Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - donquixote

#406
Citazione di: InVerno il 14 Aprile 2016, 22:35:13 PM
La risposta di donquixote mi lascia perplesso..Perchè se vogliamo discutere del fatto che il medioevo fosse un epoca caratterizzata dal primato dell'interpretazione anagogica dei testi (o allegorica o tropica) , allora forse stiamo parlando di un universo parallelo o abbiamo studiato la storia in scuole molto diverse. Se invece ci si vuole accontentare che questo primato interpretativo sia stato teorizzato, e non ci curiamo sia poi rimasto lettera morta per secoli, o appannaggio di qualche santo, allora è tutto un altro discorso. D'altro canto nel medioevo si cantava tutti "alleluja!" come vorrebbe giona, non è bastato come esperimento? giona avrebbe voglia di riprovare.. io onestamente no, oggi nell'ateissima satanica e idolatra Europa fa scandalo un errore chirurgico, ai tempi del "primato anagocico" gli involcrui dell'anima scorrevano nei fiumi a pancia in su come pesci, in quotidiani olocausti. Ho letto anche io Santa Caterina da Siena e da Genova, Francesco di Sales, San Bernardo.. belle anime, bei pensatori, che rappresentavano una ristrettissima minoranza di primi, in una religione "per gli ultimi" che purtroppo non ci capivano niente, a quanto pare.

Io contestavo solo l'affermazione secondo la quale l'interpretazione in senso anagogico dei testi sacri fosse una pratica del tutto moderna, mentre invece è antichissima e in uso da sempre per tutti i testi di tutte le culture, e nel medioevo europeo tale interpretazione è stata anche codificata nei documenti ufficiali. Questo non significa che interpretazioni diverse fossero illegittime, ma solo di grado gerarchico inferiore. La cosa ovviamente fondamentale è saper cogliere lo "spirito" del testo per riuscire a fornire il corretto senso alle successive interpretazioni morali, allegoriche e letterali. Non mi sembra molto diverso dall'interpretazione delle leggi moderne che sono state emanate secondo un certo "spirito" (vedi Montesquieu) al quale è necessario attenersi per la loro interpretazione e conseguente applicazione, e non ad esempio cavillare su una parola ambigua o su un segno di punteggiatura per applicarle secondo il proprio comodo e non secondo l'intenzione che ne ha ispirato l'emanazione. Poi se si vuole parlare del medioevo e dei corpi che scorrevano nei fiumi a pancia in su o dell'Europa laica in cui fa scandalo un errore chirurgico si aprano appositi topic e sarò lieto di discuterne.
#407
Da qualche tempo il presidente turco Erdogan ha ingaggiato una battaglia contro la "libera informazione", facendo chiudere giornali e arrestare giornalisti che ha paragonato ai terroristi dicendo che non serve una bomba per essere un terrorista ma basta una penna.
Per quanto, per altri versi, questo personaggio e la sua politica possano essere alquanto criticabili, nel caso di specie ha perfettamente ragione.
Il giornalismo e la libertà di informazione in generale è una delle armi più micidiali di distruzione culturale, poiché mina le culture al loro interno frammentandole fino a polverizzarle; e quanto più un giornalista fa bene il suo mestiere, ovvero è (per quanto possibile, quindi quasi mai ) imparziale e credibile, tanto più i suoi effetti distruttivi sulla cultura saranno efficaci.
Una cultura che si possa definire tale si basa su equilibri delicati, vive di una "normalità" che è recepita e vissuta da tutti i suoi componenti e difesa dalle istituzioni, che si occupano di fornire un quadro di senso e di sicurezza alla popolazione e devono inoltre gestire in modo sensato le inevitabili eccezioni a questa normalità in modo tale da non creare scompensi.
Il giornalismo e il mondo dell'informazione negano per principio istituzionale la normalità perché questa, come si sa, non fa notizia, e quindi si occupano esclusivamente delle eccezioni; inoltre, con l'aumento esponenziale dei mezzi di informazione, per acquisire visibilità e "vendere" il proprio prodotto informativo si è costretti a veicolare una quantità sempre maggiore di tali eccezioni e ad enfatizzarle in modo abnorme rendendole molto più cogenti di quello che effettivamente sono o potrebbero essere se trattate come tali: basta pensare a certi casi di cronaca nera che vengono talmente analizzati, paragonati, sezionati e reiterati con ogni mezzo e per lungo tempo tanto da creare l'impressione che il delitto commesso non sia stato solo uno ma centinaia.
Gli utenti dell'informazione vengono quindi a poco a poco convinti che nella propria comunità non esista più una normalità ma solo una serie di eccezioni, e questo fatto crea instabilità, squilibrio, insicurezza e spaesamento fino a distruggere una comunità in cui si sarà indotti a sospettare del proprio vicino di casa perché da qualche parte un delinquente (che, come capita quasi sempre, non aveva mai dato precedenti segnali di squilibrio) ha ucciso in maniera orribile il proprio vicino. Paradigmatico è ad esempio il caso dei pedofili: da quando nel mondo dell'informazione andava di moda questo reato e se ne parlava quasi quotidianamente è cresciuta esponenzialmente la cultura del sospetto: è sufficiente che un adulto sconosciuto si avvicini ad un bambino per fargli un complimento perché la madre diventi subito nervosa, iperprotettiva e lo sottragga alle "grinfie" del potenziale "orco": cosa mai vista nei decenni passati e attualmente inaudita nel mondo "non occidentale", ove le madri sono fiere ed orgogliose del fatto che dei perfetti sconosciuti si fermino ad ammirare il loro bimbo.
Vi è poi l'altra faccia della medaglia: se l'informazione veicola solo notizie di ruberie, ladrocini, megatruffe e delinquenze varie si sarà facilmente indotti a pensare che "così fan tutti", e chi avrà meno scrupoli andrà facilmente ad aumentare le fila di questi "diversamente onesti".
Per non parlare poi, cosa ancor più distruttiva e deleteria nell'ottica di una corretta informazione, delle notizie che vengono da paesi e da culture "altre", che oltre ad essere anch'esse delle "eccezioni" non sono mai correttamente contestualizzate e inquadrate nel loro tipo di "normalità", conducendo chi ne fruisce ad esprimere giudizi sommari e quasi sempre sbagliati nei confronti di culture differenti dalla nostra, aumentando così il sentimento di rifiuto dell'altro da noi.
Non credo che il presidente turco facesse leva su questioni di questo genere quando ha sollecitato gli interventi nei confronti della "libera stampa", e sicuramente i metodi utilizzati sono quelli più indicati per ottenere il risultato opposto, ma comunque il paragone dei giornalisti con i terroristi è tutt'altro che campato in aria perché l'effetto, tutto sommato, è proprio il medesimo. D'altronde anche qui da noi, un tempo, tutti condividevano il saggio proverbio che recita "Ne uccide più la lingua che la spada", che attualizzato potrebbe diventare: fa più danni una penna (o una trasmissione TV) che una bomba.
#408
Citazione di: InVerno il 14 Aprile 2016, 07:52:42 AM
la sua lettura in chiave simbolica è solo una moderna interpretazione, un angolo del ring in cui i pugili religiosi sono stati spinti dalle evidenze storico-scientifiche dopo secoli in cui tutto il pantheon di pensatori cattolico-ebraici l'hanno intesa letteralmente, a giustificazione degli atti più macabri, dallo schiavismo alla culto della razza ariana. Ancora oggi soprattutto in America, soppravive un culto del creazionismo che ha del tragicomico, con musei dedicati dove Gesù cavalca i dinosauri presentati come verità storica, e dove il dibattito tra creazionismo-evoluzionismo è ancora estremamente acceso con dibattiti in sedi universitarie tra intellettuali di vario spessore. Comunque vedo con piacere che ora almeno "quelli che non possono capire" hanno anche una raffigurazione favolistica e colorata "le volpi che non arrivano all'uva", una schematizzazione che rappresenta queste persone (tra cui me, a cui si fa riferimento senza un dialogo diretto) come mosse dal risentimento dovuto alla propria bassezza, e alla loro incapacità di elevarsi all'uva. E' da questo piedistallo di autoreferenzialità che si opera compassione e misericordia sincera?

Fra le poche cose ancora sensate, peraltro sommerse da una serie interminabile di disposizioni, interpretazioni, affermazioni e spiegazioni alquanto confuse e perlomeno ambigue se non addirittura semplicemente contraddittorie che nella dottrina della Chiesa ancora sopravvivono vi è l'indicazione dei quattro livelli di interpretazione delle sacre scritture, rigorosamente considerati in ordine gerarchico: il primo e il più inferiore è quello letterale, poi quello allegorico, poi quello morale ed infine quello anagogico, che è quello superiore e più importante. Questo metodo è stato codificato svariati secoli orsono, almeno dai tempi di Dante, e rimane tuttora valido. La difficoltà nella redazione dei testi sacri sta appunto nel rendere ugualmente validi i quattro livelli di interpretazione, ma se in alcuni casi, per esprimere un insegnamento spirituale, non si possono evitare le contraddizioni ad un livello inferiore, si deve privilegiare ovviamente la correttezza dell'insegnamento profondo.
L'interpretazione esclusivamente letterale dei testi sacri è quindi dimostrazione di una progressiva degenerazione dell'intelligenza umana e non certo di un progresso, almeno per quanto riguarda le questioni spirituali. Questa degenerazione si mostra anche nelle manifestazioni che hai citato, ed è a mio avviso assai significativo il fatto che proprio nelle società più razionaliste, più materialiste e più "scientifiche" queste manifestazioni di folclore ed ignoranza insieme siano presenti più che altrove. D'altronde in ultima analisi le teorie creazioniste altro non sono che il rovescio della medaglia di quelle evoluzioniste, e derivano entrambe da una incomprensione di fondo.


Citazione di: InVerno il 14 Aprile 2016, 07:52:42 AM
Tra uno spagnolo e un italiano, non sempre è necessario che uno impari la lingua dell'altro, esiste sempre una lingua franca di riferimento attraverso la quale i due si possono incontrare a metà strada, sacrificando in un atto di umiltà la pretesa "nazionalistica" che l'altro debba imparare la lingua dell'altro perchè la propria è superiore. E' questa lingua franca è spesso la filosofia, l'amore per la conoscenza, l'amore per l'incontro, l'amore per la comunione e il confronto. Etichettare gli altri come volpi, è la fine della filosofia come atto di relazione, è la condanna per se stessi e gli altri, a vivere un monologo autoreferenziale dove gli altri sono sempre troppo stupidi per essere alla propria altezza.

La filosofia non è una lingua universale ma un metodo prettamente occidentale; Giorgio Colli, nel suo testo "La nascita della filosofia", scrive: «Platone guarda con venerazione al passato, a un mondo in cui erano esistiti davvero i "sapienti". D'altra parte la filosofia posteriore, la nostra filosofia, non è altro che una continuazione, uno sviluppo della forma letteraria introdotta da Platone; eppure quest'ultima sorge come un fenomeno di decadenza, in quanto "l'amore per la sapienza" sta più in basso della "sapienza". Amore della sapienza non significava infatti, per Platone, aspirazione a qualcosa di mai raggiunto, ma tendenza a recuperare quello che era già stato realizzato e vissuto». La filosofia dunque è un linguaggio diverso per rappresentare ciò che prima veniva rappresentato con il linguaggio del simbolo e del mito, più evocativo e meno freddamente razionale.  E l'amore per la conoscenza non c'entra punto con la relazione, il confronto, l'incontro. Un grande saggio come Agostino d'Ippona diceva giustamente "in interiore homine habitat veritas" e sul frontespizio del tempio di Delfi era scritto "conosci te stesso e conoscerai il mondo e gli dei. Lo stesso Nietzsche esalta la solitudine e il ritiro sull' "alto monte" invece che l'incontro con gli uomini come più salutare e produttivo in funzione appunto della conoscenza
#409
Citazione di: Jacopus il 13 Aprile 2016, 20:08:41 PM
Citazione di: giona2068 il 13 Aprile 2016, 10:13:00 AM
Koli si trova nelle stesse condizioni in cui si troverebbe chi conosce l'italiano ma pretendesse di comprendere e spiegare ad altri un testo scritto in spagnolo. Faccio riferimento allo spagnolo ed all'italiano per dire  che si assomigliano un po' ma non sono la stessa cosa. Per comprendere ciò che il Signore Dio dice, occorre credere in Lui, amarLo ed aver timore rinunciando alle nostre elucubrazioni mentali che ai suoi occhi sono stoltezza pura. Non dimentichiamo che Lui è verità. Se crediamo in Lui, entra in noi, o si manifesta, tutta la Sua sapienza disintegrando la nostra stoltezza. Solo così possiamo comprendere la Sua parola che è rivolta alla salvezza della nostra anima. Se però  crediamo di essere carne, non possiamo non preoccuparci del nostro corpo, per questo la parola del Signore Dio Verità ci sembra provenire da chi non ci ama, ma Costui è Verità ed oltretutto è Colui che ci ha creato, nessuno più di Lui conosce come siamo fatti!!
La Sua parola è adeguata ai tempi in cui l'ha proferita perché il Sapiente non può parlare una lingua che chi ascolta non può comprendere.  Se leggiamo le scritture partendo dal principio che la carne, il nostro corpo, è solo un involucro perché siamo anima da salvare, ivi compresa quella del padrone malvagio, le nostre conclusioni cambieranno radicalmente. Capiremo anche il perché ha permesso la crocifissione a nostro vantaggio, del Suo Figlio prediletto, oltretutto porremo fine al puntare il dito verso di Lui.
Scusami Giona se prendo spesso i tuoi post per criticarli, ma sono davvero in un certo senso "paradigmatici" e quindi spesso colgono il centro della questione che mi sta a cuore, cioè il conflitto fra spiritualità e razionalismo e la possibilità di superare quel conflitto senza appiattirsi nelle due fazioni, entrambe pericolose, dello scientismo o del radicalismo monoteistico.
Intanto l'esempio fra spagnolo e italiano non è esattamente corretto. Sia l'italiano che lo spagnolo hanno delle regole. Basta padroneggiarle e si può tradurre un testo da una lingua all'altra. "La fede, l'amore e il timore" non sono regolamentate: fanno parte del mondo delle passioni, che di solito si focalizzano su eventi reali. Il passaggio dell'umanità dallo stato di natura allo stato di cultura ha comportato il riferimento di queste passioni a costruzioni simboliche, le religioni. E' stato un passaggio importantissimo che ha liberato energie umane e ha facilitato ulteriori sviluppi. Ma altrettanto importante, a mio avviso, è il cammino della filosofia e in questo cammino, l'illuminismo. Ad esempio, mi riferisco alla famosa frase di Kant, che ne riassume lo spirito: "l'illuminismo è il superamento dello stato di minorità dell'uomo dovuto a se stesso". E' il "sapere aude", che si pone in una posizione antitetica a qualunque religione fondata sull'autorità e sulla tradizione.
Torniamo però al tema. In questo intervento esponi una posizione efficace e  coerentemente medioevale. Dio ama la nostra anima e non il nostro corpo. Per questo le sue scelte ci sembrano incomprensibili. Penso che il nocciolo della violenza divina sia in questa tua affermazione. Al tempo della inquisizione per i condannati vi erano procedure molto complicate, così come confraternite dedicate per provare a salvare l'anima del condannato. Il corpo era giustamente solo un "involucro". La cosa importante era salvare l'anima.
Che cosa evita in una visione del genere, eliminare i propri nemici, preoccupandosi magari di salvare la loro anima e proclamando che questa è l'unica verità perseguibile?
Sinceramente spero che la tua visione del mondo sia condivisa dal minor numero possibile di persone, perlomeno in Italia, perché seppure professi in più occasioni la tua mitezza, la posizione profonda che proclami è una posizione tendenzialmente violenta che non vede e non tollera le posizioni diverse dalle proprie.
.
Se sono paradigmatici i post di Giona, lo sono almeno altrettanto quelli di coloro che enunciano tesi opposte senza preoccuparsi di mostrare perchè mai dovrebbero essere più vere e più sensate di quelle altre. Il paragone di Giona delle due lingue diverse è assolutamente azzeccato, perchè pare proprio di leggere messaggi solo apparentemente nella stessa lingua, ma nei fatti si tratta di linguaggi molto differenti. Uno è il linguaggio della passione, del sentimento, dell'identificazione e quasi della simbiosi con l'oggetto della conoscenza, mentre l'altro è il linguaggio della mera rappresentazione, della asetticità, di una presunta oggettività (che se intesa come imparzialità non esiste affatto) che in effetti è pura superficialità. E se qualcuno si può sentire ferito nel proprio orgoglio da frasi del tipo "voi non potete capire" se ne faccia pure una ragione perchè di fatto nessuno può capire esattamente il sentire di qualcun altro, ma questo non vuol dire che l'espressione del suo sentire sia mera opinione o addirittura semplice fuffa. Per fare un esempio se due persone si mettono a discutere di cosa significa amare una donna ognuno proverà, nel momento in cui è innamorato, sensazioni diverse, e istintivamente sarà portato a credere che quello che lui prova si tratti di vero amore mentre se quell'altro non prova le medesime sensazioni vorrà dire che non è innamorato; ma quali sono i parametri "oggettivi" per dire che qualcuno è innamorato? esiste un numero minimo di "farfalle nello stomaco" che deve sentire per potersi parlare di innamoramento? E chi decide, eventualmente, questi parametri? In ogni caso saranno sempre arbitrari e quindi insensati poichè siccome ognuno è diverso anche le sensazioni saranno diverse. Se si parla di Dio bisognerebbe almeno, come per qualunque altro argomento, saperne quel tanto che ci permette di poterne parlare perchè, come insegna il più comune buonsenso, di ciò di cui non si sa parlare si deve tacere, e se io mi mettessi a criticare le teorie della meccanica quantistica senza sapere niente o quasi di questo argomento sarei, oltre che sciocco, anche estremamente presuntuoso. Quindi se si parla di Dio bisognerebbe perlomeno, a livello estremamente basico, tenere sempre presente che con questo vocabolo si intende un ente spirituale e quindi non tirare in ballo la scienza e il suo linguaggio poichè questa, che si rivolge solo ad oggetti materiali, nulla può e sa dire sullo spirito. Bisognerebbe inoltre aver studiato e capito qualcosa dei testi sacri e dei commenti che ne sono stati fatti, e comprendere che questi sono stati scritti da uomini per gli uomini con l'intenzione di evocare in ultima analisi questioni spirituali e quindi la loro interpretazione letterale è la più inferiore delle interpretazioni possibili: forse che il sentimento di disprezzo che spesso prova l'uomo nei confronti di ciò che non è in grado di ottenere si coglie meglio se è espresso in forma razionale e concettuale invece che attraverso la famosa favola di Esopo della volpe e l'uva? Sono modi diversi di esprimere il medesimo concetto, e se il bambino si immagina la frustrazione della volpe che cerca inutilmente di raggiungere il grappolo d'uva una volta cresciuto potrà concettualizzare la medesima favola e interpretarla in modo differente e più profondo. Tutti coloro che si accostano ai testi sacri al giorno d'oggi lo fanno con lo spirito di un bambino di sei anni e poi, da bravi "razionalisti", criticano il fatto che siccome non hanno mai visto una volpe che parla allora la favola di Esopo è una mera sciocchezza.
#410
Citazione di: memento il 09 Aprile 2016, 19:00:56 PM
Effettivamente il lavoro di questi scienziati,professori,giornalisti,eccetera,tende a sminuire la posizione atea più che a rafforzarla,se la si intende come reazione e antitesi alla fede religosa. D'altra parte va sempre sottolineato come la fede sia un errore che la ragione non può permettersi. Perciò non ho alcun dubbio che la maggior parte di questi autori abbiano affrontato il problema scientificamente e razionalmente,e che,in mancanza di prove in sostegno dell'esistenza di Dio,ne abbiano decretato la non validità. Quindi,per rispondere alla tua domanda,in alcun modo si è usciti dal campo dell'esperienza come criterio di valutazione di una teoria.

La fede è un atteggiamento miope nel momento in cui non vede la contraddittorietà delle proprie ipotesi. L'occhio miope quando guarda da lontano semplifica e sfuma le forme esattamente come il credente in Dio elimina tutte le irregolarità e le contraddizioni universali. Colui che ha un'ottima vista invece sa cogliere il particolare e l'eterogeneità delle forme che osserva. Fondamentalmente la metafora voleva essere questa.

Sulla scomposizione della parola ateismo volevo evidenziare il suffisso -ismo,che indica come tu stesso hai detto una dottrina,inesistente fra gli atei.
La questione basilare è sempre la stessa: l'incapacità di comprendere che cosa si intende con Dio. Oltre ovviamente a tutti i testi sacri e i loro commentari,  qualunque studioso, qualunque teologo (anche fra i più ignoranti e ormai lo sono quasi tutti) e addirittura qualunque prete (o monaco) oltre ad una pletora di persone mediamente acculturate, pur non conoscendo Dio saprebbero perlomeno dire che è "spirito", e quindi impossibile da percepire con i sensi. Siccome tutte le "prove" pretese da costoro sono basate sul metodo scientifico e quindi sulla percezione sensoriale è ovviamente impossibile averne. Ma continuano ad insistere sul medesimo tasto: sarà anche affrontare il problema in modo scientifico e razionale, ma sicuramente non intelligente e totalmente inutile.

Per quanto riguarda la dottrina dell'ateismo che tu affermi non esistere io ho in casa il "Trattato di ateologia" di Michel Onfray, filosofo francese  che è uno dei più autorevoli pensatori in questo campo, e addirittura il "Catechismo di ateologia" (sottotitolo: in cosa crede chi non crede) di Paul Desalmand, scrittore e docente universitario, sempre francese. Ma secondo me se vai su IBS e digiti ateismo troverai diversi volumi che trattano di questa dottrina (e anche se per evitare gli "ismi" usano il suffisso "logia" il risultato è il medesimo)
#411
Citazione di: InVerno il 09 Aprile 2016, 17:54:53 PM
Che l'universo e la fisica funzionino senza necessità di chiamare in causa Dio "architetto" è cosa nota dai tempi di Laplace e la sua famosa risposta a Napoleone. Peraltro io non asserisco che Dio non esiste, asserisco più semplicemente che non ci sono prove per affermarlo e che grandi ipotesi (in questo caso immense) necessitino di grandi prove (in questo caso immense). Tendo all'ateismo nel caso si parli di deismo, perchè a quel punto posso vedere la teologia particolare di cui si parla e riguardo a quella sono ateo, ma non ho nulla da dire riguardo varie forme di cui panteismo, se non "aspetto le prove". Peraltro non capisco perchè dovrei dimostrare l'esistenza del Caos o del Nulla? L'universo, per come lo abbiamo visto fino ad oggi, è un insieme di materia privo di valori, coscienza e morale. Caos e Nulla sono due concetti valoriali umani, la fisica non c'entra nulla con loro. Quello che posso dimostrarti è che la fisica "funziona", nel senso che è un interpretazione della realtà tangente la stessa, perchè riesce ad interagire con essa nei modi supposti ed ipotizzati. Sapresti fare lo stesso con la fede?

Voglio però fare una domanda, perchè checchè se ne pensi discuto per imparare non per convincere. Si dice che l'esistenza di Dio non è una questione di deduzione logica. Perfetto, non mi crea problemi di sorta accettarlo. Però vorrei capire, nel momento in cui Dio viene percepito dal credente, non sono le suddette percezioni passive di logica? E' l'uomo a entrare nel territorio del trascendentale quando percepisce Dio, o Dio a entrare nel mondo logico e fenomenico? Voglio supporre che sia il primo caso, e che sia  una forma di misticismo per la quale la percezione trascende la materia. E da questo punto in poi dovremmo tranquillamente parlare di narcisismo e di egocentrismo. Le percezioni sono quanto di più inaffidabile l'uomo abbia a disposizione, sacralizzarle al punto da renderle "prove" per se stessi o per gli altri, è sintomo di infinito narcisismo. Faccio un esempio veloce, esiste una sindrome molto rara a seguito della perdita della vista, il cieco non ha alcuna percezione visiva, sbatte contro le porte e contro i muri, ma è assolutamente convinto di non essere cieco e di vederci perfettamente. E' una condizione clinica che può durare dalla settimana al mese, e non c'è verso di far capire a queste persone che sono cieche, sono incontrovertibilmente convinte di vederci perfettamente. Sarebbero queste le percezioni di cui dovremmo fidarci ciecamente nell'asserire l'esistenza o meno di architetti universali? Bene..


Il grande antropologo Levi Strauss, in uno dei suoi scritti, racconta la storia di un piccolo popolo di una sperduta isola dell'emisfero australe che rimase incantato dal "grande uccello" che una volta al mese portava i viveri alla colonia di "bianchi" che si erano stabiliti su quell'isola. Gli indigeni, che non avevano mai visto un aeroplano, credettero ovviamente che fosse un animale particolare e in un certo senso miracoloso, e se fra loro vi fosse stato un ateo e razionalista come Laplace l'avrebbe probabilmente analizzato e avrebbe potuto spiegare al Napoleone della situazione come "funzionava", senza minimamente ipotizzare che a monte di quell'oggetto vi potesse essere un "architetto" che l'aveva progettato, mentre invece evidentemente c'era. Il fatto quindi di fornire spiegazioni logiche e razionali del funzionamento di qualcosa non spiega, ad esempio, l'esistenza stessa di quel qualcosa. Per spiegare il movimento dei pianeti bisogna che ci siano perlomeno i pianeti e anche il movimento: e questo come lo si spiega?
Esiste poi una ragione logica e una ontologica per pensare necessariamente ad un qualcosa che trascende l'universo fisico: il nostro è il mondo del divenire, ma ogni divenire ha, sia logicamente che ontologicamente, un inizio e una fine; il divenire (e il suo sistema di misura che è il tempo) è ciò che sta appunto fra l'inizio e la fine (di un moscerino come di una stella o di una galassia). È quindi perlomeno necessario qualcosa che non sia "diveniente" che possa giustificare e rendere ragione del divenire: quello che Platone chiamava "motore immobile".
Per quanto riguarda le prove dell'affermazione dell'esistenza di Dio queste sono richieste e pretese sempre da coloro che nel 100% dei casi non sanno che cosa si intende con Dio, tanto è vero che a volte lo si assimila ad un'isola meravigliosa come Gaunilone o ad un mucchietto di talleri come Kant o ad una teiera orbitante da qualche parte come Russel. Se coloro, come i tre citati, che chiedono prove studiassero prima chi è Dio si risparmierebbero domande ed esempi senza senso. Poi certo nemmeno quelli che ci credono sanno che cosa si intende con Dio, che si può dimostrare solo sul piano logico e della necessità come tentò di fare, a mio avviso un po' maldestramente, Anselmo di Aosta, e questa è la ragione per cui questa questione rimarrà insoluta ancora per un pezzo. Se l'esistenza di Dio dovesse essere dimostrata come quella dell'isola di Gaunilone o dei talleri di Kant allora non si potrebbe dimostrare nemmeno l'esistenza del pensiero, dell'amore, dell'amicizia, della coscienza e di tutto ciò che vi è di astratto e che però condiziona pesantemente la vita "concreta". La geometria viene usata quotidianamente per condizionare la "realtà": ma c'è qualcuno che può dimostrare l'esistenza di un punto, di una retta o di una qualsiasi delle innumerevoli figure geometriche? Forse qualcuno ha mai visto un triangolo? ovvero un oggetto con tre lati perfettamente dritti che non occupa spazio e non ha peso?
E riguardo la seconda parte dell'intervento citato è ben vero che le percezioni sono ingannevoli, ma le percezioni sono prerogativa dei sensi e quindi Dio (che non si può cogliere con i sensi) non si può "percepire" ma solo "intuire" (intuizione è prerogativa dell'intelletto, il nous degli antichi greci che era contrapposto alla dianoiae alla doxa). Se però le percezioni sono ingannevoli bisogna considerare che tutta la scienza si basa solo su quelle: certo non su quelle di uno solo ma su quelle di tanti, che però non si vede perchè il numero più elevato di percezioni dovrebbe renderle meno ingannevoli.
#412
Citazione di: memento il 09 Aprile 2016, 14:30:27 PMIl non credente non ha interesse a discutere di teorie da cui non può trarre esperienza,è questo il diverso "approccio" nei confronti della realtà. Non ho escluso che possa credere in altre cose,dopotutto l'ateismo non è un sistema di pensiero unitario come quello religioso,ma include un'insieme di istanze a volte molto diverse fra loro. Anche la parola "ate-ismo" è abbastanza fuorviante,non esiste alcuna dottrina.
Volevo fare un'altra distinzione,tra credere e avere fede. La fede,cosi come la si intende religiosamente,non può essere discussa e smentita,si caratterizza come un atteggiamento miope nei confronti della realtà; è possibile invece che il non credente possa cambiare opinione su un argomento,se gli sarà mostrata una ragione per farlo,o semplicemente per convincimento personale. È possibile,dico,perché l'ateismo non è esente dalla tentazione di credere in maniera assoluta,dall'avere fede in altri idoli.

Se fosse vero quello che affermi nella prima frase allora dovresti spiegare il senso di tutto quel proliferare di siti internet, di letteratura e di saggistica attraverso cui autori (scienziati, professori, giornalisti) che si dichiarano atei o quantomeno agnostici discutono eccome di queste "teorie", e tentano di convincere in tutti i modi i cosiddetti "credenti" che il loro "credere" è un atteggiamento da poveri idioti.
E la fede è esattamente il contrario di un atteggiamento miope, per il semplice fatto che è fede in qualcosa di universale, ovvero in qualcosa che più grande non si può, mentre l'atteggiamento del non credente, che si rivolge a ciò che può vedere e quindi a ciò che a lui è più prossimo, è invece rigorosamente miope (miopia= capacità di vedere chiaramente solo gli oggetti vicini, e contestuale incapacita di vedere quelli lontani).
E infine, tanto per la precisione, la parola ateismo si scompone in a-teismo con "a" privativo, ovvero "senza" e teos, ovvero dio; l'ateismo è quindi la dottrina dei senza dio.
#413
Citazione di: Jacopus il 07 Aprile 2016, 00:25:45 AM
Buona sera, Donquixote. Penso che tu abbia toccato un punto fondamentale di questa discussione. Ho provato a pensare la mia posizione personale attuale rispetto ai credenti, comprese persone a me molto vicine. Credo di rispettare le loro persone e anche le loro idee, anche perché mi risulta difficile fare una separazione ed anche perché il loro essere credenti non li identifica in modo assoluto. Fortunatamente rivestono anche altri ruoli oltre a quello di "credenti".
Teoricamente si può pensare di scindere le due posizioni: idee e persone, ma di fatto se non si rispettano le idee delle persone, al massimo le si guarda come dei soggetti da educare, oppure dei bambinoni o anche degli esseri che nascondono qualche malvagità. Le nostre idee sono una parte così intima e fortemente identitaria che probabilmente preferiremmo vederci amputata una mano ma conservare la nostra capacità di pensare "liberamente" alle nostre idee  e ai nostri sistemi concettuali. Questo significa quindi che non sono maturo intellettualmente o sono superficiale e leggero negli argomenti? Non so e veramente non ritengo ciò. Il fatto di non essere sufficientemente convinto di un argomento non lo vedo come un difetto, anzi, se ci pensi un attimo è il meccanismo che ha fondato la filosofia della Grecia antica, da Socrate in poi. Ed è proprio per questo motivo, tra l'altro che non posso accettare il concetto di "verità religiosa", così come di qualunque altra verità imposta per dogma, per tradizione, per autorità. Anch'io ovviamente, come tutti, ho i miei riferimenti, quella sorta di mappa culturale che mi permette di orientarmi e di stabilire decisioni, fare ragionamenti e prendere posizioni ma non è scritta sulla pietra della verità ma sull'argilla del verosimile, del presumere  e questo mi fa sentire più libero, più in grado di mettermi nei panni degli altri e di non giudicare nessuno.
Ed in fondo questo relativismo, che è anche alla base di una società aperta e laica, lo hai assorbito anche tu proprio quando distingui fra persone ed idee. In altri tempi ed in altre latitudini succedeva e succede che le idee contrarie venissero/vengano tagliate insieme alla testa che le esprime.
Concludo l'excursus e rientro sul tema caro a Freedom. Io piuttosto che parlare di probabilità, formulerei la domanda nel seguente modo:  credere o non credere sono due ipotesi con uguale dignità? A questa domanda non si può che rispondere: sì.

Innanzitutto, per rispondere a Mariano e Paola, bisogna evitare di applicare il "credere" a qualunque affermazione altrimenti ci si perde e non si arriva da nessuna parte. Il "credere" di cui si parla qui (vedere anche le precisazioni sullo stesso thread nel vecchio forum) è riferito al credere che vi sia un ente creatore e governatore dell'universo oppure che questo non vi sia e quindi l'universo (che nessuno, credo, metta in dubbio che esiste) sia governato dal "caso". Quindi si tratta, rigorosamente, non di "credere" o "non credere" ma di credere in una affermazione oppure in un'altra, anche se in ultima analisi entrambe le posizioni, nonostante l'apparente contrasto, sono molto simili poiché ritengono che vi sia "qualcosa" che dà vita all'universo, solo che lo chiamano in due modi differenti: basta mettersi d'accordo su che nome dargli e il problema pare risolto.

Per quanto riguarda invece il messaggio che ho citato, è un portato dell'illuminismo, dell'individualismo  e della cosiddetta "libertà di pensiero", quindi tutto sommato una convinzione molto moderna,  il ritenere che le idee siano inscindibili dalle persone che le esprimono, e quindi legare il rispetto delle persone a quello delle sue idee (che sono cosa diversa dalle opinioni) e tale convinzione è, contrariamente a quanto afferma Jacopus, esattamente l'opposto delle idee che portarono alla nascita della filosofia, che era indirizzata alla ricerca dell'archè, del principio primo, e quindi della verità fondamentale. La nascita dello scetticismo con i concetti di epochè e afasia, ovvero della "filosofia" che ritiene sensata (o, allo stesso modo, insensata) qualunque idea, fu la morte della filosofia greca, che si ridusse poi ad un banale moralismo. Ma questo è ovviamente un altro tema, come un altro tema che se si vuole si può discutere altrove è il relativismo (culturale) che condivido ma che è a mio avviso affatto diverso da quello descritto qui sopra.
#414
Citazione di: Freedom il 06 Aprile 2016, 21:37:59 PM
Ebbene, se il cattolico deve, in qualche modo, farsi carico di queste problematiche e dunque subirne, per la sua sola appartenenza alla Chiesa, le conseguenze; bisogna altresì riconoscere che quando si parla di Fede il rispetto verso chi ce l'ha (o presume di averla) deve essere assolutamente UGUALE al rispetto dovuto a chi non ce l'ha.
Mi permetto, se me lo si consente, di non essere d'accordo con questa affermazione. Il cosiddetto "credente" (definizione che trovo assai impropria perchè ormai troppo degenerata negli ultimi decenni) crede che ciò in cui crede sia la Verità. e la Verità non può avere la stessa dignità del suo opposto, la menzogna, per cui il "credente" non può (se crede davvero) parificare la sua credenza con quella dei "non credenti". Il rispetto nei confronti delle persone è certamente dovuto, ma quello nei confronti delle idee (che non sono proprietà di nessuno e sono di per sè neutre) non lo è affatto. Allo stesso modo il "non credente", se ritiene che quello a cui "non crede" sia la verità non potrà conferire dignità a quella che egli considera una menzogna: potrà al massimo tollerarla, sopportarla, ma non certo rispettarla e porla al pari della verità, o di quella che lui considera tale.
Quando però questo accade, ovvero quando capita che ognuna delle parti in causa ritenga ugualmente rispettabile la propria visione e quella altrui, non è certamente prova di "maturità intellettuale" oppure di "civiltà" dei diversi interlocutori, ma solo dimostrazione di una estrema superficialità e leggerezza nell'analisi degli argomenti di cui si tratta, che poi si ripercuote pari pari in una "credenza" o in una "non credenza" altrettanto superficiali e annacquate che non sono in grado di argomentare sufficientemente perchè loro stessi per primi non ne sono sufficientemente convinti.