Che gli opposti fossero complementari, tutti i filosofi presocratici, tranne forse Parmenide lo dicevano. Il pensiero della complementarita', ha radici profonde anche in occidente.
Se ci pensi, la dicotomia, cioe' la non complementarita', e' affermata laddove, e a partire da quando, in una stessa struttura di pensiero, si vorrebbe negare la dicotomia stessa.
L'essere e il non essere, probabilmente con Parmende, sono la prima (falsa) dicotomia, tra gli opposti scambievoli possibili nel logos, non complementare, cioe' la prima dicotomia radicale, non riconciliabile, che a livello di storia del pensiero occidentale compare.
Perche' in realta', nominandoli, o comunque attenzionandoli, entrambi, essere e non essere, e' fin troppo chiaro che si vorrebbe negare la dicotomia stessa: e' evidente, che il non essere non e', e quindi, la conclusione a cui siamo forzati ad arrivare e' che ci sia, o comunque che abbia valore, solo l'essere. La struttura del mondo, pare sia unica, in Parmenide e questo farebbe di lui l'iniziatore di ogni metafisica.
Insomma la dicotomia, e' radicale, se, e fintanto che, in essa si strugge il desiderio di superarla; e' "complementare", e morbida, facilmente digeribile, se essa e', psicologicamente ed esistenzialmente accettata.
Pensa a certe dicotomie del pensiero occidentale, o manicheo, o presenti pure in Parmenide stesso: bene, male, luce e tenebra, femminino e mascolino.
In esse, la dicotomia, fa gia' cenno, a un desiderio, presunto universale presso il desiderio stesso, di "rompere" la dicotomia o quantomeno di non affermarla nella sua complementarita': il bene e' migliore del male, la luce e' piu' veritativa della tenebra, il maschile, e' piu' "attivo", del femminile, eccetera. La dicotomia, non e' alla pari ai fini dell'uomo. Ci dica gia' che cosa in essa dovremmo scegliere (chi mai scegluerebbe, volontariamente, per esempio, il male?) quindi, e' segno, e usura, e traccia, di chi, in essa, ha gia' scelto, prima di noi. Da qui a dire che esiste solo il bene, solo l'essere, solo la luce, e il male e' una pietra d'inciampo, un incidente di percorso, il passo, purtroppo ( e dico "purtroppo" per le illusioni di troppo lunga durata, che tutto cio' ha comportato presso l'umano) e' breve.
Solo le "coppie" in cui non investiamo un palese, unidirezionale, e riconoscibile desiderio, possono danzare alla pari, e quindi esprimere, vera, complementarita'; acqua e fuoco, oro e merci, umido e secco, destra e sinistra, grande e piccolo, inizio e fine eccetera... ed essere quindi veramente, complementari. Ci sono motivi per desiderare, in certe situazioni della vita le merci, in certe altre l'oro, in certe il grande, in certe altre il piccolo, in certe la fine, in certe l'inizio eccetera. Qui la scelta, ha senso, per noi che nella dicotomia siamo, perche' non e' gia' fatta, dal ponitore della dicotomia. Le opposizioni "forti", invece, quali bene e male, essere non essere eccetera, invece, nascondono direttamente il desiderio che l'opposizione stessa non ci sia, in una asimmetria gia' detta e ben chiara. La radicalita' nel separare il bene dal male, e' ovvio, che e' la stessa radicalita' nel volere, solo il bene. Essere/non essere, poi, come dicotomia, poi si toglie nell'atto, e nell'attimo, stesso in cui si mette (solo l'essere, e').
Per gli affermatori dei monismi, poi, le dicotomie sono spesso, (inevitabilmente, e quale "spia" dell'insostenibilita' di fondo dei loro pensieri: contraddizione aperta nel logos, e non come questi stessi ci darebbero da intendere, dal logos) recuperate solo a fini dialogico/dialettici, e intellettivi; in Parmenide la coppie di opposti, pertengono alla dicibilita' della natura, al discprso, dei mortali, sulla natura, non gia' alla natura stessa.
Il male, in tutta la parabola stoica prima, e monoteistica poi, e' recuperato ai fini dell'umana e soggettuale intelligibilita', e quindi in ultima analisi del trionfo, del bene. Il male, non contribuisce al bene, ma alla sua intelligibilita', insomma serve esperienzialmente di lezione. E' un bene che il bene sia, anche in prospettiva specificamente umana, dicibile e intelligibile, e' quindi, e' un bene (minore) il male. Nel parricidio, platonico, di Parmenide, il non essere e' recuperato nel senso che una cosa non e' un'altra, ne' tutte le altre, insomma e' recuperato nel senso della dicibilita' di una differenza. Che pero' rimanda sempre ad una totalita', perche', il fatto che una cosa non sia un'altra, ha senso solo se una totalita' chiusa, e desiderabile, di cose e', ed e' conosciuta.
Ovviamente, per me le opposizioni non pertengono, manco per niente, solo alla dicibilita' e intelligibilita' della natura, ma sono reali, appartengono cioe' alla sua realta'. Spesso si dice:
"Sei manicheo"
Come fosse un insulto: maniche e' uno rigido, uno paranoico, che non e' conciliante.
In realta', manicheo e' uno che (ancora) non si e' bevuto il cervello, e quindi attribuisce realta', e sostanzialita', al male, senza considerarlo un epifenomeno, o un inciampo temporaneo, del bene.
Voler separare, con atto radicale il bene dal male, e "ognuno a casa sua", nel mondo e nel regno suo, e' spesso molto piu' maturo, e meno superbo, del voler vedere "vincere" il bene nel senso di una redenzione, o sussunzione, o diluimento, o giustificazione a posteriori, del male. Soprattutto perche' esprime una rinuncia, a tutte queste altre, e ancora piu' utopiche, soluzioni.
Se ci pensi, la dicotomia, cioe' la non complementarita', e' affermata laddove, e a partire da quando, in una stessa struttura di pensiero, si vorrebbe negare la dicotomia stessa.
L'essere e il non essere, probabilmente con Parmende, sono la prima (falsa) dicotomia, tra gli opposti scambievoli possibili nel logos, non complementare, cioe' la prima dicotomia radicale, non riconciliabile, che a livello di storia del pensiero occidentale compare.
Perche' in realta', nominandoli, o comunque attenzionandoli, entrambi, essere e non essere, e' fin troppo chiaro che si vorrebbe negare la dicotomia stessa: e' evidente, che il non essere non e', e quindi, la conclusione a cui siamo forzati ad arrivare e' che ci sia, o comunque che abbia valore, solo l'essere. La struttura del mondo, pare sia unica, in Parmenide e questo farebbe di lui l'iniziatore di ogni metafisica.
Insomma la dicotomia, e' radicale, se, e fintanto che, in essa si strugge il desiderio di superarla; e' "complementare", e morbida, facilmente digeribile, se essa e', psicologicamente ed esistenzialmente accettata.
Pensa a certe dicotomie del pensiero occidentale, o manicheo, o presenti pure in Parmenide stesso: bene, male, luce e tenebra, femminino e mascolino.
In esse, la dicotomia, fa gia' cenno, a un desiderio, presunto universale presso il desiderio stesso, di "rompere" la dicotomia o quantomeno di non affermarla nella sua complementarita': il bene e' migliore del male, la luce e' piu' veritativa della tenebra, il maschile, e' piu' "attivo", del femminile, eccetera. La dicotomia, non e' alla pari ai fini dell'uomo. Ci dica gia' che cosa in essa dovremmo scegliere (chi mai scegluerebbe, volontariamente, per esempio, il male?) quindi, e' segno, e usura, e traccia, di chi, in essa, ha gia' scelto, prima di noi. Da qui a dire che esiste solo il bene, solo l'essere, solo la luce, e il male e' una pietra d'inciampo, un incidente di percorso, il passo, purtroppo ( e dico "purtroppo" per le illusioni di troppo lunga durata, che tutto cio' ha comportato presso l'umano) e' breve.
Solo le "coppie" in cui non investiamo un palese, unidirezionale, e riconoscibile desiderio, possono danzare alla pari, e quindi esprimere, vera, complementarita'; acqua e fuoco, oro e merci, umido e secco, destra e sinistra, grande e piccolo, inizio e fine eccetera... ed essere quindi veramente, complementari. Ci sono motivi per desiderare, in certe situazioni della vita le merci, in certe altre l'oro, in certe il grande, in certe altre il piccolo, in certe la fine, in certe l'inizio eccetera. Qui la scelta, ha senso, per noi che nella dicotomia siamo, perche' non e' gia' fatta, dal ponitore della dicotomia. Le opposizioni "forti", invece, quali bene e male, essere non essere eccetera, invece, nascondono direttamente il desiderio che l'opposizione stessa non ci sia, in una asimmetria gia' detta e ben chiara. La radicalita' nel separare il bene dal male, e' ovvio, che e' la stessa radicalita' nel volere, solo il bene. Essere/non essere, poi, come dicotomia, poi si toglie nell'atto, e nell'attimo, stesso in cui si mette (solo l'essere, e').
Per gli affermatori dei monismi, poi, le dicotomie sono spesso, (inevitabilmente, e quale "spia" dell'insostenibilita' di fondo dei loro pensieri: contraddizione aperta nel logos, e non come questi stessi ci darebbero da intendere, dal logos) recuperate solo a fini dialogico/dialettici, e intellettivi; in Parmenide la coppie di opposti, pertengono alla dicibilita' della natura, al discprso, dei mortali, sulla natura, non gia' alla natura stessa.
Il male, in tutta la parabola stoica prima, e monoteistica poi, e' recuperato ai fini dell'umana e soggettuale intelligibilita', e quindi in ultima analisi del trionfo, del bene. Il male, non contribuisce al bene, ma alla sua intelligibilita', insomma serve esperienzialmente di lezione. E' un bene che il bene sia, anche in prospettiva specificamente umana, dicibile e intelligibile, e' quindi, e' un bene (minore) il male. Nel parricidio, platonico, di Parmenide, il non essere e' recuperato nel senso che una cosa non e' un'altra, ne' tutte le altre, insomma e' recuperato nel senso della dicibilita' di una differenza. Che pero' rimanda sempre ad una totalita', perche', il fatto che una cosa non sia un'altra, ha senso solo se una totalita' chiusa, e desiderabile, di cose e', ed e' conosciuta.
Ovviamente, per me le opposizioni non pertengono, manco per niente, solo alla dicibilita' e intelligibilita' della natura, ma sono reali, appartengono cioe' alla sua realta'. Spesso si dice:
"Sei manicheo"
Come fosse un insulto: maniche e' uno rigido, uno paranoico, che non e' conciliante.
In realta', manicheo e' uno che (ancora) non si e' bevuto il cervello, e quindi attribuisce realta', e sostanzialita', al male, senza considerarlo un epifenomeno, o un inciampo temporaneo, del bene.
Voler separare, con atto radicale il bene dal male, e "ognuno a casa sua", nel mondo e nel regno suo, e' spesso molto piu' maturo, e meno superbo, del voler vedere "vincere" il bene nel senso di una redenzione, o sussunzione, o diluimento, o giustificazione a posteriori, del male. Soprattutto perche' esprime una rinuncia, a tutte queste altre, e ancora piu' utopiche, soluzioni.





L'HOLODOMOR 
