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Messaggi - Carlo Pierini

#421
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
06 Novembre 2018, 15:48:37 PM
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 14:52:34 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Novembre 2018, 13:48:28 PM
...E, di fronte a due opinioni conflittuali, non ti poni alcun problema epistemico?
IPAZIA
Certamente. Ma assai spesso il risultato di accurata indagine epistemica è che sono entrambe sbajate  ;D

CARLO
:)  Sullo stile "Quelo"?  
https://youtu.be/WGQ7JZRZ65M
Ma non avevi detto che <<la velocità della luce non si stabilisce con un referendum>>? Che volevi dire?



L. PAUSINI - Amori infiniti
https://youtu.be/QI2WUC8looM
#422
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
06 Novembre 2018, 13:48:28 PM
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 13:30:09 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Novembre 2018, 13:05:30 PM
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 08:50:41 AM
La verità è una chimera filosofica (cosa in sè, noumeno, nirvana,...) nascosta sotto i veli di Maya.
CARLO
Ciò che hai scritto è la verità, o una chimera filosofica?
IPAZIA
E' un tertium (che, contrariamente al motto, si dà quasi sempre): un'opinione.

CARLO
...E, di fronte a due opinioni conflittuali, non ti poni alcun problema epistemico?



A. BRANDUARDI: Piccola canzone dei contrari
https://youtu.be/azezhDJGJyw
#423
Tematiche Filosofiche / Re:Antropologia sociopsichica
06 Novembre 2018, 13:21:47 PM
Citazione di: viator il 27 Ottobre 2018, 22:53:19 PM
Salve (tranne che ad altamarea).
E' da molto tempo che, quando incontro una nuova persona, mi diletto - dopo che mi trovi a conoscerla un poco - a classificarla all'interno di una delle quattro categorie dalle quali secondo me è composta l'umanità :

1 - coloro che fanno il mondo
2 - coloro che lo usano
3 - coloro che lo subiscono
4 - coloro che lo contemplano

Naturalmente una simile classificazione non è rigida, nel senso che ciascuno può ritrovarsi - attraverso il tempo, le circostanze ed i ruoli, in più categorie, ma credo che, in funzione dei singoli atteggiamenti psichici combinati con le circostanze sociali in cui si viva, a ciascuno di noi possa venir riconosciuta una categoria dominante tra quelle elencate.

A chiarimento, faccio degli esempi :

- scienziati, condottieri, uomini di stato, benefattori, menti attive quanto illuminate saranno coloro che il mondo lo fanno;

- speculatori, delinquenti, avventurieri saranno coloro che lo usano;

- umili lavoratori, proletari, persone svantaggiate saranno coloro che lo subiscono;

- infine mistici, pensatori astratti e pensionati saranno coloro che lo contemplano.

Voi trovate cervellotica (vi assicuro che non mi offenderei !) o aderente alla realtà una simile classificazione ? Vi è mai capitato di fare considerazioni analoghe a livello di collettività o di individualità ?

CARLO
1 - Tutti (chi più, chi meno) fanno il mondo
2 - tutti (chi più, chi meno) lo usano
3 - tutti (chi più, chi meno) lo subiscono
4 - tutti (chi più, chi meno) lo contemplano



A. BRANDUARDI: Il dito e la Luna
https://youtu.be/EkszSjs1gu8
#424
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
06 Novembre 2018, 13:05:30 PM
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 08:50:41 AM
La verità è una chimera filosofica (cosa in sè, noumeno, nirvana,...) nascosta sotto i veli di Maya.
CARLO
Ciò che hai scritto è la verità, o una chimera filosofica?


ELLA BAILA SOLA: Cuándo los sapos bailen flamenco
#425
APEIRON
Semplicemente, nei miei tanti tentativi di "inquadrare intellettualmente tutto" in un sistema, ho sempre trovato falle e/o qualcosa che non mi convinceva. Non ho mai trovato un sistema totalmente convincente. Quindi sono molto scettico che si possa "capire tutto".

CARLO
Anch'io sono convinto che né tu, né io, né i listanti di questo NG, né nessun individuo della nostra generazione, né nessun altro delle prossime 15 o 20 generazioni umane future possano o potranno "capire tutto". Ma sono anche convinto che né tu, né io, né tutta la gente di cui sopra possa avere la presunzione di stabilire un confine tra ciò che si può capire e ciò che è impossibile da capire.
...Oppure tu conosci qual è questo confine? E, se non lo conosci, cos'è che ti dà comunque la certezza della sua esistenza e della sua invalicabilità da parte della conoscenza umana? Cos'è che sarebbe - per principio - impossibile da capire?
In altre parole, cosa c'entra questa tirata sul "capire tutto" con l'ipotesi (fondata su un gran numero di buone ragioni) che esista un Principio di validità universale-interdisciplinare?

Cit. CARLO
"Ma quando è il mondo dell'esperienza a porti dei limiti e a suggerirti che la verità non è quasi mai una libera opinione..."

APEIRON
Nego anche questo  :)  
Come dicevo, mi spiace che sei giunto a questa conclusione. Spero che cambierai idea. Ma, visto il tono di questo messaggio, purtroppo ritengo che rimarrai fermo nelle tue convinzioni.


CARLO
Se rimango fermo nella mia opinione, non è per spirito polemico, ma perché nella mia Risposta #356 ti ho sintetizzato alcune delle buone ragioni (osservative-esperienziali) che rendono più che ragionevole e fondata l'ipotesi di un Principio universale e ho inoltre risposto alle tue obiezioni principali. E siccome tu hai ignorato quella risposta e hai tirato in ballo la questione del "capire tutto", io non posso fare altro che attribuirti la convinzione secondo cui <<siccome non si può capire tutto, allora non può esistere alcun Principio interdisciplinare!>>. Una convinzione, cioè, che da una parte pone come certezza una elucubrazione ambigua e arbitraria ("non si può capire tutto") e che dall'altra non dà alcuna importanza alle buone ragioni (non arbitrarie, ma supportate dai fatti) di cui sopra.
#426
Citazione di: Apeiron il 21 Ottobre 2018, 18:12:05 PMbeh credo che sia meglio, a questo punto accordarsi sul dissenso. Secondo me ci sono anche alcuni equivoci.
Detto ciò, la discussione mi è piaciuta ed è stata molto interessante. (Non prendertela per questa "interruzione improvvisa"! semplicemente adesso non mi prendo l'impegno di discutere in modo da trovare gli eventuali equivoci. Se come penso, ci sono equivoci, la nostra discussione è destinata ad andare all'infinito se questi non vengono "svelati"...)  :)

CARLO
No, non ci sono equivoci di nessun tipo. Il motivo del tuo abbandono l'hai illustrato tu stesso in un post precedente:

<<...vedo il mio approccio alla filosofia, alla religione/spiritualità, alla scienza, all'arte ecc. (anche) come un tentativo di contemplare e di "aprirmi/abbandonarmi" all'infinito, all'ignoto, all'indeterminato (e quindi anche un anelito alla Libertà...) ecc  :)  (non escludo che in tutto ciò ci sia, effettivamente, un po' di megalomania...)>>

Cioè, a te piace dialogare finché puoi scorrazzare liberamente di pensiero in pensiero confidando nel fatto che nessuno possa opporre dei limiti perché nessuno "ha la verità in tasca". Ma quando è il mondo dell'esperienza a porti dei limiti e a suggerirti che la verità non è quasi mai una libera opinione, allora il gioco non ti interessa più perché non è esattamente la verità o la comprensione del mondo il fine delle tue prolusioni filosofiche.
E noto che in questo NG non sei il solo ad amare la disquisizione pura (fine a se stessa) e a detestare cordialmente il confronto con la realtà, ma è un atteggiamento pressoché generale. E' il mal inteso concetto moderno di "filosofia".
#427
Citazione di: Ipazia il 21 Ottobre 2018, 20:49:43 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Ottobre 2018, 17:11:41 PM
Appunto. Prova a fare mente locale sul significato di "falsificabilità" e prova a spiegarmi come queste tre tesi siano falsificabili. Nel frattempo leggiti questo mio thread dal titolo: "Il casualismo darwiniano è un'ipotesi non-dimostrata, anzi, non-scientifica".

IPAZIA
Tutte le teorie scientifiche sono falsificabili, basta trovare una prova dimostrata sperimentalmente che spiega meglio i fenomeni naturali. Possono esserci anche i numi di mezzo, ma devono essere riscontri oggettivi, tipo che a Lourdes si guarisce di cancro più che con la chemioterapia.

CARLO
Non ci siamo. Non hai risposto alla mia obiezione.
#428
Citazione di: Ipazia il 21 Ottobre 2018, 15:54:22 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Ottobre 2018, 13:07:20 PM
Non c'è alcuna "doppia verità" se consideriamo <<Genesi, Adamo ed Eva, arca di Noè>> per ciò che mostrano di essere: dei miti ispirati, archetipici. E ancor più se consideriamo <<bigbang, evoluzionismo, etologia>> per ciò che realmente sono: delle ipotesi infalsificabili, cioè non-scientifiche, dei miti non ispirati, non archetipici.

IPAZIA
Ma quali miti ispirati, archetipici ?! Per il prete sono ontologia e il credente è tenuto a crederci come verità di fede.

CARLO
Lo so. ...Proprio come tu credi per fede che bigbang, etologia ed evoluzionismo siano tesi fondate scientificamente.

IPAZIA
Al contrario bigbang, evoluzione, etologia sono il prodotto del più potente mezzo d'indagine della natura inventato dall'uomo, da nessuno spacciati come verità di fede. Quindi sempre falsificabili se qualcuno ha da proporre ipotesi migliori. Ma non è certo Dio il falsificatore ! E neppure Gustav Jung.

CARLO
Appunto. Prova a fare mente locale sul significato di "falsificabilità" e prova a spiegarmi come queste tre tesi siano falsificabili. Nel frattempo leggiti questo mio thread dal titolo: "Il casualismo darwiniano è un'ipotesi non-dimostrata, anzi, non-scientifica".


https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/il-casualismo-darwiniano-e-un'ipotesi-*non-dimostrata*-anzi-*non-scientifica*/
#429
IPAZIA
Innanzitutto un teista non fornisce più prove di un materialista sulla sua fede. Dimostrazione è parola grossa e va meditata accuratamente. Ma il vantaggio del materialista sul credente è di non dover ricorrere ad una doppia verità, trovandosi per tutta la settimana a lavorare su una verità possibile e variamente dimostrabile (bigbang, evoluzionismo, etologia) per prostrarsi la domenica di fronte ad una verità impossibile narrata da un tizio che mi racconta di Genesi, Adamo ed Eva, arca di Noe, ecc.

CARLO
Non c'è alcuna "doppia verità" se consideriamo <<Genesi, Adamo ed Eva, arca di Noè>> per ciò che mostrano di essere: dei miti ispirati, archetipici. E ancor più se consideriamo <<bigbang, evoluzionismo, etologia>> per ciò che realmente sono: delle ipotesi infalsificabili, cioè non-scientifiche, dei miti non ispirati, non archetipici.
#430
IPAZIA
Guarda che i conti tornavano anche quando si contava in stadi e stai. Alla fine si è imposto il sistema decimale per la sua praticità. Se la matematica era così "trascendentale" il sistema decimale si sarebbe imposto subito e non avremmo dovuto aspettare gli arabi che ci trasmisero lo zero prendendolo dagli indiani. Il che è una bella sconfessione della concezione pitagorico-platonica della matematica: guardando le stelle metafisiche sono caduti nella buca dello zero. Che alcuni calcoli fisici si servano dei numeri complessi non significa nulla più del fatto che una funzione che pareva avere solo un significato matematico alla fine è tornata utile anche in calcoli di fisica. Oggi è una guerra per matematizzare la teoria del Tutto: stringhe e matematiche non euclidee a gogò. Peccato che dietro non ci stia alcuna matematica trascendente che riveli la verità, detta anche noumeno, ai nostri poveri fisici.  

CARLO
La verità non è il noumeno, ma è la complementarità rigorosa tra l'ordine delle idee (il noumeno) e l'ordine degli eventi a cui esse si riferiscono.
Per esempio, i numeri (che appartengono al noumeno) non esprimono alcuna verità se non sono riferiti a eventi reali dell'esperienza. Per il linguaggio può dirsi la stessa cosa.
#431
APEIRON
I problemi con la tua visione sono, ad esempio:
1) il principio di complementarità potrebbe non spiegare tutto (come dicevo, concordo che "c'è della verità", se vuoi ammetto anche che c'è veramente "molta più verità di quello che si crede" in quel "ragionamento". Però, mi sembra un po' eccessivo pensare che "spiega così tanto" come pensi tu...)
Perché ci deve essere per forza un Principio e non possiamo invece ammettere che forse c'è la "regressione infinita" (la quale ha anch'essa i suoi problemi...)?  (nel film Ghost in the Shell si dice: "once you start doubting, there is no end to it" - "quando si inizia a dubitare, non c'è una fine").

CARLO
Perché ti sembra "eccessivo"? Forse perché hai stabilito a-priori che non debba esistere alcun principio universale super-disciplinare? ...E che dunque qualsiasi concetto che si presenti come tale, deve essere considerato illusorio?
Io, invece seguo la logica opposta. Se osservo:

1 - che la scienza è una complementarità di opposti di grande valore epistemico tra metafisica e fisica (filosofia e mondo, logica/matematica e fenomeni fisici);
2 - che in psicologia Jung ha scritto venti volumi per mostrare gli innumerevoli aspetti nei quali le dinamiche dell'anima umana si configurano come complementarità di opposti;
3 - che in neurobiologia il problema mente-cervello risulta molto più coerente con l'osservazione se lo si concepisce come una complementarità di opposti;
4 - che la simbologia si fonda sul principio di analogia che è una conseguenza diretta del Principio di complementarità;
5 - che persino la virtù e la giurisprudenza son essenzialmente delle complementarità di qualità/entità opposte;
6 - che l'archetipo della complementarità è in assolto il più diffuso nella storia del pensiero umano (taoismo, alchimia, dialettica, mitologia, ritualità, ecc.);
7 - ....ecc., ecc... (ci sono molte altre osservazioni che supportano la fondatezza del Principio);

...allora l'ipotesi che la Complementarità sia un Principio universale non è più una possibilità astratta, ma un'ipotesi molto più ragionevole e più fondata della tua "regressione infinita" e dei tuoi "dubbi senza fine", i quali sono determinanti solo se applicati a elucubrazioni astratte, ma perdono ogni valore di fronte ad osservazioni di fatti oggettivi che supportano l'ipotesi.

APEIRON
2) se tale Principio è trascendente su di esso con la sola ragione possiamo dire niente di sicuro (su cosa si basterebbero i ragionamenti, su quali assiomi? ). Ergo, l'unico modo per conoscerlo veramente è "averne esperienza diretta".

CARLO
Dei principi della fisica, per esempio, non si ha esperienza diretta, poiché non sono fenomeni, ma trascendono i fenomeni. Tuttavia è possibile risalire ad essi attraverso l'osservazione comparata dei fenomeni e attraverso l'astrazione intellettuale. Ecco, per il Principio di complementarità vale lo stesso discorso.
Insomma, tu continui a scambiare un'ipotesi fondata sull'osservazione con una possibilità filosofica pura che, come tale, avrebbe lo stesso valore (fideistico) della sua negazione (la "regressione infinita").

APEIRON
3)  le stesse "spiegazioni" del "perché esiste qualcosa?" che partono da un Principio non sono comunque, secondo me, totalmente convincenti.

CARLO
La spiegazione, per esempio, del principio di conservazione della materia-energia (proprio come quella del Principio di complementarità) non sono le stesse del "perché esiste qualcosa?", ma si fondano sull'osservazione delle innumerevoli modalità reali secondo cui l'energia si conserva trasformandosi.

APERON
Oppure usando Platone: cosa significa che gli universali "partecipano" nei particolari? Come avviene tale "partecipazione"? Onestamente, non mi sembrano così "convincenti" razionalmente. Secondo me si deve sempre ammettere un lato "incomprensibile" o "misterioso", qualsiasi filosofia scegli.

CARLO
Come avviene che il principio di conservazione della materia-energia partecipi ad ogni trasformazione energetica? Non lo sappiamo, ma ciò non toglie nulla alla sua esistenza e alla sua piena validità.

APERON
Dunque, Carlo, tu credi nel Principio di Complementarità perché lo consideri "ragionevole" (e quindi ammetti spazio anche alla "fede")? O ritieni che si possa dimostrare? Questa sicurezza si basa solo sui ragionamenti o si deve, necessariamente, basare, almeno in parte, su esperienze "straordinarie", sull'interpretazione di tali esperienze proprie o altrui ecc? Ritieni che la sola ragione è sufficiente?

CARLO
Ritengo che si possa dimostrare nello stesso modo (mutatis mutandis) in cui si dimostra la validità del principio di conservazione: mostrando la sua conformità con i fatti osservati, con l'esperienza. L'esperienza "straordinaria" che ho avuto è solo indicativa, non dimostrativa.

APEIRON
Su Anassimandro, avevo sentito l'interpretazione di Semeraro in terza superiore. Pur non essendo d'accordo ammetto che è interessante.

CARLO
Nemmeno io sono d'accordo con la sua sola interpretazione unilaterale apeiron=terra separata dall'interpretazione opposta complementare apeiron=infinito. Solo insieme esse esprimono la natura paradossale del Principio (specificando i diversi rispetti dell'una e dell'altra).

APEIRON
Ci sono anche altri problemi volendo. Le "applicazioni" della complementarità sono tante. Ma questo non significa che esse siano uguali o che una di esse non sia vera. Inoltre, la somiglianza nelle descrizioni non implica che siano veramente simili (pensa al sale e allo zucchero. Sono bianchi, hanno una forma simile ma se li assaggi sono dIversi ;D).
Quello che voglio dire, è che secondo me il tuo sistema è molto interessante. Non concordo però che sia così "evidente"... (e non ho capito se per te è dimostrabile con la sola ragione oppure con ragione ed analisi dell'esperienza "ordinaria").

CARLO
Se avessi letto tutti i miei interventi, avresti capito che il Principio non si fonda né sull'esperienza "straordinaria" personale, nella sulla ragione pura, ma sulla ragione applicata all'osservazione dei fatti.
#432
APEIRON
il bello di "Apeiron" è che un concetto "negativo", che dice "ciò che non è" (e a me il linguaggio "negativo"/"apofatico" piace moltissimo, mi dà un gran senso di libertà). In particolare,  è anche una dedica ad Anassimandro, che, secondo me, ha avuto il merito di aver introdotto nella filosofia greca un concetto estremamente "astratto": visto che la realtà "finita" è fatta di cose "determinate"/"definite", per Anassimandro il Principio degli esseri finiti doveva essere "oltre" tali determinazioni e quindi  "non determinato", "senza confini" (le "determinazioni" sono "confini" visto che "definiscono"...), "non definito" (e quindi "misterioso"), "non limitato", "non finito", "assoluto"

CARLO
Il tuo è un approccio ingenuo, cioè univoco, unilaterale, mentre il Principio può essere avvicinato "asintoticamente" solo per mezzo di paradossi, cioè, di attributi opposti complementari. Già ho accennato che esso, come Archè, come Causa originaria di tutto, dello spazio, del tempo e di ciò che essi contengono, è massimamente trascendente, al di fuori dello spazio e del tempo; ma come Legge delle cose create, come principio conservatore che mantiene in vita il Tutto, è onnipresente, cioè, massimamente immanente. Ciò coincide con l'idea di Dio inteso sia come Padre che come Figlio, o del Tao inteso sia come "eterno Tao" sia come le "diecimila cose" yin-yang immanenti, o della coppia Brahma e Visnu, intesi rispettivamente, come Creatore e Preservatore.
Infatti, il filologo Giovanni Semerano (L'infinito: un equivoco millenario) sottolinea che il termine ápeiron deriva dal semitico 'apar (polvere, terra), accadico eperu, biblico 'afar, e ricorda che in greco epeiros, dorico apeiros, eolico aperros, indica la terra, il fango.
Scrive Semerano:

«Da tempo immemorabile, circa ventitré secoli fa, il mondo culturale dell'Occidente subisce la sfida di quella voce, ápeiron, che l'antico pensatore milesio pose come una roccia scabra e grande a suggello della sua opera "Sulla natura" ed è più che una pietra di confine, è il viatico dall'eternità al nulla. I posteri che intesero 'illimitato', 'infinito', tradirono l'antica fede del filosofo nell'infinita maternità della terra che attende di raccogliere nel suo seno ciò che essa stessa ha prodotto». [G. SEMERANO: L'infinito: un equivoco millenario - pg. 56].

APEIRON
...etimologicamente "assoluto" significa in realtà "slegato", "libero da vincoli"... ecc.
in realtà, secondo me, pochi hanno raggiunto il grado di astrazione di Anassimandro (ad oggi non concordo con la filosofia Anassimandro, ma sono convinto che tale "non determinato" sia una "realtà" e non un "mero nulla"). Inoltre, vedo il mio approccio alla filosofia, alla religione/spiritualità, alla scienza, all'arte ecc. (anche) come un tentativo di contemplare e di "aprirmi/abbandonarmi" all'infinito, all'ignoto, all'indeterminato (e quindi anche un anelito alla Libertà...) ecc  :)  (non escludo che in tutto ciò ci sia, effettivamente, un po' di megalomania...)  ;D

CARLO
Ricordati delle due vie opposte-complementari, i due occhi dei saggi: quello del cuore e della libera contemplazione e quello dell'intelletto e della conoscenza. L'uno ispira, illumina e conferma l'altro.
E' un vero peccato che nella storia del pensiero umano si alterni il sacrificio dell'uno o dell'altro sull'altare del suo opposto.
#433
Citazione di: Ipazia il 18 Ottobre 2018, 22:39:44 PM
Anassimandro non avrebbe avuto dubbi, avendo usato in maniera del tutto materialistica la matematica a posteriori esattamente come l'aveva materialisticamente ereditata da mercanti che contavano pecore, staia di grano e anfore d'olio.* Perchè la matematica, checchè ne pensino i pitagorici e Platone, è nata proprio per questi usi. Ed anche quando ha dovuto includere il nulla e l'apeiron nei suoi calcoli, l'ha fatto in seguito a materialissime necessità di calcolo della scienza applicata. Il materialismo spiega benissimo la scienza, perchè la scienza è materialista fin dalla nascita essendo antitetica alle spiegazioni del reale fondate sui numi. Dai quali, nel corso dei secoli, si è (astrologia, alchimia, magia) e ci ha liberato (almeno dalle cose più pacchiane).
CARLO
A dire il vero, i numeri nascono come simboli sacri (di fatto, sono archetipi dell'ordine quantitativo). I Caldei e gli Egizi attorno al 3.000 a.c. hanno tramandato testimonianze scritte riguardanti la numerologia che veniva da loro considerata scienza sacra.
E la stessa scuola pitagorica, che fece della matematica una scienza, era una congregazione religiosa i cui adepti osservavano la pratica del celibato e varie ritualità di purificazione del corpo e dell'anima. Essi consideravano i numeri come le "lettere dell'alfabeto" con cui il Demiurgo creò il mondo.
 
Anzi, senti cosa ne pensa l'"esoterico" René Guénon:
 
<<...Le scienze profane, di cui il mondo moderno è così orgoglioso, altro non sono se non «residui» degenerati di antiche scienze tradizionali, così come la stessa quantità, a cui esse si sforzano di tutto ricondurre, non è, nella loro visione delle cose, se non il « residuo » di un'esistenza svuotata di tutto ciò che costituiva la sua essenza; è così che queste scienze, o pretese tali, lasciandosi sfuggire, oppure eliminando di proposito tutto ciò che veramente è essenziale, si rivelano in definitiva incapaci di fornire la spiegazione reale di qualsiasi cosa.
Allo stesso modo che la scienza tradizionale dei numeri è tutt'altra cosa dall'aritmetica profana dei moderni, sia pure con tutte le estensioni algebriche o d'altro genere di cui è suscettibile, così esiste anche una «geometria sacra» non meno profondamente diversa da quella scienza «scolastica», che oggi si designa con lo stesso nome di geometria.(...)
Cercheremo di far vedere in modo ancor più completo, e da un punto di vista più generale, quale sia la vera natura delle scienze tradizionali, e per conseguenza quale abisso le separi dalle scienze profane che ne sono come una caricatura ed una parodia; ciò permetterà di valutare la decadenza subita dalla mentalità umana nel passare dalle prime alle seconde, nonché di vedere, in rapporto alla situazione rispettiva dell'oggetto dei loro studi, come questa decadenza segua appunto strettamente la marcia discendente del ciclo percorso dalla nostra umanità>>.   [R. GUENON: Il Regno della quantità e i segni dei tempi - pg. 14-15]

 
#434
Tematiche Filosofiche / Re:Tutto bene e niente male
18 Ottobre 2018, 02:30:26 AM
Effettivamente il bene e il male si presentano come forze assolutamente incompatibili, ma solo fin quando il processo dialettico di confronto tra i due non si sia completato e non abbia messo in luce la vera essenza di ciò che, volta per volta, chiamiamo "bene" e "male". 
Dando uno sguardo alla storia del pensiero umano, risulta evidente che con il termine "male" non abbiamo mai individuato qualcosa di chiaramente definito, ma è sempre stato usato per indicare delle cause più o meno ignote i cui effetti erano, comunque, distruttivi, disarmonici, destabilizzanti, negativi, o apparivano tali agli occhi del "bene". In altre parole, "male" è sempre stato un termine provvisorio, approssimativo con cui abbiamo designato qualcosa di origine sconosciuta, incompresa, a cui non eravamo, o non eravamo ancora, in grado di dare un vero nome. Non è un caso, infatti, che l'uso di tale disgraziatissimo termine non è mai stato di alcuna utilità in nessun vero processo di approfondimento e di analisi conoscitiva; al contrario, ha sempre contribuito alla confusione e all'irrigidimento delle situazioni di conflittualità.
Non si può certo pretendere che venga bandito dal nostro linguaggio perché, malgrado tutto, rimane sempre quanto di più efficace e di immediato possediamo per esprimere le nostre preoccupazioni etiche. Ma dobbiamo anche cominciare a renderci conto che è sempre un errore fatale impostare i problemi nei termini di "conflitto tra bene e male", come si trattasse di due forze opposte, imprescindibili, connaturate all'esistenza stessa. Ogni volta che l'uomo è riuscito a sostituire "male" con il termine adeguato ha scoperto che dietro ad esso c'era solo una causa, un'energia originariamente utile e benefica, anzi indispensabile all'esistenza, ma erroneamente deviata, orientata verso fini distruttivi. Il processo dialettico, cioè, un efficace confronto tra le due forze naturali in conflitto, disciplinatamente prolungato fino al suo compimento definitivo, giunge sempre a trasformare entrambe e riportarle verso i loro scopi originari; in tale processo i "fantasmi" del bene e del male scompaiono per lasciare il posto a due principi senz'altro distinti, ma riconducibili ad una armonica complementarità.
Dobbiamo cioè sfuggire a due opposte tentazioni d'errore: quella agnostica, secondo cui non esistono in sé né bene né male, e quella cattolico-manichea, secondo cui il male è addirittura uno spirito cosmico eterno, un dio implacabilmente e assolutamente separato e nemico del dio del bene.
Solo se si pongono nella cornice dialettica adeguata "bene" e "male" possono essere epistemologicamente domati e ricondotti all'ordine che è loro proprio, e il male riportato al suo status di forza originariamente "provvidenziale" dell'esistenza, ma deviata verso fini improri. 
Finché continueremo pigramente a non saper, o a non voler, distinguere una forza vitale dalle sue varianti patologhiche o degradate, cadremo dalla padella del suo rifiuto totale, come se si trattasse di un principio maligno assoluto e ineliminabile, alla brace di una accettazione vile e rinunciataria, come se il nostro destino fosse quello di doverci rassegnare a convivere in eterno, impotenti, con mali di ogni genere. Per essere vinto definitivamente, cioè, il male deve essere pienamente conosciuto.
E non è un caso se il mito ci suggerisce che il mostro distruttore (dal Minotauro al Demonio al Vampiro) è implacabile e invincibile solo con il favore delle tenebre o della segretezza, ma che si dissolve e muore non appena è investito dalla luce del giorno o affrontato coraggiosamente dall'eroe. Così come non è casuale che, nel mito dell'Eden, l'atto primordiale che segna il passaggio dell'uomo dalla condizione originaria di incoscienza-innocenza alla condizione propriamente umana di consapevolezza e di responsabilità morale è simbolizzato dall'incontro con l'Albero della Conoscenza del Bene e del Male.
Origene, Erasmo e Giordano Bruno insegnavano che la misericordia divina avrebbe redento persino i demoni.
#435
Tematiche Filosofiche / Re:Lévy-Strauss e Jung.
17 Ottobre 2018, 17:14:14 PM
2a parte

"La conoscenza umana consiste essenzialmente nell'adattamento, volta per volta, delle nostre forme rappresentative originarie esistenti a priori, le quali hanno bisogno di certe modificazioni poiché rispondono, nella loro forma originaria, a un modo di vita arcaico, ma non alle esigenze di un ambiente variamente modificato. Se vogliamo conservare alla nostra vita attuale l'afflusso del dinamismo istintivo - ciò che è assolutamente necessario per la conservazione del nostro essere - è anche necessario trasformare le forme archetipiche di cui disponiamo, in rappresentazioni che rispondano alle esigenze del presente".[JUNG: Realtà dell'anima - pg.199]

"La costellazione di immagini e fantasie archetipiche, non è in sé patologica. Il momento patologico consiste unicamente nel modo in cui l'individuo [la coscienza] reagisce o afferra tali motivi. L'elemento caratteristico di una reazione patologica è anzitutto l'"identificazione con l'archetipo". [...] In tutti i casi l'identificazione con l'inconscio implica un certo indebolimento della coscienza. Non "ci si identifica", ma si subisce l'identità con l'archetipo, se ne è posseduti. [...] A seconda che siano esattamente o erroneamente afferrate, le esperienze psichiche esercitano effetti molto diversi sullo sviluppo di una persona. [...] Se il processo non è per niente compreso, per non sprofondare nuovamente nell'inconscio senza alcun risultato, deve possedere un'intensità eccezionale". [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pg.340]

"La visione del mondo ci deve aiutare a trovare l'accordo con il nostro uomo storico, in maniera che i suoi accenti profondi non vengano sopraffatti dalle aspre note della coscienza razionale, o che, inversamente, l'inestimabile luce della mente individuale non affoghi nelle tenebre infinite dell'anima naturale. [...]
Le immagini archetipiche sono fuori delle mura, appartengono alla natura in noi, contro la quale noi ci siamo trincerati dietro le mura della ragione. Da ciò nacque quel conflitto con la natura che la psicologia analitica cerca di risolvere, non con il "ritorno alla natura" di Rousseau, ma persistendo nello stadio razionale felicemente raggiunto e arricchendo la nostra coscienza con la nozione dello spirito naturale".   [JUNG: La dinamica dell'inconscio - pg.408]

Cosicché, operata l'eliminazione concettuale della coscienza, la filosofia di Lévi-Strauss diventa delirante:

"«Crediamo che il fine ultimo delle scienze umane non consista nel costituire l'uomo, ma nel dissolverlo» (Il pensiero selvaggio, 1965, p.269).[...]
«Le scienze umane possono diventare scienze solo cessando di essere umane». In altre parole, per trovare conoscitivamente l'uomo bisogna perderlo e per fare scienza autentica bisogna avere la determinazione di «studiare gli uomini come se fossero formiche», rinunciando al «mito» occidentale dell'uomo e a quella prerogativa ontologica privilegiata che sarebbe la libertà, con la quale i filosofi hanno civettato da sempre, assumendola a dato incontrovertibile della condizione umana: «la filosofia tradizionale affronta il problema di sapere in che senso la mente umana sia libera... mentre io invece cerco di stabilire, muovendo dall'etnografia, le leggi per cui la mente umana non è libera. [...] Il mio obiettivo è quello di mostrare che, persino nelle sue manifestazioni in apparenza più libere, lo spirito umano è sottomesso a condizioni rigorosamente determinanti»".   [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.362]

In realtà Lévy-Strauss non «muove dall'etnografia», ma dalla zoologia, cioè da una interpretazione dell'etnografia mutilata nella sua componente propriamente spirituale.

"Così, nelle Mitologiche, egli intende cercare, al di là della facciata variopinta dei miti, una serie di connessioni necessarie comprovanti la concezione strutturalista dell'uomo come di un essere «preso» in una rete di leggi ferree, esistenti al di là della sua iniziativa cosciente. «Se lo spirito umano appare determinato perfino nei suoi miti, allora, a maggior ragione, deve esserlo ovunque». L'antropologo «non deve mostrare come gli uomini pensino nei miti, ma viceversa come i miti si pensano negli uomini, e a loro insaputa». [...] Di conseguenza, come osserva Umberto Eco, per Lévi-Strauss «l'universo dei miti e del linguaggio è la scena di un gioco che si svolge alle spalle dell'uomo e in cui l'uomo non è implicato, se non come voce obbediente che si presta a esprimere una combinatoria che lo supera e lo annulla come soggetto responsabile» (La struttura assente, p.269)".
La rivendicazione del carattere inconscio e metasoggettivo dei miti, assimilati ad «una grande voce anonima che proferisce un discorso proveniente dalle profondità dei secoli, nato nell'intimo dello spirito umano» (L'uomo nudo, p.603), si accompagna alla tesi della loro rigorosa autonomia logico-formale".  [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.368-69]

Se la coscienza umana fosse solo la voce obbediente alle ferree leggi logico-formali della «struttura» inconscia, se la coscienza dell'individuo storico non fosse coinvolta attivamente nella produzione-elaborazione delle idee religiose, non esisterebbero guerre di religione, a meno che non si ipotizzi la contraddittorietà intrinseca di quella «grande voce anonima». Invece Lévi-Strauss pretende che i miti siano «operazioni combinatorie di rilettura di quanto circonda l'uomo, i cui termini della combinazione e del gioco logico, nel senso del significato del mito, restano sul piano dell'inconscio». (Tempo e sacralità del mito, p.120).

"Lévi-Strauss [...] ritiene che le infinite storie mitologiche che le diverse culture producono e si tramandano non sono che variazioni o trasformazioni possibili (di tipo logico-matematico), di determinate strutture di base sempre uguali nello spazio e nel tempo, che hanno sede in quella Struttura psicologica primordiale e archetipa che è lo spirito umano".  [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.370]

Gli studi di mitologia comparata di M.Eliade, Campbell, Guénon, Williamson, Zolla e di altri illustri etnologi hanno mostrato che tra le «infinite variazioni e trasformazioni possibili» non mancano dei motivi formali di ordine filosofico, oltre che mitologico o figurativo o religioso. Se anche tali filosofemi fossero l'espressione diretta della «Struttura», non mediata dall'uomo storico, anche la storia della filosofia sarebbe un unico grande Discorso armonico, le cui parti sarebbero rigorosamente omogenee e formalmente coerenti tra di loro, così come Lévi-Strauss suppone che essi siano in origine. Invece egli stesso osserva che il passaggio dalla struttura alla storia significa passaggio dall'ordine al caos, ma dimentica di spiegarci le ragioni dell'inspiegabile degrado. La filosofia di Lévi Strauss presenta una quantità enorme di contraddizioni insanabili, oltreché di affermazioni eticamente scandalose. Ma egli crede di non essere tenuto a giustificarsi con nessuno:

"Ad esempio, verso la fine della conversazione intrattenuta nel 1961 con Georges Charbonnier, a una delle ultime domande del suo intervistatore, egli risponde: «Lei si pone grandi problemi, problemi di natura filosofica certamente molto importanti e interessanti per il filosofo. Ma se l'etnologo si lasciasse prendere da problemi di questo genere si trasformerebbe in un filosofo e non farebbe più dell'etnologia. [...] Certo, noi non evitiamo, nei momenti di ozio, di esaminare i grandi problemi a cui lei accenna - e anche se volessimo, non potremmo non esaminarli - ma sono problemi estranei all'etnologia». [...] Similmente, nella Ouverture a Il cotto e il crudo, egli paragona le intromissioni speculative dell'antropologo ad un «bracconaggio spicciolo» nelle «riserve di caccia troppo ben custodite della filosofia» (p.25). [...] Battute analoghe circolano in L'uomo nudo: «..io non ho una filosofia degna di particolare attenzione, a parte qualche rozzo convincimento a cui sono tornato non tanto approfondendo la mia riflessione quanto per una regressiva erosione di quanto mi fu insegnato in questo campo e che ho io stesso insegnato» (p.601). Questa ostentata professione di «a-filosofia» in qualche caso giunge persino a un dichiarato disprezzo: «Il fatto è che io non provo verso la filosofia alcun rispetto» (Cahiers pour l'Analyse, 1967, p.90). Altre volte, invece, lo studioso francese tende a riconoscere apertamente l'ineludibilità della filosofia: «siamo anzi sempre filosofi, nostro malgrado, e sin dal momento in cui cominciamo a riflettere sui nostri procedimenti»; «la filosofia è inerente alla mentalità umana, ci sarà sempre una filosofia» (Conversazioni con Lévi-Strauss, pp. 88 e 39). [...] Egli ritiene che la filosofia abbia senso solo in quanto «ancilla scientiarum, serva e ausiliaria dell'esplorazione scientifica»".  [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pp.371/73]

Adesso si capisce perché Lévy-Strauss scambia la condizione umana con la condizione dello schizofrenico o con quella dell'animale: perché la sua condizione è molto prossima a quella di entrambi!   :)