Il titolo è goliardico come è goliardica l'uscita di Junker che annuncia "ho deciso di parlare francese, perchè l'inglese è una lingua che perderà d'importanza nell'EU".
I cugini francesi si sentiranno di certo ringalluzziti da questa "notizia", visto che da sempre difendono orgogliosamente la propria lingua.
Le domande che però sorgono a riguardo, sono vecchie e nuove, proverò a fare un elenco puntato della questione.
- La famosa "unione politica" che viene spesso e sovente millantata come passo che deve antecedere qualsiasi unione monetaria, passa da qui, dall'unione linguistica. Non esistono, in nessun caso, elezioni politiche europee degne di questo nome, se non prima i contendenti saranno comprensibili perlomeno attraverso seconda lingua, potendo cosi superare le barriere nazionali, da una vasta maggioranza della popolazione europea. Se la politica non è solo cifre e trattati, se la politica è partecipazione ad un progetto comune, non esiste progetto comune a un unione che non venga percepito e affrontato da tutti. Come diceva Emil Cioran "non si abita un paese, si abita una lingua". Quando si parla di "stati uniti d'europa" ci si dimentica infatti che gli stati uniti d'america innanzitutto parlavano una stessa lingua (in questo caso davvero, visto che l'inglese al tempo erà già una lingua omogenea, a differenza del "recente francese").
- Tanto si è fatto per far si che la lingua franca Europea fosse l'inglese, per questioni non di stile o di eleganza, ma di comodità, per via del fatto che l'inglese a seguito del colonialismo e del dollaro, era già lingua franca di vasta parte del mondo. Ma può la Brexit avere la conseguenza di modificare questa realtà? Almeno due generazioni sono state allevate nelle nostre scuole avendo come seconda lingua l'inglese, le cosidette generazioni "Erasmus", unica vera speranza Europea di un unione culturale e linguistica. Possono essere codeste generazioni tradite nel nome dei trattati, tradite nell'intimo della lingua che avevano imparato e vissuto come "Europa"? Il paradosso è che qui il traditore non è chiaro, se Junker che racconta queste castronerie, o la Brexit in se stessa. Come se avesse senso un Europa senza inglese, un Europa senza Partenone, o un Europa senza Colosseo.
- La Brexit è stata votata dai cittadini inglesi.. ma era davvero soltanto affare loro? Se ipoteticamente la loro uscita dall'unione significasse abbandonare la loro lingua franca, non avevano diritto di voto anche tutti quelli che quella lingua non volevano abbandonare? (e direi anche quei trattati, ma ci spingeremmo oltre alle questioni di "stomaco") .Non sono inglesi anche coloro che parlano inglese ogni giorno, ventiquattrore su ventiquattro, perchè non si abita un paese, ma una lingua, non hanno diritto di scegliere se abbandonare la propria lingua o meno? Questi sono i paradossi di un unione culturale che accenna a farsi vedere, ma è ancora una realtà in transizione.
- E' parossistico che Junker si rifaccia al francese. La stessa lingua che si difende "dagli inglesismi" da anni, assolutamente ostile ad ogni intrusione come a salvaguardare un unità "storica" che invece di storico non ha un bel nulla, visto che nel 800 da Nizza a Marsiglia le persone non si capivano tanto erano brave a "parlare francese". Una lingua che anche dal punto di vista coloniale, può valere qualcosa soltanto in nord Africa, una lingua che si mantiene ma nel mantenersi distrugge l'Europa. Ma che fare? Se la lingua Franca d'Europa cambia al cambiare dei paesi partecipanti, quante generazioni dovremmo allevare prima che nessuna si rifiuti, se ipoteticamente dovessimo vedere un uscita francese fra vent'anni, cambieremmo di nuovo lingua? E che speranze ha questa unione con queste prospettive?
Ho buttato un po di carne al fuoco, ne butterò semmai altra e darò le mie considerazioni più avanti. Penso che tuttavia l'argomento sia interessante per chiunque parli di "unione politica".
I cugini francesi si sentiranno di certo ringalluzziti da questa "notizia", visto che da sempre difendono orgogliosamente la propria lingua.
Le domande che però sorgono a riguardo, sono vecchie e nuove, proverò a fare un elenco puntato della questione.
- La famosa "unione politica" che viene spesso e sovente millantata come passo che deve antecedere qualsiasi unione monetaria, passa da qui, dall'unione linguistica. Non esistono, in nessun caso, elezioni politiche europee degne di questo nome, se non prima i contendenti saranno comprensibili perlomeno attraverso seconda lingua, potendo cosi superare le barriere nazionali, da una vasta maggioranza della popolazione europea. Se la politica non è solo cifre e trattati, se la politica è partecipazione ad un progetto comune, non esiste progetto comune a un unione che non venga percepito e affrontato da tutti. Come diceva Emil Cioran "non si abita un paese, si abita una lingua". Quando si parla di "stati uniti d'europa" ci si dimentica infatti che gli stati uniti d'america innanzitutto parlavano una stessa lingua (in questo caso davvero, visto che l'inglese al tempo erà già una lingua omogenea, a differenza del "recente francese").
- Tanto si è fatto per far si che la lingua franca Europea fosse l'inglese, per questioni non di stile o di eleganza, ma di comodità, per via del fatto che l'inglese a seguito del colonialismo e del dollaro, era già lingua franca di vasta parte del mondo. Ma può la Brexit avere la conseguenza di modificare questa realtà? Almeno due generazioni sono state allevate nelle nostre scuole avendo come seconda lingua l'inglese, le cosidette generazioni "Erasmus", unica vera speranza Europea di un unione culturale e linguistica. Possono essere codeste generazioni tradite nel nome dei trattati, tradite nell'intimo della lingua che avevano imparato e vissuto come "Europa"? Il paradosso è che qui il traditore non è chiaro, se Junker che racconta queste castronerie, o la Brexit in se stessa. Come se avesse senso un Europa senza inglese, un Europa senza Partenone, o un Europa senza Colosseo.
- La Brexit è stata votata dai cittadini inglesi.. ma era davvero soltanto affare loro? Se ipoteticamente la loro uscita dall'unione significasse abbandonare la loro lingua franca, non avevano diritto di voto anche tutti quelli che quella lingua non volevano abbandonare? (e direi anche quei trattati, ma ci spingeremmo oltre alle questioni di "stomaco") .Non sono inglesi anche coloro che parlano inglese ogni giorno, ventiquattrore su ventiquattro, perchè non si abita un paese, ma una lingua, non hanno diritto di scegliere se abbandonare la propria lingua o meno? Questi sono i paradossi di un unione culturale che accenna a farsi vedere, ma è ancora una realtà in transizione.
- E' parossistico che Junker si rifaccia al francese. La stessa lingua che si difende "dagli inglesismi" da anni, assolutamente ostile ad ogni intrusione come a salvaguardare un unità "storica" che invece di storico non ha un bel nulla, visto che nel 800 da Nizza a Marsiglia le persone non si capivano tanto erano brave a "parlare francese". Una lingua che anche dal punto di vista coloniale, può valere qualcosa soltanto in nord Africa, una lingua che si mantiene ma nel mantenersi distrugge l'Europa. Ma che fare? Se la lingua Franca d'Europa cambia al cambiare dei paesi partecipanti, quante generazioni dovremmo allevare prima che nessuna si rifiuti, se ipoteticamente dovessimo vedere un uscita francese fra vent'anni, cambieremmo di nuovo lingua? E che speranze ha questa unione con queste prospettive?
Ho buttato un po di carne al fuoco, ne butterò semmai altra e darò le mie considerazioni più avanti. Penso che tuttavia l'argomento sia interessante per chiunque parli di "unione politica".