A volte, quando si usa una categoria inadatta ad un discorso, tale inadeguatezza categoriale, alla lunga, viene svelata dalla realtà dei fatti, al netto di ogni forzatura interpretativa e può capitare (non a tutti, certo) di ritrovarsi a chiedere a se stessi «davvero sto usando la categorizzazione giusta?».
Il femminicidio è una categorizzazione di un tipo di omicidio che funziona benissimo nella sua autoreferenza: definiamo che cos'è un femminicidio, contiamo quanti ne avvengono e lo giudichiamo fenomeno deprecabile. Se tuttavia proviamo poi ad utilizzare tale categoria fuori dal discorso autoreferenziale, spendendola in contesti sociologici come la parità fra i sessi, i diritti delle donne, etc. tale categoria mostra tutta la sua inadeguatezza, svelando di fatto la scarsezza della sua pertinenza. Proviamo a collegare il femminicidio al "patriarcato" (dando per buono che ognuno lo intende un po' a modo suo, quindi il discorso è già traballante dall'inizio); se tale collegamento causale fosse vero, ci sarebbe quasi da rallegrarsi: in Italia i suddetti "figli sani del patriarcato" si stanno lentamente estinguendo (v. dati) e hanno le leggi dello Stato a sfavore già da tempo; inoltre il patriarcato non è mai stato politicamente così debole (mi risulta che da noi le donne non solo possano votare ed essere elette, ma votino e vengano elette) e mai così poco "praticato" (scommetto che nemmeno nei peggiori bar di periferia lo stupro e l'omicidio di una donna siano oggi, comunemente, "vanto patriarcale" o "normale amministrazione"). Inoltre, sempre per vagliare tale rapporto causale, basterebbe indagare se solitamente un femminicida o uno stupratore ha fatto ciò che ha fatto perché "il patriarcato glielo suggerisce/consente" o per altri motivi. Temo che i prossimi che faranno notizia dal lato sbagliato, nemmeno sanno cosa sia il patriarcato, e non perché l'hanno ormai interiorizzato e introiettato o ne sono inconsapevoli pedine, ma perché, in quei momenti, magari sbaglio, non si fa politica o egemonia culturale, ma si fa violenza, cieca e irrazionale. E quando invece tale violenza è pianificata? Direi che un omicidio premeditato non è questione di "patriarcato", essendo l'omicidio appunto ritenuto reato anche nel "patriarcato vigente" e (se non sbaglio) senza sconti di pena se si è uccisa una donna piuttosto che un "pari".
Il patriarcato, se è forma culturale egemonica, non è fatto di lampi e di furore, né va contro le sue stesse leggi, è fatto (eventualmente) di status quo. Dunque affrontare le problematiche di una cultura egemone che penalizza una certa categoria di persone, non comporta far convogliare pedissequamente nel discorso qualunque problematica coinvolga tale categoria di persone, cercando una correlazione "rafforzativa" ad ogni costo, perché così si rischia invece di ottenere l'effetto contrario: indebolire la legittimità delle argomentazioni che analizzano un problema, perché non essendo queste pertinenti anche per l'altro problema tangente, risultano alla fine inadeguate al "superproblema posticcio", formato unendo "per assonanza" i due.
Provo ad esemplificare ciò che intendo usando bullismo e multiculturalismo. Entrambi esistono nelle scuole, ma spiegare il primo facendo leva sul secondo non porta a molto, perché il bullismo esisteva anche prima che andasse di moda parlarne, nelle scuole e per le scuole e, soprattutto, anche quando le classi erano al 100% di autoctoni. Versione ping-pong: il bullismo è figlio del multiculturalismo? No. Il bullismo è una forma di esterofobia? No, non intrinsecamente. C'è chi è bullo nei confronti di chi è di un altro paese? Sì. Lo bullizza per quel motivo? Sì. Allora, il bullismo è figlio del multiculturalismo? Di nuovo, no. Il multiculturalismo può dar adito a bullismo? Sì.
Se sostituiamo «bullismo» con «violenza» e «multiculturalismo» con «patriarcato» (per quanto definito ad libitum), «l'esser straniero» con «l'esser donna», possiamo capire parimenti come il problema della violenza delle donne non vada troppo causalmente a braccetto con l'esser-donna in una società "patriarcale" (qualunque cosa ciò significhi esattamente, se ci riferiamo all'Italia), proprio come il bullismo non va causalmente troppo a braccetto con il multiculturalismo, pur avendo evidenti ed innegabili aree di intersezione (se non ci fossero più soggetti violenti, di certo non ci sarebbero nemmeno violenze contro le donne, ma è osservazione che non mi risulta particolarmente "illuminante").
Ovviamente si è liberi di auspicare una società che segua la regola aurea del "circa 50%" fra uomo e donna in tutto, credendo che altrimenti la disparità sia sempre e automaticamente indice di sopraffazione e fallocrazia (o il suo contrario), anche quando le donne stesse, libere di scegliere, palesemente non intendono nemmeno ambire al 30% di certi ambiti (oppure qualche volta vorrebbero e non ci riescono, come la volpe con l'uva? Sarebbe prova che forse in quei contesti non conta la categorizzazione sessuale, ma altro e si sta leggendo la faccenda con gli occhiali sbagliati). Tuttavia questa è, appunto, un'altra storia seppur, piaccia o meno, anch'essa deve alla fine fare i conti con il mondo reale. Amen e scusate la prolissità della predica.
Il femminicidio è una categorizzazione di un tipo di omicidio che funziona benissimo nella sua autoreferenza: definiamo che cos'è un femminicidio, contiamo quanti ne avvengono e lo giudichiamo fenomeno deprecabile. Se tuttavia proviamo poi ad utilizzare tale categoria fuori dal discorso autoreferenziale, spendendola in contesti sociologici come la parità fra i sessi, i diritti delle donne, etc. tale categoria mostra tutta la sua inadeguatezza, svelando di fatto la scarsezza della sua pertinenza. Proviamo a collegare il femminicidio al "patriarcato" (dando per buono che ognuno lo intende un po' a modo suo, quindi il discorso è già traballante dall'inizio); se tale collegamento causale fosse vero, ci sarebbe quasi da rallegrarsi: in Italia i suddetti "figli sani del patriarcato" si stanno lentamente estinguendo (v. dati) e hanno le leggi dello Stato a sfavore già da tempo; inoltre il patriarcato non è mai stato politicamente così debole (mi risulta che da noi le donne non solo possano votare ed essere elette, ma votino e vengano elette) e mai così poco "praticato" (scommetto che nemmeno nei peggiori bar di periferia lo stupro e l'omicidio di una donna siano oggi, comunemente, "vanto patriarcale" o "normale amministrazione"). Inoltre, sempre per vagliare tale rapporto causale, basterebbe indagare se solitamente un femminicida o uno stupratore ha fatto ciò che ha fatto perché "il patriarcato glielo suggerisce/consente" o per altri motivi. Temo che i prossimi che faranno notizia dal lato sbagliato, nemmeno sanno cosa sia il patriarcato, e non perché l'hanno ormai interiorizzato e introiettato o ne sono inconsapevoli pedine, ma perché, in quei momenti, magari sbaglio, non si fa politica o egemonia culturale, ma si fa violenza, cieca e irrazionale. E quando invece tale violenza è pianificata? Direi che un omicidio premeditato non è questione di "patriarcato", essendo l'omicidio appunto ritenuto reato anche nel "patriarcato vigente" e (se non sbaglio) senza sconti di pena se si è uccisa una donna piuttosto che un "pari".
Il patriarcato, se è forma culturale egemonica, non è fatto di lampi e di furore, né va contro le sue stesse leggi, è fatto (eventualmente) di status quo. Dunque affrontare le problematiche di una cultura egemone che penalizza una certa categoria di persone, non comporta far convogliare pedissequamente nel discorso qualunque problematica coinvolga tale categoria di persone, cercando una correlazione "rafforzativa" ad ogni costo, perché così si rischia invece di ottenere l'effetto contrario: indebolire la legittimità delle argomentazioni che analizzano un problema, perché non essendo queste pertinenti anche per l'altro problema tangente, risultano alla fine inadeguate al "superproblema posticcio", formato unendo "per assonanza" i due.
Provo ad esemplificare ciò che intendo usando bullismo e multiculturalismo. Entrambi esistono nelle scuole, ma spiegare il primo facendo leva sul secondo non porta a molto, perché il bullismo esisteva anche prima che andasse di moda parlarne, nelle scuole e per le scuole e, soprattutto, anche quando le classi erano al 100% di autoctoni. Versione ping-pong: il bullismo è figlio del multiculturalismo? No. Il bullismo è una forma di esterofobia? No, non intrinsecamente. C'è chi è bullo nei confronti di chi è di un altro paese? Sì. Lo bullizza per quel motivo? Sì. Allora, il bullismo è figlio del multiculturalismo? Di nuovo, no. Il multiculturalismo può dar adito a bullismo? Sì.
Se sostituiamo «bullismo» con «violenza» e «multiculturalismo» con «patriarcato» (per quanto definito ad libitum), «l'esser straniero» con «l'esser donna», possiamo capire parimenti come il problema della violenza delle donne non vada troppo causalmente a braccetto con l'esser-donna in una società "patriarcale" (qualunque cosa ciò significhi esattamente, se ci riferiamo all'Italia), proprio come il bullismo non va causalmente troppo a braccetto con il multiculturalismo, pur avendo evidenti ed innegabili aree di intersezione (se non ci fossero più soggetti violenti, di certo non ci sarebbero nemmeno violenze contro le donne, ma è osservazione che non mi risulta particolarmente "illuminante").
Ovviamente si è liberi di auspicare una società che segua la regola aurea del "circa 50%" fra uomo e donna in tutto, credendo che altrimenti la disparità sia sempre e automaticamente indice di sopraffazione e fallocrazia (o il suo contrario), anche quando le donne stesse, libere di scegliere, palesemente non intendono nemmeno ambire al 30% di certi ambiti (oppure qualche volta vorrebbero e non ci riescono, come la volpe con l'uva? Sarebbe prova che forse in quei contesti non conta la categorizzazione sessuale, ma altro e si sta leggendo la faccenda con gli occhiali sbagliati). Tuttavia questa è, appunto, un'altra storia seppur, piaccia o meno, anch'essa deve alla fine fare i conti con il mondo reale. Amen e scusate la prolissità della predica.
