Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - maral

#406
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
12 Gennaio 2017, 10:43:45 AM
Citazione di: paul11 il 12 Gennaio 2017, 10:02:42 AM

Il kalpa ,il giorno di Brahama, ( e lo dice persino wikipedia....) a ritroso ha esattamente il tempo originario che la scienza contemporanea occidentale ha dato al pianeta terra, circa 4,5 miliardi di anni.  E' casuale?.......
Danielou in proposito alla durata dell'universo scrive ("Miti e dei dell'India", BUR, p.286): "La vita di Brahma dura cento anni" (Markandeya Purana 46,21). Una volta creato il mondo resta immutato per un giorno di Brahma che è un periodo di 2.160.000.000 anni Il mondo e tutto ciò che contiene è in seguito consumato dal fuoco, ma i saggi, gli dei e i principi degli elementi sopravvivono. Durante la notte Brahma dorme. Quando si risveglia ristabilisce la creazione e il processo si ripete fino a quando non è completato il centesimo anno, un numero che richiede 15 cifre per esprimerlo in anni umani...
Mille cicli dei quattro Yuga (età del mondo) sono un giorno di Brahma. Trecentosessanta di questi giorni formano un anno. La vita di Brahma dura 100 anni. Quando tale periodo è terminato, Brahma stesso cessa di esistere.
#407
Citazione di: sgiombo il 10 Gennaio 2017, 11:31:59 AM


In barba all' eventuale ignoranza dell' albero e dello stambecco (che infatti "scende a balzi da essa", e non "dal nulla"!) la montagna c' é (e c' era anche prima e dopo dell' albero e dello stambecco).
Nell' essere umano, eventualmente, c' é in più il pensiero, la conoscenza (dell' esistenza) della montagna.
A mia volta non ho mai detto che lo stambecco scenda dal nulla o che per lui la montagna sia nulla (cosa anche questa che potrebbe essere solo per un essere umano). Ho detto solo che la montagna appare tale (montagna) solo nel significato che ad essa (qualsiasi cosa sia), in quanto esseri umani, le diamo e in cui le specificazioni che siamo in grado di attribuirle sono il risultato di un modo di sentire e di dare significato a questo sentire e non di una natura in sé della cosa. Posso anche immaginare che per lo stambecco la montagna sia proprio quello scendere e salire a balzi, lo faccio per analogia (e dunque secondo metafora), perché mi sembra che quello che accade mentre accade è la prima sensazione che anche noi umani abbiamo delle cose, prima di renderci conto, secondo il nostro intendimento umano, di cosa sono e quindi di identificarle con questo o quel significato e prima di attribuire a quel significato la valenza di una cosa.

P.S. noto Sgiombo che da utente anziano, ormai sei diventato storico! Diamine, come ci si sente a essere ormai passati alla storia?  :)
#408
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
11 Gennaio 2017, 23:33:37 PM
CitazionePerciò da una parte abbiamo un elemento eterno "orientale" e dall'altro un giudizio morale sul mondo: il mondo finito si trova a dover fare i conti col peccato perchè è una sorta di "stato caduto" rispetto all'apeiron!
Se l'interpretazione è corretta la caduta è l'esistenza degli enti (di ogni ente come tale), ossia l'esistenza stessa.
Comunque Severino ci ha scritto una buona metà del suo ultimo libro teoretico in merito proprio al frammento di Anassimandro e direi che è tra i suoi libri migliori.
#409
Citazione di: Phil il 11 Gennaio 2017, 22:41:12 PM

Tutto ciò presupponendo l'eternità radicale di ogni ente (senza quindi concepire la mesta fine del soggetto...), il che comporterebbe che non posso mai spegnere il mio computer, perchè il sistema operativo giungerebbe al suo "ultimo istante", che sarebbe per lui eterno (stando alla tua proposta dal retrogusto severiniano) e quindi resterebbe eternamente acceso, pur essendo decretato tecnicamente spento da chi lo circonda... resta il fatto che (senza riaccendere le nostre divergenze su Severino, ontologia e eternità :) ) la logica non può dire nulla di certo dell'esperienza della morte (proprio in virtù del suddetto ponte pericolante), mentre il mistico, la poesia, la metafisica possono formulare di sicuro ipotesi intriganti...
No, qui l'eternità dell'ente non è presupposta, è una conseguenza del fatto presupposto che non c'è un dopo. E' il dopo che rende concepibile un non essere più. Solo il domani può uccidere il presente (spero che gusterai questa espressione poetica  ;) )
Per quanto riguarda il computer dubito che possa esperire il proprio venire (definitivamente) spento, ma chissà, se lo esperisse come la propria morte ...
#410
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
11 Gennaio 2017, 23:01:01 PM
Non so, ma ci sento una differenza tra ciò di cui mi parli come Atta e ciò che noi occidentali chiamiamo Essere. Perché l'Essere, che è concepito come tale in Occidente da Parmenide nel suo poema (ed è da lì che nasce la filosofia dell'Occidente) è figura del Logos, mentre non mi pare che possa considerarsi così per Atta, per come me lo dici, esso infatti trascende in partenenza ogni possibilità del Logos. E' Parmenide infatti che facendo parlare la Dea (quindi, se si vuole, il pensiero mitico) le fa dire di non credere a ciò che essa dice perché lo dice, ma in virtù di un giudizio raziocinante, ossia del Logos e così dicendo la dea distrugge il pensiero mitico che incarna. Il pensiero orientale invece non mi sembra che abbia mai vissuto questa contrapposizione così escludente tra pensiero mitico e razionalità, nel pensiero orientale l'ancoraggio al mito resta e per questo l'essenza è non essenza, è del tutto inesprimibile, è illuminazione completamente paradossale a cui il pensiero logico che astrattamente e definitivamente separa Essere e Non essere (o anche Ente e Niente)  non può giungere in alcun modo.
Forse qualcosa di più simile che non l'Essere parmenideo, potrebbe essere l'Infinito (Apeiron) di Anassimandro. Nel frammento di Anassimandro c'è scritto che « principio degli esseri è l'infinito (ápeiron)....da dove infatti gli esseri hanno l'origine, lì hanno anche la distruzione secondo necessità, poiché essi pagano l'uno all'altro la pena e l'espiazione dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo. » Dove l'ingiustizia è proprio quella che commette ogni essere venendo a esistere, ossia separandosi dall'infinito e l'espiazione che ristabilisce la giustizia è il karma delle reincarnazioni.
#411
Citazione di: InVerno il 10 Gennaio 2017, 11:54:14 AM
Le esperienze di premorte sono ben documentate, pare che il nostro corpo sia ben calibrato per rilasciare le giuste quantità di droghe per farci vivere una bella esperienza allucinatoria. Gira voce che tutti vedano le stesse cose (è una voce che gira tra chi vuole provare "qualcosa") in realtà mi ero documentato e le visioni cambiano a seconda della propria cultura e del momento in cui accade (che può anche non suscitare un bel niente, non penso siano "obbligatorie"). Insomma, con il giusto "setting" potrei anche vedere un harem di donne nude dall'altra parte, invece che l'omone con la barba e la tunica bianca, bisogna lavorarci su.
Il problema è che le esperienze di pre morte non sono esperienze di morte, ma di non morte, infatti chi le racconta ha avuto un dopo in cui potercele raccontare, chi muore invece non ha più questo dopo. Che cosa significa allora non aver più alcun dopo? E' questo che va al di là di ogni comprensione ed è questo che in fondo spaventa terribilmente e ci porta a immaginare comunque un dopo. Da un punto di vista logico (che peraltro è quello assunto anche da Epicuro), se nulla è dopo significa eternità. Ma convengo che il punto di vista logico è pur sempre e comunque appartenente alla vita, poiché nessun ragionamento logico, nessuna parola potrebbe essere nemmeno articolata se non c'è un prima e un dopo.
Nei Vangeli forse il caso più interessante è quello di Lazzaro che si dice che sia tornato dalla morte, ma non mi pare, nonostante la comprensibile curiosità di parenti, amici e vicini, che abbia mai detto nulla di ciò che avesse trovato oltre la morte. E per forza, sarebbe come dire l'assolutamente indicibile.
CitazioneChe la morte di ciascuno siano sempre gli altri a raccontarla non significa che chi testimonia di tante morti serene di non credenti sia un mentitore (in buona o mala fede).
Assolutamente no, anzi dice la verità per come la vede, ma la dice dal punto di vista di chi non muore e vede un altro morire e poi vede l'altro morto (quindi vede il dopo), ma è un punto di vista totalmente diverso da quello di chi muore e sente se stesso morire, senza poter vedere alcun dopo di un se stesso morto. Non c'è dopo, questo è il punto per cui non c'è nulla che possa per lui (e non per chi lo vede da "fuori") far finire quell'istante.

"Severinianamente" si potrebbe dire che ogni singolo istante è eternità che si nasconde in un apparente succedersi di istanti, ma l'ultimo non può più nascondersi, non ha un successivo, quindi resta in tutta la sua eterna ("severiniana") Gloria.
#412
Citazione di: Phil il 09 Gennaio 2017, 19:10:33 PM
Si, il "ponte" percezione>costruzione-di-senso>identità>effetto/fruizione ci "collega" al mondo, anche se è un collegamento "viziato" dall'attraversamento del ponte stesso, per cui il mondo a cui arriviamo è sempre solo il nostro mondo... e il fatto che contenga un po' di "finzione" fa parte del prospettivismo con cui lo osserviamo (come quando guardiamo le stelle e "vediamo" l'orsa maggiore: questione di prospettiva terrestre e convenzione semantico-astronomica...).
Bè che lo sia un po' o un po' tanto mi sembra impossibile da stabilire, perché per stabilirlo dovremmo vedere come stanno le cose in sé, cosa che un po' o un po' tanto non possiamo fare. Ma la mia obiezione è che tu dicevi che non è vero l'arcobaleno, ma è vera la diffrazione, rilevo che si potrebbe dire anche l'opposto, ossia che l'arcobaleno è vero, mentre la diffrazione ne è solo una certa interpretazione che lo spiega in un certo modo. Cosa prevale come verità è determinato da un cotesto di possibile intendimento, estremamente complesso, che lo prestabilisce e in questo contesto entra anche la verità così prestabilita che poi lo farà mutare. La conoscenza non la intenderei più come un ponte che ci conduce al reale, quanto piuttosto come qualcosa che si muove parallelamente e insieme al reale mantenendone comunque la distanza, Il ponte (la convergenza)non c'è, quanto piuttosto un muoversi insieme con sincronia.
#413
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
11 Gennaio 2017, 19:54:36 PM
Mah... non sono un esperto di Induismo o di Buddismo e delle varie articolazioni di queste religioni e dubito che un Occidentale possa davvero comprenderne il pensiero che le regge, ma nella versione interpretativa di Alain Danielou sull'Induismo è proprio di annientamento come stato supremo che si parla. Annientamento che non è una fusione del Sé con un universo o una totalità che continua a essere, ma è annientamento del Sé e annientamento della intera totalità cosmica, Dei compresi. E' un reale stato di sonno profondo da cui ogni sogno è finalmente assente.
Non so se questo possa considerarsi nichilismo, nichilismo è un termine Occidentale, un modo di vedere e di sentire dell'Occidente, sempre venato da un esistenzialismo che credo sconosciuto in Oriente. Può essere comunque che Danielou, anche se ha vissuto molti anni in Oriente a studiare i testi sacri induisti ne sia influenzato. La coesione e quindi la fusione, lui dice, è data da Visnù che rappresenta il principio immanente, presente in ogni cosa, la disgregazione da Shiva che rappresenta sia l'aspetto distruttivo che la pace suprema della non esistenza cosmica ed è trascendente, Mentre Brahma è il principio dell'equilibrio che appare nella Totalità (Brahaman) come un movimento vorticante determinante quello spazio solo nel quale le cose possono esistere. Ma anche questi tre principi sono destinati a disgregarsi, anche Brahama con tutto il suo spazio vorticante creatore, dunque non resta proprio nulla. E questo è ben rappresentato dalla dea Kali (Potenza suprema e invincibile del Tempo), terrificante, ma allo stesso tempo vera portatrice della suprema gioia del totale annientamento finale.
Temo peraltro che anche i termini di Essere e Non Essere siano troppo legati a un modo di intenderli Occidentale.
Resta il fatto che sia in termini religiosi che filosofici c'è chi vuole rimanere a tutti i costi e c'è chi non vuole rimanere per nulla, nel senso più radicale del termine.
#414
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
10 Gennaio 2017, 11:34:14 AM
Ecco, la differenza fondamentale tra induismo e buddismo da un lato e Cristianesimo o le altre religioni del Libro credo stia proprio in questo annientamento totale che rappresenta per i primi la suprema gioia. L'annientamento totale coinvolge pure gli dei, anche Brahma (l'essere immenso in cui si realizza il creato e l'illusione), Visnù (la divinità immanente dell'aggregazione, presente in ogni forma esistente) e Shiva (la divinità trascendente della disgregazione) vengono infine annientati. E' qui esattamente l'opposto dell'idea cristiana di un'eternità in cui l'Essere supremo (inteso anche qui in senso trinitario) è eterno e conserva in eterno presso di Sè le anime meritevoli rendendole partecipi della Sua eternità in essere. Questo trattenersi in eterno delle anime individuali, per l'Induismo è al contrario l'essenza stessa della pena e del dolore.
E' interessante notare che ad esempio anche la reincarnazione, la trasmigrazione delle anime da una vita all'altra, per l'Occidente assume il significato positivo di un poter in qualche modo ripetere se stessi indefinitamente, mentre per l'Oriente è l'effetto di un karma negativo che potrà risolversi solamente nell'annientamento in cui solo può consistere la vera gioia. 
#415
Citazione di: sgiombo il 10 Gennaio 2017, 07:52:50 AM
Beh, questa non é logica, é una brillante boutade paradossale.

Letteralmente l' ultimo istante dura per chiunque un tempo infinitamente breve, anche per chi lo vive e non può constatarne la fine e il successivo non essere più reale, che comunque accade immediatamente.
Sarebbe eterno se durasse all' infinito senza cessare, cioè se fossimo congelati per sempre nell' istante della morte prolungantesi senza limite temporale (cosa che non accade), non per il fatto di non constatarne e ricordarne il dopo.
E' una boutade paradossale perché ognuno di noi vede la morte solo come morte dell'altro e di riflesso pensa, se io sono altro del mio altro anch'io morirò così e l'ultimo istante sarà, come ora io lo vedo negli altri che diventano cadaveri, sarà quindi uguale a tutti gli altri istanti, visto che c'è un dopo, il dopo del cadavere. Ma è logicamente ovvio che se dopo l'ultimo istante, per chi lo vive non c'è un suo essere cadavere (che c'è solo per gli altri) ma c'è il nulla, non può esserci allora nemmeno una fine di quell'ultimo istante, dato che il nulla che è quello che dovrebbe venir dopo non è appunto che nulla, quindi non è e in quell'ultimo istante io sarò quello che sono in eterno.

CitazioneInoltre la morte serena di tantissimi altri é ben documentata storicamente (io stesso ho assistito alla morte tranquillamente accettata di un mio collega anni fa e ne posso dare testimonianza).
Sì, ma sono sempre gli altri a raccontarla. Comunque se l'ultimo istante è, come dicevo prima, l'incontro effettivo ed eterno con se stessi, esso non potrà in ogni caso che essere eternamente gioioso per ciascuno.
#416
Citazione di: sgiombo il 09 Gennaio 2017, 18:45:32 PM
Astrarre caratteristiche generali da particolari casi concreti non significa proporre metafore: una metafora può essere la sostituzione di un singolo caso concreto a un' altro singolo caso concreto che presenta analogie (e magari dai due singoli casi  concreti è astraibile una caratteristica generale), mentre l' astrazione passa dai particolari concreti al generale ad essi comune.
Infatti non ho detto che astrarre significhi costruire metafore, ma che a partire dalle metafore che mostrano delle analogie tra casi concreti, è possibile "astrarre" quelle analogie. In altre parole dico che il pensiero astratto si basa sul pensiero metaforico, non che è il pensiero metaforico.

CitazioneQui al solito mi è impossibile comprendere (...non c' è metafora che tenga!) la tua solita pretesa, che trovo del tutto infondata e assurda, di attribuire "significati" alle "cose" o agli "oggetti" in generale, mentre le "cose", gli "oggetti" in generale unicamente esistono (se esistono; o accadono se si tratta di eventi), e solo ed unicamente quelle particolarissime "cose" od "oggetti" che sono i "simboli" (verbali o di altro genere) significano qualcosa, ovvero sono dotati di un significato (o più di uno): il Monte Cervino (quello reale, la montagna; non una sua riproduzione, la quale a seconda dei casi può significare ad esempio, una famosa marca svizzera di pastelli colorati, o qualche marca di cioccolato svizzero, o le Alpi svizzere in generale) è e basta; mentre un cerchio blu contornato di rosso e con una barra obliqua rossa posto sul ciglio di una strada o presso un passo carraio, oltre ad essere (esattamente come il Cervino) inoltre anche ha un significato: significa che lì è vietato far sostare veicoli.
Lo so, questa polemica è vecchia tra noi, ma magari un giorno riusciremo a capirci, chissà. Non c'è nessun "Monte Cervino" e nemmeno nessuna "montagna" se non nei significati che questi termini riflettono nell'ambito di una conoscenza solo umana. Per un albero che cresce sulla montagna, per uno stambecco che scende a balzi da essa, non c'è proprio nessuna montagna reale in oggetto, c'è solo nell'essere umano che interpreta il significato delle sue prassi, interpreta quello che vede e quello che fa e dice questa è una montagna e quest'altra una pianura. E non è che per questo un essere umano che vede come da fuori una montagna abbia più ragione dello stambecco che solo vive sulla montagna e la sente solo nel vivere. Certo che c'è qualcosa, questo qualcosa che accade noi la sogniamo come una montagna, lo stambecco la sogna (nel nostro sogno umano del sogno di uno stambecco), come un puro vivere accadendo; è il nostro vivere accadendo (ma non il suo) che produce sogni significanti montagne e significanti stambecchi, sogni che non possiamo scegliere nel loro significare, poiché noi stessi siamo in questi sogni, non sopra di essi a poter vedere come stanno le cose in realtà.   
Ed è per questo che nulla di definitivo potrà mai essere detto riguardo al mondo, al reale, perché pure essendo sempre in esso significa sempre altro, come in un eterno inseguimento il cui scopo è dire l'assolutamente indicibile, perché il dire stesso, nel momento in cui è detto, è già altro, ogni detto sfugge nel dirlo.
Ed è chiaro che questo è una pena per chi vorrebbe definire una volta per tutte come stanno le cose, mentre è una gioia per chi sente l'immensa potenza vitale di questo gioco che non finisce mai, il gioco della conoscenza di cui anche la nostra diatriba infinita, in un certo senso, fa parte.

#417
Tematiche Filosofiche / Re:Quell'Astrattista di Kant
09 Gennaio 2017, 23:02:24 PM
Citazione di: davintro il 09 Gennaio 2017, 16:17:07 PM
Sono il primo ad ammettere che ogni realtà complessa, non solo Dio, non sia riducibile a "somma delle parti", ma si costituisca olisticamente come un organismo fatto di un insieme di relazioni, rapporti logici che legano i singoli elementi (a questo punto continuare a parlare di "parti", di una ripartizione spaziale è fuorviante) tra loro. Comprendere le relazioni che legano un singolo elemento all'intero approfondisce la conoscenza della sua natura,
Approfondisce solo se tu intendi il singolo elemento come precedente alle relazioni, in realtà si può considerare ogni singolo elemento come prodotto dall'intero relazionale, nei diversi modi in cui queste relazioni si verificano (e in questo senso, l'elemento è parte, ossia uno degli infiniti modi possibili, della totalità relazionale)
Citazionetuttavia non si dovrebbe cadere nell'errore di dedurre dalla necessità di considerare le relazioni come necessario fattore costitutivo del reale l'idea che la visione globale di un fenomeno debba tradursi nell'indifferenziato, nella "notte in cui tutte le vacche sono nere" nella quale non è possibile cogliere le distizioni semantiche tra un singolo aspetto e un altro.
Ma nella realtà in sé è proprio così: tutte le vacche sono nere, anzi non appare proprio nessuna vacca e nessun colore. Le vacche con gli infiniti loro colori appaiono solo assumendo un punto di prospettiva, nella parzialità di questo punto di prospettiva. La frase che hai citato è di Hegel e non per niente, Hegel riteneva di aver raggiunto con la sua filosofia la prospettiva di ogni prospettiva, di aver compiuto il cammino filosofico. Ora. la filosofia hegeliana è certo un capolavoro, ma povero Hegel anche lui aveva preso un immenso abbaglio e non tutti i torti aveva Schopenhauer.
Le relazioni appaiono combinarsi in modo diverso in ogni ente, ma noi non abbiamo la visione della totalità relazionale di ogni ente e quindi non possiamo dire nulla con certezza su di esso, qualsiasi cosa la diciamo dal nostro punto di vista che istituisce con quell'ente delle relazioni. Ma figuriamoci addirittura se è possibile con quell'Ente supremo che è Dio!
Non possiamo, se non da un punto di vista particolare che è quello che assumiamo (o meglio, da cui veniamo assunti) stabilire oggettivamente i significati, i significati sono relazioni che coinvolgono soggetto e oggetto, sono il risultato del loro modo relazionale di porsi.
CitazioneNel caso di cui stavamo parlando, ciò a cui la ragione può arrivare, il riconoscimento dell'onniscienza di Dio e ciò che in virtù dei nostri limiti storici è precluso al nostro sapere, l'effettivo contenuto della mente divina, non si pongono come termini di una relazione causale, non è che l'effettivo contenuto della mente divina "causi" la sua onnipotenza, o viceversa(qua utilizzo il concetto di "causa" nel senso più comune, quello di causa efficiente).
La posizione dell'onniscienza divina è accettabile solo come tautologia. Ossia avendo assunto Dio come essere supremo, come già diceva il buon Anselmo d'Aosta in merito all'esistenza, Egli non può che essere onnisciente riguardo alla conoscenza. Ma questo non dice nulla in merito alla sua onniscienza (e men che meno sulla validità del presupposto assunto come fece poi notare Kant).  
CitazioneL'analisi logica, pur coi suoi limiti, resta cioè lo strumento valido di conoscenza indipendentemente dal carattere olistico,organico e globalistico dei  fenomeni
Ma no, l'analisi fenomenologica è fondamentale almeno quanto ogni pretesa metafisico ontologica. Da dove discende l'ontologia se non da una fenomenologia? Non puoi pensare che basti un'analisi solo formale, a meno che non si tratti di una pura tautologia che essendo sempre vera è del tutto indifferente a ciò che dice e quindi  qualsiasi cosa dica (qualunque sia il suo contenuto), se sintatticamente corretta, di per sé è sempre vera. Se Dio è fenomenologicamente irraggiungibile, a meno che non si tratti di una pura tautologia, la sua verità resta irraggiungibile e la sua onniscienza può essere solo arbitrariamente spiegata come formalità senza contenuto. Mappa e territorio viaggiano sempre insieme, come il segno e la cosa che esso indica, la verità del segno non può prescindere da quello che con quel segno, secondo una certa grammatica, si indica altrimenti non è verità, ma pura correttezza sintattica senza alcuna valenza semantica.
#418
Citazione di: sgiombo il 09 Gennaio 2017, 17:32:43 PM
L' ultimo istante non mi pare possa essere considerato eterno, ma casomai di durata infinitamente breve.
In generale non capisco questa frase (é ironica? E in che senso?).
In senso logico.
Visto dall'esterno (da chi non lo vive e vede morire un altro) l'ultimo istante dell'altro è breve quanto ogni altro istante, ma per chi lo vive, non essendoci altro istante dopo di esso (se è vero che non c'è nulla dopo di esso) per logica non può finire, dunque è eterno.

CitazioneComunque sia, come ci ha insegnato Epicuro e come molti, oltre a lui, di fatto hanno provato praticamente, si può ben accettare serenamente la morte senza bisogno di inventarsi un Dio che risorga e la sconfigga dandoci (illusoriamente!) una vita eterna.
Non lo so, solo Epicuro potrebbe saperlo cosa praticamente ha provato in punto di morte, purtroppo non possiamo più chiederglielo
#419
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
09 Gennaio 2017, 21:58:49 PM
Citazione di: Apeiron il 09 Gennaio 2017, 14:23:37 PM
Forse l'impulso "basico" che ci spinge più di ogni altro a ricercare le risposte esistenziali è quello di fuggire dalla morte. Non c'è davvero nessuna filosofia o religione "seria" che guarda positivamente alla morte e al cambiamento...
Non è propriamente così. Ad esempio tra le maggiori religioni vi è l'Induismo per il quale la potenza divorante e disgregante del tempo che agisce a livello cosmico è ciò che permette la liberazione dal sogno doloroso dell'esistenza e dal karma delle reincarnazioni per pervenire a quello stato di profonda beatitudine che è proprio del sonno profondo, dato dalla originaria imperturbata non esistenza. La Potenza del Tempo è la legge dell'esistenza ove tutto divora e viene divorato, è rappresentata da una dea di aspetto terribile, Kali, che danza su Shiva dormiente e la sua raffigurazione più paurosa è Tara, la Stella (Potenza della Fame e Notte della collera)  che danza calpestando un cadavere, ma esse sono terrificanti solo dal punto di vista del sogno dell'esistente che rimane attaccato al desiderio e quindi all'io. Paradossalmente, entrambe, nella loro danza terrificante, compiono, tra gli altri, il gesto che allontana la paura e sono venerate nel loro aspetto benefico che porta alla gioia suprema della non esistenza. Anche nel buddismo che nasce dall'induismo credo ci sia la stessa concezione liberatoria e gioiosa della non esistenza (e qui Sariputra potrà illuminarci in merito), è l'Occidente che resta dalle sue origini attaccato alla concezione centrale di un Io a cui la divinità onnipotente garantisce eterna esistenza personale.
In ambito filosofico, oltre alla posizione esistenzialista e piuttosto anomala di Cioran, nel '900 si è sviluppata una corrente di pensiero che, in termini ben più teoretici, pone l'assoluto nella potenza trasformativa di un continuo Divenire anziché nel permanere dell'Essere e nega qualsiasi realtà ontologica sia all'oggetto che al soggetto, tenendo solo la relazione in sé. E' una corrente che fa capo a Bergson, Whitehead, Simondon (di cui mi pare di ricordare abbiamo precedentemente parlato) e attualmente in Italia è rappresentata soprattutto da Rocco Ronchi (in questo video e nel successivo per chi volesse approfondire: https://www.youtube.com/watch?v=r1ZyZBT9mfM&t=2s)



#420
Citazione di: InVerno il 09 Gennaio 2017, 15:35:28 PM
Potrei fare una lista infinita di cose "finte" che nella loro complessità generano qualcosa di grado diverso
L'arcobaleno esiste davvero? No, è un gioco di rifrazione della luce, ma questo non toglie nulla alla sua esistenza e perdipiù da un punto di vista umano alla sua bellezza.
Ma i giochi di rifrazione della luce esistono davvero? o non sono che una traduzione/ricostruzione di significati in modo da stabilirne un'utilizzabilità condivisa e funzionale a prescindere da altri significati?