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Messaggi - Kobayashi

#406
Citazione di: bobmax il 12 Settembre 2018, 22:01:17 PM[...] il cristianesimo dice, in sostanza, che l'uomo, così come ogni altra cosa, è emanazione di Dio. Dio che è l'Uno.
Se l'uomo è un'emanazione di Dio, e se Dio è l'Uno, guardando le cose dal punto di vista dei pezzetti di vita illusoriamente singoli, nella loro quotidiana mediocrità, non mi pare che questo Uno ne esca fuori tanto bene... Non mi pare che la sua sostanza sia tanto nobile... Ma certo si tratta dell'illusione della differenza – un'illusione che tuttavia dura tutta la vita mentre l'idea dell'Uno, ad essere sinceri, al di là delle asserzioni paradossali di un Angelus Silesius, il cui conforto dura invece il tempo di un sogno (circa un'ora), deve essere continuamente alimentata se no sparisce, proprio come un progetto platealmente impossibile...
#407
L'esegesi condotta con rigore porta alla confutazione delle cosiddette verità rivelate (così come storicamente è accaduto).
Dunque prima di decidersi per un'opzione o l'altra (centralità della rivelazione attraverso i testi sacri o attraverso la tradizione), bisogna decidersi se fare, diciamo così, un lavoro di consapevolezza dell'autoinganno che sta alla base dell'elezione di quella specifica spiritualità: autoinganno che a mio giudizio è assolutamente accettabile se è ciò che serve per il proprio sviluppo.
Se occorre auto-ingannarsi parzialmente su Gesù di Nazareth affinché si possa dedicare le proprie energie a qualcosa che si sente come nobile e quindi confrontarsi con l'avventura della santità, ben venga l'auto-inganno.
Dopodiché, una o l'altra opzione è irrilevante, perché se è vero che la seconda ha qualche contraddizione in meno da affrontare, deve comunque ammettere di credere nell'idea secondo cui ci sarebbe una Verità a cui ci si avvicina lentamente nei secoli attraverso i commenti etc., cosa straordinariamente ingenua e che in realtà anziché dare slancio alla prassi religiosa ne rappresenta un ostacolo.
Ma i credenti dovrebbero prima diventare filosofi, poi tornare al proprio dio e sapere che questo dio è una propria invenzione funzionale all'esercizio della dedizione e della nobiltà – in sostanza per fare di una vita destinata alla più totale irrilevanza nel caos del mondo qualcosa di coraggioso, di sovversivo (cosa c'è di più sovversivo di una santità che nasce da qualcosa che si sa essere un inganno?).
#408
Il discorso sullo squilibrio tra principio maschile e femminile nel cristianesimo è, credo, assai fertile e doveroso anche dal punto di vista istituzionale (come ricordavi tu, le donne non possono celebrare la messa e questo è difficile da accettare come qualcosa di naturale).
Ma che questo discorso sia sovrapponibile al dualismo materia-spirito non mi torna del tutto.
Perché la materia, al di là di assonanze linguistiche, dovrebbe rimandare simbolicamente al femminile?
So naturalmente che in molte tradizioni avviene esattamente questo, ma proprio l'idea di spirito=maschile, materia=femminile, non potrebbe in realtà essere ancora un'eredità della mentalità patriarcale degli ultimi millenni?
#409
Citazione di: sgiombo il 08 Settembre 2018, 18:45:37 PMS I C ! ! ! Se non "se ne fa una questione di moralità, di purezza" -ergo: nel mio personale caso: per assurdo!- allora si potrebbe benissimo anche consigliare a DeepIce di dare il culo (e/o quello che ci sta qualche centimetro davanti) a pagamento


Chi è in difficoltà cerca soluzioni, si deve ingegnare per trovare soluzioni. L'ultima delle sue preoccupazioni è ragionare su banalità moralistiche.
Chi vive al sicuro, illudendosi di quello che è, confondendo il privilegio per la propria forza interiore, usa il racconto di chi è in difficoltà per razionalizzare, teorizzare, proporre solidarietà a costo zero. C'è in questo qualcosa di ripugnante, di spudorato: anziché iniziare ad ascoltare sul serio il soggetto che chiede attenzione, non si fa che ripetere le proprie cinque idee piccole piccole, come se questo parlare abbia una qualche importanza.
#410
Per chiarire quello che volevo dire faccio un esempio.
La lobby americana delle armi, la National Rifle Association, ogni anno investe milioni di dollari nella comunicazione. In parte per costruire messaggi efficaci (quindi manipolatori – dando per scontato che abbiano torto sul tema in questione: la restrizione della diffusione delle armi), in parte per analizzare il pensiero dei propri avversari (politici, giornalisti, accademici etc.).
Questa parte del loro lavoro, la parte analitica, sarebbe ideale per chi ha competenze filosofiche, poiché come dicevo nel precedente intervento chi ha questo tipo di specializzazione è capace di destreggiarsi tra un articolo di un quotidiano nazionale, un saggio sociologico complesso e il discorso di un politico.
È questa abilità nell'attraversare diversi livelli di complessità e riuscire sempre a isolare l'essenziale, ad essere la chiave per farsi apprezzare in un mondo del genere.
Naturalmente se poi se ne fa una questione di moralità, di purezza, allora tutto il discorso decade.
#411
Lo studio più completo su queste esperienze è stato fatto in Gran Bretagna qualche anno fa su parecchie centinaia di persone rianimate dopo arresto cardiaco.
Conclusioni: una percentuale elevata (mi pare circa la metà, o forse un terzo) tra coloro che sono sopravvissuti ha riferito di avere avuto esperienze di varia natura anche dopo parecchi minuti dalla morte clinica.
Questo finora ha solo dimostrato che probabilmente per molte persone la morte non è un evento immediato, istantaneo, ma un processo che può durare alcuni minuti (voglio dire, dopo che cuore e polmoni si sono fermati, e nel cervello non risulta esserci traccia di alcuna attività, e quindi si è di fatto morti, si continuano a fare esperienze più o meno chiare e più o meno piacevoli).
Ma appunto, chi può dire se si tratta dell'inizio di un lungo viaggio o solo dei cinque minuti in cui si dilata la propria morte?
#412
Per fare un discorso costruttivo bisognerebbe chiedersi quali siano le peculiarità di una persona specializzata in filosofia (nel nostro tempo, s'intende).
A mio giudizio ciò che può far valere come sua capacità specifica è l'analisi di testi. La capacità di smontare un discorso, di coglierne le sfumature più sottili etc.
E' qualcosa che sa fare solo lui. Gli altri umanisti da questo punto di vista non sono alla sua altezza.
Dunque se ora parliamo del settore della comunicazione (aziendale o anche politica), il filosofo non è detto che riveli bravura nella redazione di comunicati stampa o di finte interviste (dal momento che i contenuti che gli uffici stampa cercano di veicolare sono quasi sempre semplici, ripetitivi – qui occorre essere più redattori conformisti che analisti).
Diversa è la situazione nell'analisi e nella rilevazione delle strategie presenti in articoli, in discorsi pubblici, in situazioni complesse in cui è fondamentale distinguere certe sottili sfumature semantiche e riconoscere, dietro a tante chiacchiere, le vere dinamiche.

Il filosofo quindi davanti al manager non deve tanto puntare sulla propria cultura o su una presunta mentalità aperta (che comunque, come dice giustamente Phil, non è originata necessariamente dalla propria formazione), ma su quelle specifiche capacità di analisi qualitativa della comunicazione. Così come un matematico può sempre dire, anche di fronte allo scetticismo di un reclutatore: io conosco un linguaggio di enorme complessità, so manipolare modelli teorici sofisticati...
Così il filosofo deve poter mostrare e far comprendere di essere portatore di una specifica capacità appresa in anni di studio intenso.
E quindi cercare di proporsi là dove questa capacità può risultare preziosa (e là dove, però, nello stesso tempo girano parecchi soldi... per esempio le fondazioni dietro cui si nascondono le lobby e le organizzazioni politiche etc.).
#413
Tematiche Filosofiche / Re:Scienza e scientismo
07 Settembre 2018, 09:16:37 AM
Io metterei in discussione l'idea secondo cui il divenire delle cose genera angoscia, e che la costruzione di qualcosa di immutabile consentirebbe una protezione da essa.
Sarebbe questa l'origine della divinità, della metafisica e infine dello scientismo (inteso come ideologia dell'apparato tecnico-scientifico)?
Metterei in discussione l'idea secondo cui l'uomo ha bisogno di verità universali, fondate.
L'uomo, nella sua lotta per la sopravvivenza, ha sempre, ovviamente, avuto bisogno di conservare ciò che mostrava di essere utile alla propria resistenza e alla propria prosperità (nei casi favorevoli).
Ma il bisogno di certezze metafisiche mi sembra tutt'altra cosa.
La metafisica sembra essere il prodotto, più che di un bisogno generale, di un interesse particolare: quello dei filosofi, dei sacerdoti etc.
E lo scientismo, o comunque la visione iper-ottimistica della scienza e della tecnica, risponde all'interesse di chi vive di quei saperi.
Naturalmente non sto dicendo che non ci siano persone sensibili al fascino della certezza assoluta.
Ma si tratta di pochi "fedeli".
Esempio straordinario è Scientology. Una pseudo-religione basata su idee appunto scientiste che "frega" un piccolo numero di persone, e che è nata essenzialmente dal bisogno disperato del suo fondatore di crearsi una "carriera".
#414
Tematiche Filosofiche / Re:Il tempo per filosofare.
03 Settembre 2018, 09:41:17 AM
Ognuno ha una propria concezione della filosofia.
Comunque c'è sicuramente differenza tra studiare filosofia e fare filosofia.
Ma fare filosofia cosa significa esattamente?
Forse bisognerebbe liberarsi da certi luoghi comuni della tradizione filosofica.
Per esempio l'idea che filosofare comporti essenzialmente intrattenersi nella domanda (quando in realtà si inizia a faticare con il pensiero perché si sente il bisogno di risposte...).
Oppure l'idea – che mi sembra veramente molto ingenua – secondo cui la filosofia nasce dallo stupore... Insomma, rapiti dalla meraviglia per il fatto che qualcosa c'è, ecco che ci si metterebbe all'opera per costruire pensieri rigorosamente disinteressati (come se potesse esistere un sapere privo di attinenze con la nostra vita...).
Meraviglia per l'essere? Piuttosto direi sconforto per ciò in cui l'essere finisce quasi sempre per declinarsi...

Insomma, la spiegazione della filosofia come strategia per difendersi dal mondo, come costruzione di un sapere pratico finalizzato ad ottenere una tregua, e nella migliore delle ipotesi la maggior quantità di gioia possibile, mi sembra molto più realistica...
#415
Io distinguerei la pratica istituzionale della psichiatria (che finisce spesso per essere strumento di una politica di normalizzazione) al sapere psicoanalitico.
Non vedo perché quest'ultimo vada rigettato in toto. Perché le sue basi epistemologiche sono ovviamente differenti da quelle delle scienze della natura?
In realtà credo che il dibattito sull'epistemologia delle discipline psicologiche sia portato avanti sopratutto dai professionisti di quel settore interessati a dimostrarne in qualche modo l'efficacia (per ottenere più fondi per la ricerca, più potere nell'Accademia, più clienti privati etc.).

Semplicemente le idee di Freud e Lacan non sono ne' imprescindibili, ne' assimilabili al prodotto di ciarlatani, ma, se si vuole, sfruttabili con un certo profitto, a seconda del percorso filosofico che si sta facendo (quindi in quest'ottica li si usa esattamente come si farebbe con le idee di Leopardi: seguendole e tradendole quanto serve per i propri obiettivi filosofici – che vanno intesi come obiettivi per la propria vita, obiettivi seri, concreti).

L'osservazione di Ox. sull'ossessione della scientificità e su come questa determini dei forti vincoli alla propria libertà di pensiero è molto acuta.
#416
I volumi di Michel Onfray (Controstoria della filosofia) sono molto chiari e certamente meno noiosi dei manuali...
Mancano della neutralità dei manuali, naturalmente, ma forse proprio per questo riescono ad essere una guida più efficace per il "novizio".
#417
Per Phil.
Sulla contestualizzazione intendevo dire che sì, naturalmente un suo esercizio di base è necessario. Basta però non illudersi di poter trovare nell'opposizione dell'approccio storico-filosofico a quello teoretico la soluzione al problema della decadenza della filosofia.
Cit. Phil: "[...] la contestualizzazione [...] forse può aiutare a investigare meglio l'inadeguatezza dei padri, rendere meno oppressiva la loro presenza (in virtù della distanza contestuale) e magari anche facilitare l'elaborazione del lutto".
È l'ammissione che in fondo tutto quello che è stato raccontato sono in fondo solo idee, parole, e che la vita è altra e rimane ben protetta dal confort borghese, tutto quello che gli ultimi padri sono stati alla fine costretti a confessare... Ecco, è questo che secondo me si tratta di elaborare. Ma non come un lutto. Niente più melanconia, ma rabbia, sfrontatezza, coraggio sovversivo...

Per paul11.
Cit. paul11: "La filosofia nasce come indagine". È esattamente quello che mi interessava contestare.
L'ossessione della filosofia per la verità e la conoscenza di Dio dipende dalla dimenticanza di una distanza tra filosofia e sapere.
Come dicevo, se tra filosofia e sapere non c'è identità ma solo un'alleanza strategica significa che le finalità del filosofo non coincidono con quelle del sapiente (la ricerca di una verità assoluta).
Dunque si conclude che la sua tendenza a scodinzolare intorno alla scienza o a proporsi come metafisica non è attinente alla propria natura.
Che nell'antichità Diogene di Sinope fosse considerato un filosofo di grande importanza ci dovrebbe far riflettere sul fatto che forse si sono smarrite le domande più importanti.
#418
Il filosofo non è il sapiente, ma l'amico della sapienza (o saggezza).
Il che significa, per quanto sembri una bestemmia, che non è suo compito distinguere il vero dal falso (del resto come si può dimostrare la falsità di un'etica, di una morale?).
La sua è piuttosto un'opera finalizzata alla valutazione di una certa concezione nel senso della sua elevatezza o bassezza, della sua utilità a renderci liberi o piuttosto asserviti al potere.
Per questo motivo la questione della necessaria contestualizzazione non può preoccupare il filosofo autentico, ma solo coloro che si occupano di conoscenza, sapere, cultura, e che devono rispettare le regole del gioco.

Il filosofo non è nemmeno colui che cerca di costruire/tramandare una tradizione. Anzi, si può dire che la filosofia sia nata come critica della religione, quindi come un radicale ripensamento di ciò che in una comunità è dato come indiscutibile, come portatore di un valore in se'.
Il filosofo è per eccellenza un personaggio scomodo.
Impossibile pensarlo come il creatore di una visione assoluta che abbia un'origine e una fine, che sia funzione delle necessità religiose o metafisiche di un popolo.
Piuttosto il risorgere della religione deriva proprio dalla mancanza di autentica filosofia, una filosofia che sappia fornire al singolo quella prospettiva, quel punto di vista, attraverso cui potersi difendere dalle forze oppressive del mondo e sperimentare il senso di ciò che ci riguarda.

La filosofia come partenogenesi?
Mi sa che l'analogia non regge... da qualche parte dovrà pur venire il materiale genetico di base...
Piuttosto mi sembra che quella della filosofia sia una riproduzione sessuata con fecondazione multipla attraverso cui viene generata una creatura rabbiosa per via della presenza oppressiva e inadeguata (come sempre) di tanti padri...
#419
Più che una riflessione a me sembra si tratti di un'omelia...
L'Eucarestia quindi come un "assumere la personalità di Gesù, adeguare il pensiero e le azioni ai suoi" [cit. SaraM].
Mi chiedo sinceramente però perché dovrei desiderare di diventare come lui.
Se sono ancora vivo lo devo esclusivamente a quella componente di aggressività che mi ha consentito di rispondere ai colpi ricevuti e di rialzarmi dopo ogni batosta.
La vita, purtroppo, è conflitto. Il nemico è reale (a proposito, trovo curiosa la discussione aperta in altra sezione del forum sull'utilità o meno del nemico, come se averne uno dipendesse da noi, come se si trattasse di scegliere: è utile il nemico? Lo vogliamo inserire nel nostro filosofico duplicato di mondo?).
Il desiderio di Dio è desiderio di una tregua. Una tregua dalla vita, che è appunto lotta, scontro, ingiustizia.
È, in fondo, desiderio di morte.

"Abbandono la lotta,
che ci sia una fine,
un ritiro,
un angolo oscuro tutto per me.
Voglio essere dimenticato
persino da Dio."

Robert Browning, "Paracelso"
#420
A mio giudizio va tenuto presente il carattere particolare della cultura digitale in cui siamo immersi, la quale "prevede" un impasto di immagine e parola, con il risultato di una tendenza alla semplificazione della parte verbale e una costante "contaminazione" emozionale (l'immagine ha sempre sul soggetto un impatto emotivo forte, immediato).
Da qui viene il paradosso di questi anni in cui da una parte ciascuno può accedere a strumenti di conoscenza impensabili fino a 20-30 anni fa (per esempio la ricerca da casa di testi in reti provinciali bibliotecarie, e quindi la possibilità di poter accedere facilmente a tantissimi libri), e dall'altra la propensione a non leggere più testi estremamente complessi.
Dunque si aprono parecchie questioni. Se non si vuole perdere, accanto a tanti saperi tecnico-artigianali, anche la cultura tradizionale da cui veniamo, bisogna iniziare a capire come trasmettere questa cultura senza grezze semplificazioni.