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Messaggi - Apeiron

#406
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
30 Gennaio 2018, 15:28:39 PM
PHIL
Le due realtà, convenzionale e "ultima" (che sarebbe poi "prima", sia onto-logicamente che crono-logicamente), sono due prospettive che comportano uno strabismo quasi schizofrenico (il rischio c'è  ), ma che, in fondo, secondo me, non si escludono necessariamente: pur avendo intuito la realtà ultima, posso attenermi alle regole del "gioco di società" che mi circonda, secondo il quale esistono cose, identità, valori, il mio "io", etc.
Non sono convinto che intravvedere la realtà ultima sia un punto di non ritorno, anzi... non scommetterei che una volta compresa la realtà ultima, il mio corpo debba sublimarsi in un raggio di luce o ascendere nel paradiso dei Budda    e anche le presunte verità assolute (non parlo da buddista!) risultano plausibilmente tali solo nella realtà convenzionale, poiché in quella "ultima" la categoria di verità o di contraddizione non potrebbero (im)porsi; il karma, i piani dell'esistenza, etc. fanno parte della narrazione convenzionale che invita ad orientarsi verso l'altra realtà, tuttavia costituiscono, sempre secondo me, l'ultimo bordo della zattera da lasciarsi alle spalle quando si tratta di scendere...

Per mediare fra le due realtà. si tratterebbe piuttosto di (re)installarsi nel "mondo" da cui si è partiti (vedi "parabola del bue"), seppur con una consapevolezza profondamente differente, che ci faccia tenere a mente che la convenzionalità per cui ci affaccendiamo, è una sovrastruttura artificiale che si erige a picco sulla realtà ultima (forse non c'è altra alternativa all'affaccendarsi... anche in un monastero avremmo faccende convenzionali da sbrigare, seppur con serafica serenità  ).

Risposta di APEIRON

Penso che almeno certi buddhisti Mahayana sarebbero d'accordo con te! E anzi su questo è nata la controversia tra i Mahayana e le altre scuole del "primo buddhismo", Theravada compreso. Nel Theravada una volta "raggiunto" il Risveglio, una volta che si è compresa la "verità ultima", non c'è più nient'altro da fare: il monaco continua la sua esistenza enll'imperturbabilità fino alla morte fisica. Alla morte cessano tutte le sensazioni ecc e "rimane" solo l'incondizioato, il nirvana (lo status del monaco risvegliato come forse avrai sentito è indescrivibile). L'idea è però che ottenere la verità ultima corrisponde alla cessazione. Già però prima dell'anno zero alcuni gruppo ritenevano che in realtà i monaci discepoli non avevano finito "il cammino", visto che, secondo loro, esso finisce con la "Buddhità". In sostanza questi monaci erano in disaccordo sul fatto che la cessazione fosse permanente - quasi che fosse un "reame" altro da quello nostro. E nacque l'idea del "nirvana non permanente": in questo "stato" è possibile ritornare nel samsara per aiutare gli esseri senzienti. Ergo l'idea che dici tu del fatto che nemmeno la verità ultima è definitiva ha un riflesso anche dal punto di vista - diciamo - esistenziale. Se niente è fisso, d'altronde, non c'è nemmeno il concetto di "irreversibilità" (ovviamente il "beato" che ritorna non è lo stesso di quello che è "partito", non è differente ecc). In fin dei conti N. (il nostro amico Nagarjuna) diceva che l'obbiettivo della dottrina della "vacuità" non era quello di creare una nuova visione delle cose, ma di liberare la mente da ogni visione delle cose. Da qui la famosa (e malcompresa) equazione samsara=nirvana. Ovviamente un Theravada che si rifà al buddhismo più "antico" tutto questo è problematico: alla morte fisica del "risvegliato" vi è la "fine". Se le ho sparate grosse sul "nirvana non eterno" ( apratisthita-nirvana) spero che il @Sari mi bacchetti a dovere. Comunque lo stesso N. dice chiaramente che "l'obbiettivo è liberarsi da ogni visione delle cose", quindi non mi sorprenderebbe se anche il suo testo va letto in quest'ottica (in fin dei conti a livello di verità ultima ci dice che non possiamo dire né che le cose nascono né che vengono distrutte né che non esistono né che non non-esistono né che sono permanenti ecc)

Per quanto mi riguarda concordo con te. Secondo me voler "scappare" dal mondo "convenzionale" ha senso fino ad un certo punto. La cosa da cui dobbiamo scappare sono le illusioni, i modi sbagliati di vivere ecc, non dobbiamo scappare dalla vita. In sostanza non dobbiamo "essere schiavi" delle convenzioni ma dobbiamo vederle per quello che sono, strumenti per noi. Ma dimenticare le convenzioni secondo me porta fuori strada. Su questo direi che sono d'accordo. Ma come forse hai capito, secondo me le concettualizzazioni sono più di convenzioni  ;)



Il problema che ho con i relativismi "occidentali" è che in realtà rimuovendo le gerarchie delle convenzioni finiscono per andare dritti nel nichilismo. Ma i "relativisti", gli scettici del mondo antico (Pirrone, N. ecc) erano ben consapevoli dell'importanza delle gerarchie e infatti non a caso molto spesso erano anche molto "moralisti" (nel senso che avevano un fortissimo codice etico). Di certo per quanto convenzionale fosse la morale, questi filosofi seguivano codici rigidissimi, ben diversi dalla "vita aldilà del bene e del male" di Nietzsche &co. Purtroppo questo è un punto che vedo poco sottolineato quando si fanno confronti tra il "postomodernismo", Nietzsche ecc da una parte e Pirrone, N. & co dall'altra. C'è una differenza sottile ma cruciale e per la sua sottigliezza a maggior ragione deve essere rimarcata con molta enfasi ;)
#407
Tematiche Spirituali / Re:L'enigma del cristianesimo.
30 Gennaio 2018, 12:09:26 PM
@Angelo,

chiaramente sono perplesso anche io su come viene interpretata la Bibbia. Però secondo me ha anche senso far notare che il "Dio geloso che punisce" non è l'interpretazione sostenuta dalla Chiesa Cattolica. Personalmente conosco persone che hanno le capacità di argomentare a favore dell'interpretazione per cui "Dio può solo amare", ma come ho detto io non ho la capacità di farlo. E tra di loro trovo molta serietà, comunque. Per esempio lo stesso episodio del sacrificio di Isacco ha molte sottigliezze che spesso vengono "perse nella traduzione". Lo stesso vale per i Vangeli e le lettere paoline. Ovviamente ci sono alcuni passi biblici molto più difficili da "conciliare" con questa interpretazione "post-concilio" ma ti garantisco che chi la difende è molto serio e credo che saprebbe anche argomentare sui passi che hai citato. Ripeto, io non so farlo ma ciò non significa granché visto che non sono né un sacerdote né un teologo. E poi non sono d'accordo con la tua "tendenza" a voler leggere il testo senza il condizionamento della tradizione: si rischia di farsi un'interpretazione troppo "privata". Secondo me sentire anche le opinioni di chi vive seriamente nella tradizione cattolica* è giusto anche perchè altrimenti si rischia di male interpretare ogni cosa che viene da quella tradizione ecc  

Segnalo per esempio il sito della "Facoltà Teologica del Triveneto" http://www.fttr.it/ se uno volesse chiedere cose "tecniche" sull'interpretazione della Bibbia che chieda a loro (o a persone che sono legate ad "enti" simili) ;)

*e come hai sottolineato anche te più volte il cattolicesimo dà molta importanza agli studi teologici. Ergo se uno vuole informarsi su come vive la tradizione cattolica e come vive i vari "enigmi" credo che sia giusto anche parlarne con chi ha studiato e crede (ritengo importante anche sentire l'opinione di chi crede, perché chi crede può dare anche un'opinione esperienziale e non solo argomentazioni. Ovvero su come vive l'enigma segnalato da Socrate78). Questa è l'unica cosa che volevo dire nel post, poi ovviamente uno può fare quello che vuole, ci mancherebbe.
#408
Tematiche Spirituali / Re:IO
30 Gennaio 2018, 11:56:31 AM
Citazione di: bluemax il 30 Gennaio 2018, 09:11:46 AMnon so come ringraziarvi... :) in poche righe siete riusciti entrambi a farmi capire (ora devo comprendere) concetti che prima avevo semplicemente assaggiato... :) grazie infinite :) voglio siate i miei maestri... ho molto da imparare ancora e voi siete avanti nel sentiero senza dubbio... grazie ancora :)

Beh Grazie mille  :)  però credo che mi sopravvaluti  ;D ti spiego il motivo...

Per quanto riguarda la pratica, in realtà più o meno sono ai tuoi livelli e devo dire che quanto dice il Sari è vero: purtroppo con tutta la "fretta" non si trova mai il tempo. Purtroppo il tempo "di relax" (ovvero il tempo in cui non si lavora) è poco e praticare seriamente richiede tempo: ergo per chi come noi vuole ritagliarsi un po' di tempo per la pratica meditativa... preferisco lasciar concludere al lettore  ;D

Per quanto riguarda i dubbi... beh ecco. Ti dico solamente che il buddhismo mi affascina molto (sia a livello teorico che a livello pratico/esistenziale/esperienziale) ma non posso definirmi buddhista, anche se effettivamente credo che sia la religione che conosco di più. Quello che posso dirti però è che è normalissimo avere dubbi anche se si sceglie di affidarsi al Buddha. Per esempio sul discorso di  come interpretare la "vacuità", il "Nirvana", il rapporto tra "verità convenzionale" e "verità ultima" ecc ci sono un sacco di opinioni diverse anche nella stessa scuola (anche se chiaramente su moltissimi punti non c'è alcun disaccordo...). Vista la quantità di opinioni secondo me il dubbio è anche giusto. Per quanto mi riguarda però ci sono dubbi molto "fondamentali", nel senso che anche sulle cose dove c'è accordo tra le varie scuole io personalmente ho dubbi. Ma ciò non toglie che il buddhismo mi affascina molto e che trovo in esso ispirazione. E non solo: posso trovare giovamento dalle tecniche meditative anche se non sono buddhista (e questo è uno dei motivi per cui il buddhismo si sta espandendo a differenza di altre religioni).

Detto ciò: sono contento che la mia interpretazione/spiegazione ti sia stata utile e certamente sono contento anche di "dirti la mia" su questioni che solleverai in futuro. Ti consiglio però di prenderle con le pinze, visto che sono un "dilettante" ;D (sul Sari il discorso è diverso, lui è un maestro anche per me - in fin dei conti moltissime cose le ho imparate da lui  ;) )

Citazione di: Sariputra il 30 Gennaio 2018, 00:51:40 AMcit.Apeiron Volevo solo sottolineare come il buddhismo stesso oltre ad essere una dottrina che ha come obbiettivo quello della cessazione del meccanismo di identificazione/possesso è anche una dottrina che dà in realtà molta importanza all'io - non a caso nel caso dei praticanti laici, come ha sottolineato Sariputra nel topic sul buddhismo nell'altra sezione, la pratica è incentrata sul "kamma" e non sulla "vacuità". Noi in occidente partiamo con uno studio filosofico e vediamo prima la "vacuità". Però è giusto ricordarsi che in Oriente l'approccio è il contrario del nostro e ci sarà un motivo Il Buddha in fin dei conti ha sottolineato entrambi gli aspetti, in fin dei conti. E lo ha fatto in modo da evitare gli estremi. Come ho detto altrove lo considero davvero un genio, anche dal punto di vista pedagogico. In fin dei conti non ha mai dichiarato che "non esiste l'io" Infatti 'esiste', solo che la sua è un'esistenza vuota di essenza intrinseca ( come ogni aggregato...). Tornando sul discorso dell'importanza dell'azione (karma) mi viene spesso in mente la famosa allocuzione attribuita tradizionalmente al Buddha (recito a memoria...): "Ecco la virtù, ecco la meditazione, ecco la saggezza. La saggezza sviluppata sulla meditazione è di grande profitto, di grande beneficio. La meditazione sviluppata sulla virtù è di grande profitto, di grande beneficio. Ecc..." Alla base dell'edificio della pratica buddhista ci sta quindi Sila , che viene tradotto con virtù/moralità. La mancanza di questa inficia l'intero progresso sul Sentiero tracciato da Siddhartha ed è uno dei problemi principali , insieme alla fretta di ottenere risultati 'spettacolari', del Buddhismo attuale, soprattutto in Occidente. Una delle cose che si notano, per es. nei monasteri zen americani è proprio la pochissima enfasi data all'importanza basilare di sila. Sembra quasi che l'unica cosa importante sia la meditazione. Ma una meditazione non può mai sostenersi basandosi su un'attività karmica nociva. Così i praticanti, dopo una bella seduta di zazen, se ne vanno a letto tranquillamente tra loro, "Il bene e il male sono vuoti di esistenza intrinseca" recitano, "andiamo ad accoppiarci..." ;D Un cibo, per quanto buono, se è mal masticato...non viene digerito e provoca dolore allo stomaco! (E qui @Apeiron ha perfettamente ragione nel ripeterci e sostenere con forza che la "vacuità", se mal compresa e digerita, ti porta dritto spedito al nichilismo pratico...non si parte MAI dalla vacuità. In questo la lezione del Theravada moderno è basilare. hanno riportato un pò di saggezza in una pratica che rischiava d'intellettualizzarsi, costruita su una casa senza fondamenta...e Sila è fondamento solido, affidabile...non si può abbracciare il Dhamma buddhista perché si è stufi e ci sentiamo oppressi dall'insegnamento morale di una Chiesa o della società, come sento spesso dire tra i praticanti buddhisti occidentali... :( ). Sila non a caso è la "prima tipologia di perfezionamento" dell'Ottuplice Sentiero e cioè: Retta Parola, Retta azione e Retti mezzi di sussistenza."Purezza" va intesa alla buddhista, cioè come uno stato mentale basato sul non-nuocere, su metta e karuna...

Già, Sari, ben detto! Questo è un problema di molte tradizioni dell'Oriente, specie quelle che parlano della "trascendenza" o della "non-dualità".  A differenza di Nietzsche, il buddhismo non dice che dobbiamo vivere "fin da ora" "aldilà del bene e del male". Il buddhismo parte proprio dal kamma - dalla "purificazione" della volontà. In sostanza prima si abbraccia il "bene" e poi si trascende. Molti occidentali (perfino rispettabili studiosi) sono convinte che invece si possa "trascendere da subito", specialmente quando leggono espressioni come "non c'è distinzione tra Samsara e Nirvana". Purtroppo oltre a praticare il nichilismo loro stessi finiscono per fare una "pubblicità" poco buona per il buddhismo stesso! Anzi spesso tra i buddhisti "seri" ho letto che proprio quel tipo di "motivazione" di cui parli (ovvero quella di "liberarsi della morale della Chiesa e della società") per loro è completamente assurda (e anzi spesso criticano il mondo occidentale proprio per il suo "a-moralismo" più di ogni altra cosa).

Detto questo concordo ovviamente con te che per il buddhismo l'"io-empirico" è insostanziale, però secondo me c'è la tendenza a enfatizzarlo troppo. In fin dei conti se uno si convince che "l'io non esiste" e poi legge "io sono l'erede del kamma" rimane confuso. Secondo me è bene far notare entrambi i punti di vista - cosa che non viene fatta nei testi filosofici sul buddhismo. E poi rimanere confusi è normalissimo, visto che il Dhamma è "profondo, trascende la razionalità" ecc. Ah e chiaramente molti di coloro che si interessano del Dhamma solo per "liberarsi dalla morale" mettono in secondo piano la dottrina delle rinascite e del kamma. In fin dei conti il Buddha oltre a dire "esiste la sofferenza e la sua cessazione" dice anche:

"visto che in realtà c'è un altro mondo, chiunque dice che non c'è un altro mondo ha una visione delle cose erronea". (Majjhima Nikaya)

Per esempio Batchelor (mi pare) dice che il Buddha nemmeno credeva nelle rinascite. Trovo queste "interpretazioni" completamente errate oltre che inutili. In fin dei conti se già non credo alle rinascite cosa mi interessa dimostrare che il Buddha non ci credeva?  ;D Dire semplicemente che si è sbagliato, no?

Personalmente sulla questione delle rinascite sono molto scettico. Ciononostante trovo l'insegnamento sul kamma e sulle rinascite molto interessante e molto utile.

Mi chiedo se molti buddhisti in occidente però sarebbero tali se si partisse dal kamma e da sila (l'etica). Ma in fin dei conti il "buddhismo" autentico è quello  ;)
#409
Tematiche Spirituali / Re:IO
29 Gennaio 2018, 23:28:36 PM
@bluemax,

secondo me non devi confondere il buddhismo con le neuroscienze anche se ci sono somiglianze (ci sono anche somiglianze con le opinioni di Wittgenstein e Hume sull'io ma la filosofia è molto diversa). All'inizio della pratica non ci si deve concentrare sul fatto che "l'io è una illusione". No, anzi si deve inizialmente sviluppare un "saldo io", un "io" calmo, sicuro, concentrato, coraggioso, compassionevole ecc. All'inizio bisogna quindi concentrarsi sul miglioramento "morale", ovvero ammaestrare la propria mente: in questa fase dare troppa importanza alla dottrina della "vacuità" secondo me è controproducente, perchè suggerisce il nichilismo. Invece all'inizio bisogna essere consapevoli del proprio io, infatti troviamo il Buddha, famoso "rinnegatore" dell'io, dire cose tipo:
"Sono padrone del mio kamma, erede del mio kamma, nato dal mio kamma, legato al mio kamma, sostenuto dal mio kamma. Qualunque azione, qualunque kamma io compia, buono o cattivo, di esso diverrò l'erede."
" "Quindi, ciò che è impermanente è doloroso, soggetto al cambiamento, allora si può dire: "Ciò è mio, io sono così, questo è il mio Sé?""
Questi insegnamenti non mirano a portare fuori strada, semplicemente mirano a "preparare la mente". Di certo non è molto utile pensare che la mente (o l'io) sia illusorio: d'altronde chi è l'erede, chi è nato, chi è sostenuto, chi è responsabile delle proprie azioni, chi sceglie il bene o il male? Solo dopo aver sviluppato un saldo "io-empirico" si può "cercare di mettere in pratica" l'insegnamento "profondo". E quale sarebbe?

" Allora, Bahiya, dovrai esercitarti così: In ciò che è visto ci sia solo ciò che è visto. In ciò che è sentito ci sia solo ciò che è sentito. In ciò che è percepito ci sia solo ciò che è percepito. In ciò che è conosciuto ci sia solo ciò che è conosciuto. Così devi esercitarti. Quando per te ci sarà solo ciò che è visto in ciò che è visto, solo ciò che è sentito in ciò che è sentito, solo ciò che è percepito in ciò che è percepito, solo ciò che è conosciuto in ciò che è conosciuto, allora, Bahiya, non sarai più in relazione con quello. Quando non sarai più in relazione con quello, non sarai più in quello. Quando non sarai in quello, tu non sarai né qui né al di là, né in entrambi o fra loro due. Proprio così è la fine della sofferenza."https://www.canonepali.net/2015/06/udana-1-10-bahiya-sutta-bahiya/
Ecco cosa è l'io! L'io è l'attività con cui cerchiamo di controllare le cose, le nostre aspettative, le nostre preferenze e così via. Ok, vedila così: l'ossessione dell'io, del definire l'io da ciò che "non è io", è l'ossessione del controllo. Vogliamo controllare - ma la realtà è incontrollabile e quindi soffriamo, ci disperiamo e così via. In sostanza cerchiamo di "trattenere" qualcosa, ma il "trattenuto" è evanescente, incontrollabile e l'attività di trattenere diventa dolorosa. Dunque se abbiamo però capito che questa ossessione di controllo non risolve nulla, cosa facciamo? dobbiamo dire che rimane il Nulla? Beh https://www.canonepali.net/2015/05/sn-12-64-atthi-raga-sutta-dove-ce-avidita/:
""Così se ci fosse una casa con un tetto o una sala con un tetto che abbia finestre a nord, a sud o ad est. Quando il sole sorge, ed un raggio entra dalla finestra, dove si stabilisce? "
"Sul muro di ponente, signore."
"E se non c'è muro di ponente, dove si stabilisce? "
"Sul pavimento, signore."
"E se non c'è pavimento, dove si stabilisce? "
"Sull'acqua, signore."
"E se non c'è acqua, dove si stabilisce? "
"Non si stabilisce, signore."
"Allo stesso modo, dove non c'è desiderio per il nutrimento di cibo fisico, dove non c'è piacere, nessuna brama, allora la coscienza non si stabilisce e non cresce. Dove la coscienza non si stabilisce, il nome e la forma non si sviluppano. Dove il nome e la forma non si sviluppano, non c'è nessuna crescita delle predisposizioni karmiche. Dove non c'è crescita delle predisposizioni karmiche, non si genera il divenire per una nuova rinascita. Dove non si genera il divenire per una nuova rinascita, non c'è nascita , vecchiaia e morte. Quindi, vi dico, nessun dolore, afflizione o disperazione.""
L'analogia è chiara. L'attività di trattenere è qui paragonata a quando la luce si "stabilisce" su una superficie. In sostanza continuiamo a cercare di stabilirci su "qualcosa", ma questo qualcosa è instabile, non è fisso. Se però non ci sono superfici in cui la luce si può stabilire... beh ecco il raggio non si stabilisce più, è libero, senza confini, senza distinzioni ecc. Non è più "imprigionato" da una identità che cercava di definirlo. In sostanza la mente ora è libera, non è più stabilita da nessuna parte, ha "trasceso" ogni identità e quindi "è priva di sé" (vorrei far notare che Buddha non dice "non esiste l'io" - se lo dicesse in fin dei conti come si spiegano le espressioni sul kamma? - ma dice "questo non è l'io, quello non è l'io"). Il Tathagatha diventa quindi "profonda, incommensurabile, oltre i limiti della ragione, come il mare". Quindi il Buddha non voleva "annientare" l'io, voleva bloccare il meccanismo di "identificazione/possesso" che ci limita e ci definisce - l'obbiettivo era trascendere le definizioni e i limiti, svincolarsi. Essere liberi come il raggio di luce che vaga per lo spazio senza "stabilirsi".
Sinceramente questa continua enfasi dell'inesistenza dell'io secondo me è controproducente, dà l'immagine di un insegnamento ben diverso da quello che è.

La difficoltà però non è tanto capire intellettualmente ma mettere in pratica, ad iniziare proprio dall'esercizio per migliorare il "kamma", dove tra l'altro l'io è importantissimo. E farlo con le deadlines e la frenesia di questi tempi ahimé è già difficile, se poi ci convinciamo di non esistere, beh allora è impossibile.

Dici anche:  "[l'io] che proietta se stesso in ogni cosa con cui viene a contatto creando BENE e MALE (attaccamento e repulsione) e che ha paura di morire e quindi si crea un Dio per sopravvivere..."
Ecco appunto, questo è ciò che bisogna evitare. In primo luogo la motivazione di praticare e di "purificare" la mente giunge proprio dalla pratica del migliormanento dell'"io-empirico" e del kamma: bene e male non sono semplici concetti, sono realtà (ovviamente si dovrebbe scegliere il Bene). In secondo luogo una volta che la virtù è salda, allora si è più pronti a praticare con più energia e motivazione - di certo se si parte con l'idea di non esistere o con una sorta di "autocondanna" in cui condanniamo tout court noi stessi per le nostre illusioni, beh secondo me non si va avanti. In terzo luogo non credo che la mente si crea un Dio solo per sopravvivere - credo che ce ne siano altre molto meno "ego-centriche" come: cercare di distinguere il bene dal male, contemplare l'infinito, l'assoluto (che nel buddhismo si traduce nel Nirvana) ma soprattutto dare un significato alla vita.

Quindi il consiglio che ti darei è quello di smettere per un po' di cercare di capire cosa è l'io per il buddhismo ;) (ovviamente sono il primo a non seguire il mio consiglio ;D ) concentrati principalmente invece sul fatto che devi "sviluppare" un "buon io empirico". Te lo dico perchè pensare troppo all'inesistenza a livello ultimo dell'io mi ha fatto perdere la voglia di meditare, di praticare la virtù. Adesso sto provando a riprendermi, però so benissimo che non è facile. E se quando manca l'energia ci convinciamo di non esistere, purtroppo il "ragazzo" di cui parla il Sari diventa ancora più indisciplinato! ;)

P.S.  Volevo solo sottolineare come il buddhismo stesso oltre ad essere una dottrina che ha come obbiettivo quello della cessazione del meccanismo di identificazione/possesso è anche una dottrina che dà in realtà molta importanza all'io - non a caso nel caso dei praticanti laici, come ha sottolineato Sariputra nel topic sul buddhismo nell'altra sezione, la pratica è incentrata sul "kamma" e non sulla "vacuità". Noi in occidente partiamo con uno studio filosofico e vediamo prima la "vacuità". Però è giusto ricordarsi che in Oriente l'approccio è il contrario del nostro e ci sarà un motivo ;) Il Buddha in fin dei conti ha sottolineato entrambi gli aspetti, in fin dei conti. E lo ha fatto in modo da evitare gli estremi. Come ho detto altrove lo considero davvero un genio, anche dal punto di vista pedagogico. In fin dei conti non ha mai dichiarato che "non esiste l'io" ;)

Spero che la mia risposta ti sia stata utile ;)
#410
@epicurus,

grazie del chiarimento. Comunque secondo me il problema è proprio logico: dopotutto se riuscissi a mandare un segnale all'indietro nel tempo creerei un'inconsistenza nella storia. Secondo me è sufficiente questo per dire che logicamente questo scenario non ha senso.

Il punto è che un segnale all'indietro nel tempo causerebbe un'inconsistenza nella catena causale, ergo direi che semplicemente si risolve così il problema, ammettendo che non è possibile nemmeno dal punto di vista logico  ;)
#411
Citazione di: epicurus il 29 Gennaio 2018, 11:51:29 AM@Viador, Iano Che lo spaziotempo sia relativo è ormai un dato di fatto... E, ritornando sulla questione dei viaggi del tempo, Iano, la domanda ha senso. Ha senso nella misura nella quale io mi chiedo se oggi, 29 gennaio 2018, posso andare a fare un salto nell'Antica Roma. Se sia vero o falso è una questione, ma per quanto sensatezza mi pare sensata.

No, non è un dato di fatto secondo l'"ufficiale" teoria sullo spazio-tempo della fisica, ovvero la Relatività Generale (RG). Le misure degli intervalli spazi-temporali è uguale per ogni sistema di riferimento, quindi lo spazio-tempo secondo la RG è assoluto nella stessa misura in cui lo erano lo spazio e il tempo secondo Newton. Oggi però ci sono teorie della gravità quantistica che mettono in discussione la validità della RG dove vale la meccanica quantistica, ma è un altro discorso (per esempio la teoria di Rovelli, Loop Quantum Gravity, tratta effettivamente lo spazio-tempo come quantizzato, instabile ecc)

Rigaurdo alla sensatezza del ritornare indietro nel tempo, dipende. Nella RG ci sono le curve temporali chiuse (CCC) di Goedel, scoperte nel 1949 (scoperta "teorica", nel senso che Goedel ha scoperto che la RG permette tali traiettorie nello spazio-tempo). In questo caso però il viaggio nel tempo sarebbe ciclico, ovvero: tu prendi la macchina del tempo, torni a Roma, muori nell'Impero Romano (per esempio), nasci dimenticandoti di aver fatto il viaggio, cresci, fai il viaggio, torni a Roma, muori ecc.Ad ogni iterazione la memoria però è cancellata, quindi la storia si ripete sempre uguale a sé stessa. Si dà il caso che questa è semplicemente una proprietà del formalismo matematico. Ad ogni modo in questo caso la storia sarebbe ciclica. Il paradosso del nonno per il quale se torno indietro nel tempo e faccio in modo che mio nonno e mia nonna non si conoscano (ciò ovviamente fa in modo che io non nasco) è senza senso fisico proprio perchè non è ciclico. In sostanza nel mio stesso riferimento non avrei più un rapporto causale tra gli eventi coerente (dopotutto io esisto grazie al fatto che i miei nonni si sono cosciuti, ma io sono anche la causa del fatto che non si conoscono) - vorrei far notare la differenza col caso delle CCC, dove invece la storia diventa ciclica (in tal caso anche se torno indietro nel tempo non posso fare in modo che i miei nonni non si conoscono, altrimenti la storia non è più ciclica ecc)

Ma c'è di più.

Se il viaggio nel tempo fosse possibile allora per te l'Antica Roma sarebbe nel futuro. Per altri riferimenti invece l'Antica Roma sarebbe il passato. In sostanza se si ammette la possibilità dei viaggi nel tempo dobbiamo rinunciare alla causalità relativistica*(è un po' più complesso il concetto visto che ogni "riferimento" ha il suo cono-luce. In realtà è un po' complesso da spiegare, se volete cerco di farlo, ma ci vuole tempo...). Ma in ogni caso se si ammettono i viaggi nel tempo si deve ammettere la retrocausalità, ovvero che il futuro influenza il passato (l'interpretazione transazionale della Meccanica Quantistica va in questa direzione ma pochi sono inclini ad accettarla). L'eventuale scoperta di tachioni - o più precisamente se si scopre che la trasmissione dell'informazione può avvenire a velocità maggiori della velocità della luce - ovviamente confermerebbe la retrocausalità.


*vedi per esempio: https://en.wikipedia.org/wiki/Causality_(physics), https://en.wikipedia.org/wiki/Light_cone, https://en.wikipedia.org/wiki/Retrocausality

Per quanto mi riguarda, il verso del tempo è dato dal verso della causalità, che ritengo uguale per ogni riferimento. Ergo per me non esiste la retrocausalità e i viaggi nel tempo sono impossibili. L'unico modo per ammetterli è rinunciare alla causalità ma questo ha spiacevoli conseguenze, molte più di quanto ingenuamente si può pensare ;)
#412
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
29 Gennaio 2018, 12:37:15 PM
PHIL
Direi che è tuttavia una mappa in cui non sono tracciate frontiere (che separano le identità), senza nomi di città, mari o monti (che identificano), senza nemmeno le linee delle coordinate topografiche (che sono una meta-mappa arbitraria, assente nel territorio tangibile).
A questo punto, più che una mappa, otteniamo un ritratto, una foto in scala, che magari non ci dice molto, proprio perché in fondo nemmeno la realtà ci dice molto spontaneamente, siamo piuttosto noi a farla "parlare" dal nostro ventre (scienziati e filosofi sono ventriloqui! ), estorcendole informazioni basate sulle identità che noi stessi circoscriviamo convenzionalmente.
Intendiamoci: ciò è estremamente utile, ormai inevitabile, ci serve a muoverci nel mondo, a impostare il gioco della vita razionalizzata in società (anche se talvolta significa fantasticare su un'ontologia che possa guidarci oltre l'orizzonte umano, fino all'agognata cosa-in-sè).

Risposta di APEIRON
Sì concordo che in ultima analisi la "vacuità della vacuità" costringe ad abbandonare tutte le mappe e quindi di fatto non è una mappa. In genere tale espressione secondo me ha due significati, non necessariamente distinti. Primo: la vacuità non è una "realtà effettiva", così come l'assenza di rinoceronti non è una "cosa". L'altro significato è che come ben fai notare tu ogni mappa è un "ventriloquio", ergo per liberarsi dalla nostra prospettiva bisogna "liberarsi" da tutte le mappe, vacuità/genesi dipendente/relativismo ontologico compreso. Quello che rimane è l'esperienza diretta, aldilà di ogni costruzione concettuale.

 PHIL
La presunta realtà può essere concettualizzata (e infatti lo è), ma farlo significa imporre una sovrastruttura alla realtà, un filtro razionalizzato che, in un certo senso, adombrandola tramite identità arbitrarie, ce la rende più oscura...
Se non c'è "qualcosa" (no-thingness), allora non c'è identità; se non c'è identità, non c'è opinione; se non c'è opinione, non c'è migliore/peggiore; se non c'è migliore/peggiore, resta solo una realtà che non è "qualcosa" 

Risposta di APEIRON
A livello ultimo Nagarjuna probabilmente concorderebbe con te. Ma ti direbbe che esistono, per esempio, il karma e il ciclo delle rinascite ecc. Come riuscire a concilirare queste due cose? In fin dei conti la scuola madhyamaka dice esplicitamente che il "soggetto" è un costrutto che imponiamo sulla realtà. Come superare l'empasse? Ecco, questo è una delle cose che non convince del buddhismo, specie madhyamaka. L'unica possibilità che rimane è riconoscere che "qui e ora" siamo "convinti" che le "cose" esistano. La "mappa migliore" è quella che porta alla "liberazione" da tale convinzione. Il problema è che, chiaramente, come ben fai notare non c'è né identitòà, non c'è opionione, non c'è "peggiore/migliore" a livello ultimo. A livello "convenzionale" sì, però. E per tutti gli esseri "non risvegliati" la vita "di fatto" è nella "realtà convenzionale", non ultima: ovvero per noi esistono "cose". La migliore "mappa" però è quella che, come una zattera, ci porta al realizzare la vacuità. Una volta realizzata la "no-thingness" si è trascesa la realtà convenzionale e quindi solo a questo punto si può abbandonare la distinzione tra "migliore e peggiore". Il problema della filosofia di Nietzsche è che vuole saltare dalla zattera prima del raggiungimento effettivo dell'altra sponda e questa importantissima distinzione distingue Nagarjuna e i buddhisti madhyamaka dai nichilisti, secondo me. Non a caso i buddhisti credono nell'efficacia della moralità, nel karma ecc. Nietzsche (e altri "relativisti") no. (Inoltre il karma vale allo stesso modo per tutti i soggetti, ergo è una verità universale ma non assoluta (o "ultima")).

PHIL
Eppure, per dire che nessun modello afferra la realtà così com'è, dovremmo poter (ri)conoscere la realtà così com'è (o almeno fondare la sua possibilità): per dire che nessuno ha dato la risposta giusta, dovrei prima sapere qual'è, o almeno se c'è... la fisica newtoniana è stata la riposta giusta per molto tempo e, nella banale vita quotidiana, lo è ancora.
Uscendo dal quotidiano, per me, c'è invece una saggezza "gustosamente insipida" nel pensare che una non-mappa, sotto sotto, è la mappa migliore 

Risposta di APEIRON
Se per te una non-mappa è la migliore mappa (o più precisamente: è migliore anche della mappa migliore  :)  paradossale, no? Ma a noi i paradossi piacciono) allora direi che la tua "visione delle cose" è simile a quella del buddhismo madhyamaka. Ma qui c'è l'inghippo: questi filosofi indiani sono certamente convinti dell'esistenza di verità universali (genesi dipendente, karma, rinascite, bene/male ecc) che valgono per tutti i soggetti. Ma ironicamente a livello ultimo questi soggetti non ci sono (anatman, non-sé), quindi a livello ultimo le verità universali in realtà sono una sorta di "velo illusorio" da "oltrepassare". Ovvero: per i soggetti, per gli "esseri senzienti" ci sono verità universali. Ma è anche vero che a livello ultimo vige l'anatman secondo questa visione delle cose!

Personalmente la ritengo una filosofia molto affascinante, ma non  mi convince completamente. Paradossalmente ero più convinto del fatto che il mio "io" fosse un "epifenomemo" prima di studiare le filosofie buddhiste, advaita vedanta ecc una volta studiate seriamente però mi sono reso conto invece di quanto è "paradossale" che il mio "io" non sia sostanziale. Paradossalmente si può dire che lo studio del buddhismo mi ha fatto ri-scoprire l'io. Paradossale, no? Eppure a me i paradossi affascinano ecc
#413
Tematiche Spirituali / Re:L'enigma del cristianesimo.
29 Gennaio 2018, 12:11:27 PM
Citazione di: altamarea il 29 Gennaio 2018, 11:06:58 AMApeiron nel post 18 ha fra l'altro scritto:
Citazionemi è stato anche detto che Dio vuole sempre il bene per le creature, ergo attribuire a Dio il piano che contempla il male mi sembra completamente errato dal punto di vista teologico"
Errato dal punto di vista teologico ma anche logico. Eppure la mentalità semitica per evitare di introdurre il dualismo di fronte al bene e al male, cioè l'esistenza di due divinità, l'una buona e l'altra malvagia, cerca di porre tutto sotto il controllo dell'unico Dio, bene e male, grazia e tentazione. Dal profeta Isaia sappiamo che da Dio deriva anche il male e non da Satana. In Isaia il Signore non esita a dichiarare: "Sono io che formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e causo il male: io, il Signore, compio tutto questo !" (45, 7). Nei testi cosiddetti testi sacri", in particolare ebraici, ci sono tante contraddizioni che dovrebbero indurre le menti razionali all'ateismo, ma purtroppo l'umanità ha bisogno del trascendente per invocare grazie e rifugio nell'Eden anche dopo la morte. Non accetta la propria finitudine.

Giusta osservazione! Sinceramente non so come vengano interpretati certi passi biblici, sarebbe da chiederlo ai diretti interessati. Sinceramente non sono un esperto di analisi "storico-critica".

Forse l'interpretazione che darebbero (ma questa è solo una mia opinione, eh) è che il significato di tale affermazione è che Dio permette il male. Da quanto mi è stato riferito per esempio l'idea è che Dio, ad esempio, non punisce i peccatori ma sono i peccatori ad auto-punirsi (anche se la Bibbia dice letteralmente che Dio punisce...). Ergo forse anche in questo caso l'idea è che Dio dia la possibilità di fare il male. Quindi in questa ottica Dio non è la causa del male, però lo permette e la punizione è una conseguenza del peccato e non una vera e propria "punizione"...

Uno dei motivi per cui ho difficoltà ad abbracciare fino in fondo il cristianesimo (altri mettono queste incoerenze in secondo piano e passano oltre...) sono queste incoerenze nel testo e la difficoltà a conciliare l'interpretazione con la lettera. Ma è anche vero che a volte l'incoerenza è solo apparente.

La Bhagavad Gita, per esempio, è ambientata su un terreno di guerra. Nonostante questo Gandhi ha fondato la sua visione della non-violenza proprio su questo testo. C'è da chiedersi poi se in genere le traduzione non siano esse stesse dei commentari. E talvolta una traduzione letterale è la più sbagliata di tutte (sarei curioso di vedere se le traduzioni dei testi Pali, sanscriti, cinesi ecc sono letterali o meno). Quindi non è detto che interpretazioni che appaiono ben lontane dalla lettera siano errate.

P.S. concordo col Sari, comunque.

P.S. Ad ogni modo se vi interessa sapere come i cattolici (https://www.avvenire.it/papa/pagine/dio-non-condanna-puo-solo-amare, per esempio qui si dice espressamente che Dio può solo amare) giustificano tali passi biblici, ritengo che la cosa migliore sia chiederlo a loro stessi (preti, teologi ecc). Personalmente cerco di non distorcere la loro posizione, però chiaramente ho i miei limiti.
#414
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
28 Gennaio 2018, 12:55:44 PM
@fdisa forse ho generato un po' di confusione.

L'esistenza relativa significa che una cosa non esiste per sé stessa ma come conseguenza di altro. Per esempio un albero esiste in conseguenza dell'attività solare, del seme ecc quindi non esiste indipendentemente dal resto delle cose. Per Nagarjuna ciò significa che esso è "vuoto" di "esistenza intrinseca" e quindi di "identità". Il che è un ragionamento interessante, in fin dei conti. Il relativismo ontologico dice che tutte le cose sono come l'albero, ovvero esistono grazie a determinate condizioni.

Il fatto che la "vacuità" sia vuota secondo me singifica semplicemente che anche il relativismo ontologico è una mappa, ovvero è un modello ontologico. Ma se ogni cosa in fin dei conti è priva di una identità proprio (perchè non può esseere pensata separata dal resto) allora segue chiaramente che in un certo senso "non esiste". In sostanza a livello "fondamentale" non c'è nessun "ente" e la vacuità stessa è una semplice mappa. Mappa che però per Nagarjuna è certamente la migliore. Tuttavia di per sé il relativismo è una "verità universale" (e NON assoluta...).

Dire che però Nagarjuna, per esempio, fosse un relativista epistemico è dire un'altra cosa. In sostanza mentre per Nagarjuna tutti i soggetti se liberi dall'illusione (avidya) concordano sul fatto che la mappa del relativismo ontologico è la migliore (e quindi anche sul fatto che nessun ente in realtà esiste - "no-thingness", nessuna cosa...). Il relativismo epistemico però è una posizione ben diversa: una mappa universale non ci può essere. Il punto è che dire questo significa cadere in contraddizione. Ma a questo punto non c'è più alcun criterio per capire cosa è vero e cosa non lo è ecc. Questa è la differenza tra i due relativismi. Per un relativista epistemico è impossibile che tutti i soggetti concordino che è vero il relativismo ontologico (o "genesi dipendente" o "vacuità").

Ma è anche vero che forse Nagarjuna aveva intenzione di "trascendere" anche la posizione del "no-thingness", andando oltre ogni opinione. Trascendendo quindi ogni "opinione" si sarebbe raggiunta l'imperturbabilità (ma ciò significa che la "realtà" non può essere concettualizzata... ma ciò non toglie che la "vacuità" sia la migliore mappa).

Quindi mentre l'ontologia riguarda la creazione di modelli sulla realtà, l'epistemologia riguarda il rapporto tra modelli e realtà. Dire che però nessun modello riesce ad "afferrare" la realtà-così-com'è è ben diverso da dire che non esistono modelli migliori di altri, che non esiste un modello migliore di tutti ecc. Anzi è una posizione molto radicale e ha un obbiettivo preciso: l'imperturbabilità (un po' come Pirrone, il quale tra l'altro forse è stato influenzato da alcuni monaci indiani). Ma non credo proprio che Nagarjuna rifiutasse il principio di non-contraddizione: in fin dei conti la sua religione (il buddhismo) mira alla realizzazione della "realtà-così-come-è"... Non direbbe mai che non è possibile realizzarla  :) 

Non so se mi sono spiegato meglio
#415
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
26 Gennaio 2018, 18:17:30 PM
@fdisa grazie della risposta!

Personalmente sono molto più perplesso dal relativismo epistemico di quello ontologico. Il primo nega le verità universali (con ogni conseguenza possibile). Se è vero il primo infatti anche "tutte le cose sono vuote" è una contraddizione, una falsità. Il secondo invece dice che "tutte le cose sono vuote", dice una verità universale e non ha alcuna contraddizione  ;) 

Secondo me quello ontologico è molto più profondo e interessante. E credo che sia quello che ad esempio Rovelli espone nella sua teoria relazionale  :)
#416
Tematiche Spirituali / Re:L'enigma del cristianesimo.
26 Gennaio 2018, 18:12:39 PM
Chiarifico: secondo me il male esiste, è una realtà. Fortunatamente lo è anche il bene  :)

Faccio un esempio. Per Pitagora (da quanto ho capito, almeno) le nostre anime sono imprigionate nei corpi. Il male ovviamente c'è, è una realtà fattuale. Il pitagorico però non si chiede "perchè c'è il male?": semplicemente osserva, vede che c'è il male e cerca di "liberarsene". Il pitagorico vede il cercare una spiegazione come un altro ostacolo.

Un buddhista si "affida" alle quattro Nobili Verità. La prima è "esiste la sofferenza". Quello che gli interessa è "uscire". Non gli interessa una domanda del tipo: "perchè c'è la sofferenza?". Semplicemente passa oltre.

Spinoza dice che "ogni evento è necessario". Ovviamente c'è anche la sofferenza ma a suo dire in fin dei conti ogni evento segue necessariamente dalla Sostanza (così come il fatto che la somma degli angoli di un triangolo di uno spazio piatto è uguale ad un angolo piatto discende dalla definizione di triangolo...). Spinoza ovviamente è consapevole della sofferenza umana ma pensava che la "beatitudine" veniva dal riconoscere questo "ordine geometrico del Tutto". Il "Dio" spinoziano non è ovviamente "buono", non ama nessuno, è semplicemente neutro. Tuttavia il Summum Bonum dello spinozismo è l'"amore intellettuale di Dio" che non ha niente di sentimentale, semplicemente è la contemplazione dell'Ordine. La teodicea qui non si pone perchè appunto il "Dio" non è buono e non è cattivo. Dire che il "DIo" spinozista è buono o cattivo è insensato.

Simile a quella spinozista è la visione di alcune scuole induiste e daoiste dell'oriente. Protestare contro il Dao è inutile visto che "è aldilà del bene e del male". Tuttavia "unirsi" al Dao è il Summum Bonum per l'uomo: si va oltre la sofferenza. "Perchè c'è il male?". Per questi filosofi è una domanda senza senso, non c'è un motivo. Semplicemente è un fatto: la realtà è quella che è. Però c'è un modo per "estinguere la sofferenza" dell'uomo.  

Plotino affermava che la sofferenza era dovuta al fatto che la nostra anima era "annessa" al corpo e la materia era una realtà imperfetta e l'attaccamento ad essa causa sofferenza. Il male morale deriva dall'attaccamento alla materia (ovvero in questo contesto a scambiare la materia per "ciò che è più alto"), secondo Plotino (ovviamente spero di non aver travisato) ma nemmeno la materia è "maligna". Semplicemente è il punto più basso dell'esistenza. Anche Plotino dunque vede la causa della sofferenza nel nostro approccio alla vita. E lo stesso vale per il male morale. La soluzione? Rivolgere l'attenzione alle cose più "alte" (questa in fin dei conti è anche la soluzione di Platone). Questo mondo "sublunare" e materiale è necessariamente imperfetto e non a caso nel Teeteto Socrate dice che dobbiamo "scappare". Qui nessuno si chiede "perchè c'è il male?". La vera domanda è "come ci si libera dal male morale e dalla sofferenza?".

Dunque in queste tradizioni domandarsi il "motivo" non ha senso. Ciò che viene richiesto è cambiare il nostro modo di vedere la realtà. L'idea è che la sofferenza e il male morale possano cessare una volta che si è "trasceso il mondo". Ovviamente questa è una possibilità.

La teodicea invece nasce dalla visione del mondo come una Creazione Libera di un Dio Personale Buono. In questo caso vedendo il male ci si chiede: "perchè?". Non credo che nessuno abbia una risposta. Così secondo me rimangono due possibilità: o si ritiene che il mondo non è stato creato ( è importante notare che la creazione non è eterna...) oppure ci si affida. Se si sceglie la prima in fin dei conti si può pensare come fanno alcuni induisti: Dio esiste e il mondo è eterno, però la sofferenza è dovuta al ciclo delle rinascite, alle scelte delle vite passate ecc. Oppure si rigetta l'ipotesi dell'esistenza di un Dio Personale completamente. Oppure ci si affida a Dio. Però essere credenti e continuare a chiedersi il "perchè?", a cercare di giudicare Dio (alla Giobbe) potrebbe portare al misoteismo, a credere che Dio è malvagio (e quindi a creare una frattura nella relazione con Dio, che come dice Sariputra è la Fonte della Vita - Misoteismo significa per un credente "accusare" la vita stessa) ecc se si vuole evitare il misoteismo ad un certo punto bisogna anche avere la saggezza di "lasciar andare": in fin dei conti ci sono molte cose che non potremo mai conoscere e anzi un eccesso di volontà di conoscenza è pur sempre un eccesso e come tutti gli eccessi è pericoloso. Ergo anche il cristiano, credo, vede il male e soffre molto per tale realtà. Riconosce il male anche in sé stesso (il peccato) e per essere salvato si affida a Dio. Ad un certo punto anche il cristiano, credo, rinuncia a fare domande. Questo non significa che non soffra per la realtà del male. Vede che "qualcosa non va" ma si ferma. Vede che certamente c'è il male ed è inspiegabile. Ma si affida al fatto che Dio ha donato la vita. E quindi anche il cristiano ad un certo punto cambia prospettiva e smette di domandarsi il "perchè" in modo ossessivo. Vede il Male e risponde ad esso donando la sua vita. E spera che tale dono porti come frutto un un po' di bene (il sacrificio, la rinuncia, il prendere su di sé il male ecc chiaramente danno sofferenza ma è una sofferenza che ha significato - il significato è donarsi per amore). Sinceramente questa credo che sia la risposta cristiana al male, dondando sé stessi e aiutandosi in questo dono con l'affidarsi a Dio (il quale ha fatto lo stesso, svuotandosi e donando la propria vita...). Credo che questo "dono" sia la risposta all'enigma del male.  Non risolve intellettualmente il problema, lascia un enigma irrisolto, però agisce.  (questa ottica del dono mi è stata riferita da due cattolici che personalmente trovo molto saggi  :) - spero di non aver travisato LOL ).

Quindi @Socrate78, questa "resa" non è davanti ad un progetto divino che include l'esistenza del male (mi è stato anche detto che Dio vuole sempre il bene per le creature, ergo attribuire a Dio il piano che contempla il male mi sembra completamente errato dal punto di vista teologico). Semplicemente si vede il male, si vede che è un enigma. E ci si arrende al fatto che è un enigma. Ma alla resa segue l'affidarsi e all'affidarsi segue il donarsi ecc (questo tema del "lasciar andare" è presente anche in tradizoni, come il buddhismo, dove la teodicea non si pone. Ma se un buddhista continua a chiedersi "perchè c'è la sofferenza" fa del male a sé stesso (secondo il buddhismo) perchè è una distruzione, un "inganno" del "male" stesso.). Il cristiano dunque segue l'esempio di Gesù: apprende l'esistenza del male e attraverso moltissimi momenti di smarrimento e in cui ci si sente abbandonati (come Gesù stesso in fin dei conti) cerca di riuscire a donarsi (facendo un sacrificio... rendendo sacra la sua vita... ecc).

Ad ogni modo non credo che la teodicea come problema filosofico possa essere risolta.

Ovviamente si può essere o meno soddisfatti di questo tipo di "risposte".  Sono ben consapevole che ciascuna ha i suoi problemi. Ma ahimé credo che ad un certo punto si debba fermarsi con le domande... non che sia facile, eh ;)  

Buona serata

Edit (19:38): Perdonate la modifica ulteriore ma penso di aver "esagerato" con la speculazione nel testo che ho cancellato. Ad ogni modo personalmente concordo con il post di Sariputra e quello successivo di Angelo ;)
#417
Grazie a viator e Kobayashi.

@viator, non preoccuparti per la formazione. In fin dei conti la filosofia "trascende" l'educazione (anzi a volte paradossalmente "sapere molte cose non insegna la comprensione" - Eraclito). I libri di filosofia personalmente li trovo in genere affascinanti e fonti di ispirazione. Ciò non toglie ovviamente che si possa essere filosofi anche odiando le opere filosofiche (e credo che si possano fare esempi: ad esempio Schopenhauer e Kierkegaard detestavano la filosofia di Hegel, Eraclito tutte quelle che erano diverse dalla sua, Pirrone riteneva che non si poteva conoscere nulla e che quindi era necessario smettere di avere "opinioni" ecc)

@Kobayashi: in realtà anche io per "bisogno, curiosità, disperazione" ho creato il mio bagaglio culturale. La formazione accademica e scolastica ha certamente influito ma non credo in misura maggioritaria. Anche perchè la formazione "accademica" la trovo troppo tecnica, poco incline ad esplorare nuove prospettive ecc e quindi per chi come noi è mosso da "bisogno, curiosità e disperazione" non riesce a dare la soddisfazione piena. Si potrebbe aprire un dibattito su questo tema ma direi che si va fuori tema, visto che questo è solo un "giochino" (ma non inutile secondo me :);D
#418
Tematiche Spirituali / Re:L'enigma del cristianesimo.
25 Gennaio 2018, 19:41:32 PM
Caro Angelo dici che:

Ad esempio, Apeiron è alla ricerca di un'etica che si presenti come chiara per tutti, universale. Secondo me non la troverà mai, ma si tratta solo di una mia opinione: non possiedo alcun elemento per garantire che egli non la troverà mai.

Concordo, personalmente non credo che riuscirò mai a trovarla  ;) ma non escludo che in generale si possa fare (magari è possibile per un "dio", un "Buddha" ecc)  :)



Inoltre concordo anche con questo:


Dire che sono tutte false significherebbe pretendere di aver raggiunto una verità: la certezza, appunto, che siano false. Io non posso avanzare questa pretesa.
È anche chiaro, però, che il non poter escludere che una risposta si avvicini alla realtà, non offre comunque alcuna garanzia che quest'avvicinamento esista in qualche risposta. Può darsi benissimo che tutte le risposte siano davvero false.


Infatti secondo me c'è un'etica "universale" (ovvero "comune a tutti i soggetti") ma è appunto la mia opinione, se vuoi la mia "fede". L'unica altra alternativa è che non ci sia ma confrontando le due scelgo quella meno "problematica" e secondo me tra le due quella meno problematica è che ci sia  una "etica universale". Perdona l'off-topic ma ci tenevo a precisare che il mio è un "secondo me" (corroborato dalla lettura di, ahimé troppi, libri di filosofia e spiritualità sia orientali che occidentali - per esempio la "Regola d'Oro" torna molto spesso, questo come ben dici tu non prova nulla purtroppo  :( ). Ma amen, se la vie.


Riguardo alla teodicea... il problema non è tanto il fatto che il male è inspiegabile (e secondo me filosofie come il buddhismo, lo giainismo, il pirronismo, almeno alcune forme di daoismo e induismo ecc non hanno il problema del male), quanto che la spiegazione dell'esistenza del male è problematica. In sostanza, Angelo quando dici:

Una persona che piange non potrà mai capacitarsi adeguatamente di come questo mondo possa esistere, non ci saranno spiegazioni che tengano di fronte al suo dolore. Questa persona, di fronte a qualsiasi concezione del mondo, continuerà a chiedere "Perché? Perché? Perché?". Di fronte a questi drammatici "perché?" non c'è filosofia che regga, crollano tutte.

Un buddhista direbbe: "hai ragione e infatti non ti dico perchè c'è il male. Ma ti posso aiutare ad affrontarlo o più precisamente a fare in modo che tu riesca a "salvarti" da esso". Nota che non sto "sostenendo" il buddhismo o facendo "propaganda", dico solo che alcune filosofie riconoscono che c'è il male ma non si preoccupano di dare una spiegazione. Ergo secondo me per queste filosofie non è un vero problema.


Ad ogni modo moltissimi cristiani rimangono molto "perplessi" su questo tema. Appunto si "affidano" a Dio ovvero. Ad un certo punto (anche se non definitivamente, magari) smettono di porsi il problema ma si "lasciano andare". E lasciarsi andare, arrendersi a volte è l'unico modo per, paradossalmente, vincere dal male (questa idea paradossale per cui la "resa è la vittoria (almeno in certi contesi)" tra l'altro molto condiviso in molte religioni da quanto ho potuto capire e sinceramente sono anche d'accordo con la frase riportata, parentesi inclusa)  :) Quindi Socrate78 credo che ad un certo punto i cristiani scelgano questa via dell'affidarsi a Dio. 



 
#419
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
25 Gennaio 2018, 19:16:11 PM
@fdisa,

sono riusicito a risponderti solo ora.

Ho letto con interesse il tuo articolo. E ti ringrazio di averlo pubblicato su Logos.  Devo dire però che in effetti mi ha lasciato un po' perplesso alla fine (limite mio probabilmente  ;) ). Motivo per cui vorrei chiederti un chiarimanto.

A pagina 7 citi Nagarjuna (Mūlamadhyamakakārikā, 18-19) - traduzione mia:

"18
Qualsiasi cosa esiste per genesi dipendente,
è stato spiegato essere vacuità [vacuità = non-esistenza di una "essenza intrinseca" *].
Essa [la vacuità] essendo una desingazione dipendente [verità convenzionale?]
è la Via di Mezzo stessa [=la Via di Mezzo  è l'insegnamento del Buddha, secondo Nagarjuna]
19
Qualcosa che non esiste per genesi dipendente,
tale cosa non esiste [ovvero tutte le cose esistono per genesi dipendente e quindi sono vuote],
Perciò non esiste una cosa non vuota."

*Nota sul concetto di "essenza intrinseca". Per il lettore: Nagarjuna sostiene che una cosa ha una identità se e solo se esiste in modo incondizionato, ovvero se esiste indipendentemente da altro. Per esempio il concetto filosofico di "Dio" è incondizionato. Una fiamma dipendendo dalla presenza di combustibile e comburente, no. Per Nagarjuna una fiamma non ha qualcosa che le dà un'identità e tutte le cose esistono in modo condizionato, ergo tutto è "vuoto di essenza intrinseca", ovvero nulla esiste in modo indipendente e quindi identità stabili non possono essere trovate. Questa fu poi la posizione presa dalla scuola Madhyamaka  del buddhismo Mahayana.



Un ragionamento analogo lo fai tu. Per esempio dici che la velocità di un corpo ha un valore che dipende dal sistema di riferimento ecc. Fisici come Rovelli sostengono che tutta l'esistenza sia relazionale, ovvero che non esistono "enti" indipendenti, proprio come sosteneva Nagarjuna. Ovviamente se tutta l'esistenza è fatta in questo modo allora anche le nostre prospettive sul mondo non sono assolute, indipendenti, incondizionate ecc



Ergo sia per @fdisa che per Nagarjuna tutta l'esistenza è relazione. Ma proprio nella conclusione c'è una cosa che non capisco: in sostanza finisci per rigettare il principio di non-contraddizione, dicendo che dove esso non vale allora la frase "ogni verità è relativa" non è paradossale. E qui sta per me il problema che invalida tutto quanto. Ovvero perchè rigettarlo solo adesso? In fin dei conti dal tuo articolo ho letto che la velocità, il rosso ecc ma anche cose concrete come l'acqua ecc sono relazioni. Fin qui la tua prospettiva è consistente: ovvero semplicemente dici che ogni cosa è relazione (il Relazionalismo Ontologico di cui parlavamo). Poi però non ti limiti a questo, passi ad analizzare il valore epistemologico delle tue affermazioni, confondendo secondo me "verità" e "realtà" (ovvero "mappa" e "territorio"), e sostieni che allora ogni "verità" è "opinione", come dicevano tra l'altro i sofisti. Perchè passare all'epistemologia?


In sostanza, ok poniamo che tu abbia ragione e che tutte le cose siano relazioni. Ci può stare. Dire però che "tutte le cose sono relazioni" non significa dire che "tutte le verità sono opinioni", ma semplicemente significa dire una verità universale (che a meno che uno non sia platonico o simie non ritiene essere una "realtà") sulla realtà. Dire poi che "la vacuità", ovvero che tutto esiste in modo dipendente, ovviamente non ha un'esistenza intrinseca: in fin dei conti se dico che in una stanza non ci sono rinoceronti (parafrasando Russell e Wittgenstein  ;D ) non significa affermare l'esistenza di una "cosa" che corrisponde alla proprietà di "assenza di rinoceronti". Sinceramente non vedo tutto questo problema di passare dall'ontologia (intesa come creazione di mappe, concettualizzazioni, sul territorio, realtà) all'epistemologia, parlando della "relazionalità" delle verità. Sinceramente non andrei oltre all'ontologico.



Ma è anche vero che lo stesso Nagarjuna è stato interpretato in modo simile a quanto dici tu. Ma la cosa non ha prodotto altro che "sofismi". Se tu per esempio mi dici che "ogni verità è opinione (o credenza)" cadi come ben dici tu in contraddizione. Per "cavartela" assumi che il principio di non-contraddizione può non valere. Ma a questo punto che senso ha discutere se in modo aribitrario diciamo che la regola con cui si discute e con cui si cerca di conoscere la realtà (anche al solo livello di mappe e territori, senza niente di "troppo metafisico") ad un certo punto non vale più. In sostanza così chiudi il dibattito ma non hai dimostrato che hai ragione. Semplicemente dichiari di aver vinto, sostenendo che ciò che ti contraddice in fin dei conti non vale. Non voglio ovviamente essere polemico ma non riesco a capire questo tuo passaggio dall'ontologia all'epistemologia (ne avevamo tra l'altro discusso tempo fa e mi sembravi d'accordo sulla questione)  ;)



Ti segnalo però che c'è un'interpretazione scettica di Nagarjuna. Ovvero che lui criticava la nostra capacità di concettualizzare la realtà: ovvero che ogni nostra descrizione della realtà è convenzionale, non ci sono descrizioni ultime. Per esempio sempre Nagarjuna nella stessa opera afferma:


"Coloro che creano costrutti sul Buddha,
che è oltre ogni costrutto e senza esaurimento (nota mia: cosa vuol dire "esaurimento"?),
sono danneggiati dai loro costrutti:
Non riescono a vedere il Tathagatha (nota mia: sinonimo il Buddha).

Quella che è la natura del Tathagatha
è la natura di questo mondo.
Non c'è natura del Tathagatha.
Non c'è natura del mondo."


In questa interpretazione Nagarjuna sta rigettando il pensiero "essenzialistico" e sta dicendo che "la vacuità è vuota" perchè nessuna descrizione potrà mai comprendere la realtà. Questo tipo di pensiero, per esempio, appare anche in occidente. Per esempio molti pensatori cristiani dicono che Dio è ineffabile, oltre ogni concetto ecc. Nagarjuna sembra applicarlo anche a tutta la realtà, compresa quella quotidiana. In sostanza perfino descrivere una sedia è impossibile. (Segnalo di nuovo questa pagina in inglese, http://www.friesian.com/undecd-1.htm). In questo senso la filosofia di Nagarjuna è simile a quella scettica dell'Antica Grecia (= il pirronismo). E questo ha senso, dal punto di vista soteriologico del buddhismo: in fin dei conti il nirvana è la cessazione del "prapanca", ovvero della "proliferazione concettuale". Se si "trascende" (uso questa parola in quanto se non è un "trascendere" è un nichilismo) la concettualizzazione in fin dei conti si raggiunge la calma, non si distingue più tra "io" e "non-io", "interno" ed "esterno" ecc. Forse questa interpretazione scettica è ancora più fondata di quella ontologica, per quanto riguarda Nagarjuna. Su questo sempre Nagarjuna dice che "la vacuità è liberarsi da ogni opinione", idea estremamente simile a quella di Pirrone, per esempio ;)



Oppure si può arrivare alle logiche para-consistenti, vedi https://aeon.co/essays/the-logic-of-buddhist-philosophy-goes-beyond-simple-truth. Il problema di questo tipo di logiche è che in realtà non rifiutano il principio di non contraddizione per quanto riguarda la verità (e quindi l'epistemologia): infatti se io dico, per esempio, "è vero che il fiume esiste e non esiste" non dico "è vero e falso che...". In sostanza il principio di non contraddizione non può applicarsi alla verità, per definizione di "verità". Altrimenti togliendolo, l'argomentazione è priva di senso e si generano sofismi (ovviamente non sono d'accordo con Priest, l'autore dell'articolo, quando "invalida" il principio di non contraddizione nei riguardi verità - secondo me esso è un a-priori di ogni argomentazione ecc).

Sul fatto che Nagarjuna non era un relativista "epistemologico" secondo me è sufficiente dire che credeva all'esistenza dei 31 piani di rinascita (e che la vita in ciascuno di essi fosse limitata nel tempo, impermanente - "anicca" e quindi causa di sofferenza e "dukkha") ma soprattutto nel karma (e quindi in particolare l'etica era universale.).
#420
@Green,

la mia osservazione semi-polemica era dovuta alla "svalutazione" della scienza che ho percepito da quel tuo post (e di altri, se non ricordo male in altri topic). Riguardo a come si svolge la ricerca si può discutere ma secondo me nella scienza c'è pochissima ambiguità di fatto (come dicevo, altro discorso è la filosofia della scienza...). Il punto è che dire che è lasciare intendere che l'astrologia è meno arbitraria della scienza per me è completamente fuori da ogni logica. Ma preferisco non continuare la discussione su questo argomento per evitare polemiche, però ecco sinceramente per me non c'è posto per la pseudo-scienza (anzi è una cosa che mi fa infervorare parecchio) anche perchè secondo me esse sono un oltraggio alla stragrande maggioranza degli scienziati che ci mette "anima e corpo" per la ricerca! (mi infervoro parecchio a causa soprattutto dei "maghi" vari, flat earthers, cospiratori, scie chimiche ecc). Sinceramente mi sembra di vedere che molte persone serie e interessate alla spiritualità hanno un'ottima opinione sulla scienza... detto questo mi interessano sia la scienza che la spiritualità. Direi però di tornare in topic!

Riguardo alla neurologia... sicuramente leggerò l'intervista. Ma sia io che Angelo abbiamo già espresso le nostre perplessità.


viceversa su questo:

Cercare invece la misura dell'assoluto è un errore fatale.

direi di essere d'accordo, così come ritengo impossibile "misurare" la spiritualità. Ritengo però che la spiritualità abbia anch'essa aspetti "misurabili" (anche se non direi che tali aspetti sono di primaria importanza - l'aspetto di primaria importanza è ovviamente viverla ;) ).


@Angelo,

la matematica non si fanno misure (ovvero non si raccolgono dati) e soprattutto non si basa sugli esperimenti (la sola consistenza è consistente, nella scienza quello che più conta è l'accordo con la "realtà" *), ergo non è scienza ...  ed è questo che la distingue dalla fisica, per esempio.

Si può capire il senso dell'affermazione di Einstein: "Finché le leggi della matematica si riferiscono alla realtà***, non sono certe, e finché sono certe, non si riferiscono alla realtà." Ovvero alla base della scienza c'è sempre la "realtà" (ovvero l'esperienza). La natura è il banco di prova della scienza, non la consistenza logica, l'esperienza soggettiva, il paradigma usato, la convenzione sociale ecc il primo banco di prova è la natura, l'osservazione e l'esperimento. Il punto non è che si nega l'oggettività, l'esistenza di una realtà indipendente da noi, l'unica cosa che non è "certa" è la nostra comprensione della realtà, che deve essere sempre pronta ad essere rivista. Ovvero: c'è una realtà ed essa è il banco di prova della nostra comprensione. Se la nostra comprensione va contro di essa, dobbiamo cambiarla. E dobbiamo essere sempre pronti a cambiarla non appena la realtà ci dà contro (ovviamente è una cosa difficile da applicare a tutta la nostra vita... non a caso nella spiritualità la scientificità non è molta, essendo qualcosa di molto soggettivo ;) ). Ergo: possiamo certamente fare ipotesi sulla realtà, possiamo parlare di comprensione e di ragionevolezza, ma mai di certezza. Se c'è una cosa che però la scienza non può fare a meno è l'esistenza di questa realtà che ci può contraddire (oltre che ovviamente del "metodo scientifico"). La fisica che usa la matematica è ragionevole (al massimo livello ad oggi umanamente possibile, credo) ma non è certa, visto che un domani i fatti possono contraddire tutte le nostre teorie. Ma come dicevo la realtà/ i fatti (presenti, passati ma soprattutto futuri) ecc sono il vero banco di prova. La matematica invece non si interessa dei fatti.**

*"oggettiva", mi si lasci dire ;)

** nel mio caso ritengo che la matematica si riferisca anch'essa ad una sua "realtà" (essendo io vicino al platonismo), ma il discorso precedente è chiaro. Nella matematica non cipuò essere falsificazione per esempio. Ciò che è stabilito nella matematica non può essere mutato, nella scienza invece sì. I fatti non potranno mai contraddire la matematica, ma la scienza sì.

*** realtà = realtà fattuale, empirica e sinonimi.