica non fa' un pecca.
Mi rimane solo un dubbio.
Se tu estrai un solo rigo da un lungo post per criticarlo, significa che il restante post tu lo approvi?
Allora facciamo così. Senza dover commentare punto per punto, cosa che diventa stucchevole e difficilmente replicabile, estrai un esempio cattivo e poi uno buono ogni volta.
O a turno uno buono, e un altra volta uno cattivo da poter stare in media statistica.😅


Non credo comunque che ci si possa astenere dall'essere ostaggio dei propri pregiudizi.
La differenza sta solo in quanta consapevolezza ne abbiamo, e tu mi pare ne abbia ben poca e per questo la tua interazione nel forum appare  particolarmente  asimmetrica.


Che si possa risolvere tutto con la sola logica è una illusione. La logica infatti richiede qualcosa cui applicarsi, e ciò a cui si applica non ha sostanza logica, ma pregiudiziale.
Il pregiudizio in se' non è cosa negativa, ma anzi necessaria, negativa è la non coscienza di esso, tanto che tutto appaia logica senza altra necessaria aggiunta.


Se tu dici ad esempio che due più due fa' quattro per logica, due però è un pregiudizio.
È se tu mi dimostri che dico il falso, perché uno più uno fa' due, rimane però che uno è un pregiudizio.
La logica ha sempre un punto di partenza illogico, che però non è sempre a noi presente.
Credo che la funzione principale della filosofia sia di esplicitare questi punti.
Non basta sapere di non sapere.
Bisogna sapere di non sapere di non sapere.😅🙏
#4025
A me Ipazia , sembra che non abbia senso il contrario. Non lo dico nel mio interesse, perché sono di indole pacifica e non competitivo per natura.
Perché nella storia degli ominidi noi abbiamo prevalso e gli atri si sono estinti?
Per il motivo che fra quelli che competono per le stesse risorse condividendo la stessa nicchia ecologica alla fine ne resta sempre uno solo. Nel nostro caso la specie sapiens.
È una ingiustizia questa?
Si, ma solo nella misura in cui ci si affeziona troppo a quella che è una convenzione, la convenzione che definisce un specie, e lo stesso può direi per ogni individuo per quanto più difficile da percepire come risultato di una convenzione.
Ne sarebbe comunque un caso limite.
Ma sarebbe ragionevole immaginare ogni cosiddetto essere vivente come un  agglomerato di esseri viventi in competizione reciproca pure essi in relativo equilibrio instabile.
A turno questi esseri prevalgono , ma è sempre una vittoria di Pirro se non si ristabilisce poi un nuovo equilibrio destinato ancora ad essere messo in discussione.
Ciò significa essere sottoposti all'evoluzione.
Allora è l'evoluzione ad essere ingiusta con ogni essere vivente, ma lei non è colpevole in quanto  impersonale.
Qualunque convenzione che definisca un qualunque accrocchio di viventi può avere un senso, che è comunque sempre relativo . Credo sarebbe un buon esercizio sforzarci a vederci noi come tali, sebbene ci percepiamo in ben altro modo.
Allora vedremmo la questione del bene e del male in altro modo.
Dividere il mondo in buoni e cattivi dovrebbe essere uno sport che trovo sorprendente ancora si pratichi.


Noi qui ci chiediamo quel sia il senso della storia di un essere, di un accrocchio , l'umanità, che è convenzionale.
L'intero consesso dei viventi non si può suddividere in altro modo che non sia convenzionale, anche quando la convenzione non si stata frutto di cosciente scelta.
Ora, se così non si facesse, ditemi voi come sarebbe possibile diversamente raccontare una storia di questo consesso.
Sono certo che non riuscirete ad immaginarlo.
Se uno crea un personaggio di fantasia , perche' gli serve per raccontare una storia, e poi si chiede quale il senso della storia di quel personaggio, la su domanda ha senso solo se non ha coscienza di averlo creato lui il personaggio.
Ma noi che lo sappiamo che è stato lui stesso a creare il personaggio, sappiamo anche quale risposta darà alla sua domanda: no, non ha alcun senso.
#4026
Citazione di: Ipazia il 13 Novembre 2021, 10:34:37 AM
@Alexander

Il tuo ragionamento sposta tutta la questione sul soggettivo, mentre io cerco qualcosa di più oggettivo, verificabile e falsificabile, per cogliere un significato nella vicenda evolutiva umana denominata Storia.

Se restiamo nel soggettivo il senso emerge dal piacere, dalla gratificazione ideologica e ideale, dalla predisposizione, versatilità e talento individuale. Tutte cose sacrosante, ma non generalizzabili in formulazioni oggettive quanto l'influenza dell'economia e del classismo nella storia umana.

Continuando nel soggettivo personale, io trovo assai noiosa e dal senso scaduto una storia di cui si sa già la/il fine. Una storia dove l'unica variazione possibile sul tema è una competizione meritocratica verso i favori dell'Altissimo denominata "santità". Altri troveranno il loro rassicurante senso in ciò. Ma ho la sensazione che la storia umana pretenda un senso più consistente.
Alexander insiste sull'analogia dell'autore del libro che lui legge , che ha sicuramente un fine/ una fine, in quanto è già stato scritto , ma la cui fine lui non conosce, e che  lui quindi  non si annoia a leggere, e anzi è curioso di sapere come va' a finire, rassicurato dal fatto che la sua lettura presumibilmente  non sarà vana perché che la su curiosità non andrà delusa. Quindi immagino ci voglia dire che se la vita reale là si potesse leggere come un libro, lui la vivrebbe con l stessa letizia che può provare leggendo un libro.
Lui potrebbe anche non capire che senso l'autore abbia voluto dare al libro, ma si sente rassicurato dal solo fatto che un senso vi sia, e per esservi deve esserci un autore che glielo ha dato.
Dunque lui di fatto effettua una equivalenza autore=senso, ma è a lui allo stesso tempo evidente che questo autore non possa essere lui stesso.
In sostanza non gli interessa al limite conoscere il senso, ma si accontenta di sapere che ci sia, e perché vi sia la sua
vita non può essere un libro che lui stesso scrive. Leggendo il libro della sua vita gli sembra   volte di giungere vicino al senso, ma senza mai giungervi davvero.
Il senso dunque coincide con un autore, che non è però un autore fra tanti.
Se il senso è nel libro e il libro è la vita finito il libro, se noto diviene il senso, si chiude il libro, mentre se non lo si acchiappa si riapre il libro e lo si legge ancora, ed ogni volta sembra nuovo come se vi scorgesse un senso nuovo, così la vita continua.
Insomma quello che Alexander vuole esporci è un paradosso esistenziale che ci accomuna tutti, condizionando i più o meno.
È un mistero il perché per goderci la vita abbiamo bisogno di sapere che vi è un senso la cui conoscenza c'è ne toglierebbe il piacere stesso.
Perché in effetti ci contentiamo di sapere che c'è, senza pretendere di conoscerlo, e anzi rassicurati dal fatto che non lo conosceremo mai. Nessuno ci toglierà mai il piacere della lettura raccontandoci il finale, ma sotto sotto continuiamo a chiederci se la scelta fatta in libreria sia stata davvero felice.
Per esorcizzare tale eventualità ci affidiamo ad "autori autorevoli" , ma poi alla fine  siamo costretti ad mettere che il nostro vero libro del cuore , di ignoto autore , lo abbiamo trovato per caso.
M non è che al fine Alexander voleva fare solo un elogia della lettura?😅
Sembra che voglia dirci che la vita sarebbe più bella se fosse come un libro che si legge, come se il senso fosse un piacere in se'.
#4027
Riassumendo, ci chiediamo che senso ha il mondo secondo come lo vediamo nel suo sviluppo storico, ma se questa storia possiamo descrivere secondo come la vediamo, è perché gli abbiamo già  dato un senso, di cui non siamo coscienti.
Ciò è possibile perché non siamo fatti di sola coscienza.


La scienza ci conferma inoltre che ciò è possibile, proponendoci nuovi modi di vedere il mondo, secondo nuovi sensi possibili che gli diamo, alternativi, ma non meno efficaci., e possiamo dare nuovi sensi perché nuove sono le parole che usiamo.
Parole che non hanno un senso in se', ma il senso che gli diamo avendole inventate noi.
Se il senso ha a che fare con le parole, e queste sono inventate, non c'è alcun senso da trarre che già non sia stato dato, salvo essercene dimenticati. Cerchiamo ciò che già abbiamo, ma non sappiamo di avere.
#4028
Come dice Ipazia, il mondo non ha un senso, il mondo è, ma se noi lo possiamo vedere , se noi ne possiamo parlare, aggiungo io, è perché gli abbiamo già  dato un senso, senza saperlo.
Se ci sembra logico, inevitabile, ovvio  che il mondo debba avere un senso, è perché in effetti un senso ce l'ha, ed è quello che gli abbiamo dato noi, senza sparere di averglielo dato, ed è per questo che ancora lo cerchiamo, e cercandolo troviamo sempre nuovi sensi che ci fanno vedere lo stesso mondo in modi sempre nuovi.
#4029
Il mondo è sempre lo stesso, ma cambia la nostra interazione con esso, secondo il senso nuovo che ogni volta gli diamo. Nuovo perché nuove sono le parole che usiamo quando facciamo filosofia, o numeri nuovi quando facciamo scienza.
Numeri che prima non esistevano , ma che nascono per dare senso a una equazione, la quale a volte si presta a una nuova descrizione del mondo , come se fosse nuovo, ma nuova e' solo la nostra interazione con essa.
Il nostro agire il nostro fare.
Un fare e un agire che sembra volto avanti a una ricerca di un senso che non si riesce mai a vedere, e non si riesce a vedere non perché  sempre muta, come pure è, e perciò sfugge, ma perché sta sempre dietro a quell'andare.
#4030
Dopo questa scorribanda fra numeri , incognite e innominabili, proviamo a trarre una conclusione.
Quando pensate ai numeri avete ben chiaro a cosa pensate, perché ne cogliete il senso in modo immediato.
Nonostante ciò esistono interi trattati di matematica che provano a spiegarvi cosa siano i numeri,
che provano a mediare fra i numeri e il loro senso, cosa di cui voi non sentite alcun bisogno.
Ma i matematici potrebbero dimostrarvi che siete intorto.
Infatti essi sono capaci di inventare nuovi numeri, che non essendoci prima, voi non potevate pensare.
Ma allora a che numeri pensavate quando pensavate ai numeri?
Come facevate a cogliere in modo immediato ciò che  invece è frutto di una costruzione intellettuale?


Se non vi piacciono i numeri passiamo alle parole.
Quando pensate alle parole avete ben chiaro a cosa pensate, perché ne cogliete il senso in modo immediato.
Mediante quelle parole voi cercate un senso da cogliere in modo immediato, sperando che una combinazione fortunata di parole un giorno vi appaia come tale.
Ma nuove parole nascono col tempo, e altre muoiono.
Come possiamo pensare che in una tale mutevole caduca varietà possa risiedere un senso assoluto ?

Se non abbiamo ancora trovato il senso è perché non abbiamo ancora inventato le parole giuste?
Ma una volta inventate quelle parole allora che senso sarebbe un senso inventato?
Oppure quelle parole già' le possediamo, e abbiamo da trovare solo la loro giusta combinazione?
Non esiste un linguaggio assoluto, dunque non vi sarà mai un senso definitivo da assemblare con esse,
Il senso e la verità sono innominabili, seppur vi diamo un nome.
Ma a cosa serve dunque la ricerca di un senso?
Se prendiamo ad esempio il lavoro dei matematici serve a creare sempre nuovi sensi, di cui, strano a dirsi, i fisici svolte si appropriano per creare nuovi mondi in cui vivere ed agire, o meglio per descrivere in modi sempre diversi sempre lo stesso mondo.
Lo si fa' dunque inventando nuovi numeri e nuove parole per dirlo, e il senso del mondo ha lo stesso senso di queste invenzioni.
Ciò che prima non c'era descrive in modo sempre nuovo ciò che è lì da sempre.
Ciò che da sempre coincide col suo incognito e indicibile senso.
#4031
Nella ricerca di senso Dio sta come la x in una equazione algebrica , il valore ignoto da trovare.
In sostanza abbiamo dato un nome, assegnato un simbolo, a ciò che cerchiamo .
Sembrerebbe poco, per non dire niente. Parliamo di un simbolo che sta per ciò che non conosciamo.
Quale progresso sarebbe questo nella ricerca di un senso, avergli assegnato un simbolo ?

Oggi associamo l'algebra all'uso di simboli, x, y, z, a, b, c....che stanno al posto di numeri.
Sembra strano, ma giungere ad usare questi simboli è stato un percorso lungo e tortuoso.
Si può fare algebra anche senza usare quei simboli, è così si faceva prima , finché non c'è ne siamo inventati l'uso, ma con molta , molta difficoltà, come se ciò che fosse ignoto non potessero essere nominato.
L'uso dei simboli non solo ha reso il calcolo algebrico più agevole , ma ci ha aiutato a dare un sguardo di insieme sulle equazioni, permettendoci di catalogarle, generalizzandole, e facendo progredire la materia, mentre prima ogni problema algebrico faceva storia a se'


Guarda la coincidenza, Dio è anche detto l'innominabile, è ciò sembra un indizio di un percorso lungo e tortuoso che ha portato a dargli un nome.
Si pensava non fosse nominabile. O meglio, non si pensava proprio , e al suo posto si usavano tortuosi giri di parole, esattamente come si faceva in algebra prima di usare i simboli.


La ricerca di senso oggi ha dunque la sua x.
Manca l'equazione.
Qual'e' dunque l'equazione giusta?
Qualunque sia l'equazione giusta, se mai pure vi incappassimo per caso, dovrebbe apparirci in modo evidente come quella giusta, perché non sembra che la logica possa venirci in soccorso in tal senso.
Secondo logica una equazione vale l'altra. Non ce ne è una più equazione delle altre.
Cioè, qualunque possibile senso vale l'altro.
Quindi una ricerca di senso parrebbe insensata.
La x sta per un numero, non ha un valore assoluto, perché dipende dall'equazione in cui lo mettiamo.
Poi non sempre l'equazione sembra avere una soluzione, e a volte si riesce anche a dimostrare che non l'ha.
Questa sembrerebbe una buona notizia, perché significa che, se anche non riusciremo a trovare l'equazione giusta, possiamo almeno escludere quelle sbagliate, cioè quelle che non hanno soluzione.
I matematici invece in quei casi li mettono in atto un gioco di magia.
Se si dimostra che la x non sta per alcun numero, allora i matematici si inventano numeri nuovi, e magicamente ogni equazione così ammette soluzione.
I matematici non si pongono limiti nella ricerca di senso, perché quando sembrano essere giunti a un limite creano un ponte che va' oltre quel limite. Quindi nella ricerca di senso progrediscono.
#4032
Citazione di: niko il 11 Novembre 2021, 22:04:25 PM
Citazione di: viator il 11 Novembre 2021, 17:55:42 PM
Piccola precisazione : tutti coloro che sono sin qui intervenuti su questo argomento (tranne iano) lo hanno fatto credendo che la mia affermazione contenuta nel titolo del "topic" fosse "NESSUN ESEMPLARE DI NESSUNA SPECIE SI AUTOLIMITA", tesi che io mai mi sognerei di sostenere.


E' interessante notare come noi tutti - assai più spesso di quanto si possa credere - si reagisca ad una semplice locuzione di sole 4 parole ("NESSUNA SPECIE SI AUTOLIMITA!) peraltro espressa in un italiano (spero) abbastanza comprensibile...................


Quando si dice che si capisce solo quello che si vuol capire !!. Salutoni.

Beh, Viator, anche senza scomodare l'ipotesi Gaia o ipotesi lamarkiane, le autolimitazioni degli individui di cui si è già parlato, si ripercuotono in maniera ovvia sulla dimensione collettiva e sulle specie.

La natura, con l'eccezione di alcuni viventi in grado di autoclonarsi e quindi di differire tra di loro sostanzialmente solo per tempo e posizione, appare più come una immensa raccolta di esseri simili, piuttosto che identici, ma anche i simili si auto-limitano tra di loro, e questo rende la natura stessa oggetto possibile di coscienza e conoscenza.
Non in maniera ovvia.
Nel mio predente post ne ho indicata una, magari cervellotica, inventata lì per lì.
Viator comunque ha messo il dito nella piaga .
#4033
Il comportamento cosciente del singolo determina il comportamento della specie di appartenenza, che però non può dirsi cosciente e, in quanto non cosciente , non può autolimitarsi.
Ma qual'e' la vera funzione della coscienza?
Se il suo potere lo si commisura alle potenzialità  dell'individuo che la possiede, allora vale poco mischiato con niente.
Credo che per comprendere il suo vero potere occorra considerare il punto focale della questione naturale: il caso.
I mutamenti ambientali sono impersonali quanti casuali. Come risponde la specie , che fino a prova contraria è parimenti impersonale?
Con soluzioni a caso, il cui successo dipende dal numero di lanci che devono essere casuali per garantire il maggior numero di diverse possibili soluzioni. Per ottenere ciò la specie adotta due strategie.
Possedere il maggior numero di individui sostenibile garantendo una sufficiente diversità comportamentale di cui la coscienza è un amplificatore.
Tanti individui liberi di decidere ognuno una soluzione diversa e questo è tanto più garantito quanto più gli individui sono coscienti. Si produrranno attraverso la coscienza più soluzioni e diverse in minor tempo. La specie non decide nulla, ma si limita a verificare l'efficacia delle soluzioni proposte.
Io preferirei non dividere gli esseri viventi in coscienti e no.
Preferisco cedere a una coscienza diffusa, ma variamente distribuita.
Tuttavia, ammettendo che possano esistere esseri viventi del tutto  privi di coscienza, allora la specie umana può considerarsi essa stessa un essere vivente privo di coscienza, incapace di autolimitarsi.
Questo modo di vedere le cose da importanza funzionale all'individuo il quale avrebbe il dovere di curare la sua effettiva libertà, di non essere cioè un lancio di dado truccato.
La coscienza quindi di fatto non modifica i meccanismi dell'evoluzione, ma li accelera.
In un certo senso a noi uomini oggi è come se ci passasse tutta la storia evolutiva davanti agli occhi nel corso di una sola vita, inevitabili eventi apocalittici compresi. Stiamo andando appunto, per quel che possiamo vedere ( e la novità è che non ci limitiamo a subirlo ma possiamo prevederlo) incontro a una catastrofe naturale che richiede una soluzione naturale. La coscienza è un acceleratore evolutivo. Modifica la scala temporale dell'evoluzione.
I tempi evolutivi non sono più quelli di una volta.
#4034
Citazione di: Jacopus il 11 Novembre 2021, 15:55:44 PM
La coscienza non è un fatto individuale ma occorre prima stabilire cosa si intende con coscienza. Per quanto riguarda l'argomento qui trattato, la coscienza potrebbe essere la struttura contemporaneamente culturale e cerebrale che fa dire al bambino "chi sono io?", " perché ci sono le stelle?" "Dove finisce il mondo?". La coscienza si sviluppa, in questo senso, nella cultura, fondando però la sua radice nella conformazione del cervello di homo sapiens. Se avessero inventato un alfabeto non escludo che la coscienza, in questo senso, sarebbe potuta scaturire anche negli altri primati superiori.
Detto questo, ribadisco che ogni specie ha dei limiti che sono organici in primo luogo e che possono modificarsi nel corso di decine di migliaia di anni. Se si accetta la variazione genetica darwinista e si accetta l'evoluzionismo, allora di può dire che la specie puó cambiare, ma cambia entro i limiti dell'ambiente che la ospita.
Il fatto nuovo è il potere dell'uomo di modificare l'ambiente a suo piacimento ed in ciò ha effettivamente trovato pochi limiti, " finora"! L'altro fatto nuovo è l'incapacità della natura di riassorbire i mutamenti prodotti dall'uomo, provocando una situazione di emergenza.
La tesi di Viator è che questa situazione non è governabile. L'uomo non si darà limiti e vi sarà un redde rationem prima o poi. Possibilissimo. Ma che le specie non abbiano limiti è contraddetto dalla biologia, dalla psicologia e dalla medicina, e per quanto riguarda l'uomo, anche dalla storia.
Correggimi se sbaglio.
Ma il perfetto meccanismo dell'evoluzionismo di Darwin non include la coscienza , comunque la vogliamo considerare, che ne trascende i tempi.
Le modifiche e le catastrofi ambientali non sono una novità.
La novità è la diversa scala temporale in cui si succedono.
Quando parliamo di pericolo di estinzione dell'umanità ci riferiamo ad un evento imminente prodottosi in relativamente breve tempo. Parliamo di una novità assoluta, se si escludono gli accidentali eventi catastrofici.
L'inatteso sta nella velocità in cui si susseguono gli eventi , e non nell'evento in se stesso.
La teoria di Darwin , letta fra le righe, ci dice che le specie si estinguono in continuazione per loro natura, attimo per attimo.
Una specie è una convenzione che racchiude arbitrariamente un insieme di viventi individuati quindi in base ad una arbitraria caratteristica, e il tempo che ci mette ad estinguersi dipende da quanto tempo ci mette ad andare fuori  dalle caratteristiche arbitrarie che la definiscono.


Dire che la coscienza è un fatto individuale, vale come una possibile definizione di individuo, la quale definizione, al di la' delle apparenze, al pari di quella di specie , possiamo considerare libera.
Solo per questa via, per quanto impervia, credo si può giungere a dare un senso ad una umanità cosciente.
Io, in quanto individuo , non posso accedere a questa eventuale coscienza dell'umanità,e non ci sarebbe nulla di strano in ciò.
Tu pure sembri intravederla, ma non è certo facile dire qualcosa su di essa.
Il problema non sta in ciò, ma nel fatto che ad essa facciamo continuo appello, ma senza saper ben dire  cosa sia.
Gli unici appelli sensati sono quelli alla responsabilità individuale di ogni uomo, unico capace di auto limitarsi per quel che ne sappiamo, senza attendere che sia la natura a porre il limite.
Ma anche l'unico capace di spostare quel limite modificando l'ambiente in tempi brevi,e questa questione dei tempi è la vera specificità riconducibile alla coscienza.
Introducendo la coscienza nella teoria di Darwin non se ne cambia la sostanza, ma diventa improprio parlare di "tempi evoluzionistici " nel modo in cui di solito lo facciamo.
La coscienza accelera gli eventi evoluzionistici, sia  i cambiamenti che gli adattamenti.
Ma accelerare gli eventi non è in se' indizio di colpevolezza.


Se la tecnica, e quindi noi, è stata capace capace di accorciare in modo così imprevedibile i tempi degli eventi che segnano l'evoluzione ( e ciò è quel che davvero ci sgomenta, come testimoni che testimoniano gli eventi dal vivo, senza dover cercare testimonianze fossili) in modo, purtroppo altrettanto imprevedibile, ne può mutare il verso con gli stessi tempi.
Non possiamo dire con certezza di trovarci di fronte a una situazione irreversibile, allo stesso modo che non potevamo prevedere con certezza di trovarci in questa situazione.
Però non è male,crederlo,se,serve,a,darci una mossa.
L'unica cosa che sappiamo e' che i tempi in cui gli eventi si succedono si sono ristretti, e bene o male che faremo, dovremo farlo in tempi brevi, quindi usando coscienza, e quindi tecnica.
Non è possibile indirizzare con certezza il da farsi, perché non è possibile prevedere il percorso della ricerca scientifica.
Possiamo solo accorciare questo percorso investendoci alla grande, come mai fatto, a 360 gradi.
Questa è l'unica chance.
Eppure alcuni vedono la soluzione nel porre un limite a ciò.
Auto limitandosi, come se fosse possibile.




#4035
Citazione di: daniele22 il 10 Novembre 2021, 23:06:15 PM

Buon mercoledì in generale. Ipazia dice :"La storia, naturale o umana, è per definizione, coi suoi atti, una fabbrica instancabile di signi-ficati. Semmai la questione del "senso" riguarda il recettore; la sua sensibilità verso quei segni in senso biologico e culturale.".
Poi dice che bisogna addentrarci nel terreno dei valori ... assai minato e conteso.
Giusto. Chiedo però: questi valori, quotidianamente espressi in termini razionali dalla specie umana, sono ultraumani, oppure sono un'invenzione di una presunta libera mente umana?


Io opto per la prima, ma mi sembra che non tutti siano d'accordo
Dipende da cosa intendi per ultraumano. Infatti se ti riferisci al l'individuo umano, ultraumana è l'umanità. E  la libera mente umana a chi la riferisci? Non all'individuo umano mi pare?
Potremmo provare a, stilare una classifica del senso:
1. Senso assoluto.
2. Senso relativo condiviso , ma ignoto.
3. Senso relativo noto, ma  non condiviso.


Non mi pare se ne possano dare altri.


Il primo caso riguarda un senso indipendente da noi, ma ogni individuo che lo trovi non potrà dimostrarlo. Un senso assoluto se esiste non sarà mai condiviso.
Idem per il caso 3.
L'unico senso che ha un senso è quello del caso 2.
È quel senso ignoto ma che possiamo intuire essere quello che fa' di ogni uomo parte dell'umanità.
Non è una adesione a libera scelta. Non si è uomini per scelta . Non si aderisce ad un senso, ma lo si eredita, e non serve discuterlo, quindi non occorre conoscerlo.
Si tratta di un senso relativo, ma condiviso.
Non è proibito cercarlo, anzi è naturale cercarlo.
Ma cercandolo lo si muta.


Un senso unico assoluto è un non senso.
Infatti se esso esistesse, basterebbe a se stesso.
Dunque, perché dovrebbe incarnarsi?


Ciò che incarnato lo è in tanti possibili sensi alternativi.
Ma è anche mutevole e quindi sempre alla ricerca di un senso.
Un individuo ha certamente un suo senso.
È la condivisione stessa di senso a farne, di tanti esseri viventi potenzialmente indipendenti, uno.
Non è la similitudine di forma esteriore a fare di tanti individui una umanità, ma la forma interna, che non appare, il senso dell'umanità, che si riflette poi nella forma umana individuale.
Quel senso è dentro di noi, e alcuni lo chiamano Dio.