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Messaggi - iano

#4096
Tematiche Filosofiche / Essere e determinismo.
13 Ottobre 2021, 15:52:47 PM
Ciao JE e benvenuto.
La contrapposizione nulla infinito non mi quadra del tutto.
La coppia rappresenta bene infatti lo spazio assoluto Newtoniano,  il quale è un contenitore che può contenere tutto, ma anche nulla , senza che ciò escluda la sua infinitezza.
La contrapposta della coppia nulla-infinito, qualcosa-finito, meglio rappresenta oggi una idea di spazio per i fisici, laddove è il qualcosa che implica uno spazio e non viceversa.
I contrapposti nascono insieme , ma null'altro essi generano insieme.
Una coppia contrapposta propria e' ad esempio finito-infinito, e non genera nulla


Oppure invece la contrapposizione esatta è nulla-tutto dalla quale si genera qualcosa?
Questa ultima possibilità mi sembra descriva meglio il tuo pensiero, per quel (poco😊) che ho compreso.
Se così fosse sarebbe una disdetta, perché perderemmo un buon criterio per individuare in modo univoco i contrapposti, come coppia che si genera insieme, ma il cui insieme non genera altro.
In genere infatti l'individuazione dei termini contrapposti non è ovvia, mi viene da riflettere, dipendendo dalla genesi dei termini stessi il cui significato muta.
L'infinito ad esempio nasce come sinonimo del caos per i greci.
#4097
Non è banale aggiungere che noi riusciamo ancora a percepire come ovvi il sopra e il sotto, perché in effetti nella vita di tutti i giorni riusciamo a farlo, per il motivo che siamo in grado di ignorare volutamente  ciò che sappiamo.
Riusciamo cioè secondo volontà a percepire il sopra e il sotto come ovvii, oppure no.
Possiamo scegliere fra due alternative.
Ma quando non sappiamo l'unica alternativa possibile , indipendentemente dalla nostra volontà, è l'ovvieta'.
Ecco dunque svelata la natura di ciò che è ovvio, non come sua proprietà, ma come relativa ignoranza di chi percepisce.
Nei processi scientifici questa ignoranza non è data in genere, e per questo in genere una teoria scientifica non presenta nulla di ovvio. Traduciamo ciò col dire che non la comprendiamo, ma con ciò intendiamo che la sua applicazione non è mai automatica, cioè non lo facciamo mai senza pensare , se non per quelle parti del processo che deleghiamo alle macchine.
Nel caso in cui deleghiamo l'intero processo alle macchine ,come oggi facciamo con gli algoritmi che sembrano governarci, allora sperimentiamo una nuova faccia della medaglia della ovvietà.
Questa consapevolezza sembra destabilizzarci, perché ci rassicura il pieno controllo dei processi, ma la verità è che noi comprendiamo da sempre processi che non sappiamo, e che non occorre comprendere, come fossero ovvi, perché  li comprendiamo senza sapere come.
#4098
Citazione di: paul11 il 09 Ottobre 2021, 11:42:55 AM
E' evidente che la terra sotto i piedi ci serve per "stare", se oltre c'è il vuoto, un burrone, cadiamo.
E' talmente evidente che la maggioranza degli animali, che non hanno quindi necessità di ragionamenti e calcoli, lo sanno.
E' ovvio linguisticamente, ciò che è condiviso socialmente. Tutto ciò che non richiede grandi ragionamenti e calcoli, e quindi punti di vista, è conosciuto a tutti ,è tautologico nella sua ovvia evidenza che il sole sorge in un punto ,ad Est e tramonta in un altro, ad Ovest.


Tutto ciò che è controfattuale ai nostri sensi è conoscibile solo per calcolo.
Se tutto cade dall'alto verso il basso, la gravità è evidente, spiegarlo per calcolo inizia ad essere controfattuale.
Tutto ciò che è controfattuale ai nostri sensi, la  relatività e meccanica quantistica ,ci diventa ostico a capirlo, poiché la ragione "deve liberarsi" dal senso comune della realtà a cui siamo abituati .
Infatti vi è uso sin fino a dabuso di calcoli matematici nella meccanica quantistica.



Ti ringrazio Phil , perché sei il primo che risponde prendendo di petto la questione.
È evidente che sei un convinto "ovvista".😊
Non concordo su nulla, però dal tuo post si evincono le possibili basi su cui si edifica l'ovvieta'.
Una è che la matematica non sia naturale, ma purtroppo questa affermazione in se' è più gratuita che ovvia.
Perché seppure fosse ovvia ammetterai che ha un grado di ovvietà parziale. Può "stare" in piedi, ma anche no.
Ma se esistono diversi gradi di ovvietà il concetto di ovvietà allora non è così ovvio.
In effetti non solo la matematica è naturale, ma si può dimostrare anche che lo sia.
Se iniziamo col dire che un computer la usa, con ciò è come se confermassimo la sua innaturalita'.
Ciò che però è interessante notare è che il computer la usa senza saperlo.
Ma secondo te, quando noi svolgiamo ripetitivamente un compito che richiede un calcolo ripetiamo ogni volta quel calcolo, o iniziamo col tempo a svolgere quella azione senza più pensare, e quindi men meno che calcolare?
La risposta è sì !
Ma allora come ci riusciamo?
Ci riusciamo perché siamo bravi almeno quanto un computer.
Siamo cioè capaci di fare calcoli senza saperlo.


Ma se ciò è vero allora non possiamo escludere che la percezione usi i calcoli senza saperlo.
In fatti in che altro modo i dati sensibili possono trasformarsi in immagini, sensazioni tattili e altro, se non dopo essere stati elaborati, cioè fatti oggetto di calcolo?
Quindi secondo me non occorre in questo caso, e in nessun altro credo, invocare una distinzione fra cose naturali e innaturali, distinzione con la quale giustifichi l'ovvio.
Io baserei meglio l'ovvio sul "senza saperlo".
L'ovvio infatti è ciò che sai senza sapere come.


È ovvio che le cose cadono per gravità verso il basso.
È ovvio che vi sia un sopra e un sotto.
Ma solo a patto di non sapere un mucchio di cose che oggi però sappiamo.
Così oggi il sopra e il sotto hanno perso la loro ovvietà, riducendosi al risultato di un relativo specifico calcolo.
#4099
Se il finto bambino ha dimostrato la insostenibilità della crescita del pil , io , da eterno bambino , l'esigenza di questa crescita non l'ho mai capita.
A dire il vero non ho ancora capito cosa siano i soldi fuori dal baratto, che già avrò a che fare con le criptò valute.

Aho! Ma che vor di?  :D
Non perdete tempo a spiegarmelo. Non lo capirò mai.
#4100
Ringrazio tutti per le risposte.
Ma il punto sul quale vorrei focalizzarmi è ciò che appare ovvio, evidente.
Che ci siano cose che appaiono ovvie non è per nulla ovvio.
È ciò di cui non occorre dire per definizione, ma è ciò su cui dovremmo provare a dire qualcosa.
Io suggerisco che ci sia un legame con qualcos'altro, che parimenti non sappiamo ben dire.
Cosa intendiamo quando diciamo di aver capito qualcosa?
A differenza di ciò che appare evidente, la comprensione prevede un percorso, ma siamo in grado di tracciare questo percorso?
Perché affermiamo di comprendere la teoria di Newton, ma non la MQ?
C'è veramente qualcosa da capire, e in che senso?
Evidenza e comprensione mi sembrano strettamente legati, perché di fatto ci sembra di capire meglio ciò che non si discosta troppo da ciò che percepiamo, che non si discosti cioè troppo concettualmente da ciò che ci appare evidente.
Dire cosa significhi capire passa quindi necessariamente dal dire cosa sia l'evidenza.

La nostra seconda percezione, come mi pare l'abbia chiamata propriamente Ipazia, ci aiuta molto per analogia.
Man mano che le teorie scientifiche si affidano sempre più ai nostri secondi sensi, gli strumenti, la nostra capacità di comprensione viene sempre più frustrata, come se più ne sappiamo e meno ci sembra di saperne, senza però che ciò intacchi minimamente la loro utile applicazione. Per agire, applicando le teorie, non occorre capire.
Ma allora perché ci sentiamo orfani della comprensione? In questo mi sembra di vedere un passaggio epocale con echi biblici.
Ciò che viene a mancare è il nostro immedesimarci, il sentirci parte dei mondi che le teorie delineano, tanto da farci credere che ciò non ci sarà più concesso. Somiglia a una nuova cacciata dal paradiso  per quelli che credevano il paradiso fosse in terra.
Non è un cosa da poco, perché diventa sempre più chiaro ciò che già sappiamo, ma non in modo indolore, e cioè che il nostro rapporto con la realtà è indiretto.
Noi non abbiamo mai vissuto direttamente dentro la realtà, ma in un mondo teorico, di cui abbiamo relativa coscienza,  derivato dalla nostra interazione con essa.
Ora, se è vero che il peccato della conoscenza ci ha cacciati dal paradiso in un nuovo mondo in cui vivere,  la sua evoluzione assomiglia a una nuova cacciata da quel mondo per altri mondi in nessuno dei quali ci sarà più dato provare l'illusione di viverci davvero.
Il fatto è che ne' il paradiso ne alcuno di questi mondi esistono davvero, se non come fantasia mistica o solida teoria.
Il nostro " senso di realtà " non è più in grado di farci "vivere" dentro alcuno di questi mondi.
Non siamo più in grado di autoilluderci , sapendo di farlo, che il mondo in cui viviamo coincide con la realtà.
Nessuno di questi mondi ci comprende più davvero, come noi non li comprendiamo più, neppure fingendocelo volutamente. È un nuovo balzo della coscienza. È una nuova cacciata biblica.
#4101
Citazione di: Ipazia il 07 Ottobre 2021, 21:54:52 PM
Citazione di: iano il 07 Ottobre 2021, 18:10:06 PM
Citazione di: Ipazia il 06 Ottobre 2021, 10:44:04 AM
Gli organi percettori sono prodotti evolutivi legati alle necessità della sopravvivenza. Di essi, più che di ogni altro evento, si può tranquilamente dire che il reale è razionale. Essi sono tarati al meglio rispetto alle condizioni ambientali degli esseri viventi e si evolvono con esse, tra sommersi e salvati.

Le complicazioni psicometafisiche sono arrivate dopo e di esse non si può proprio dire che il razionale sia sempre reale.
Questa osservazione, nella sua stringatezza, fa' riflettere, per cui chiedo precisazioni.
Mi pare tu intenda che c'è almeno una parte della realtà che è certamente razionale, gli organi precettori, senza che la realtà debba esserlo nella sua interezza, nel senso di "non del tutto razionalizzabile".
È così?
Una razionalità che può girare anche a vuoto, non legata cioè con ingranaggio di trasmissione direttamente alla realtà , di cui a posteriore si può tentare  di costruire apposito ingranaggio.
Intendo, a scanso di ogni scetticismo e nichilismo, che il fondamento legittimo della realtà è la natura. Da cui consegue che se i nostri sensori percettivi sono fatti in un certo modo, la razionalità dobbiamo andarla a cercare lì. Con gli accomodamenti tecnologici del caso, se vogliamo andare oltre le strette necessità di sopravvivenza per cui sono stati geneticamente ottimizzati.

Qui si fa confusione tra i sensori come ce li ha trasmessi mamma natura e la percezione come siamo riusciti a bacarla speculandoci sopra con il "secondo istinto" ovvero l'autocoscienza. Io terrei le due cose distinte, ovvero gli errori di percezione fisiologici (comunque evolutivamente determinati e motivati) e gli errori da eccesso di zelo mentale, appartenenti ad una famiglia totalmente differente di errori.

Mentre nella natura correttamente interpretata il reale rivela la sua razionalità, non vale altrettanto quello a cui credeva Hegel, ovvero che le nostre paturnie speculative, che spacciamo per razionalità, abbiano sempre una corrispondenza nella realtà.

Trascrivendo Hegel: Il reale è (fondamento del) razionale, il razionale è reale solo quando ci azzecca.

Quando non ci azzecca, ma simula, non può pretendere di produrre realtà. Per cui risulta fallace l'argomento che Dio esiste perchè qualcuno l'ha pensato. Al massimo gli dobbiamo concedere una realtà di secondo livello, laddove si collocano i prodotti dell'immaginario umano.

La scienza (episteme intersoggettiva), non traviata da interessi e bias spuri, dovrebbe essere lo strumento elettivo di connessione tra razionale e reale. E l'esperimento, la sua consacrazione.
C'è qualcosa che mi sfugge, magari perché maldestramente uso i termini natura e realtà come sinonimi.
Quindi ho difficoltà a intendere che il fondamento della realtà sia la natura.
Gli altri soggetti siamo noi, parte della realtà/natura che interagisce con la restante parte.
Non vi è dubbio che parte dei risultati di questa interazione possa descriversi in modo razionale, e il sospetto che la restante parte possa esserlo lo sottoscriverei, visto che non tutto passa comunque attraverso coscienza, senza che la sua mancanza la escluda.
Concordo sul fatto che il razionale non esaurisca il reale, e viceversa, ma solo se per reale ,in senso riduttivo ,si intenda il risultato dell'interazione con la natura. Reale inteso come senso di realtà che di fatto ci fa' vivere nel mondo che risulta da quella interazione. Perché seppure noi viviamo nella natura ( nel senso che gli ho dato) in effetti viviamo dentro una costruzione mutevole perché mutevoli siamo noi e quindi mutevole è il rapporto con la natura cui la realtà fa' da tramite.
Mi sto arrampicando sugli specchi nel tentativo di potermi dire d'accordo.
Non sono certamente d'accordo invece sul fatto che non riusciamo più a trovare il buon sapore dei sensori come c'è li cucinava mamma. ;)
Si può certamente fare una distinzione fra i due tipi di sensori, ma solo una distinzione di comodo, non di sostanza, perché essendo i secondi sensori affetti da coscienza, ciò diventerrebbe un modo di far rientrare dalla finestra il peccato originale della conoscenza che siamo riusciti a fatica a far uscire dalla porta.
La distinzione serve a raccontare la storia della percezione individuando punti che si prestano ad essere interpretati come di discontinuità, per via di certi salti apparenti nella storia ,ma che non generano perciò discontinuità.
Allo stesso modo c'è una apparente discontinuità nella storia dell'uomo che lascia testimonianze simboliche e quello che lo precede, ma non perciò l'introduzione dei simboli cambia la sostanza dell'uomo, la cui storia non fa' altro che continuare. Nella testimonianza della storia si può però riscontrare una discontinuità. Ma la testimonianza della storia non è la storia.


Gli errori sono sempre errori sia quando vestono in tessuto non tessuto che quando si coprono di foglie mimetizzandosi nella natura.
Nel primo caso sono però più appariscenti mimando discontinuità.


Che si proceda per caso o secondo libero arbitrio , si sta in ogni caso simulando, ma poi la simulazione avrà sempre a confrontarsi coi fatti. Non possiamo distinguere in ciò il bene dal male, ma contingentemente l'appropriato dall'innapropriato, e ciò di cui ci appropriamo e ciò che comprendiamo.
#4102
Citazione di: Kobayashi il 06 Ottobre 2021, 17:22:41 PM
I sensi ci garantiscono evidenze che risultano sufficienti per vivere.
La loro limitatezza è una questione che si pone a posteriori e che parte dal presupposto dell'esistenza di una verità incontrovertibile che dovremmo cercare di possedere ma che in realtà non serve alla vita ma solo alla legittimazione di un potere assoluto (per quanto questo passi prima attraverso l'edificazione di una concezione filosofica).

La critica alla percezione sensoriale è un classico dello scetticismo.
Proprio in questi giorni stavo pensando a come lo scetticismo sia esercitato diversamente nelle varie epoche e come abbia sempre un significato politico.

All'inizio dell'epoca moderna contro il dogmatismo religioso: un esercizio di umiliazione delle facoltà umane per recuperare equilibrio, buon senso, per disinnescare il fanatismo religioso e garantire una decente convivenza tra chi ha fedi diverse (attraverso la dimostrazione che non esiste un criterio capace di distinguere le autentiche verità religiose: tale criterio non può essere infatti la tradizione cattolica che si è costruita su decisioni umane rivelatesi a volte sbagliate, così come, sul versante protestante, non può essere la coscienza illuminata dalla fede che si esercita sulle Scritture per il suo inevitabile soggettivismo).

Nel pensiero contemporaneo invece lo scetticismo lavora contro ogni concezione umanista diventando esso stesso alla fine una specie di dogmatismo negativo (come lo è stato lo scetticismo accademico) e favorendo l'assoggettamento degli uomini.
Dunque a questo scetticismo, diventato dogmatismo e strumento di un programmato indebolimento della dignità dell'uomo, si potrebbe rispondere con una posizione altrettanto scettica sulle sue ragioni: così ad esempio all'evidenza della problematicità dell'Io si potrebbe opporre l'idea dell'anima, alle argomentazioni del determinismo quelle del libero arbitrio, al divieto di non infrangere il dogma dell'immanentismo le ragioni della trascendenza, e via dicendo.

[sono ancora andato of topic...]
A rischio di non centrare la risposata, non sapendo bene cosa sia lo scetticismo, e in analogia al mio precedente post, direi che la storia dello scetticismo che hai credo molto ben delineato sia complessivamente il racconto del logoramento inevitabile di qualunque concezione filosofica o religiosa, come è forse naturale che sia, perché se non vi sono parole, concetti e concezioni che possano dimostrarsi definitivamente privilegiati . la loro presunta evidenza col tempo non potrà' che uscirne logorata.
Ma a volte, quando ciò pur accade, non perciò viene dismessa la relativa concezione.
Un buon esempio mi pare il cristianesimo.
Non perché sia sempre più criticato perciò smette di svolgere una funzione che continua a riscuotere apprezzamento.
Certi credenti affermano in effetti di non "essere credenti" se non nel senso di aderire ad una chiesa e ai suoi precetti.
Una posizione più pratica che fideistica, dove, persa l'evidenza, la ragione paradossalmente si fa' stampella.
Certo molto si deve ad una legge di inerzia.
Una concezione di paragonabile gradimento non perciò viene seguita se nata lì per lì.
L'abitudine , la,tradizione, che generano inerzia, fanno sempre la loro parte.
#4103
Citazione di: Alexander il 06 Ottobre 2021, 10:11:18 AM
Buongiorno Iano


Penso che la percezione sia complessa perché, partendo dai dati sensibili,sensoriali arriva a formulare intuizioni anche opposte o diverse.Entra in gioco un sistema di prospettive e di giudizi che partono dal medesimo stimolo percettivo:
Ciao Alexander.
Credo che sia proprio così. Ma complessa in che senso? Ci sono alternative più semplici?
Intuizioni diverse  fino ad essere opposte possono ottenessi anche con il lancio di un dado.
Si può immaginare che le cose possano andare veramente così, e che dopo vari tentativi si determini una correlazione solida fra dati sensibili e una intuizione selezionata come ottimale.
In questa situazione semplice in effetti gli individui con le loro diverse intuizioni valgono come il lancio di un dado.
Una situazione più complessa equivale invece a un dado truccato dove escono con maggior probabilità intuizioni pregresse, facendo cioè tesoro dell'esperienza accumulata.
In quest'ultimo caso è come se il risultato dell'elaborazione dei dati sensibili venisse suggerito, e questa mi sembra la via per cui le cose appaiono evidenti.
Sono i casi in cui si dice a volte , "come ho fatto a non pensarci prima? " , "era ovvio che questa fosse la soluzione",  ammettendo che la soluzione ci era sfuggita, pur essendo evidente.
Ma potevi pensarci prima solo se lo avevi già pensato , magari in un caso analogo.
Insomma, l'evidenza, pur apparendo immediata, non è mai tale.
Le cose non ci appaiono evidenti per caso, ma non perciò lo sono in modo definitivamente determinato, come ciò che è perché non potrebbe essere diversamente.
Ma come ciò  che col suo relativo riconfermarsi , ciò  che si fa' al limite routine, quindi ciò che si fa' senza più  pensare, perdendo consapevolezza del come si fa', appare perciò immediato.
I dati sensibili coincidono allora con la percezione, perché ne ignoriamo, o abbiamo dimenticato il percorso elaborativo.
Tutto cio ' sembra ragionevole, ma ciò non toglie che un tavolo continui ad apparirci come evidente, e rimane difficile digerire che tale evidenza sia il risultato finale di una elaborazione di dati.
Eppure le cose non possono stare diversamente.


Le parole si spiegano con le parole, in circolo, dove ogni parola è origine del percorso esplicativo, e nessuna quindi lo è in particolare.
Eppure in filosofia si fanno discorsi, di quelle parole fatte, dove si pretende che alcune parole stiano al centro del cerchio.
Concetti scollegabili dal mucchio, e del mucchio sorgente.
Ma si tratta solo di concetti del quale con maggior difficoltà vediamo il collegamento alla pari con altri, come tutti punti della stessa circonferenza.
Esistono forse filosofie che non si basino su qualche presunta evidenza.
Sono però tutti percorsi diversi fatti sulla stessa circonferenza.
Perché una parola ,che esprime un concetto, in quanto parola fra parole, dovrebbe posseder uno status privilegiato?
Per potersi configurare come privilegiato un concetto deve avere una particolarità che non è propria ad esso, ma alla sua storia, come quella di essere ad esempio una sapienza dimenticata, e perciò punto notevole da cui ripartire.
#4104
Citazione di: Ipazia il 06 Ottobre 2021, 10:44:04 AM
Gli organi percettori sono prodotti evolutivi legati alle necessità della sopravvivenza. Di essi, più che di ogni altro evento, si può tranquilamente dire che il reale è razionale. Essi sono tarati al meglio rispetto alle condizioni ambientali degli esseri viventi e si evolvono con esse, tra sommersi e salvati.

Le complicazioni psicometafisiche sono arrivate dopo e di esse non si può proprio dire che il razionale sia sempre reale.
Questa osservazione, nella sua stringatezza, fa' riflettere, per cui chiedo precisazioni.
Mi pare tu intenda che c'è almeno una parte della realtà che è certamente razionale, gli organi precettori, senza che la realtà debba esserlo nella sua interezza, nel senso di "non del tutto razionalizzabile".
È così?
Una razionalità che può girare anche a vuoto, non legata cioè con ingranaggio di trasmissione direttamente alla realtà , di cui a posteriore si può tentare  di costruire apposito ingranaggio.
#4105
Benvenuta Anna Maria.
Nell'istinto alla divinità degli uomini individui una discontinuità rispetto agli altri esseri viventi.
Ma credo invece che questa artificiosa ricerca di discontinuità sia il prodotto dell'istinto alla divinità, il quale è solo un surplus di coscienza che fa' si che l'individuo trascenda in una comunità, che chiamiamo umanità, e che viene riassunta in una idea di divino, la quale stessa rende l'idea di una umanità come individuo.
Alla fine questo istinto alla divinità dovrebbe indurci proprio a riflettere in che modo si costituisca un individuo, dandocene un esempio nel costruire l'individuo umanità.
Nella realtà non vi è però alcuna discontinuità, ma solo una ricerca artificiosa di discontinuità che svolge certamente comunque  una qualche funzione., e che mi sembra arbitrario relegare agli uomini.
Certamente è un piccolo passo verso l'eternità il trascendere l'uomo all'unanimità, che diventa un grande passo se la trascendenza riguarda la vita intera, e potrebbe essere addirittura un passo definitivo, nel senso che si da' per scontato, chissà' perché, che la vita abbia avuto un inizio., mentre potrebbe essere sempre stata.
Voglio dire che il possedere là capacità di distinguere gli esseri viventi dai non viventi ha una sua funzione, che non è propriamente quella di distinguerli in modo netto, secondo una supposta distinzione che sia reale.
In effetti quando ci avviciniamo al confine di questa distinzione, la distinzione tradisce la sua artificiosa funzionalità.
I virus sono vivi oppure no?
Dipende da come definiamo la vita, e questa definizione non può che essere arbitraria e acquista un senso solo quando svolge una funzione.


In definitiva vedo nel divino una affermazione allargata di individuo, a dimostrazione che l'individuo non ha una derivazione assoluta, ma un assemblaggio relativo e variabile.
Ciò che chiamiamo uomo è in effetti un arbitrario pezzo di vita fatto di miliardi di altrettanti arbitrari microbi e in generale di diverse forme viventi.
L'uomo stesso , come individuo, è una religione, cioè ciò in cui trascendono diverse individualità.
#4106
Ipotizzo che dietro alla percezione vi siano teorie che si possano mettere nella forma di quelle scientifiche, se le conoscessimo.
Noi però non le conosciamo, ma ci limitiamo ad applicarle.
Ciò comporta un rapporto con la realtà che è mediato, come altrimenti non potrebbe essere, ma che a noi appare immediato. Per questo i risultati della percezione ci appaiono evidenti.
Ci crediamo se lo vediamo o tocchiamo con mano, e in genere secondo un diverso grado di evidenza in base al senso principalmente coinvolto. La vista è prima in graduatoria se , non a caso,  diciamo che una cosa certa in modo indiscutibile è evidente.
Ma già,  questo diverso grado di "evidenza" che attribuiamo ai diversi sensi, ci induce a ragionare  che ci sia invece ben ben  da discutere.
Questa graduatoria di evidenza è inoltre del tutto falsata dal fatto che i sensi collaborano sempre fra loro, anche se a noi appare evidente che ad una visione contribuisca esclusivamente la vista, etc...
È un po' come se alla base della percezione vi fossero diverse teorie più o meno sovrapponibili, come avviene per le teorie fisiche, che vengono usate alla bisogna, insieme o separatamente, senza che sia richiesta perfetta sovrapponibilta', anche perché se sono diverse è perché non coincidono perfettamente.


Dentro a questo quadro ipotetico che abbiamo delineato, al di la' di quanto sia più o meno supportato dai risultati scientifici, vogliamo provare a definire cosa significhi capire, comprendere, consci che il problema riguarda unicamente le teorie scientifiche. Infatti che una mela sia una mela lo si capisce bene, perché in effetti non vi è nulla da capire.
Ma il processo percettivo che a ciò conduce non è cosciente.
Però quando noi affermiamo di non comprendere una teoria scientifica lo diciamo avendo usato coscienza .
La differenza fra scienza e percezione è l'uso della coscienza.
Quando facciamo scienza sappiamo cosa stiamo facendo.
Quando percepiamo facciamo la stessa cosa, interagiamo cioè con la realtà, ma non sappiamo come.
A metà strada fra questi due estremi porrei l'intuito e l'immaginazione.


Un possibile ostacolo alla comprensione delle teorie fisiche è il loro succedersi a breve scadenza.
Abbiamo vissuto pienamente per duemila anni dentro alle teorie di Aristotele, e poi ci sono voluti duecento anni per iniziare a "percepire" il nuovo mondo delineato dalle teorie alternative di Newton, che tutto è già' stato messo di nuovo in discussione.
Non ci è più dato il tempo "per capire", ciò  che equivale ad applicare le teorie in automatico , senza più pensarci, proprio come succede per la percezione.


Si può essere d'accordo o meno con quanto precede, ma rimane il punto che definire cosa sia comprendere, non è cosa evidente come ci appare,, anche se il termine stesso suggerisce già qualcosa.



Potremmo concludere che non vi sia nulla da capire, e che non sia quindi questione di studio ed applicazione è relativo tempo per capire, ma che finché ci sono state teorie applicate in esclusiva queste applicazioni hanno avuto il tempo di divenire automatismi, ciò che si fa' senza più pensare, dimentichi della teoria stessa, in quanto essa ha avuto il tempo di diventare parte di noi, e per questo l'abbiamo compresa.
#4107
Tematiche Spirituali / Fuga dalla libertà
05 Ottobre 2021, 15:51:33 PM
Citazione di: ricercatore il 04 Ottobre 2021, 12:59:37 PM
Finché c'è un "oppressore", questi è anche una guida: è vero che mi toglie la libertà, ma comunque mi dice che strada devo prendere, cosa devo fare e quale sarà il mio futuro. E' vero che sono in gabbia, ma lì dentro mi sento protetto e al sicuro.
Caduto l'oppressore, conquistata la libertà, l'animo è invaso da ansia ed insicurezza.
Ho mille possibilità davanti a me, quale scelgo ora? Dove vado? Cosa faccio?

Questa sensazione spiacevole e spesso intollerabile, ci predispone nuovamente a nuove sottomissioni: andiamo alla ricerca di nuovi "padroni" che possano ridarci sicurezza ed identità, oppure ci "droghiamo" con qualcosa (distrazioni, "oppi" e altre fughe).

Secondo voi, come si può sostenere in maniera sana il peso della libertà? Ci riuscite? (personalmente no  ;D )
Forse il riferimento che fai all'ansia è il punto su cui riflettere.
Possiamo condiderare fisiologica , quindi normale, l'ansia da scelta, quando siamo chiamati ad esercitare libertà , ma normale se l'ansia dura poco, perché il suo protarsi nel tempo genera patologia. Diventa cioè insostenibile.
Se prendiamo per buono questo quadro , la libertà non è una facoltà che esercitiamo normalmente, ma in via eccezionale.
È pure vero che quando si parla di oppressori, non si può mai abbassare veramente la guardia, ma focalizzarsi sulla libertà dagli oppressori è fuorviante. Il termine stesso oppressione , lo sostituirei, per meglio generalizzarlo con routine.
La routine rende meglio conto della resistenza al cambiamento, in quanto per uscire da una routine occorre presa di coscienza e determinazione. Se tutto va' bene le nuove scelte diventano le nuove routine e l'ansia smette di svolgere la sua funzione.
Noi stessi siamo un accumulo di routine, ma siccome cambiamo, prima o poi da esse si esce.

Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa' cosa lascia, ma non sa' cosa trova.
Ma in effetti prendiamo coscienza della strada solita in concomitanza con la sopravvenuta esigenza di cambiarla.
Avviare una routine volontariamente, è come prendere un ansiolitico senza controindicazioni.
Un classico è mettersi alla guida dell'auto, da assumere lontano dagli ingorghi, ovviamente.😅
#4108
Tematiche Spirituali / Fuga dalla libertà
04 Ottobre 2021, 20:10:10 PM
Citazione di: bobmax il 04 Ottobre 2021, 14:54:30 PM
La libertà non è un fine, ma un mezzo.
Forse è l'unico autentico mezzo di cui disponiamo.

E in quanto puro mezzo... in realtà non esiste.

Ovvero, esiste nel momento in cui effettuo una scelta, ma solo come necessaria apertura affinché la scelta si compia. Ed io ne sia perciò responsabile.
Non perché io avrei potuto scegliere davvero diversamente...

Io, sono io proprio per questa supposta possibilità, che però non esiste.

La libertà è infatti incompatibile con la natura.

La pesantezza della libertà deriva dal fine per cui essa è un mezzo.

È il fine che è tanto difficile da raggiungere.
E questo fine è Dio.

Analizzando questa benedetta e supposta libertà, mi ritrovo a domandarmi quando sono davvero libero...

E allora potrei giungere alla conclusione che in effetti sono libero quando scelgo ciò che voglio in quanto lo devo perché questo sono.

Cioè libertà è la coincidenza di volere, dovere ed essere!

La ricerca della libertà non ha perciò come obiettivo la stessa libertà, ma il proprio essere.

E sono quando faccio ciò che devo!

Ma se faccio ciò che devo... io non ci sono più.
Chiaro il tuo discorso, ma l'impressione che se ne ricava è che la libertà non svolga  alcuna funzione.
Banalmente si dice che il mondo è bello perché è vario. Io ne sono profondamente convinto.
Non è importante la scelta fatta dal singolo in se', cioè in relazione al solo individuo. Infatti troppe sono le condizioni accidentali che la determinato. Ma la varietà accidentale di queste condizioni, attraverso l'individuo, garantisce una verità di scelte.
Per giungere a questa varietà è essenziale la libertà di scelta.
È lo stesso principio su cui si basa, su altro livello, la selezione naturale delle specie.
Se si fanno scelte diverse, perorate e portate avanti da diversi individui, fra queste vi sarà sempre quella adatta al contesto, contesto pure esso accidentale.
La libertà dell'individuo fa' si che l'umanità tenti sempre quasi tutte le soluzioni possibili, fra  le quali probabilmente vi è quella giusta.
La libertà negli esseri viventi svolge la funzione che il caso ha fra gli esseri inanimati.
Non si può mai sapere quale faccia del dado uscirà, e l'umanità è un dado con tante faccie quanti sono gli uomini.
Il libero arbitrio ha un senso se non lo si riferisce funzionalmente, ma solo fattivamente all'individuo.
#4109
Tematiche Spirituali / Fuga dalla libertà
04 Ottobre 2021, 19:55:08 PM
Citazione di: ricercatore il 04 Ottobre 2021, 12:59:37 PM
Tutti, apparentemente, vogliamo la libertà: se qualche "oppressore" la minaccia o la vorrebbe limitare, reagiamo tempestivamente
e se necessario anche con la forza.

La storia dell'uomo è ricca di avvincenti battaglie, politiche, religiose, sociali, economiche che vedono l'eroe (il ribelle) sconfiggere l'oppressore e restituire la libertà al suo popolo.

Eppure, una volta ottenuta la tanto desiderata libertà si scopre che questa pesa come un macigno.

Finché c'è un "oppressore", questi è anche una guida: è vero che mi toglie la libertà, ma comunque mi dice che strada devo prendere, cosa devo fare e quale sarà il mio futuro. E' vero che sono in gabbia, ma lì dentro mi sento protetto e al sicuro.
Caduto l'oppressore, conquistata la libertà, l'animo è invaso da ansia ed insicurezza.
Ho mille possibilità davanti a me, quale scelgo ora? Dove vado? Cosa faccio?

Questa sensazione spiacevole e spesso intollerabile, ci predispone nuovamente a nuove sottomissioni: andiamo alla ricerca di nuovi "padroni" che possano ridarci sicurezza ed identità, oppure ci "droghiamo" con qualcosa (distrazioni, "oppi" e altre fughe).

Secondo voi, come si può sostenere in maniera sana il peso della libertà? Ci riuscite? (personalmente no  ;D )
Io ci riesco e nel difenderla, la libertà, ho perfino mostrato sempre una aggressività preventiva inopportuna.
Ho sempre dichiarato guerra preventiva a chi potenzialmente avrebbe potuto togliermela, senza pur avere alcuna prova che lo avrebbe fatto. Sono un anarchico non per ideologia, ma per istinto incontenibile.
Ne ho pagato le conseguenze, ma non mi sono mai pentito.
#4110
@Ciao Socrate.
Da tutti i tuoi post appare la tua sincerità verso gli altri e verso te stesso.
È un modo di mettersi in gioco senza difese preventive, ma non tutti credono di poterselo permettere in dipendenza dei ruoli che occupano, specie se subalterni.
È una cautela che a me è sempre mancata, e le conseguenze spiacevoli sono arrivate sempre puntuali.
Per contro ho sempre mostrato una certa insofferenza per chi riteneva di doversi cautelare nei miei confronti parandosi con la gentilezza.
Ci sono poi quelli che usano gentilezza per cautelarsi dalla vita stessa, verso la quale si sentono irrimediabilmente inadeguati. Questi fanno tenerezza , ma a farli uscire da questo stato non sono mai riuscito.
A volte, indispettito da questo insuccesso, sono arrivato ad offenderli, ma senza mai smuoverli dal loro stato.
Poi ci sono quelli gentili disinteressati, ma dietro si capisce che vi è una robusta educazione, e quelli non rimane che ammirarli, loro e chi li ha educati.
Ma cosa ottengono alla fine da tanto indefesso esercizio di gentilezza?
Ottengono felicità, che è a sua volta un moltiplicatore della gentilezza.
Sono le uniche persone per cui provo sincera e non malevola invidia.
Chiunque tu sia ti fanno sentire sempre a tuo agio.
Un dono veramente raro.
Per esperienza ho imparato a diffidare di quelli che usano gentilezza preventiva, a prescindere che ve ne sia provato bisogno,per pararsi da chi occupa una posizione dominante.
Infatti quando le posizioni si invertono mostrano una cattiveria rara.
Sono quelle persone infelici che appena gli si presenta l'occasione non mancano di farti pagare la loro infelicita'.