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Messaggi - Eutidemo

#4111
Attualità / Il paradosso del giorno di San Valentino
14 Febbraio 2021, 16:56:01 PM
Ciao Anthony. :)
A dire il vero, secondo la Cassazione, Berlusconi preferiva "evadere" (fraudolentemente) le imposte, piuttosto che "eluderle"; magari, talvolta, le avrà pure "eluse", però sembra che la cosa gli desse molto meno soddisfazione!
***
Diversamente, tutti coloro che hanno sfruttato il lacunoso disposto della norma in questione, non hanno commesso alcun illecito, nè penale, nè civile, nè amministrativo; ed infatti era la legge ad essere stata scritta in modo sciocco, e loro si sono limitati ad avvalersi della sua stupidità...ma in modo del tutto legale.
***
E, sebbene io non sia certo un fan di Berlusconi, il suo ministro dell'economia (come d'altronde anche i suoi predecessori), secondo me non ha fatto altro che ricopiare "tel quel" lo stupido articolo di legge in questione: un bel "copy and paste" per trent'anni, senza starci neanche tanto a pensare!
***
Ed infatti, per quanto io possa essere malizioso, sono convinto che in questo specifico caso non c'è stata alcuna malafede o reconditi fini nè in lui nè nei suoi predecessori di destra e di sinistra, ma soltanto corriva sciatteria legislativa ed ignava pigrizia intellettuale.
***
Mi rispondevano tutti così: "Tanto chi vuoi che ci pensi a scegliere il 14 Febbraio, invece del 18 o del 12, solo per risparmiare qualche soldo?".
Forse avevano pure ragione, ma ci voleva poi tanto a scrivere la disposizione in modo un po' più congruo?
Se l'ha fatto Gualtieri, non potevano farlo anche i ministri che l'hanno preceduto?
Mah!
***
Un saluto! :)
#4112
Ciao Alexander e Phil. :)
Secondo me ha ragione Phil, in quanto:
- serrare le mascelle costituisce comunque un "movimento";
- in ogni caso il coccodrillo ha detto che lo avrebbe "mangiato", non semplicemente "ucciso", per cui non potrebbe più restituirlo alla madre, se non sotto forma di feci; e non credo che la madre ne sarebbe molto soddisfatta.
***
Tuttavia, visto che la cosa non viene specificata, se madre e figlio appartengono alla specie degli scarabei "Regimbartia Attenuata", il piccolo avrebbe il 93,3% di uscire vivo e vegeto dal sedere del coccodrillo che se l'è ingoiato; purchè ciò avvenga entro e non oltre 6 ore dall'ingestione.
***
Un saluto ad entrambi! :)
#4113
Attualità / Il paradosso del giorno di San Valentino
14 Febbraio 2021, 13:50:13 PM
Visto che oggi è il giorno 14 del mese Febbraio, mi sembra doveroso ricordare che il defunto Conte TER almeno una "piccolissima" cosa buona -o, quantomeno "logica"- l'aveva fatta, sebbene sia passata del tutto sotto silenzio; ed infatti, dopo quasi trent'anni che io ne lamentavo l'assurdità "logico-giuridica", si è finalmente posto rimedio al pacchiano e grottesco "paradosso del giorno di San Valentino", riguardante sia la vecchia ICI che la successiva IMU.
***
Ed infatti, sin da quando, nel 1992, nacque la famigerata "imposta patrimoniale" sugli immobili, vigeva una norma, e, cioè, l'art.10 comma 1 del Decreto legislativo del 30/12/1992, n.504, più volte "bovinamente" replicata ad ogni successiva "novella legislativa" sin da prima di Berlusconi e Prodi, in base alla quale l'imposta era dovuta per anni solari proporzionalmente alla quota ed ai mesi dell'anno nei quali si e' protratto il possesso; e, "a tal fine il mese durante il quale il possesso si e' protratto <<per almeno quindici giorni>> veniva computato per intero."
Ovviamente, in tal modo, le compravendite stipulate il 14 Febbraio non scontavano alcuna imposta per tale mese, perchè, a parte gli anni bistestili, Febbraio ha solo 28 giorni; per cui non pochi (giustificabili) "furbacchioni" stipulavano il contratto di compravendita il giorno di San Valentino, in modo tale che, per nessuna delle due parti dell'atto, il possesso si protraesse <<per almeno quindici giorni>>.
Non a caso, tale giorno risultava quello statisticamente più "gettonato" per le compravendite!
;D
***
In occasione  dell'ultima replica di cui mi occupai, scrissi personalmente a Tremonti affinchè provvedesse a modificare tale dispositivo; ma vanamente, perchè, con l'art 9 - D. Lgs. 14/03/2011 n. 23, il governo Berlusconi ricopiò a sua volta la stessa norma idiota, così come l'avevano bovinamente replicata tutti i precedenti governi di destra e di sinistra che si erano preoccupati di aggiornare la normativa in questione.
***
Finalmente il Governo Conte Ter, appena insediato, ha provveduto a sanare per la prima volta il paradosso del giorno di San Valentino con l'art.1 comma 761 della LEGGE 27 dicembre 2019, n. 160.
Ed infatti, adesso, finalmente, la norma recita: "L'imposta è dovuta per anni solari proporzionalmente alla quota e ai mesi dell'anno nei quali si è protratto il possesso. A tal fine il mese durante il quale il possesso si è protratto per più della metà dei giorni di cui il mese stesso è composto è computato per intero. Il giorno di trasferimento del possesso si computa in capo all'acquirente e <<l'imposta del mese del trasferimento resta interamente a suo carico nel caso in cui i giorni di possesso risultino uguali a quelli del cedente.>>"
Evviva...adesso posso pure morire tranquillo!
:)
***
Intendiamoci, con la vecchia norma, lo Stato ci rimetteva solo pochi "spiccioli" (sia pure in termini di milioni), e non molti ne risparmiavano i contribuenti; senza considerare che, di sicuro, ci sarebbero stati da fare, e ancora ci sono da fare, soprattutto in ambito fiscale, riforme ed interventi normativi di importanza "di gran lunga" superiore!
Ed invero, la vecchia normativa in materia, più che realmente "dannosa", la trovavo più che altro incredibilmente "sciocca"; e le cose "stupide", a me hanno sempre dato un po' fastidio, soprattutto quando vengono ribadite per decenni a livello normativo da governi  della più disparata propensione politica.
Quindi, almeno per la correzione di questa "inezia", onore al merito a Conte; e, soprattutto, al ministro Roberto Gualtieri!
;)
***
#4114

Diogene Laerzio nelle "Vite e dottrine dei filosofi illustri" ("Βίοι καὶ γνῶμαι τῶν ἐν φιλοσοφίᾳ εὐδοκιμησάντων") -VII, 82-83)-, espone la seguente interessante aporia:
"Un coccodrillo aveva afferrato un bambino che stava giocando sulle rive del Nilo. La madre implorò il coccodrillo di restituirglielo. "Certo" – disse il coccodrillo – "se sai dirmi in anticipo esattamente ciò che farò, ti restituirò il piccolo; però, se non indovinerai, lo mangerò per pranzo." "Oh" – disse la madre piangendo disperata – "tu divorerai il mio bambino". L'astuto coccodrillo ribatté: "Non posso ridarti il bambino perché, se te lo rendo, farò sì che tu abbia detto il falso, e ti avevo garantito che su tu avessi detto il falso, lo avrei divorato"."Le cose stanno esattamente al contrario" – rispose astuta la madre – "Non puoi mangiare il mio bambino perché, se lo divori, farai sì che io abbia detto la verità e tu avevi promesso che, se io avessi detto la verità, avresti restituito il bambino."
***
Secondo i numerosi commentatori, che si sono succeduti nei secoli per risolverla, l'aporia consiste in questa "alternativa del diavolo":
a)
Se la madre dice il vero, il bambino non può essere restituito perché altrimenti renderebbe falsa l'affermazione della madre.
b)
Se la madre dice il falso, il coccodrillo non può comunque restituire il bambino perché la madre non ha realizzato i termini dell'accordo.
***
Sono state proposte molte possibili soluzioni del dilemma, la più intrigante delle quali è quella proposta da Lewis Carroll nella II parte della sua Symbolic Logic, e, cioè:
"Qualunque cosa faccia il coccodrillo non mantiene la parola data. Se divora il bambino, fa sì che la madre dica la verità, e quindi non mantiene la parola; se lo restituisce, fa sì che la madre dica il falso, e anche in questo caso non mantiene la promessa. Non avendo speranza di salvare il suo onore, non si può dubitare che si comporterà seguendo la sua seconda passione predominante: l'amore per i bambini!"
"https://cdn-thumbs.imagevenue.com/15/da/3a/ME12ZWRA_t.jpg"
***
Al riguardo, secondo William Warren Bartley III, Carroll si è limitato ad un'analisi del problema, ma non ha trovato una soluzione vera e propria; ed infatti, secondo lui, "La prova dell'imbroglio è nel fatto stesso di proporlo".
***
Ciò premesso, non pretendo certo di essere io il primo a risolvere un problema che, nel corso di più di due millenni, si sono vanamente industriati a risolvere dozzine di filosofi e di matematici intellettualmente molto più dotati di me; ci mancherebbe altro!
Tuttavia, al riguardo, vorrei comunque prospettarvi "a braccio" qualche considerazione personale, così come mi viene in mente mentre scrivo.
1)
In primo luogo, analizziamo un po' come il coccodrillo pone la questione: "Se sai dirmi in anticipo esattamente ciò che farò, ti restituirò il piccolo; però, se non indovinerai, lo mangerò per pranzo!"
Be', io, se fossi stato l'avvocato della madre, le avrei suggerito di fare la seguente previsione: "Posso senz'altro dirti in anticipo esattamente ciò che tu farai, o coccodrillo: tu terrai prigioniero mio figlio fino all'ora di pranzo, e poi, deciderai se mangiartelo o restituirmelo!"
Dopo aver ascoltato tale predizione, il coccodrillo può fare solo due cose:
- tenere prigioniero il figlio della donna fino all'ora di pranzo, e, poi, restituirlo alla madre, perchè lei gli avrebbe (pre)detto una cosa vera;
- lasciare libero il figlio della donna prima dell'ora di pranzo, e, allora, questa gli avrebbe (pre)detto una cosa falsa e lui avrebbe tutto il diritto di mangiarselo...però ormai non può più farlo, perchè quello è scappato!
A me sembra che, almeno stando ai termini testuali del dilemma, per come lo riporta Diogene Laerzio, il mio "espediente" avrebbe potuto "funzionare" abbastanza (se avessi potuto suggerirlo alla madre); però potrei anche sbagliarmi.
***
Se, invece, ho ragione, il coccodrillo, su suggerimento del suo avvocato,  potrebbe cercare di formulare il dilemma in un modo un po' più circostanziato, e, cioè, proporre alla madre quanto segue: "Se sai dirmi in anticipo esattamente quale delle due seguenti cose io farò, giunta l'ora di pranzo, ti restituirò il piccolo, però, se non indovinerai, lo mangerò per pranzo:
-1 te lo restituirò;
-2 lo mangerò."
Ma in tal caso, secondo me, se la madre gli predicesse semplicemente "Me lo restituirai" il coccodrillo sarebbe comunque "fregato".
Ed infatti, questa, delle due, è l'unica "predizione" che può realmente "verificarsi", e, quindi, l'unica "vera", mentre l'altra è una "cosa che NON può verificarsi", e, quindi, è "falsa"; ciò, in quanto, se la madre gli predicesse semplicemente "Te lo mangerai", e  il coccodrillo se lo "mangiasse", poi non potrebbe più "restituirglielo", perchè sarebbe una cosa impossibile (e, quindi, "non vera").
In altre parole, se il coccodrillo, per rendere meno generico il suo quesito, restringesse il campo a due sole possibilità, la seconda costituirebbe un "periodo ipotetico del 3° tipo", e, cioè, dell'"irrealtà" ("se tu indovini che me lo mangio, poi te lo restituisco"); e, poichè ciò che non è "reale" non può essere "vero", nè potrà mai "verificarsi", l'unica predizione "vera" che può fare la madre, è "me lo restituirai".
Per cui, se la fa, almeno secondo me, il coccodrillo dovrebbe restituirgli il figlio.
A me quindi sembra che, anche restringendo i termini testuali del dilemma, il bambino si salverebbe comunque; però, anche in questo caso potrei sbagliarmi.
***
A dire il vero, però, la madre, senza prima chiedere consiglio al suo avvocato, nella storiella di Diogene Laerzio ha (pre)detto una cosa diversa, e, cioè, "tu divorerai il mio bambino"; e, così pronunciandosi, si è effettivamente complicata la vita.
Tuttavia, se io fossi il suo avvocato,  potrei sempre eccepire che, poichè madre "non sa" nè può sapere con certezza cosa farà il coccodrillo, ma è costretta ad "indovinarlo" (come lo stesso coccodrillo ammette), la sua frase "tu divorerai il mio bambino" deve essere "letta" ed "intesa" così: "io <<suppongo>> che tu divorerai il mio bambino".
Ed essendo questo l'unico modo, per necessità logica, in cui lei può ragionevolmente pronununciarsi, ne discende che, sempre per necessità logica, i casi sono soltanto due:
- o lei è veramente convinta di tale supposizione, ed allora, che ci azzecchi o meno, sta dicendo il "vero", perchè quello che dice corrisponde a quello che realmente pensa;
- oppure lei non è affatto convinta di tale supposizione, ed allora, che ci azzecchi o meno, non sta dicendo il "vero", perchè non dice quello che realmente pensa, bensì una cosa diversa da quella di cui è convinta.
Tuttavia, secondo me, a tale riguardo si dovrebbe seguire il principio generale per il quale, se qualcuno afferma qualcosa, fino a prova contraria si deve presumere che stia dicendo il vero.
Ed infatti, se la madre dice "(suppongo che) tu divorerai il mio bambino", non è del tutto corretto che il coccodrillo replichi: "Non posso ridarti il bambino perché, se te lo rendo, farò sì che tu abbia detto il falso, e ti avevo garantito che su tu avessi detto il falso, lo avrei divorato"
Ed infatti, se l'affermazione della madre ("(suppongo che)  tu divorerai il mio bambino") corrisponde davvero a quello che lei crede che avverrà, non si può dire in alcun modo che lei "abbia detto il falso"; salvo, ovviamente, che il coccodrillo non possa dimostrare la sua malafede.
Ma, se il coccodrillo non è in grado di farlo, la circostanza che quello che la donna ha previsto si verifichi realmente o meno, secondo me, non dovrebbe avere rilievo.
***
Naturalmente, se mi trovassi ancora a competere nel mio vecchio corso universitario di "eristica giudiziaria" nel ruolo dell'avvocato del coccodrillo, avrei senz'altro qualcosa da replicare; però, visto che preferisco di gran lunga difendere le mamme ed i loro bambini,  non ne ho alcuna voglia!
In ogni caso, tuttavia, avrei da rimproverare la mamma per aver aperto bocca senza prima consultarsi con il suo avvocato, e complicargli così la linea di difesa!
;)
***

#4115
In ogni caso, ai tempi di Protagora, in Grecia non mi pare che vigesse il principio del "ne bis in idem", neanche in campo penale.
Comincia, invece, ad apparire timidamente in alcuni frammenti latini:
Gaius 18 ad ed. provinc., D. 50.17.57: Bona fides non patitur, ut bis idem exigatur.
Gaius, Institutiones, 3.181: Unde fit, ut si legitimo iudicio debitum petiero, postea de eo ipso iure agere non possim.
Gaius, Institutiones, 4.108: Alia causa fuit olim legis actionum. nam qua de re actum semel erat, de ea postea ipso iure agi non poterat.
Ulpianus 7 de off. procons., D. 48.2.7.2: Isdem criminibus, quibus quis liberatus est, non debet praeses pati eundem accusari, et ita divus Pius Salvio Valenti rescripsit.
C.J. 9.2.9 pr.: Imperatores Diocletianus, Maximianus. Qui de crimine publico in accusationem deductus est, ab alio super eodem crimine deferri non potest.
Ormai, invece, è un principio quasi universalmente riconosciuto; e, in alcuni Paesi (non in Italia) anche a livello costituzionale):  Stati Uniti, Canada, Messico, Argentina, Venezuela, Perù, Ecuador, Colombia, Repubblica Dominicana, Spagna, Australia e India .
#4116
Avevo scritto, per criticare la prova di Goedel, che, se io fondo una nuova religione, sostenendo che Dio è "il numero che risulta dalla somma di 2356 + 8521",  non è che poi io abbia fatto una grande scoperta se, grazie al ragionamento matematico definito "addizione", dimostro che, effettivamente, esiste il numero 10.877; cioè, appunto, il Dio della mia definizione!
Nel dire questo, però, non avevo tenuto conto del "paradosso scettico" che il filosofo Saul Kripke ritiene di poter individuare nelle ricerche filosofiche di Ludwig Wittgenstein; il quale paradosso concerne fondamentalmente un esempio matematico riguardante la regola dell'"addizione".
Secondo Kripke, infatti, afferrare la regola dell'addizione significa essere in grado di effettuare infinite somme, pur avendone effettuate nel passato solo un numero finito.
Così, ad esempio, "68+57" (che per ipotesi è una somma tanto grande da non averla mai affrontata in passato) dovrebbe fare "125"; però, uno scettico, potrebbe mettere in dubbio questo risultato, ipotizzando che per esempio in passato si intendesse con il "più" dell'addizione una funzione diversa, che dava il risultato dell'addizione per numeri minori di 57, e dava invece risultato uguale a 5 per numeri maggiori.
#4117
Citazione di: Ipazia il 11 Febbraio 2021, 21:11:06 PM
La b) mi pare logicamente e giuridicamente inecceppibile. La a) assomiglia molto alla giustizia italiana in cui le sentenze si inventano a prescindere dai fatti e dalla legge.

Hai ragione!
Infatti non capisco neanche io come sia possibile dar torto ad Evatlo, fino a che lui non ha ancora soddisfatto la condizione del pagamento, costituita da una sua vittoria in giudizio; tuttavia ho considerato tale ipotesi, perchè era formulata con uno dei due termini del paradosso.

#4118
Ciao Baylham. :)
L'articolo 649 del Codice di Procedura Penale è molto chiaro nel circoscrivere al "campo penale" il divieto del cosiddetto "ne bis in idem", imponendo al Pubblico ministero e al Giudice penale di non procedere nei confronti di un soggetto che, con riferimento all'"idem factum", sia già stato giudicato in sede penale e sia stato prosciolto o condannato con provvedimento definitivo.
In"campo civile", invece, non è così; soprattutto quando, come nel caso di specie, il "presupposto" in base al quale Protagora attiva la seconda "azione", è costituito da un "fatto diverso" dal precedente, e, cioè, dall'esito sfavorevole della prima "azione" ("alium factum").
***
Cioè:
- la prima azione giudiziale di Protagora era indirizzata ad ottenere il suo compenso anche se Evatlo non aveva ancora soddisfatto la condizione del pagamento, costituita da una sua vittoria in giudizio.
- la seconda azione giudiziale di Protagora, invece, è indirizzata ad ottenere il suo compenso,  visto che, adesso (e non prima) Evatlo ha finalmente soddisfatto la condizione del pagamento, costituita da una sua vittoria in giudizio.
***
Un saluto! :)
#4119
Ne "Le notti attiche" di Aulo Gellio, nel libro quinto, al capitolo 10 troviamo riportato il seguente divertente paradosso:
" Sugli argomenti che in greco si chiamano "antistréphonta" e che da noi possono essere detti "reciproca". Fra gli argomenti errati, il più errato sembra quello che i Greci chiamano "antistréphon" (convertibile). Questo dai nostri, non certo senza ragione, è chiamato "reciprocum", cioè facile da ritorcere. Ora questo errore avviene nel seguente modo: quando un argomento esposto si può ritorcere in senso opposto e usare contro chi se ne è servito e ha uguale valore in entrambi i casi; tale è quello, molto conosciuto, di cui dicono si sia servito Protagora, il più sottile di tutti i sofisti, contro il proprio discepolo Evatlo.
La discussione e la lite (nate) tra loro a proposito della mercede pattuita era questa: Evatlo, giovane ricco, desiderava essere istruito nell'eloquenza e nell'arte di discutere le cause. Egli era venuto da Protagora per essere istruito e si era impegnato a corrispondere quale mercede l'ingente somma che Protagora aveva richiesto e ne aveva versata la metà subito, prima di incominciar le lezioni, impegnandosi a versare l'altra metà il giorno in cui avesse discussa e vinta la prima causa davanti ai giudici. Ma, pur essendo stato a lungo ascoltatore e discepolo di Protagora e avendo fatto notevoli progressi nell'arte oratoria, non gli era toccata alcuna causa e poiché era ormai passato molto tempo, sembrava facesse ciò a bella posta, per non pagare il saldo a Protagora; questi allora ebbe una trovata che gli parve astuta: chiese il pagamento del saldo e intentò un processo a Evatlo.
Quando venne il momento di esporre e contestare il caso davanti ai giudici, Protagora così si espresse: "Sappi, giovane assai insensato, che in qualsiasi modo il tribunale si pronunci su ciò che chiedo, sia contro di me sia contro di te, tu dovrai pagarmi. Infatti, se il giudice ti darà torto, tu mi dovrai la somma in base alla sentenza, perciò io sarò vittorioso; ma anche se ti verrà data ragione mi dovrai ugualmente pagare, perché avrai vinto una causa". Evatlo gli rispose:"Se, invece di discutere io stesso, mi avvalessi di un avvocato, mi sarebbe facile di trarmi dall'inganno pericoloso. Ma io proverò maggior piacere avendo ragione di te non soltanto nella causa, ma anche nell'argomento da te addotto. Apprendi a tua volta, dottissimo maestro, che in qualsiasi modo si pronuncino i giudici, sia contro di te sia in tuo favore, io non sarò affatto obbligato a versarti ciò che chiedi. Infatti, se i giudici si pronunceranno in mio favore nulla ti sarà dovuto perché avrò vinto; se contro di me, nulla ti dovrò in base alla pattuizione, perché non avrò vinto. I giudici, allora, considerando che il giudizio in entrambi i casi era incerto e di difficile soluzione, giacché la loro decisione, in qualunque senso fosse stata presa, poteva annullarsi da se stessa, lasciarono indecisa la causa e la rinviarono a data assai lontana. Così un famoso maestro di eloquenza fu sconfitto da un giovane discepolo che, servendosi dello stesso argomento, scaltramente prese nella trappola chi l'aveva tesa."
***
A me, invece, sembra che Evatlo avesse torto marcio, sia sotto il profilo logico sia sotto il profilo giuridico (a prescindere dalle diversità del processo antico rispetto a quello moderno).
Ed infatti
a)
IL GIUDICE DA' TORTO AD EVATLO
A dire il vero, se, effettivamente, Evatlo non ancora vinto nessuna causa ("condicio sine qua non" per il pagamento del compenso a Protagora), non vedo perchè mai il Giudice dovrebbe dargli torto; comunque, per stare ai termini dell'"antistréphon" così come viene riportato da Gellio, contempliamo anche questa ipotesi.
In base ad essa, se il giudice darà torto ad Evatlo, lui dovrà "comunque" versare a Protagora la somma dovutagli in base alla sentenza; ed infatti le sentenze vanno comunque eseguite, a prescindere che le si ritengano "giuste" o "ingiuste".
Poi, semmai, potrà appellarsi contro tale sentenza; però, se perderà anche i successivi gravami, una volta che la sentenza passerà in giudicato, il suo pagamento diverrà a titolo definitivo, senza che lui possa più recuperarlo.
Se invece vincerà l'appello, accadrà quanto illustrato sotto.
b)
IL GIUDICE DA' RAGIONE AD EVATLO
Se, invece, il giudice darà ragione ad Evatlo (come sarebbe logico e giuridicamente corretto che avvenisse, perchè, finora, non ha ancora vinto nessuna causa), lui, almeno sul momento, non dovrà versare a Protagora nessuna somma; ed infatti chi vince una causa, ovviamente, non deve pagare nulla al soccombente.
Però, se Protagora è furbo, non si appellerà contro tale sentenza; attenderà, invece, che passi in giudicato per decorrenza dei termini dell'impugnazione.
Una volta avvenuto questo, Protagora citerà in giudizio Evatlo in un'"altra causa"; e, sventolando in giudizio la precedente sentenza favorevole ad Evatlo, secondo me, non avrà nessuna difficoltà a vincerla, e, quindi, a far condannare Evatlo al pagamento della sua "mercede".
Ed infatti non c'è dubbio che Evatlo abbia vinto la sua prima causa,
***
CONCLUSIONE
La "fallacia" del ragionamento di Gellio, almeno secondo me, "risulta" e "risalta" dal seguente passo:
"I giudici, allora, considerando che il giudizio in entrambi i casi era incerto e di difficile soluzione, giacché la loro decisione, in qualunque senso fosse stata presa, poteva annullarsi da se stessa, lasciarono indecisa la causa e la rinviarono a data assai lontana."
In realtà, non è affatto così, perchè Gellio, scrivendo questo, cade in una  sorta di "discronia" logica e giuridica; ciò in quanto, ovviamente, sia ai giorni nostri che in quelli di Protagora, i giudici emettono le loro sentenze "rebus sic stantibus", senza assolutamente tenere conto delle conseguenze di tali sentenze, e delle eventuali controversie che da tali conseguenze possono ulteriormente scaturire!
Nessuna sentenza si annulla da se stessa!
Per cui, fino a che Evatlo non ha vinto nessuna causa, il giudice non potrà che dargli ragione; ma, appena avrà vinto la sua prima causa, il successivo giudice non potrà che dargli torto!
Almeno per come la vedo io!
;)
***
#4120
Citazione di: iano il 10 Febbraio 2021, 00:32:51 AM
Dire che il quadrato sul lato maggiore del triangolo vale la somma dei quadrati dei restanti due lati, è un modo diverso di dire che il triangolo ha un angolo retto.
Ma ciò non è ovvio.
Perciò va' dimostrato.
Certo, facciamo anche fatica umanamente a giungere a tali banalità, che sono banali appunto solo col senno di poi.
Ma una volta a ciò giunti dovrebbe essere ovvio che la frase  "dimostrare l'esistenza di Dio " non significa nulla.
Se si parte da premesse umane, possiamo dirle in altri termini, ma resteranno sempre umane.
Se invece pensiamo di partire da premesse divine, non occorre dimostrazione .
Ma nessuno mi pare abbia affermato di partire da premesse divine, ma solo di esser giunto, semmai, a conclusioni divine.
È impossibile, come volevasi dimostrare.
Questo è un classico teorema di impossibilità, che possiamo aggiungere ai tanti già in possesso dei matematici, e che sono non meno importanti di quelli di possibilità.
Sapere cosa non si possa dire è importante tanto quanto sapere cosa si possa dire.
Abbiamo dimostrato oggi che Dio è indimostrabile.
Dimostratemi adesso il contrario.💁

D'altronde, il più famoso teorema di Goedel è appunto quello cosidetto di "incompletezza"; secondo il quale esistono enunciati matematici di cui nessuna procedura sistematica può determinare la verità o la falsità.
;)

#4121
Ciao Davintro. :)
Tecnicamente hai perfettamente ragione; ed infatti, "bada bene", io ho scritto che, sia la dimostrazione di Sant'Anselmo sia quella di Goedel, secondo, me si risolvono entrambe  <<in una sorta>> di "petizione di principio" (cioè non in una "petizione di principio" in senso stretto).
Ho scritto così, in quanto, effettivamente, la premessa, sia nella versione anselmiana che in quella goedeliana, non poggia su un GIUDIZIO esplicitato come tale, bensì su una DEFINIZIONE; la quale, tecnicamente, non costituisce un "giudizio formulato in modo espresso".
Tuttavia, nel caso di specie (come spesso accade anche con altre teorie), la  "definizione" dei due pensatori, implica aprioristicamente un "giudizio" circa quella che, secondo loro, deve ritenersi essere la "vera" la natura di Dio, e, cioè, che Esso, secondo loro:
- non è un "totem" o un "vitello d'oro";
- non è un "essere antropomorfo", immortale e superpotente, che vive nell'Olimpo;
- non è un principio duale (Bene/Male)
- non è un Essere indeterminato, avvolto da una "nube di non conoscenza", a cui si può accedere solo per negazione.
Secondo la "definizione" dei due pensatori,  invece, (almeno per come è stata scritta), Dio, più o meno, "... è ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore, ovvero l'entità che possiede tutte le proprietà positive"; ma questo è un "demostrandum", e non un "demonstratum", nè, tantomeno, un "assioma" universalmente riconosciuto, come quello per i quale "i corpi sono estesi" (nessuna religione, per quanto bizarra, lo nega).
***
E' invece vero che, almeno in Goedel, "supponendo di voler definire Dio in quel determinato modo, e valutando quali implicazioni ricavarne tramite l'analisi dei termini utilizzati", ne deriverebbe effettivamente l'esistenza logico-formale di "quel tipo di Dio" che è stato dato per scontato come presupposto del ragionamento; ma, secondo me, il suo ragionamento, per quanto molto elaborato, si riduce ad una sorta di complicata "tautologia", perchè le sue conclusioni erano logicamente implicite nella premessa definitoria (critiche al ragionamento a parte, sulle quali sorvolo).
Ad esempio, se io fondo una nuova religione, sostenendo che Dio è "il numero che risulta dalla somma di 2356 + 8521",  non è che poi io abbia fatto una grande scoperta se, grazie al ragionamento matematico definito "addizione", dimostro che, effettivamente, esiste il numero 10.877; cioè, appunto, il Dio della mia definizione!
***
A parte questo, non è vero che "qualunque critico della prova ontologica non può esimersi dal definire Dio in un certo modo"; ed infatti, chi ha un approccio di tipo "apofatico", parte proprio dal presupposto che Dio non possa essere definito in alcun modo.
A meno che non si voglia sofisticamente eccepire che anche dire che "Dio è indefinibile", costituisce comunque una "definizione" di Dio; il che, secondo me sarebbe un po' troppo anche per Gorgia da Leontini.
***
Tuttavia, concordo con te che "il linguaggio non è un fatto reale ma una convenzione"; mentre, almeno per determinate concezioni della divinità, "DIO" è sopratutto un fatto "esperenziale" individuale.
***
Un saluto! :)
#4122
Citazione di: Eutidemo il 09 Febbraio 2021, 17:32:28 PM
Citazione di: viator il 09 Febbraio 2021, 16:32:11 PM
Salve. Aggiungo un commento circa Goedel : Citando da Eutidemo : "però, poichè nè la dimostrazione di Sant'Anselmo nè quella di Goedel possono dimostrare le premesse assiomatiche da cui partono, secondo me entrambe si risolvono in una sorta di "petizione di principio", sebbene, specie la seconda, molto sottile e raffinata".Non saprei giudicare la raffinatezza della teorizzazione matematica di Goedel, la quale ovviamente si porrà al di fuori di teologia e filosofia, quindi potrà eventualmente rispettare solamente la logica matematica (cioè solo convenzionale) ma non certo la logica appunto filosofica (cioè naturale).Venendo invece appunto alla logica naturale ed inserendo la definizione appunto goedeliana "Secondo Godel, invece, Dio sarebbe "l'entità che possiede tutte le proprietà positive" (e di qui tutto il suo conseguente ragionamento, che, in verità, è un tantino più complicato di quello del Santo)"............un simile postulato risulterebbe di significato abbastanza ovvio :Se Dio possedesse anche solo alcune proprietà positive (fosse in parte bene) accanto ad altre negative (ma in altra parte, male), la sua onnipotenza ne risulterebbe negata in quanto - stante e permanente tale sua condizione - Dio verrebbe a consistere in una entità autocontradditoria, la quale possiede alcuni attributi che risultano accompagnati da altri che sono negatori del loro contrario. Cioè Dio risulterebbe come ente composto da due categorie relative l'una all'altra (bene e male).Quindi avremmo un Dio duale e non assoluto il quale, essendo privo di assolutezza, non potrebbe possedere un attributo necessariamente assoluto quale l'onnipotenza.Quindi Dio, se esistente, non potrebbe che essere Unico ed Assoluto.Quindi dovrebbe risultare completamente e perfettamente solo BENEFICO o solo MALEFICO.E perchè, secondo sia Goedel che me, Dio può essere solo e completamente benefico ? Perchè Goedel attribuisce - all'interno delle sue teorizzazioni (ed affermo ciò senza conoscerle !!) a ciò che esiste il valore 1 ed a ciò che manca, non esiste, il valore 0. Ciò che esiste risulta positivo, quindi l'unicità (di Dio, se esistente - intendibile a piacere sia come singolarità che come totalità) coincide con la positività (di Dio, se esistente).Che poi la positività, l'esistere (l'1) risulti filosoficamente un BENE mentre la nullità, la assenza, la mancanza (lo 0) risulti un MALE..................secondo me è perfettamente sussumibile postulando appunto che IL MALE (lo 0) non esista ma "consista" solamente nella imperfezione, carenza o mancanza DEL BENE.Infatti la motivazione psichica per la quale moltissimi credono nell'esistenza di Dio.......altro non è che la fiducia e speranza nell'esistenza del bene. Risaluti.
Mi hai ricordato che, nel considerare le varie "credenze religiose" a cui ho accennato nel mio post iniziale, ce n'è una che, invece, avevo trascurato; e, cioè, la fede "zoroastriana" (e, in parte, quella derivata "manichea") nell'esistenza dicotomica di due principi divini, il Bene (Ahura Mazdā) ed il Male (Arhiman), che si trovano in una sostanziale situazione di "equipollenza" e "isostenia".
Il che ricorda un po' anche il dualismo taoista tra lo  "yang", che è un'energia luminosa, e positiva, e lo "yin", che, invece è una luce negativa e passiva; però, secondo me, si tratta di una somiglianza soltanto superficiale, perchè, in realtà, si tratta di concezioni che, sì, sono entrambe "dualiste", ma in modo molto diverso tra di loro!
Nessuna delle due, però, e congeniale alla mia personale concezione di Dio, che, più che "monoteista", io definirei "monista".
Risaluti :)
#4123
Citazione di: viator il 09 Febbraio 2021, 16:32:11 PM
Salve. Aggiungo un commento circa Goedel : Citando da Eutidemo : "però, poichè nè la dimostrazione di Sant'Anselmo nè quella di Goedel possono dimostrare le premesse assiomatiche da cui partono, secondo me entrambe si risolvono in una sorta di "petizione di principio", sebbene, specie la seconda, molto sottile e raffinata".Non saprei giudicare la raffinatezza della teorizzazione matematica di Goedel, la quale ovviamente si porrà al di fuori di teologia e filosofia, quindi potrà eventualmente rispettare solamente la logica matematica (cioè solo convenzionale) ma non certo la logica appunto filosofica (cioè naturale).Venendo invece appunto alla logica naturale ed inserendo la definizione appunto goedeliana "Secondo Godel, invece, Dio sarebbe "l'entità che possiede tutte le proprietà positive" (e di qui tutto il suo conseguente ragionamento, che, in verità, è un tantino più complicato di quello del Santo)"............un simile postulato risulterebbe di significato abbastanza ovvio :Se Dio possedesse anche solo alcune proprietà positive (fosse in parte bene) accanto ad altre negative (ma in altra parte, male), la sua onnipotenza ne risulterebbe negata in quanto - stante e permanente tale sua condizione - Dio verrebbe a consistere in una entità autocontradditoria, la quale possiede alcuni attributi che risultano accompagnati da altri che sono negatori del loro contrario. Cioè Dio risulterebbe come ente composto da due categorie relative l'una all'altra (bene e male).Quindi avremmo un Dio duale e non assoluto il quale, essendo privo di assolutezza, non potrebbe possedere un attributo necessariamente assoluto quale l'onnipotenza.Quindi Dio, se esistente, non potrebbe che essere Unico ed Assoluto.Quindi dovrebbe risultare completamente e perfettamente solo BENEFICO o solo MALEFICO.E perchè, secondo sia Goedel che me, Dio può essere solo e completamente benefico ? Perchè Goedel attribuisce - all'interno delle sue teorizzazioni (ed affermo ciò senza conoscerle !!) a ciò che esiste il valore 1 ed a ciò che manca, non esiste, il valore 0. Ciò che esiste risulta positivo, quindi l'unicità (di Dio, se esistente - intendibile a piacere sia come singolarità che come totalità) coincide con la positività (di Dio, se esistente).Che poi la positività, l'esistere (l'1) risulti filosoficamente un BENE mentre la nullità, la assenza, la mancanza (lo 0) risulti un MALE..................secondo me è perfettamente sussumibile postulando appunto che IL MALE (lo 0) non esista ma "consista" solamente nella imperfezione, carenza o mancanza DEL BENE.Infatti la motivazione psichica per la quale moltissimi credono nell'esistenza di Dio.......altro non è che la fiducia e speranza nell'esistenza del bene. Risaluti.
Mi hai ricordato che, nel considerare le varie "credenze religiose" a cui ho accennato nel mio post iniziale, ce n'è una che, invece, ho trascurato; e, cioè, la fede "zoroastriana" (e, in parte, quella derivata "manichea") nell'esistenza dicotomica di due principi divini, il Bene (Ahura Mazdā) ed il Male (Arhiman), che si trovano in una sostanziale situazione di "equipollenza" e "isostenia".
Il che ricorda un po' anche il dualismo taoista tra lo  "yang", che è un'energia luminosa, e positiva, e lo "yin", che, invece è una luce negativa e passiva; però, secondo me, si tratta di una somiglianza soltanto superficiale, perchè, in realtà, si tratta di concezioni che, sì, sono entrambe "dualiste", ma in modo molto diverso tra di loro!
Nessuna delle due, però, e congeniale alla mia personale concezione di Dio, che, più che "monoteista", io definirei "monista". :)
#4124
Citazione di: bobmax il 09 Febbraio 2021, 16:28:50 PM
Sono convinto che la prova ontologica di Anselmo, in realtà non sia una dimostrazione e neppure abbia a che fare con l'ontologia.

L'ontologia infatti riduce inevitabilmente l'Essere all'ente.
Mentre qui abbiamo piuttosto una periecontologia. Così come definita da Karl Jaspers. Ovvero slancio verso l'Assoluto.

Infatti non si ha in Anselmo una dimostrazione, che deriva necessariamente da delle premesse.
Anselmo non dimostra.
Suggerisce un processo.

Ed è la preparazione ciò che gioca un ruolo fondamentale in questo processo.
Occorre infatti prima sgombrare la mente.

Poi il processo si svolge considerando entità, perché non può prescinderne.
Ma solo per andarne oltre.
"Ciò di cui non si può pensare niente di maggiore..."
Anche a tale riguardo, ho sempre avuto le mie perplessità, in quanto il termine "maggiore", se non si precisa "sotto quale aspetto" "A" è "maggiore" di "B" (ad esempio Tizio è il fratello maggiore di Caio, perchè è nato due anni prima), risulta essere un predicato alquanto ambiguo.
Maggiore in che senso?
#4125
Ciao Viator. :)
Ti ringrazio per i complimenti, in verità alquanto immeritati; tanto più che i ragionamenti goedeliani stento alquanto a comprenderli anch'io.
Però tu, non avendo le nostre tastiere l'accento tedesco "umlaut", hai avuto almeno l'accortezza di evidenziare il "dittongo", scrivendo, molto più correttamente di me, il nome esatto del povero "Goedel"; io, invece, in modo alquanto scorretto e corrivo, ho scritto "Godel", senza dieresi e senza dittongo.
:-[
Per il resto, credo che la mia usuale metafora delle "onde" e del "mare", più o meno corrisponda alla tua affermazione che  noi siamo la "parte individuale" (il relativo),  mentre "Dio" altro non sarebbe che "ciò che contiene senza venir contenuto da altro più grande di sè", quindi l'Assoluto (sebbene io preferisca chiamarlo Essere).
Saluti :)