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Messaggi - PhyroSphera

#406
(In verità avrei voluto che questo scritto fosse stato breve; ma non ho potuto fare altrimenti. Raccomando al lettore interessato un po' di pazienza.)


Io non ho avuto simpatia per i testi di J. Derrida. Una volta mi accadde di partecipare a un incontro culturale cui lui era presente e ne profittai per capirne un poco di più della sua filosofia. Alla fine mi concentrai sui neologismi che lui usava e che erano diffusi non solo nei suoi testi. Organizzai la mia riflessione su due fondamentali:

logocentrismo;
fonocentrismo.

Assai imbarazzato sulle prime perché non sapevo che senso filosofico darci, solo dopo compresi, notando la pessima abitudine di critici letterari, editori, lettori, di cercare il senso di un componimento poetico nella declamazione. Tentavano questi (e hanno i loro numerosissimi eredi) di prescindere dalla occasione costituita dal testo scritto, non mettendo in rapporto lo scritto col contesto originario e la scrittura coi nuovi contesti pure. Notavo altresì che questa strana impresa — di sottomettere cioè l'inventiva dello scrittore e la decifrazione del senso originario o solo originale del suo scritto alla emissione della voce e non viceversa, a volte cercando di idoleggiare i ritratti dei vecchi autori assieme alla faccia dei nuovi attori, altre volte direttamente la presenza fisica di questi o dei lettori qualunque — era legata a una accanita sopravvalutazione della ragione. Sicché si accentrava tutto attorno a un logos, dico uno perché in realtà prevaleva il pensiero particolare; quindi si faceva valere questo con una determinata cultura verbale, del dire, del trattare libri, anche dello gestire incontri culturali, esami universitari... anche recite di poesie.
Insomma, gente che ragiona troppo e troppo a modo proprio ed in una sola maniera e che basa la propria vita intellettuale sulla parola trascurando gli scritti!
Apparentemente, potrebbe sembrare che un mondo così funzioni bene, perché il pronunciare parole assicura una piena comunicazione. L'esigenza di trasmissioni che vanno oltre la presenza fisica delle persone nel mondo indubbiamente esiste, ma che importanza attribuirle, nell'era della tecnica, delle registrazioni audio e video? Culto dei morti al di sopra della cultura dei vivi, per giunta coi discorsi registrati e riprodotti? Meglio I Sepolcri di Ugo Foscolo o le tradizioni non scritte di Platone?
Derrida giungeva alla conclusione che esisteva un irrigidimento metafisico e la necessità di una distensione o indebolimento: la sua decostruzione della tradizione, basata su una maggiore autonomia delle interpretazioni dei testi scritti. Circondata da immense polemiche! Molti infatti lamentavano e lamentano scarso rispetto per l'autenticità dei patrimoni culturali da parte dei decostruzionisti, finanche volontà di sottrarne l'integrità a chi la decostruzione non la vuole. Per mezzo, il destino delle tradizioni orali.

Contemplando il volto e la persona di Derrida durante l'incontro, io mi domandavo chi fosse quest'uomo capace di creare tanti timori ed entusiasmi intellettuali; e forse notando la mia, forse anche altrui curiosità, Derrida parlò anche delle proprie origini da ebrei dell'Africa...
Io riflettevo: quest'uomo che vuol porre l'attenzione della cultura alla parola scritta, che usa la metafisica come un bambino che si diverte a smontare un gioco del suo compagno, ha capito per davvero di che faccenda si tratta? Che ne sa di Platonopoli (l'idea di Plotino di costruire la copia della Città Ideale in Campania) e della Città del Sole di Tommaso Campanella? Derrida per suo conto continuava dicendo che le sue conclusioni valevano genericamente per tutto l'Occidente...
In definitiva, come non pensare ai Libri Sacri del monoteismo, alla importanza delle Scritture per Lutero e Calvino (questi era francese come Derrida)... e anche alla differenza con l'Islam, per il quale il Corano è centrale come l'evento-Cristo nel Cristianesimo? Derrida diceva di una identità ebraica ma, secondo una tendenza che era già degli illuministi francesi, sembrava un maomettano che voleva sottrarre l'Occidente al dispotismo illuminato platonico, questo protratto senza uso fondamentale dei libri, per consegnarlo a ciò che Maometto chiamava le genti del Libro tra le quali la signoria sarebbe spettata ai musulmani... O di che altro poteva trattarsi, dato che si diceva, in pratica, di fondamento scritturale di tutta la nostra cultura? E quale futuro per la cultura del mito, posta soltanto ai margini?

Ma un altro concetto faceva parte del suo terribile corredo intellettuale, l'essere quale presenza. Non più l'ingenua oggettivazione metafisica, al tramonto dopo la scoperta contemporanea dell'esistenzialità; ma pur sempre un riferimento all'Assoluto. Mentre l'altro professore francese Levinas rifiutava in blocco un intero destino occidentale postulando una mistica e indicibile Alterità dall'Essere, il suo collega Derrida (che non a caso aveva specificato che la sua cultura ebraica non era di quelle antagoniste), concedeva qualcosa. Ma, ci si domandava, a quale prezzo? Per distruggere il centro delle tradizioni dominanti e farle sostituire proprio da quella mistica indicibile? O per consegnare l'Occidente, opportunamente indebolito, a Marx ed Engels?
Tanto abisso, poteva essere risolto passando ad un altro livello di pensiero. Con Derrida, si rimaneva e si rimane in una strana precarietà.
Ciononostante, la critica a logocentrismo e fonocentrismo, assieme al concetto di essere quale presenza (cioè non-oggetto), opportunamente collocati in una giusta scala di valori, possono aiutare.
Per mezzo però resta una controversia, circa la funzione non solo culturale anche politica dei monoteismi, per i quali l'orma della parola nella scrittura umana rimanda al mistero della Parola di Dio, che il dire ispirato delle favole del mito non riesce a raggiungere direttamente. Pensando che Derrida avesse l'ultima parola anche in politica, ci sarebbe forse da consegnarsi agli integralisti islamici, passando prima per l'ebraismo moderato! Ma non penso che era questa l'intenzione sua.
È ovvio continuare riflettendo circa il senso di questa presenza dell'essere, i limiti di essa oltre che della sua affermazione; e come la nostra tradizione occidentale e platonica si rapportava e si può rapportare ad essa. Un Platone che resta in una foto sempre più sbiadita, sempre più sfumata? O la coesistenza parallela e rispettosa tra Decostruzione e Conservazione? Una convivenza possibile?

In Francia c'era pure l'esistenzialismo religioso di Marcel, che indicava nel Mistero dell'Essere l'oscuro ed enigmatico Tu (pensiero che riprendeva pure il contatto con la cultura orfica antica, senza fratture culturali col mondo platonico); accanto al confronto, non restato solo sull'orlo della disperazione ma pure cadùtoci, di Sartre, con Essere e Nulla; e non si vede necessità di far dipendere tutta la cultura e politica occidentale dai filosofi decostruzionisti. Non c'è un pensiero unico nella nostra società e non è giusto criticare la tradizione orale su Platone solo perché non si è nel suo accadimento; inoltre non sarebbe giusto ignorare che in relazione a questo vi sono le scritture neoplatoniche. Nell'antichità Filone aveva già mostrato la congruenza della dottrina platonica col monoteismo e per via indipendente nasceva poi il neoplatonismo cristiano. È una pessima idea rapportarsi al lascito platonico e neoplatonico sottoponendo i testi scritti di chi lo ripresenta a una vivisezione di ogni frase, periodo, interezza nonché ignorando i discorsi tradizionali. Quelli che usano la decostruzione per tornare alla dittatura del pensiero unico, sbagliano di grosso.

Non è detto che di Platone dobbiamo conservarci solo la farmacia — ma neppure disdegnamo chi ha di lui solo quella.



Mauro Pastore (10 maggio 2024).
#407
Tematiche Filosofiche / Re: METAFISICA DELL'ESSERE
10 Maggio 2024, 13:44:19 PM
Citazione di: bobmax il 10 Maggio 2024, 10:52:34 AMDo per scontato che chi scrive non conosca Jaspers.

Gli è cioè sconosciuto il pensiero, non ha letto alcuna opera, e non sa nulla della sua vita.

Per prima cosa era uno psichiatra, non uno psicologo.
Come psichiatra è tuttora studiato nelle università.
La sua opera Psicopatologia generale è tuttora un riferimento per la psichiatria.

Dedicandosi alla filosofia ha prodotto numerose opere fondamentali.
Tra cui il capolavoro: Filosofia.

Testi magari difficili, perché affrontano il semplice.
E probabilmente impossibili da affrontare per chi ha poca fede nella Verità.

Sì, la Verità è il faro di Jaspers.

Se vi è qualcuno che ha scopiazzato, e malamente, è stato Heidegger.
Che ha frequentato Jaspers a lungo per succhiarvi qualcosa di vendibile.
E poi lo ha ignorato nel momento del bisogno. Da buon filonazista.

Ma anche a prescindere dal nazismo in H., è sufficiente leggerlo cercandone l'umanità.
Perché il filosofo è tale solo se umano.

Viceversa H. mostra solo abilità di esposizione, ma senza anima.
Se non si coglie questo, significa che se ne è lasciati irretire.

Mai dare troppo per scontato in filosofia. Inoltre non si può tacere che senza formazione e pratica psicologica gli psichiatri non sono tali e quando si vuol sottrarre le loro affermazioni alle considerazioni psicologiche opportune non si fa alcun favore neppure alla medicina.
Heidegger definì la filosofia di Jaspers un fallimento, non per distruggere il lavoro altrui o per appropriarsene indebitamente ma per avviare un rapporto diverso con quanto di esso rimasto. Per combinarci qualcosa di buono con la filosofia indicata da Jaspers bisogna farne un lettura altra, ricrearla. La sua manifestazione scritta è solo un simulacro e solo in quanto tale ha parte nell'evento filosofico. Inutile difendere i disastri di Jaspers menzionando un sistema culturale che è complice con la violenza della repressione manicomianale.
Non lo dico per giudicare ingenui e semplici sprovveduti, tanto più che i discorsi di Jaspers erano spesso proprio ingannevoli.

Sulla crisi del pensiero esistenziale tedesco del '900 disse bene Abbagnano, e non è giusto che si provi a gettare discredito su chi come me vuole denunciare una situazione che non ci sarebbe dovuta proprio essere nella cultura.
Non l'astio e illusione politici di Heidegger, ma, nel caso di Jaspers, l'essersi reso proprio fuori posto! Maneggiare concetti altissimi di filosofia e poi negare le conseguenze, favorevoli per l'umanità anche a prescindere delle applicazioni cioè solo per informazione, delle scoperte di Jung, Freud, Adler, sull'inconscio e le malattie anche più gravi, è per un filosofo più di un torto politico e pone fuori dalla vera medicina; che non è una sapienza esoterica riservata ai soli professionisti del settore.
Jaspers si interessava all'esistenza umana senza valutare tutte le prospettive positive disponibili per essa. Un disastro questo che non va negato solo perché impolitico.

Mauro Pastore
#408
Tematiche Filosofiche / Re: METAFISICA DELL'ESSERE
10 Maggio 2024, 10:10:02 AM
Citazione di: niko il 08 Maggio 2024, 15:04:50 PMIo tutta 'sta differenza tra "oltre" e "al di la' " non la vedo: cio' che sta ad di la' sta sempre oltre, e cio' che sta oltre, sta sempre al di la', direi.
Non ce la vedi perché concepisci il mondo come tutto. Eppure basterebbe valutare la espressione della multidimensionalità nelle scienze matematiche per averne il dubbio.

Mauro Pastore
#409
Tematiche Filosofiche / Re: METAFISICA DELL'ESSERE
10 Maggio 2024, 09:59:41 AM
Citazione di: bobmax il 08 Maggio 2024, 09:27:31 AMNon occorre avere pregiudizi su Heidegger.
È sufficiente leggerlo senza neppure avere idea su chi sia.

Leggendo Essere e tempo, per esempio, cresce un qual fastidio interiore o invece non si avverte nulla che non vada?

Si segue lo scritto apprezzandone i contenuti razionali, oppure ci si domanda dove sia l'umanità?
Dov'è l'afflato etico?

Perché qui vi è la differenza sostanziale tra i due filosofi della Filosofia della esistenza: Jaspers e Heidegger.
Ed è una differenza abissale.

I termini utilizzati sono pressoché gli stessi, ma in Jaspers vi è fede nella Verità, mentre in Heidegger solo vuoto raziocinio.

Non riuscivo a farmi una ragione della repulsione che provavo ogni volta che mi approcciavo a Heidegger.
Finché comparve un articolo su MicroMega di uno stralcio pubblicato postumo della autobiografia di Jaspers.
Postumo per lo scrupolo di Jaspers.
E lì ho capito il perché del mio rigetto verso Heidegger!

H. aveva scopiazzato malamente da Jaspers le sue idee, per utilizzarle per la propria fama, ma senza davvero farle sue. Era un'opera puramente cerebrale.

H. è un corruttore. Che attira il lettore, che si convince sempre più di aver capito! Perché il percorso che offre è logico. E così non particolarmente difficile.
Ma in realtà soddisfa solo la volontà di potenza cerebrale.
È senz'anima.

Per rendersene conto bisognerebbe leggere Jaspers. Ma qui si fa difficile. Perché in definitiva semplice, è infatti l'anima che parla.
In Jaspers pulsa la vita, in H. vi è la morte.

Volendo mettere in luce anche gli aspetti negativi, non solo quelli positivi, si può dire che Heidegger pretese troppo dalle proprie ricerche e gettò tanto caos nel mondo accademico; si può anche dire in un certo senso che Jaspers faceva bene a inoltrare alla filosofia perenne, in mezzo alla crisi dei valori cui Heidegger non sapeva rimediare anzi cui aveva contribuito, disastrosamente per certi versi; ma quello di Jaspers era un riferimento che lui stesso non praticò alla fine. Di un'opera filosofica bisogna saper cogliere quello che di buono rimane e ciò che di buono aveva rappresentato e ciò vale pure per Heidegger. A voler essere critici, nei lavori di Jaspers non si trova soltanto qualcosa di grave su cui ridire ma delle vere e proprie intrusioni. Generalmente, una intrusione del negativismo, senza badare ai contesti; sicché finanche il linguaggio poetico di cui è cosparsa la sua opera suona inautentico, trasposto da un'altra cultura. Heidegger notò la più che sospetta insistenza di Jaspers, che formalmente era anche medico e psicologo, in una concezione sorpassata della mente e delle malattie mentali... In principio della pubblicazione di "Genio e follia" Jaspers tratta la schizofrenia come l'intruso e il nemico imbattibile e inconoscibile, reiterando un pregiudizio che è anche una perniciosa superstizione popolare, a dispetto degli studi scientifici della psicologia del profondo che sono anche e realmente medici... Sembra addirittura che certe metafore poetiche Jaspers le avesse rubate dai pazienti perseguitati nei manicomi; e se ad Heidegger molti imputarono la momentanea perdita dei valori culturali, a Jaspers si devono imputare direttamente delle intrusioni. Non a caso i criminali nazisti non vollero mai arrestarlo mentre Heidegger, tentando di dirigerli e illuso di scongiurarne la violenza estrema e gli errori, subì da loro anche torture... Jaspers non lasciò neppure propriamente un'opera, ma un insieme di pensieri presi da altri contesti. Nel caso per esempio del concetto di "Tutto avvolgente" Jaspers aveva saccheggiato la filosofia mistica ebraica della Cabala senza esprimerla adeguatamente. Tanto di buono si trova nei suoi libri ma se lo si prende altrimenti da come lui faceva, stando attenti a rifiutare le estraneità che lui intrometteva; estraneità ad un autentico itinerario filosofico, che non significa offrire una panoramica di concetti rimediati qua e là, e presentati come in un grande triste ricettario.

Mauro Pastore
#410
Avverto che questo qui sopra è un testo riveduto. Infatti mi accorgevo di aver scritto delle date sbagliate quindi dovevo reinviare. Spero che al lettore che fosse stato scoraggiato dalle date venga in mente di rileggere dandomi un altro po' di fiducia e che si possa iniziare una interessante discussione.

Mauro Pastore 
#411
Tematiche Filosofiche / Re: METAFISICA DELL'ESSERE
08 Maggio 2024, 09:29:02 AM
Citazione di: green demetr il 06 Maggio 2024, 23:32:17 PMSono totalmente dentro il tuo discorso.
Compreso quello dei passerotti che gorgheggiano spensierati, mentre mi perdo nella nebulosa di hegel.
Ah ah, è proprio vero, anch'io mi sono divertito a pensare quanto la vita, nel qui ed ora, e lontana dagli universali, sia semplice e profonda nello stesso tempo.
Cari passerotti, che mi insozzano il giardino.

Sai in un altra vita, prima cioè di aprire i minima moralia di Adorno, cercavo disperatamente qualche segno di apertura alla metafisica che ritengo grande, ossia quella di Heidegger.
Ma Cacciari è l'ennesimo prodotto pre-confezionato dell'industria culturale, insieme agli altri due filosofi che più vendono, ossia Galimberti e Sini.
La loro è una filosofia che chiude gli orizzonti.

Purtroppo la filosofia oggi si può pensare in quel breve lasso di tempo che parte da Hume-Kant, viene ri-elaborato dall'idealismo, e sfocia, di fatto finendo con Heidegger.
Accanto a loro tre autori incommensurabili, Leopardi, Kierkegaard e Nietzche.
Hai detto benissimo tu, sono questi autori che pensano la differenza.
Cosa è ente e cosa è essere?
Preciso che non sono le tue le mie parole su questi tre autori.

Mauro Pastore 
#412
Tematiche Filosofiche / Re: METAFISICA DELL'ESSERE
08 Maggio 2024, 09:23:39 AM
Citazione di: green demetr il 06 Maggio 2024, 23:32:17 PMovviamente non poteva che finire nel transumanesimo, dove l'uomo è il contrario del suo tempo, della sua perversione, ma diventa solo oggetto.
mero corpo morto nelle mani dei suoi carcerieri e torturatori.

[...]

Molto bene Mauro, forse dialetticamente non ti sono molto di aiuto, ho scelto da tempo: l'essere NON è l' ente.
e chiunque dica il contrario in questo caso ipazia o niko, ovvero i comunisti, è mio nemico nella teoria (e a quanto pare ultimamente anche nella pratica. CVD).
Saluti.

Certamente negando la distinzione tra essere e ente accade di pensare gli enti come fossero l'essere, smarrendo il senso dei limiti umani. Questo errore è alla base del transumanesimo contemporaneo, che affermando la libertà dell'uomo non distingue più tra eros e tanatos, così comincia a fingere che un dente artificiale sia la stessa cosa di uno naturale... E quando, come Heidegger stesso mostrava, si pretende troppo dal principio di ragione, facendo della ontologia una organizzazione dittatoriale e dimenticando l'importanza del semplice elemento ontico... Ecco che qualcuno può mettere assieme i due errori... E così si incontra chi vuol mettersi un dente artificiale senza averne motivo.
Gli errori filosofici sono smentibili, il pensiero si può correggere; in tal senso si può dire che i mezzi filosofi sbadati non trovano il loro cattivo sèguito ma sono il sèguito di qualcun altro. Se il cosiddetto transumanesimo è entrato in filosofia, è perché ce lo hanno messo con l'inganno, profittando della sbadatezza di qualcuno.
La trovata di Cacciari sulla metafisica concreta procura solo un beneficio superficiale e momentaneo; al che sarebbe necessario tornare alle distinzioni heideggeriane. Meglio sarebbe stato che molti ci avessero riflettuto meglio dall'inizio.

Mauro Pastore
#413
Tematiche Filosofiche / Re: METAFISICA DELL'ESSERE
08 Maggio 2024, 08:53:45 AM
Citazione di: niko il 04 Maggio 2024, 23:29:16 PML'essere non e' qualcosa fisico, e' (gia') un pensiero e un "puro" concetto, quindi, voler fare la "metafisica dell'essere", e' come voler fare l'acqua bagnata o la luce luminosa: una ridondanza.

L'essere, o e' metafisico o non e'.

Perche', per contro, la fisica dell'essere quale sarebbe?



Ci possono essere due modi di pensare il verbo metafisico: nel senso di oltre o di al di là. Il materialista assolutista pensa solo il primo e così si concentra solo sul mondo; se poi si fa totalitario, come Marx ed Engels nel loro Manifesto, allora non c'è per lui neanche Schopenhauer a poterlo salvare dal disastro. Non basta cioè passare a una rappresentazione del mondo secondo la volontà, bisognerebbe che lui torni direttamente all'Assoluto.

Mauro Pastore 
#414
Tematiche Filosofiche / Re: METAFISICA DELL'ESSERE
04 Maggio 2024, 22:50:29 PM
Citazione di: Ipazia il 04 Maggio 2024, 14:23:36 PMDetto senza ironia : evvai con il sancta sanctorum della filosofia/metafisica.

L'Essere ha cessato di essere una questione - fisica e metafisica - quando ha cessato di esserlo la trascendenza. Oggi ci si deve accontentare dell'e(sse)nte che c'è e che è certificabile del suo esserci, per cui la metafisica/filosofia è transitata armi e bagagli dall'Essere all'essente, diventando concreta, come da ultimo titolo di Cacciari. Questo per quanto riguarda l'ontologia, e la gnoseologia che su essa si applica.

La scienza ha dato il suo contributo rendendo sempre più problematica la cosa in sè, il noumeno kantiano. Sfondato il muro metafisico dell'atomo (democriteo) la cosa in sè è venuto meno lasciando orfani pure i marxisti più kantianamente fedeli all' "oggettività". Ci cascò pure Lenin quando criticò l'empiriocriticismo, ovvero il neopositivismo. Stalin ne fece una dottrina di stato, il diamat, e oggi si vede com'è andata a finire. Una debacle epistemologica che il marxismo si poteva risparmiare, senza mettere in discussione il nucleo umanistico della sua visione del mondo, che è la parte teorico-pratica che più doveva salvaguardare.

Essì che Marx, abbracciando Darwin e la dialettica, l'assist l'aveva dato verso una concezione più relativistica della realtà. Ma il pregiudizio kantiano era così radicato che anche il marxismo dovette pagare pegno.

Se non c'è la cosa in sè, crolla anche l'ultima thule dell'Essere, prospettiva che per i vetero- neo- post- kantiani significa l'orrido nichilismo, il Nulla. Morto un papa se ne fa un altro: il Nulla al posto dell'Essere. Meglio se in un rapporto più enantiomerico (porte girevoli) che dialettico, che salva Essere e Nulla in un girotondo metafisico racchiuso in se stesso.

La dimensione umana non ha nulla da perdere, come insegna il teologo francescano Ockham, dalla perdita dell'Essere, avendo una sua complessa attitudine trascendentale, ovvero spirituale, su cui mettere alla prova la propria libera psiche, per quanto possa esserlo (ma questo dipende solo dal detentore individuale di essa), immunizzandosi pure dal babau nichilista che dovrebbe imperversare in assenza dell'Essere e del suo trascendente fantasma.

Riguardo all'energia, il rattoppo è peggio del buco: dover ricorrere ad un fenomeno fisico per rianimare la dimensione spirituale dell'Essere lo trovo decisamente irriverente nei confronti di un antico, venerabile, concetto metafisico, scalzato dopo millenni di riflessione filosofica e ricerca scientifica, in cui ha dato molto per arrivare al suo superamento.

Neppure scomodare i presocratici giova alcunchè, in quanto la loro filosofia fu sempre molto "concreta", incentrata su un concetto di Tutto (Essere parmenideo) plurale: ta panta.
Il fatto è che, come diceva Bontadini, la riflessione metafisica nasce ponendo una questione; cercando o ricercando, verso un oltre. Se la questione muore, ciò accade per chi la rifiuta; e allora quell'oltre resta fuori dal pensiero filosofico ma resta esistente... E in tal caso come fare? Molti militanti come voi provavano ad attingere al mondo orientale; ma qui tradizionale è una dimensione filosofica, non una vera e propria filosofia: Buddha per la religione, Confucio per la saggezza, e allora non riuscivano, per odio antireligioso e rifiuto della saggezza (agli hippy degli States durante gli anni '60 invece riusciva). In Urss questa situazione di mancanza restituiva molti direttamente allo stato primitivo; nel senso che la realtà dell'essere, privata degli assensi culturali, diventa occasione per regredire allo stato della pietra, dato che la espressione culturale non è solo un vezzo. Dietro tanti intellettuali molti operai si rendevano primitivi, seguiti dagli stessi intellettuali.

Su quello che hai detto su fisica e energia, io affermavo appunto che non esiste solo l'energia fisica. Dimenticarlo fa male alla salute.


Mauro Pastore 
#415
Tematiche Filosofiche / Re: METAFISICA DELL'ESSERE
04 Maggio 2024, 11:19:43 AM
Ho terminato di emendare il mio testo di Metafisica dell'essere e mi è venuta spontanea una riflessione. Certo per chi fa della fisica la scienza delle scienze, facendo ruotare tutto attorno ad essa, non esisterebbe che la sola metafisica dell'essente; e per chi fa della scienza sperimentale tutto, non esiste alcuna metafisica. Quest'ultima posizione è smentita dalla esistenza di scienze basate su esperienza e non esperimenti, in particolare dalla psicologia; ma ci sono ostinati negatori. Ci sono pure quelli che pensano non solo la teologia come un gioco di parole ma pure l'ontologia come una mera riflessione linguistica; e costoro negano la metafisica dell'essere (che esiste anche se non la si pensa). Oltre a questi e non sempre in separazione da essi, ci sono i materialisti estremi che riducono tutto entro la fisica e alla sola meccanica. Se ne trovano nel marxismo. Storicamente, la riflessione di Hume, in parallelo con la teoria di Newton, precede le riflessioni di altri, parallele alla teoria della meccanica quantistica (in realtà la fisica quantistica non è solo una meccanica), mentre ora di nuovo c'è la fisica delle particelle e i tentativi disperati di inquadrarla meccanicamente e di metterci un pensiero uguale accanto. C'è una resistenza enorme a pensare liberamente l'energia, resistenza che tenta di negare che scienze come la chimica e l'acustica siano indipendenti, nella persuasione che l'energia sia solo quanto pertiene alla scienza fisica; e c'è pure di peggio, un'accanita rivolta contro la fisica non meccanica, nella persuasione che tutta la realtà materiale sia un meccanismo di causa ed effetto e che non esista altro che questo...

Ma — si badi! — ragionare su àmbito fisico e metafisico filosoficamente implica una considerazione generale non scientifica; significa cioè riferirsi a una conoscenza di tipo diverso della realtà, per cui il riferimento culturale primo non è il pensiero di Galilei, né di Newton né di Archimede, ma di Talete e degli altri filosofi presocratici come lui; e quello principale non passa per Wundt, Freud, Adler, Jung, Piaget (insomma la psicologia scientifica)... ma per Parmenide e Platone e Plotino.
Tale conoscenza è necessaria e precede quella scientifica, non viceversa; ma è gravemente avversata da quelli che hanno messo a punto la cosiddetta tecnoscienza, creando un pericoloso e spettacolare circolo vizioso che sembra la risoluzione per tutto. È, per dirla con le parole di Emanuele Severino, l'illusione del paradiso della tecnica; ma la vera tecnocrazia, checché se ne pensi, è di fatto in relazione alle durezze della vita e alle difficoltà della esistenza. Non se ne usi il pensiero per negare l'esigenza di andare oltre la semplice materialità.


Mauro Pastore
#416
Tematiche Filosofiche / METAFISICA DELL'ESSERE
04 Maggio 2024, 10:11:05 AM
Metafisica dell'essente (come propone Cacciari) o dell'essere (come proporrebbe chi ha letto Heidegger senza pregiudizi)? O entrambe?
Che ruolo dare alla metafisica?
Heidegger diceva di un superamento e di una fine; ma, stante il fatto che quello fisico è un àmbito non trascurabile e non assoluto, che esiste anche una ulteriorità e pure alterità ad esso, metafisica appunto, noi possiamo soltanto dare un senso relativo e particolare a detti superamento e fine.
Ad essere superata è la funzione di scoperta da parte della metafisica: in un Occidente dove gli studi psicologici, anche scientifici, si sono affermati, non ha più senso guidare metafisicamente gli intelletti per far loro scoprire lo spirito. C'è già la psicologia transpersonale che inquadra specificamente l'elemento spirituale e da decenni e decenni i chimici descrivono l'energia libera in reazioni materiali...
A finire è il ruolo guida del metafisico: oramai costui non fa più il mediatore tra la società e la religione, dato che viviamo in un pluralismo anche religioso e non c'è più l'oscillazione tra il trono e l'altare — non sempre infatti era relazione trono-altare — e i Terrori della Inquisizione Cattolica e della Rivoluzione Francese non si spartiscono più l'intera società. Questo significa che il teologo non è più costretto a chiedere il sistema al filosofo e può cercarlo, se vuole, liberamente. Certo con questo quadro non ho detto tutto... Nella cultura occidentale esiste non solo la fenomenologia anche l'ontologia; e quest'ultima non si occupa solo di essenti, pure di essere; e per studiare tale disciplina non è necessario farsi teologo o contendere il posto alla teologia...
Ma metafisica, e la metafisica, sono appunto anche altro. C'è da chiedersi: è davvero un atto filosofico la proposta assoluta di una metafisica dell'essente, che è venuta recentemente dal professor Cacciari, peraltro negando possibilità a una metafisica dell'essere? Non è forse còmpito del filosofo allargare gli orizzonti anziché chiuderli?
Non si possono risolvere i problemi della nostra società pensando solo all'ulteriorità. Questo lo fanno anche le sole scienze sociali ma non basta. Senza confrontarsi con l'alterità ci si chiude nel cerchio del mondo e proprio in una fase storica in cui si riscontra una crisi del mondo.
Giustamente la filosofia e la cultura contemporanee, sin dai tempi di Kierkegaard e anche dopo Heidegger, hanno fatto propria la categoria di alterità, non solo nella teologia ma anche nella politica, finanche nelle statistiche (quelle "diverse"); chi non sa ricorrere ad altro non sa risolvere i problemi che esistono nel mondo attuale.
Certo, a patto di non essere esclusivisti e intolleranti (come invece lo è stato Cacciari), si può dare un senso filosofico anche alla metafisica dell'essente. Ma resta necessità primaria una metafisica dell'essere, non con lo scopo di guidare la cultura della nostra società, ma  — quanto meno — per ascoltare le ragioni degli altri, di Dio pure.

P.S.
Mentre scrivo, degli uccelli prepotenti che non sanno quante cose diverse fanno gli umani — per esempio affidano i pensieri ai segni della scrittura — mi trattano col loro canto come uno più illuso di quelli che scambiano la propria immagine riflessa per sé stessi e cercano di distrarmi... Non diversamente da quelli che innamorati degli essenti e della medesimezza emarginano o escludono o sottopongono finanche a circostanze sfavorevoli coloro che non pensano sempre la stessa cosa dietro ai presunti benpensanti (tra i nemici, anche i falsi medici che dicono di curare le 'ossessioni religiose' o peggio di 'insegnare la materia', timorosi in realtà del Mistero nell'universo, perché esso ricorda loro e ai loro numerosissimi complici di tirare avanti solo per circostanze fortuite).


Mauro Pastore
#417
Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2024, 11:49:05 AML'Occidente è nato predicando il diritto a perseguire la felicità mentre si faceva servire nei campi, stalle, a tavola e a letto da schiavi africani. Ipocrisia insopportabile che prosegue anche oggi esportando totalitarismi, guerre e sfruttamento su scala planetaria. Indifendibile malgrado tutte le balle metafisiche, cristianeggianti, con cui occulta l'infamia.
Per raccontare una vicenda umana bisogna valutare lo spirito oltre che la materia: non solo la distribuzione delle cose, anche le disposizioni dei pensieri.
Il sistema filosofico che voi usate è adatto solo a punire i distratti, quelli che per pensare allo spirito si dimenticano della materia; e voi volete punire assieme anche gli altri.

La storia generale dell'umanità e la storia dell'Occidente non sono inquadrabili secondo il vostro cànone e tante storie particolari sono radicalmente differenti da quel che voi credete.
C'è innanzitutto la storia di chi doveva rimettersi alla volontà altrui perché era incapace di fare altrimenti; e parte di questa vicenda degenerò (la Bibbia lo racconta a proposito degli ebrei in Egitto).
C'è la storia di chi non poteva altro che còmpiti limitati; e parte di questa vicenda degenerò... ma non risulta che il fattaccio sia caratteristico dell'Occidente. Da noi infatti il servizio fu istituito nel Medio Evo dai barbari per evitare il ritorno della schiavitù, abolita dai romani in forza della nuova convivenza cristiana; e già negli ambienti medioevali dei Comuni esso non era più un regime. Il comunismo di Marx ed Engels è nato non solo disconoscendo i meriti della borghesia medioevale (anima dei Comuni) ma attribuendo ingiustamente ad essa ruolo decisivo nello sfruttamento degli operai delle fabbriche. Questi ambienti non erano dominati dai borghesi. All'origine, si trattò di situazioni confuse e di bisogno che dipendevano innanzitutto da condizioni non volute da alcuno. L'Europa non si formò nel benessere ma molti nel secolo XIX presupponevano facoltà sociali e politiche inesistenti e ciò non li poneva in condizioni delle dovute distinzioni. Gli sfruttatori, che pure ci sono stati e ci sono, non hanno fatto la storia dell'Occidente e se voi continuate con l'odio e la confusione non aiutate proprio nessuno e combinerete soltanto guai. La filosofia vi potrebbe aiutare a smettere, ma voi precipitate nei sofismi. Senza Marx ed Engels saremmo finiti peggio? Il nemico che fa da moderatore resta un nemico e in tal caso anche ingiusto. E voi che continuate fuori tempo massimo non siete un'opposizione filosofica, ma ormai un'antifilosofia.

Mauro Pastore 
#418
Citazione di: Ipazia il 02 Maggio 2024, 16:00:20 PMKierkegaard risolve nel singolo le contraddizioni che non sa capire nel sociale. Intende l'estetica come edonismo e l'etica come conformismo. Da bravo prete metafisico, svaluta tutto ciò per cui vale la pena di vivere in questo mondo, per dare una prospettiva ad un mondo dietro il mondo sempre più in affanno. A causa di chi ? Di Satana, ovviamente.
La definizione di prete metafisico non sta in piedi. Kierkegaard alla estetica e all'etica non aggiungeva la metafisica. Certo, gli stadi estetico ed etico erano considerati da lui negativamente, in base al principio che Dio è necessario per la vita. Filosoficamente possiamo chiederci: in che senso? In che senso la fede in Dio? Nel definire lo stadio religioso della vita, si incontra l'uomo quale animale religioso... E in definitiva lo stesso Kierkegaard si era alla fine staccato dalle istituzioni religiose. Non si deve pensare quindi necessariamente a una fede positiva. In tal senso dobbiamo distinguere il semplice ateo dal negatore di Dio. Se vogliamo passare a un piano più alto di quello religioso, cosa che però Kierkegaard non aveva fatto, allora ci troviamo non più davanti ai tre stadi, ma al cammino attraverso la fisica e la metafisica. Ma in che senso? Nel senso che vivendo non si può restare fermi alla sola materialità. Si scopre in qualunque destino qualcosa di metafisico. Voialtri questo in fin dei conti lo sapete ma non tollerate la stessa cultura nella quale siete immersi. Cercate di porre fine all'Occidente. Se un pensiero è buono ma chi lo fa è della classe sociale che voi avversate, quel pensiero per voi diventa cattivo. Siete malamente interessati.

Mauro Pastore 
#419
Citazione di: Pensarbene il 28 Aprile 2024, 10:50:44 AMhttps://www.focus.it/cultura/storia/perche-filosofi-del-passato-assumevano-droghe

Il libro indicato la dice lunga.

Mi riferisco al link qui sopra. Il tenore polemico dell'articolo è appropriato a mio avviso solo al caso di Freud e Sartre. Entrambi avevano grandi responsabilità e furono molto irresponsabili, Freud anche superbo.

Le droghe vanno considerate senza affidarsi alla emotività. Non esiste solo l'uso insensato, ma anche un utilizzo diverso: sostanze che fanno da ponte allargando le percezioni; alterazioni mediante le quali, soprattutto dopo l'effetto, si può valutare meglio l'efficacia e caratteristica delle nostre percezioni; schermo per tenere lontani gli attacchi di insetti (si racconta che molti soldati nel Vietnam si salvassero così dagli attacchi che accadevano nei pressi delle esplosioni); utilizzo per analgesici, farmaci o proprio medicine (purtroppo sopravvalutato, a volte tentato a sproposito); modo per esercitare il corpo al distacco non solo mentale; o per sfuggire a invadenze pericolose (anche in questo caso ci possono essere per mezzo gli insetti)... Ed esistono vari tipi di droghe: classificate secondo gli odierni sistemi scientifici quali leggere o pesanti; ma anche quelle dagli effetti assolutamente blandi, tra le quali annoverabili il pepe e il peperoncino (effetti quasi per niente mentali); e quelle che a volte assumono la funzione di droga senza esserlo in sé: tè e caffè; altre che lo diventano in combinazione... Ma ci sono sostanze prodotte da animali (alcuni insetti, ragni, serpenti, pesci, molluschi o crostacei, a volte combinando solo materiale esterno)... E diverso è l'uso diretto di una pianta, diversamente se volontario o involontario... Ma ancora più diversa proprio l'esperienza tramite gli animali, che va da un altrimenti impossibile gioco, a una prova più o meno difficile, solo raramente e non per caso a volte ciò essendo direttamente connesso con effetti tossici; e infatti potenzialmente più spietata la situazione con le piante; rara ma ancora più difficile direttamente con le sostanze libere degli ambienti...
Nella modernità si trovano resoconti letterari (De Quincey, Baudelaire, Huxley...) di notevole pregio, semplici diari artistici, notissimi e molto fraintesi quelli della musica rock... E purtroppo c'è la pretesa della malasanità di poter sostituire tutti questi conti con esperimenti inutili oltre che criminali...
Nell'antichità ci sono rapporti nella poesia (Omero...) e nel Medio Evo prevaleva la valutazione filosofica o filosofico-medica oppure la leggenda misteriosa (notissima una su una fantomatica sostanza usata dai vichinghi)... E anche spiritualità e religione possono esserne coinvolte, senza che ciò rappresenti di per sé un pericolo...

Ma per contro ci può essere anche la voglia ostinata e distratta di stranezze, il desiderio di morire un poco o di più, il proposito di essere di troppo o funesti...

Bisogna affrontare l'argomento senza pregiudizi ma con estrema prudenza; e non è questo un moralismo, ma una necessità intrinseca alla situazione.
Non esiste solo la scienza, anche altra conoscenza e i saperi.

(L'elenco è venuto fuori assai lungo, più del previsto.)


Mauro Pastore
#420
Tempo fa' giocavo con alcuni libri di D. Bonhoeffer e facevo ipotesi senza venirne a capo. Prendevo in esame, legicchiando qui e lì, tentavo la fortuna aprendo qualche pagina non senza concentrarmi sulle presentazioni e sulle intenzioni non solo dell'autore. Mi accorgevo che per provare a dare la mia stima o disistima mi mancava un pezzo importante. Mi capitò un giorno, mentre camminavo assorto nel mio rompicapo intellettuale (c'è chi ancora adesso non vorrebbe permettermi di muovermi pensieroso, e anche allora avevo da temere), di incontrare un tedesco molto misterioso e i nostri sguardi si incrociarono, intuendo entrambi che pensavamo alla stessa persona. Trovai modo per riferire della mia lacuna riguardo a D. Bonhoeffer (una lacuna in mezzo perlopiù a immensi vuoti), ricevendo come risposta la menzione di un'opera non ancora pubblicata, L'essenza della chiesa. Così terminai le mie ipotesi azzardate, che si riferivano anche ad altro, componendo una sorta di ritratto culturale, non solo da retrobottega ma neppure da banco per i clienti, cogliendo ciò che mi parevano motivazioni non trascurabili dell'autore di quegli scritti, una linea come dimenticata ma neanche tenuta nascosta:
'Da una ingenua affermazione del divenire, secondo le suggestioni della filosofia di Heidegger ("Atto ed essere", 1930), alla distratta celebrazione della collettività, attraverso le seduzioni del marxismo ("L'essenza della chiesa", 1932), fino alla incauta espressione di un mondo creato che non è più tale, per via della accettazione acritica del darwinismo sociale ("Creazione e caduta", 1932, 1933), quindi la riduzione dell'unione uomo-Dio in mero rapporto, con tutta la debolezza religiosa e spirituale conseguente ("Sequela", scritto nel 1934, pubblicato nel 1937 — qui l'azzardo era totale, sfociava nell'illazione); infine la inevitabile resa al precipitare degli eventi, testimoniata dalle lettere dal carcere, prima della esecuzione capitale commisurata da Adolph Hitler per aver attentato contro la sua vita...'
Mi sembrò di aver giocato alla roulette russa, con un giudizio alla cieca, una selezione parziale e casuale, una decisione priva di basi sufficienti, forse un intùito assai improbabile quanto meno. Tempo dopo (me ne ricordo a fatica) trovavo notizia di un incontro con Gandhi, il massimo teorico e pratico della non-violenza, programmato da Bonhoeffer e che non avveniva.
Mi parve di aver composto un mosaico pieno di possibile significato e mi capitò in sèguito di rincontrare lo stesso tedesco di allora; e i nostri pensieri si incrociarono di nuovo ma stavolta senza concordia. Infatti nominai Dietrich Bonhoeffer facendo trasparire dalla mia voce cosa fossi propenso a ritenere di lui; ma la mia voce non parve ricordare veramente la sua vita. D'altronde percepivo nello sguardo del mio interlocutore come un velo, che mi sapeva di tante occasioni culturali senza una vera conclusione e tanto assommarsi di pensieri mai diretti, mai del tutto centrati...

La parabola di Adolph Hitler mi risultava diversa. Si trattava a mio avviso di un pessimista violento, uno che aveva portato alle estreme conseguenze un immenso litigio, addebitando a tanti innocenti la colpa di non volersi liberare degli usurpatori e molti altri abbandonandoli nonostante tutto. Ritenni che lo stesso Equilibrio del Terrore della Guerra Fredda fosse stato istituito da lui con segrete operazioni e infiltrazioni, non senza lasciare che dei disastri atomici realmente avvenissero, circondato sempre non da amici ma nemici, alcuni dei quali al loro processo dichiaravano che era stato Hitler stesso a tradirli in anticipo.
I nazisti non erano a tutti gli effetti dei nazionalsocialisti, credevano fermamente nella nascita come giudizio, fermi a un senso certo del destino, che il loro Capo derideva spesso, dediti quindi a giudicare anche la vita con criteri desunti dagli eventi stessi del mondo; usati dunque come marionette accusando chi di fatalismo, che di servilismo, altri trattati dalla indifferenza... secondo una visione pessimistica e violenta della realtà. Il Führer, si diceva, cercava chi lo dispensasse dal suo ingrato còmpito di distruttore, senza poterlo trovare; le notizie sul suo suicidio furono messe in dubbio, gli Stati alla fine basando la propria certezza solo su sparute e non circostanziate testimonianze.

Il concetto di una creazione che si allontana del tutto dal proprio Creatore fino a non essere più vera e che necessita di essere da Questi riavvicinata a Sé non è cristiano ma neppure era parte della ideologia nazista. Nel cristianesimo si parla propriamente soltanto di inautenticità e di allontanamento da Dio, ma in Germania prima e durante il nazismo questa dottrina veniva da molti corrotta, dato che si diffondevano interpretazioni particolari della Teoria biologica della Evoluzione, scambiata per l'affermazione della totalità del divenire. I teologi accademici che dovevano fare i conti con lo stato della scienza spesso formulavano diversamente le proprie dottrine, cercando di accordarle ma incappando a volte in falsificazioni, che confondevano i dati col modo soggettivo e spesso arbitrario di pensarli. Molti, sulla scia del pensiero di Heidegger ma in definitiva anche di Nietzsche, sostenevano un Dio che lascia essere il mondo, che dunque può anche non serbare nulla di tale cessione. Dunque creature che si fanno ex, ma pure un Creatore che non è effettivamente tale: un pensiero che si avvicina all'antica concezione neoplatonica dell'atto creativo ma senza comprenderla. Se la ontologia contemporanea viene recepita come una fenomenologia — e molti così facevano, ripercorrendo inversamente il cammino di Heidegger dai fenomeni — allora il lasciare da parte dell'Essere appare non diverso da una fecondazione biologica, e la Teologia della creazione uguale a uno scherzo. Non così penso che apparisse la cosa al giovane professore universitario D. Bonhoeffer, ma probabilmente era per evitare questo che si trovava a dire di creazione solo in un certo senso, e anche di non più creazione. Ugualmente di redenzione e di non redenzione. Tutto solamente in un certo senso, insomma in senso lato... E così, ultimamente, riuscivo a dare un valore, studiando il testo di Creazione e Caduta, al discorso del suo autore... A prenderlo per il verso giusto, era ancora teologia; certo però riconoscevo in esso solo una remota impronta cristiana e per il resto l'espressione di una estraneità.

Così, mentre il nazismo si impadroniva del potere in Germania, un teologo cristiano lasciava sommergere la vera dottrina cristiana da un pensiero estraneo. Questo non è senza significato. Tutt'altro era la persuasione dei criminali nazisti, improntata alla sopravvalutazione della genetica. Evidentemente, Bonhoeffer si era dato all'attentato contro Hitler perché si era sentito anche lui responsabile del regime nazista, pur non essendone connivente; responsabile in quanto parte attiva di una grande crisi culturale... e del suo caso se ne occupava lo stesso Führer. Anche stavolta, nessuna pietà.


Mauro Pastore