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Messaggi - Phil

#406
Citazione di: anthonyi il 19 Agosto 2023, 17:14:18 PMsistema motivazionale che é stato propaganda to nell'America way of life fino ai primi anni 60 del secolo scorso.
Si tratta certamente di propaganda, ma, a differenza di quella dell'istituto luce, non é una propaganda nazionalistica,
Se non è propaganda nazionalistica come mai la associ alla «America way of life»? Va bene che l'America, intendendo con tale termine gli USA, è una repubblica federale, ma credo che ci siamo capiti lo stesso... paternità a parte, una falsità resta una falsità (anche se travestita da "sistema motivazionale"), e se è sia retorica che strumentale, allora è da guardare con maggior sospetto (se si ha spirito critico). Il discorso che "l'importante è evitare il contagio" può valere per i virus, in democrazia dovrebbe preferirsi, correggimi se sbaglio, il confronto e la ragione del «conosco, valuto e, eventualmente, scarto» più che il fanciullesco «non ti vedo, non ti sento, così per me non esisti». Anche perché altrimenti si ricade nello stesso "discorso sinistro" secondo cui l'importante è danneggiare gli USA, a prescindere da quel che costi. Infantilismo politico, prima che etico, di cui stiamo vedendo le "adulte" conseguenze.
#407
Citazione di: Ipazia il 19 Agosto 2023, 08:22:32 AMCosì si attualizza meglio il concetto di egemonia culturale di Gramsci:
"La civiltà contemporanea vuole degli automi. E le persone sono certamente sul punto di perdere le proprie abitudini di indipendenza, diventando sempre più simili ad automi,a pezzi di macchine. Non è possibile dire come finirà tutto questo né come uscirne, e neppure se ci sarà una fine o un'uscita. Una sola cosa è certa, ed è che la schiavitù dell'uomo non fa che aumentare. L'uomo sta diventando uno schiavo volontario. Non ha più bisogno di catene: incomincia ad amare la sua schiavitù, a esserne fiero. E nulla di più terribile potrebbe accadere ad un uomo."
(George I. Gurdjieff)
Quello che la citazione non considera è che la natura (con o senza maiuscola) è fatta di automatismi, sia microbiologici che macroscopici, dalla combinazione degli atomi ai moti planetari passando per gli automatismi cognitivi e delle neuroscienze; infatti la citazione stessa finisce con il contraddirsi contrapponendo l'automatismo alle «abitudini di indipendenza», come se le abitudini non fossero forme di automatismi (anche interpretativi, per intenderci...).
Nonostante la lisa retorica che vede nella metafora della macchina un'alienzazione scadente dell'uomo, nessuno più di noi contemporanei apprezza di fatto una macchina che funziona bene, al punto che se un governo risolvesse problemi di bilancio come una calcolatrice risolve calcoli, non credo ce ne lamenteremmo.
Torniamo all'abitudine/automatismo: chi è abituato a lavorare la terra non è forse un automa che ripete sempre le stesse azioni negli stessi periodi dell'anno con lo scopo di ottenere gli stessi risultati? Il figlio che impara dal padre a zappare, fra fatica e sudore, è dunque uno "schiavo volontario"? Cambiando settore: il dipendente che lavora per x ore al mese, fra possiibli ferie, permessi, integrazioni varie, etc. facendo il suo lavoro (che inevitabilmente prevede un numero limitato di attività), ricevendo il suo stipendio da spendere come meglio crede (e magari da accantonare per la prole), è schiavo? Ovviamente no, è libero di licenziarsi, diventare lavoratore autonomo, influencer, "schiavista" a sua volta, contadino o persino eremita. Se questa è la "schiavitù all'occidentale", forse bisogna avere il buon gusto di parlarne solo fra noi (come stiamo facendo), a porte chiuse, ma senza poi volgere lo sguardo a posti (soprattutto a sud ed a est) dove tale "schiavitù" di sindacati, start-up cofinanziate, libertà varie (manifestazioni, etc.) non è per niente egemonica (purtroppo per loro, verrebbe quasi da dire; senza che ciò comporti scadere nella narrativa da Istituto Luce del «mondo amato dagli uomini, che collaborano ad esso orgogliosi del loro ruolo, qualunque esso sia»).
#408
Attualità / Re: Povera Russia!
18 Agosto 2023, 13:22:53 PM
Citazione di: InVerno il 18 Agosto 2023, 12:53:07 PMLa strada è in salita per un paese dove una gravidanza su due finisce in aborto
Il dato di «una su due» mi sembrava (pur da ignorante in materia) un po' eccesivo, quindi, incuriosito, mi sono preso la libertà di controllare e qui il dato aggiornato al 2022 risulta un po' più "morbido":

#409
Citazione di: Ipazia il 17 Agosto 2023, 21:47:22 PMPrendo atto che oltre agli autoproclamati padroni del mondo ci sono pure gli autoproclamati padroni delle metafore.
Capisco la battuta, ma non è che ogni osservazione critica denota troppo facilmente un "padrone" e/o un avversario politico? Il vedere padroni dappertutto è anch'essa una metafora o un effetto collaterale ideologico? In fondo mi sono solo limitato ad osservare come alla premessa («fuor di metafora») non sia poi seguito adeguato discorso; dunque non esalto nessuna "padronanza", se non quella del linguaggio e della comunicazione coerente.

Citazione di: Ipazia il 17 Agosto 2023, 21:47:22 PMPiù onestamente gli antichi romani, dove non conoscevano, scrivevano: "hic sunt leones". In Africa si sta combattendo una guerra strategica, a base di risorse strategiche, tra un decadente impero veterocoloniale e chi ha i mezzi per farlo decadere del tutto. Questa è la sanguinolenta luna. Ti lascio il dito. 
Intendi davvero che "la luna" dell'Africa (intera, non di una manciata di stati in subbuglio) è oggi fatta soprattutto di liberazione dai coloni, mentre tutto quello che ho citato (v. elenco) è solo "un dito" (quindi addirittura separato dalla luna)? Se così fosse, allora "hic sunt compañeros". Sebbene mi pare che i fatti raccontino di ben altra luna continentale su cui far "sbarcare" (a proposito di sbarchi) i propri auspici di "rivoluzione del sistema". Tranquilla, non indulgerò in statistiche, citazioni e altre forme di fact-checking (non sia mai dovessimo imbatterci nella realtà), limitiamoci solo a ciò che può esser utile ad una certa ideologia e, a proposito di realismo e sogni, auguriamoci almeno che lì nasceranno (al futuro ovviamente) condizioni migliori per chi ci vive.
#410
Citazione di: Ipazia il 17 Agosto 2023, 20:09:05 PMFuor di metafora...
Peccato che dopo questa benaugurante premessa seguano altre metafore a briglia sciolta (e a mio avviso anche poco calzanti, se posso dire), così come il discorso di Brando, oggi, non è minimamente attuale poiché parla, appunto, di schiavitù non metaforica (salvo intenderlo metaforicamente a sua volta, confermando così ulteriormente di non parlare «fuor di metafora»).

Citazione di: Ipazia il 17 Agosto 2023, 20:09:05 PMLa cosa si percepisce poco dalla California a Kiev, ma altrove, a est e a sud, si muove. Non è il comunismo, ma si riprende la marcia così, con la liberazione delle economie nazionali. Poi toccherà al denaro farlocco area USA-UE, alla finanza tossica di rapina, ... E magari, prima o poi, si riuscira a rendere liberi anche gli umani nella loro, ora alienata, singolarità. Il progetto è questo, in tutta la sua materialità.
A sud c'è l'Africa e il "movimento" principale è quello migratorio, cui fanno pendant colpi di stato, corruzione, malgestione delle risorse, fame, violenza sociale, etc. non mi sembra esattamente un buon modello "in marcia" (non farei a cambio, non so tu...); mentre ad est quello che si muove, fra manipolazione di diritti umani (Cina) ed "esportazione della giusta pace tramite cannonate" (Russia), è comunque mosso da oligarchi e da velleitari sogni di impero capitalista anche economico, quindi nulla di troppo differente di quanto già accada ad ovest (e, nondimeno, non farei a cambio nemmeno con loro; tu?). Per il resto, parlare al futuro (lo segnalai già a niko) è per me spesso indice di desideri o profezie (o "promesse" da campagna elettorale), più che di progetti ponderati e fattibili, la cui "materialità" seria non sta certo nel descriverli autoreferenzialmente come tali o nello essere scritti, appunto, al futuro (incerto).
#411
@InVerno 

Il pannello centrale "The Garden of Earthly Delights" («il giardino delle gioie terrene», se traduco a naso) mi pare rappresentare l'utopia per eccellenza, più che la condizione che precede un decadimento e ancor meno mi pare rappresenti l'attualità (non completamente almeno, le gioie terrene ci sono, ma c'è anche del dolore e della sofferenza tangibile); da segnalare, simbolicamente, che lì la natura è rigogliosa e i raffigurati non hanno vestiti: convenzioni, regole, ruoli, nascondimento, etc. (ma meglio non partire per la tangente sognante). La divisione in "sfere", non d'influenza ma di interesse e d'identità, è secondo me una costante antropologica nella storia, anche quando un popolo, visto da molto lontano, sembra(va) una sfera unica. Specialmente in tempi di crisi, le resistenza delle differenti sfere (o classi o combriccole o altro) emerge, interagendo nel bocciodromo sociale in cui quelle di marmo rompono quelle di cristallo. Più una società è divisa in sfere, più l'implosione (ammesso e non concesso che sia inevitabile) è parziale, soprattutto se, come per «decadenza», diamo ad «implosione» un'accezione negativa. A memoria direi che ogni decadenza non ha mai resettato a zero tutte le sfere, alcune si sono infrante, altre si sono "darwinianamente adattate" (v. sopra) altre si sono (ri)formate ricombinandosi ed "evolvendosi".
Giustamente ammonisci ricordando che «le società prima o poi implodono»(cit.) e la storia ti dà casistica e ragioni da vendere; tuttavia, oggi, qual è "la società"? Intendi la società occidentale da Los Angeles a Kiev (ok, qui ho sganciato la bomba)? In alcuni ambiti, decisamente attinenti, si parla di «too big to fail» e considerando che il capitalismo "big" sta diventando "bigger" (ora anche in salsa di soia e curry), con la prospettiva verosimile di diventare "the only one", diventa difficile parlare di "decadenza" in favore di "qualcos'altro" (di cui non c'è traccia); sempre se escludiamo apocalissi, meteoriti o simili e se non parliamo di "decadenza" in termini morali (discorso impraticabile) o ecologici (con le postille accennate in precedenza).
E se più che «decadenza», che per esser tale esige giudizi di valore, fosse semplicemente cambiamento ("divenire storico" come dicono i dotti)? Esempio banale: il regno delle due Sicilie è decaduto/imploso o è diventato altro, non necessariamente peggiore? La dinamica attuale mi sembra richiedere nuovi paradigmi interpretativi, pur con tutto il rispetto per "corsi e ricorsi storici", poichè la rigidità degli imperi e dei regni del passato (in cui le sfere interne erano comunque dissimulate) oggi non c'è, così come, in occidente, non ci sono le guerre "di una volta" (e ne consegue "sfogo" e tentata egemonia sul resto del mondo, ma non divaghiamo troppo). Se orde di barbari potevano mettere a ferro e fuoco l'impero romano ingestibilmente diluito nella sua frivolo autocompiacimento, oggi abbiamo visto che le orde di "differentemente religiosi" che dichiarano guerra e morte all'occidente, non hanno conquistato un metro quadrato di occidente (è anzi temporaneamente avvenuto il contrario) e con i loro attentati non hanno destabilizzano nulla, anzi sono serviti solo a tenere alta la guardia sul terrorismo (il che rende l'Impero ancora più coeso, e anche qui il discorso potrebbe deviare, ma non è ciò che mi interessa).
Con «la società è innanzitutto altruismo, ma quando le persone non vogliono più donarle niente perchè vogliono tutto per loro, la società decade»(cit.) mi sembra che fiancheggi anche tu una lettura sognante della socità; storicamente, correggimi se sbaglio, la società è stata sempre anzitutto una necessità di sussistenza per l'individuo nel gruppo (o "sfera" che sia ), una tregua utilitaristica fra egoismi perché "l'unione fa la forza", non perché "è bello condividere" (che può diventare vero solo in un secondo momento; «primum vivere deinde sharing»). Forse solo in tempi recenti si è smussato, su larga scala ed eccezioni a parte, l'egoismo gruppale violento per passare ad un egoismo indifferente (e che ciò sia sintomo di «decadenza» resta, secondo me, opinabile).
#412
Citazione di: Ipazia il 16 Agosto 2023, 20:58:49 PM"Primum vivere": non sta scritto in nessun Libro della Natura che per vivere bisogna prostrarsi di fronte ad un negriero.
Sul Libro della Natura sono infatti indelebilmente incisi i nostri bisogni primari; non c'è scritto nulla di "negrieri", né di "compagni", né di ideali. C'è scritto semplicemente cosa serve per vivere e ognuno, se lo ha letto bene, sceglierà di fare come meglio crede usando ciò che può (non ciò che sogna). Direi di non "inquinare" ulteriormente la natura con le nostre sovrastrutture simboliche (tanto più con quelle moraleggianti), non ne ha bisogno (lei). 
A proposito della distinzione fra natura e sovrastrutture:
Citazione di: Ipazia il 16 Agosto 2023, 20:58:49 PM"Servono soldi": no, serve lavoro. Oggi come allora e come da sempre. Come diceva un nativo americano: "quando avrete distrutto tutto, mangerete il vostro denaro".
Servono soldi, non lavoro, e la prova è tanto empirica quanto banale: oggi, "da noi", se hai abbastanza soldi, ma non il lavoro, puoi soddisfare comunque i bisogni primari; se hai il lavoro, ma i soldi non bastano, invece...
Sul ruolo della terra nella storia mi sono già espresso e credo che il bel motto del nativo lo faccia involontariamente rientrare fra gli utopisti: la "distruzione" praticata dall'uomo comprende anche l'industrializzazione della produzione del cibo. Non fraintendermi, tifo per lui, ma è uno slogan che si schianta sulla realtà, come un vendicativo sogno infranto di un ritorno all'epoca d'oro, magari senza visi pallidi nei paraggi (e come biasimarlo, vista la scarsa cortesia di questi ultimi?). Forse la sua profezia si realizzerà, ma per ora, da noi, in generale, senza soldi non si mangia e non è una questione da sottovalutare, poiché, come ricordato sopra, «primum vivere, deinde...».


Citazione di: InVerno il 16 Agosto 2023, 21:29:09 PMse tale è da rendere immobile e impermeabile la società al cambiamento, forse c'è qualche problemino, forse è qualcos'altro, forse è decadenza, una parola che ha dei "link filosofici" un tantino diversi da un manipolo di filosofi francesi alticci, un fenomeno più antico, per alcuni ciclico, ma in ogni caso con veramente poche accezioni positive.
Sono di gusti difficili, quindi anche «decadenza» mi trova piuttosto perplesso, se non altro per ciò che sottointende (ossia che «si stava meglio prima, quando si stava peggio»). Battute a parte, e riallacciandomi a quanto di naturalistico accennato sopra, in natura la decadenza è quella radioattiva e poco altro, mentre per l'uomo (e le sue strutture valoriali-simboliche) la decadenza è la graduale perdita di una condizione migliore il che, da un punto di vista ecologico-antropocentrico, è innegabilmente avvenuto e ancora in corso d'opera (in questo il nativo americano avrebbe di certo ragione), ma da un punto di vista sociologico non mi pare invece calzante (ho già ricordato rupi spartane, roghi umani e tratta di schiavi, e non di quelli metaforici di cui parla Ipazia).
Se alludi, come suppongo, all'incapacità delle società di bilanciare la loro voracità di risorse con una pianificazione assennata ed equilibrata dei consumi, non credo ciò possa rappresentare una vera e propria decadenza, perché anche in passato, magari sbaglio, non c'è mai stata una buona prassi umana in merito (solo che quando si è in molti milioni su tutto il globo, è meno evidente, mentre quando si è in 8 miliardi anche usare depuratori, riciclare rifiuti e piantare alberi può essere irrilevante nel bilancio globale).
#413
Citazione di: InVerno il 16 Agosto 2023, 16:04:36 PMTutto questo non può essere risolto con spiegazioni "percettive" (rane bollite e quant'altro), c'è qualcosa nella società che ha favorito questa ipernormalizzazione dell'annichilimento.
Non concordo totalmente sul termine «annichilimento», comunque mi pare che la ricetta di tale "qualcosa" ce l'abbia già suggerita "ai suoi tempi" il postmoderno: disincanto dalle grandi narrazioni, atomizzazione della storia in storie, esorcizzazione di "giorni del giudizio" futuri, carpe diem esistenzial-consumistici, sincretismi di orizzonti che ammortizzano sfaldamenti culturali, schizofrenia fra responsabilità planetarie ed edonismi "domestici", fiducia nelle scintillanti "pezze tecnologiche", apatica "sazietà sociale" che oscilla dal «se non vedo non credo» al «ha da passà a nuttata», etc.
#414
Come avevo già anticipato: «i sognatori sognano sogni anche (molto) differenti fra loro»(autocit.) mentre «il realizzatore deve rispettare suo malgrado i limiti e i confini di ciò che c'è (e di come "funziona")»(autocit.). Questo significa che sia sognare un mondo senza «ideologi del conflitto» (anthonyi), sia sognare un mondo dove «i poveri siano in grado di riscattarsi e i ricchi di sfruttare meno i poveri» (pio), comporta alla fine fare i conti con la realtà che, finora e fino a prova contraria, non fornisce il minimo "attracco" (su larga scala) a nessuno dei due ambiziosi sogni. Anzi può capitare che chi sogna l'assenza del conflitto, nel frattempo lo approvi "per giusta causa" (premetto e prometto che non entrerò nel merito), così come chi sogna il riscatto dei poveri eviti intanto di aiutarli (idem) perché comunque non sarebbe sufficiente (a scanso di equivoci: parlo in generale, non mi riferisco affatto ai forumisti sopra citati). In entrambi i casi, quando il sogno prova a realizzarsi assume in concreto forme paradossali, se non contraddittorie, avendo solo se stesso come alibi (in un onanismo senza "fine"): il fine giustifica i mezzi, anche se della realizzazione del fine non si vede nemmeno l'ombra; anzi, ciò che accade nel frattempo sembra insolitamente allontanare l'attracco del sogno più che agevolarlo.
Anche quando i sogni si travestono da progetti per il futuro, programmi politici, ideali regolativi, etc. restano tali finché non gettano l'ancora nel reale; di conseguenza la battaglia aerea fra le navi volanti può essere sicuramente avvincente (non a caso, ho già parlato di "videogame"), ma le scelte reali, per essere davvero lungimiranti ed efficaci, devono considerare il topos, non l'ou-topos, ossia quello che c'è sul campo, con tutte le plausibili potenzialità intrinseche che ha (non che «sarebbe bello avesse»). Tornando alla/sulla terra: il contadino semina grano progettando di raccoglierlo, salvo imprevisti e calamità, ma se invece sognasse di raccogliere panini (sicuramente non sarebbe male) e insistesse nell'adoperarsi affinché questi si manifestino, probabilmente nel frattempo morirebbe (e farebbe morire) di fame.
#415
Citazione di: Pio il 16 Agosto 2023, 00:19:10 AMCapisco il pragmatismo in salsa cinica, ma se gli ingenui che sognano un mondo diverso sono "anime belle", a quelli che va bene così , cosa sono? "Anime brutte"?
Come suggerisce la tua stessa riflessione, chi sogna è un sognatore, mentre chi vuole cambiare la realtà dovrebbe essere prima di tutto un "realizzatore", con tutte le evidenti difficoltà e asperità del caso. La differenza di base è  infatti che il realizzatore deve rispettare suo malgrado i limiti e i confini di ciò che c'è (e di come "funziona"), mentre il sognatore ha la "licenza poetica" per spaziare nel mondo del possibile, spesso dimenticando che una possibilità non vale l'altra, per fattibilità. La complessità delle posizioni in merito alle questioni di classe vs individuo, "padroni" vs "servi", etc. non può essere ridotta al dualismo fra «ingenui sognatori» e «quelli a cui va bene così», se non altro perché i sognatori sognano sogni anche (molto) differenti fra loro e perché ci sono quelli a cui "non va bene così", pur non essendo affatto sognatori. Alla domanda se «quelli a cui va bene così» siano «anime brutte», risponderei di no, direi che sono perlopiù "anime tendenzialmente soddisfatte" (come non esserlo, se le cose ci vanno bene come sono?).
La natura ci insegna che per non estinguersi occorre solitamente la capacità di adattarsi ("evolversi"?), ma il "gioco di società" della convivenza politica svaluta tale concetto ed è impostato differentemente: ha un suo universo di valori, ideali, simboli, tradizioni, etc. che, pur nei contrasti di prospettiva, si riferisce a tutta la comunità, non al singolo. Il disinteresse per la politica, l'astensionismo, è secondo me la cartina al tornasole di quanto buona parte dei singoli abbiano realizzato di trovarsi in una situazione in cui riescono comunque ad adattarsi, come singoli, alla situazione circostante; pur "dovendo" ("bourgeoisie oblige") lamentarsi di non avere rappresentanti adeguati, di non stare abbastanza bene, di ingiustizie e soprusi, etc. tutto vero, per carità, ma spesso non abbastanza per andare a votare "il meno peggio".
A proposito di dialettiche storiche, si potrebbe osservare un certo "movimento" nella storia dell'occidente: il passaggio da "nessuno vota" (imperi, monarchie, etc.) e c'è oppressione (schiavitù, etc.), a "tutti votano" (democrazie, suffragio universale, etc.) e c'è graduale miglioramento delle condizioni di vita medie (servizi pubblici, sindacati, etc.), poi a "qualcuno vota" (astensionismo) e... chiaramente è un discorso superficiale, che lascia il tempo che trova e che non vuole sminuire la reale sofferenza di molti singoli (nondimeno c'è sempre stata qualche volpe che dice «l'uva non è matura», a volte lo dice perché non c'arriva, a volte perché ha la pancia piena, altre volte perché non vuole nemmeno alzare la zampa per provare a prenderla; forse un giorno morirà di fame, ma quella che "si astiene" magari non oggi, e il fatto che ci siano molte volpi che si astengono indica che... sia solo sfiducia nelle istituzioni e mancanza, in tutti i sensi, dei poli più nettamente separati dei "bei tempi della politica"?).
#416
@InVerno

Concordo che il bandito estemporaneo non sia una minaccia per l'intero sistema, nondimeno con «rapporti di forza» mi riferivo anche a questioni più rilevanti, che falsificano la possibile interpretazione dell'aforisma gramsciano che lo intende come un suggerire che "i padroni" hanno talmente gabbato "i servi" che ora possono prenderli per il naso senza forza, tanto questi sono indottrinati e turlupinati. Così non è, perché il controllo tramite forza, tanto sul mariuolo quanto su una classe più o meno scontenta (comunque, di fatto, regolata), è ancora necessario (e sempre lo sarà?) sia per mantenere un certo status quo che «logora chi non ce l'ha», sia perché «regola» fa da sempre rima con «forza», e senza regole non c'è società; al netto delle utopie di girotondi cosmici con fiori fra i capelli e olimpiadi planetarie del porgere l'altra guancia o del dividere ciò che si ha anche con chi non produce e non ricambia (no, non parlo dei pensionati). Come dosare o orientare tale necessaria forza (da non confondere con la violenza bruta, ovviamente) è forse la questione politica per eccellenza, questione che, come le galline, alla fine dei conti vola sempre terra-terra o non vola proprio, nonostante gli schiamazzi verso i cieli di fratellanza e giustizia universale.
Non è comunque un caso che, come giustamente hai osservato, anche una guerra (senza far nomi) possa essere esempio nettamente tangibile di quale sia la forza necessaria per mantenere certe forme di controllo e "confini" (anche nell'epoca della globalizzazione) o, in qualche caso, "entrare meglio" in un sistema che "non dispiace" (non è ormai un segreto che il capitalismo non sia più questione solo occidentale: i cinesi non vengono in Italia perché qui sono liberi di vedere youtube, così come anche i contadini russi, se non sbaglio, hanno un proverbio che recita, più o meno, "рубль не пахнет").
#417
Parto dalla frase di Gramsci: «quando in una società i valori della classe dirigente diventano i valori indiscussi di tutta la società, allora quella classe dirigente non ha più bisogno della forza per controllare la società», frase suggestiva che tuttavia non descrive la realtà, né di ora né di allora, ma un'utopia (negativa, suppongo, per il suo punto di vista), cui opporre una contro-utopia (positiva, per il suo punto di vista), in uno scontro fantasy degno di un videogame per cui, appunto, il timore del "game over" apocalittico è sempre quello che incombe più minaccioso. La frase è aliena dalla realtà sia perché ancora oggi la classe dirigente ha bisogno della forza (o non ci sono più "rapporti di forza"? Anche nel senso più concreto e istituzionale: vigilanza, divieti, carceri, etc.), sia perché oggi di "valori indiscussi" non ce ne sono (con buona pace degli spauracchi generalisti: "pensiero unico", "dio denaro" e tutti gli altri da "circolo dei luoghi comuni").
Mi sembra inutile, se si mira ad una prassi concretizzabile, fare i poeti romantici, rimpiangere il baratto o proporre politicamente il reset del globo per allestire una virtuosa comune autosostenuta; la realtà ammazza, o almeno infesta, i "sogni d'oro" delle "anime belle" ben più dell'"uomo nero" di turno, abbia egli il mantello in tinta, o rosso, o giallo o altro. Non intendo affatto che sia spregevole cercare la "bellezza" (anzi, filosoficamente parlando, è questa la malinconia dell'essere umani), ma non è nemmeno un caso che la "anime belle" più volenterose e impegnate poi non trovino chi le rappresenta politicamente in modo adeguato: la realtà abbrut(t)isce gli ideali aulici e alla fine la "somma bellezza" non è di questo mondo (come la giustizia, direbbe qualcuno di altra ideologia, seppur imparentato essendo anch'egli alla ricerca del "bello" e non trovandolo sulla Terra...). In fondo lo dimostra anche il caso citato da Jacopus: il soggetto disturbato e violento (migrante o meno, credo non importi) non ha ucciso perché viviamo in una società individualista («Una società non individualista avrebbe visto in quella persona un proprio fratello») ma perché la società ha talvolta "malgestito" (diciamo così) proprio quegli ideali che Jacopus ricorda poche righe dopo: per scongiurare quell'omicidio, bisognava riconoscere la dis-egalité di chi presenta una differente fraternitè e limitarne adeguatamente la libertè di nuocere (sui modi si può discutere, ma non sarà certo leggendo gli illuministi o ricevendo abbracci fraterni che il disturbato smetterà di esserlo).
Ciò che è indiscusso, ben più dei supposti valori della classe dirigente (v. citazione) sono le necessità primarie, per soddisfare le quali, oggi come allora e come ormai da secoli, servono soldi (d'altronde «primum vivere, deinde...»). Per dirla in (brutale) sintesi: meno si lavora la propria terra (ricavandone cibo), più è necessario avere denaro per mangiare; quindi, passando dal singolo alla moltitudine, meno la società è agricola, più c'è bisogno di denaro e più c'è bisogno di denaro più il denaro circola, e più circola e più è facile dirottare tale denaro (sia esso un surplus o meno) verso bisogni indotti, così da trarne... denaro, da utilizzare per cibo e bisogni indotti (ciascuna classe ha i suoi, da "appendere" dopo il suddetto «deinde...»). Oggi la società è decisamente poco agricola, quindi la conclusione viene da sé; il resto è psicologia delle masse, differenza di prospettiva fra individui, tradizione, ingegno e mix antropologico di edonismo e istinto di sopravvivenza.
Sulla accezione negativa dell'"individualismo alla occidentale", altro feticcio di una certa interpretazione del reale, credo sia innegabile che "da noi" il singolo stia vivendo la sua epoca d'oro: sono finiti i tempi in cui il singolo poteva esser gettato da una rupe alla nascita, in cui poteva essere posseduto e scambiato come fosse un oggetto, in cui finiva al rogo se era "differente" (o disturbato, v. sopra) o aveva "idee strane", in cui non aveva diritti almeno simili agli altri suoi simili (se mi si passa il gioco di parole, giusto per non parlare ipocritamente di "uguaglianza"), etc. Chiaramente l'uomo resta animale gregario, quindi bisognoso di organizzazione, di verticalità (così come è verticalizzabile la qualità di ciascuno nel fare qualcosa all'interno di ogni gruppo, più o meno esteso), ma diviene sempre più "differenziata" la modalità con cui l'individuo può essere parte del gruppo (ovviamente senza che i bisogni primari smettano di esser tali) e la complessità, ovviamente, pone questioni complesse. Certo, a proposito di individui, c'è ancora chi muore di fame ai bordi delle strade, ma è anche vero che ci sono anche individui che si organizzano per prevenire tale fenomeno, così come ci sono individui che non se ne curano (la morale della favola, che poi favola non è, è già scritta nella "firma" di Jacopus).
Se la catastrofe ci sarà (anche se bisognerebbe intendersi bene su cosa si intende per catastrofe, almeno usando criteri di spazio e tempo), ogni singolo ci parteciperà a modo suo, ovvero, parodiando il noto bel detto (che suo malgrado è individualista), "ciascuno secondo le sue possibilità, ciascuno secondo i suoi bisogni", al punto che per qualcuno, ma non per tutti, potrebbe anche non essere nemmeno una catastrofe (e non mi riferisco alla classe dirigente).
#418
Varie / Re: Rastislav e l'enigma delle pastiglie.
13 Agosto 2023, 15:48:30 PM
Se l'indizio del principe è «per far capire dove c'è il veleno», considerando come nelle pastiglie celesti si parli di «due quinti delle capsule rosse moltiplicate per venticinque», mentre in quelle rosse, tale medesima descrizione è preceduta da «tre quarti della nona pasticca celeste, più... etc.», si potrebbe concludere che, se tali descrizioni si riferissero alla composizione per singola pastiglia (senza considerare il fatto che le celesti siano di più), nelle rosse c'è "qualcosa in più". Che aggiungendo a un veleno istantaneo qualcosa (diluente?), questo possa diventare un "caricatore sessuale" non posso escluderlo (essendo incompetente in materia), né sarebbe assurdo che aggiungendo qualcosa (veleno?) a un "caricatore sessuale" il risultato finale sia un veleno. Tuttavia se l'indizio è «per far capire dove c'è il veleno», l'aggiunta potrebbe riferirsi proprio a quella del veleno; ma non è un'ipotesi che trovo molto convincente.
Un altro approccio è decisamente meno ambiguo: se considero invece i colori e i numeri come indici della composizione totale dei due gruppi di pastiglie, nelle pastiglie celesti ci dovrebbe essere un ipotetico dosaggio complessivo di 40 (2/5 x 4 x 25) diviso le nove celesti, ossia circa 4,4 per pastiglia celeste. Mentre nelle quattro rosse il dosaggio complessivo dovrebbe essere di 40 + 3,3 (derivato da 3/4 x 4,4), ossia circa 10,83 per pastiglia. Che tale dosaggio sia quello del veleno che, in dosi ridotte, diventa solo "caricatore sessuale"?
Alla fine consiglierei quindi al prigioniero di prendere una pastiglia celeste (sperando di non ritrovarmelo sulla coscienza).

P.s.
Mai visto nulla di male nel fatto che i tuoi enigmi siano narrativi, anzi li apprezzo molto; soprattutto se poi vengono rispettate le "regole del gioco" (e magari ai "grandi matematici" non viene fatta fare la figura del "pollo"...).
#419
Varie / Re: Rastislav e l'enigma del numero segreto
13 Agosto 2023, 13:06:08 PM
La questione della "violazione della regola preordinata e funzionale" che hai proposto era un nuovo (ed interessante) elemento di discussione e mi è sembrato opportuno far notare come nemmeno questo escamotage consenta di "salvarsi in corner". Se vuoi insistere con altri tentativi di rendere la faccenda opinabile (tentativi di cui ti ringrazio perché sono davvero un'ottima "palestra dialogica"), sarò lieto di analizzarli e, se interessanti, commentarli.
Come detto, non bado al fatto che tu mi dia ragione o meno, poiché il sollazzo del forum è per me commentare e comunicare (non convincere o ottenere consensi; non sono mica un politico...).
#420
Varie / Re: Rastislav e l'enigma del numero segreto
13 Agosto 2023, 11:32:29 AM
Citazione di: Eutidemo il 13 Agosto 2023, 06:32:54 AM
Non sono invece per niente d'accordo sul fatto che la (presunta) violazione di una regola invalidi il risultato ottenuto dalla spia B), se tale (presunta) violazione non era affatto preordinata e funzionale  ad ottenere tale scopo; ma questo è "opinabile", a seconda che sia abbia una concezione "formalistica" ovvero "sostanzialistica" delle norme.
Per cui non mi è affatto lecito affermare che la tua sia una opinione "oggettivamente errata"così come a te non è affatto lecito affermare che lo sia la mia.
Direi che la violazione della regola (della non-attinenza matematica) sia "preordinata e funzionale" ad ottenere lo scopo di comunicare il numero segreto (obiettivo del gioco); salvo supporre che il prigioniero "parli a caso" o non risponda con la finalità di salvarsi la vita, ma solo "pour parler". Molto "probabile" (per non dire «sicuro») che egli abbia usato tale violazione per provare a vincere; non mi pare sia questione di interpretazione delle regole e buttarla sull'opinabile, di fronte ad un'oggettività, non sempre funziona. Non credo nemmeno che c'entrino molto formalismo o sostanzialismo: il divieto di violare una regola per vincere è forse la prima meta-regola di ogni gioco (salvo suddetta regola contempli eccezioni, ma, a quanto esplicitamente dichiarato dal principe, non è questo il caso).
Come già detto, aver ragione non mi è mai interessato, ma il fatto che bobmax, con quello che ha scritto, mi abbia dimostrato di aver capito i miei ragionamenti e le mie conclusioni (al di là del fatto che li condivida o meno), mi rassicura sul fatto che non è stato tutto "inchiostro virtuale" sprecato (in altri post, non di bobmax, ho trovato "sospetti evitamenti", ma preferisco non pensar male, si fa peccato...).