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Messaggi - maral

#421
Ma che bel modo di capovolgere le carte in tavola: se li odiamo e proclamiamo la nefandeza della loro religione, essi ci ameranno! Demenziale, ma perfettamente in linea con tutta la storia dell'Occidente, figlia del Cristianesimo, poiché attraverso il Cristianesimo e non certo attraverso l'Islam si è realizzata l'ingiustizia radicale e rapinatrice del mondo attuale. Chi sono stati i colonizzatori e i distruttori di ogni civiltà diversa dalla propria nel mondo? E sempre con il pretesto di salvare chi non intendeva per nulla essere salvato e allora lo si bruciava in piazza, ma solo per salvargli l'anima!
La cultura classica fu distrutta in primo luogo dal fanatismo neo cristiano e ciò che fu salvato lo si deve all'Islam, molto più tollerante rispetto al cristianesimo dei tempi. Poi ogni religione ha le sue assurdità, fanatismi, nefandezze e ogni ricostruzione storica in ogni caso e soprattutto se riguardante le religioni risente inevitabilmente dal contesto in cui la si fa.
La questione è molto semplice: dobbiamo intenderci con loro, non cancellarli in nome della nostra superiorità, sono più di un miliardo perdiana, e per di più in crescita, a differenza dei cristiani! E dobbiamo cominciare a dialogare per intenderci con chi è più disposto a dialogare, non certo dicendo: la tua religione fa schifo, non è nemmeno una religione, la mia invece sì che è meravigliosa e pure le mie tradizioni sono tanto più civili e giuste delle tue! Perché è chiaro a chiunque (non è questione di radical chic, chiunque ci può arrivare senza troppo sforzo intellettuale, casalinghe di Voghera, muratori bergamaschi, pensionati e cassintegrati compresi) che così si ottiene proprio l'effetto contrario (tanto più che i nostri usi in quelle regioni sono stati e sono ben lontani dall'essere anche minimamente giusti), ossia la radicalizzazione ancora più spinta e giustificata anche di chi ancora non è per nulla radicalizzato. C'è un miliardo di musulmani sul pianeta, non sono un miliardo di fanatici terroristi, i fanatici terroristi sono un'esigua minoranza, ma pare che nella mente di qualcuno (evidentemente interessato) è necessario che tali diventano tutti o quanto meno che tutti trovino in ciò che diciamo e facciamo la giusta ragione per supportare il fanatismo e parteciparvi, per fare dei terroristi più radicalizzati i propri eroi! La sola conclusione ragionevole possibile a questo punto è che la demenza non conosce proprio mai fine, cresce sempre su se stessa esponenzialmente.
Per questo il titolo di questo 3D (che sarebbe assurdo definire riflessione) è semplicemente idiota.
#422
Citazione di: sgiomboDi fronte alla morte l' uomo non si é limitato ad evocare un Dio che si faccia uomo per risorgere come Dio ma per esempio ha anche proposto con Epicuro la considerazione che finché siamo vivi la nostra morte non c' é, mentre allorché c' é la nostra morte non ci siamo più noi come soggetti coscienti e sue "vittime".
Già e poiché il nulla non potremo mai incontrarlo, l'ultimo istante, dopo il quale non vi è nulla di esperibile, coincide con l'eternità di noi stessi, il definitivo incontro glorioso ed eterno con ciò che siamo.
#423
Citazione di: sgiombo il 08 Gennaio 2017, 20:51:11 PM
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CitazioneLa relatività del moto è un concetto astratto.
E come tutti i concetti astratti non può essere pensata se non per l' appunto astraendo caratteristiche generali comuni a più casi particolari concreti (nella fattispecie ai moti relativi fra terra, sole, "stelle fisse", ai moti relativi fra treno sul primo binario, treno sul secondo binario, stazione e binari e a un' infinità di altri casi concreti).
Invece le metafore sono sostituzioni di termini proprio con termini figurati, in seguito a una trasposizione simbolica di immagini.
La sussunzione mediante astrazione sotto una legge generale di un caso particolare ne costituisce la spiegazione o comprensione, mentre una (o più) metafora, sostituendo i casi concreti da spiegare con casi figurati attraverso una trasposizione simbolica di immagini costituisce un possibile ausilio alla spiegazione - comprensione.
Appunto perché nel concetto astratto consiste in "una astrazione di caratteristiche generali comuni a più casi particolari concreti", sostengo che esso ha alla base una serie di metafore che evidenziano proprio quegli aspetti comuni che poi il pensiero astratto separa considerandolo in sé. Questo significa che si parte dalle metafore dei significati, non dagli oggetti in sé esperiti, ma dagli oggetti che, esperiti come significati, presentano nel loro modo di significare qualcosa di comune che li rende l'uno metafora dell'altro, ossia il significato dell'uno allude a quello dell'altro. Le metafore sono fondamentali perché stanno alla base di ogni conoscenza possibile che sempre articola tra loro dei significati, non delle cose.

CitazioneVeramente parlavo di autocoscienza, cioè di coscienza del soggetto (in quanto oggetto di coscienza) da parte del soggetto stesso di coscienza (coscienza il cui oggetto si identifica con il soggetto stesso), e non di conoscenza del soggetto (in quanto oggetto di conoscenza) da parte del soggetto di conoscenza (conoscienza il cui oggetto si identifica con il soggetto stesso); ma mi sembra che ci sia un' evidente analogia fra i due casi.
Non so se ho capito bene, ma anch'io parlavo di autocoscienza nel primo senso in cui la presenti. Il fatto che sia del "soggetto sesso" è una "scoperta a posteriori del soggetto stesso che si vede in oggetto e si identifica in quell'immagine che vede e dice quello sono io.
CitazioneSull' autoconoscenza (conoscenza di se stesso -come oggetto di essa-  da parte del soggetto stesso della conoscenza) concordo con quanto scritto, se non erro, da Davintro circa il fatto che la conoscenza non deve necessariamente essere conoscenza integrale della totalità del reale, né conoscenza "in toto" di qualcosa di parziale (in quanto distinto dal resto della realtà in toto, e non della realtà in toto nel suo complesso che sarebbe possibile unicamente a Dio, in quanto "onnisciente" per definizione).
Non deve esserlo perché non può esserlo, ma non essendolo (non essendo noi onniscienti e non potendo collocarci fuori da noi stessi) la conoscenza umana, sempre parziale, è infinitamente problematica (e proprio per questo non potrà mai essere definitiva in merito a nulla). Il problema è che se è parziale essa non conosce cosa sta oltre il parziale che conosce e quindi non può nemmeno sapere quanto ciò che sta fuori da quello che conosce determina ciò che conosce (e neppure se lo determina o no). La conoscenza parziale è in quanto tale sempre errata, l'unico modo per correggerla è delimitarla entro quello che si presume sia il suo ambito, ossia contestualizzarla in un contesto che si definisce per via provvisoria, poiché ovviamente anche questo contesto, per quanto lo si voglia formalmente chiudere, è sempre solo parzialmente chiuso. La conoscenza umana è un'opera infinita, dobbiamo rassegnarci a questo.
CitazionePer quel che riguarda l' autocoscienza in quanto sensazione fenomenica, la distinguerei dalla visione (inevitabilmente indiretta, su questo concordo) del mio corpo da parte mia, e la intenderei come il sentire me stesso interiormente come oggetto di questa autosensazione o autosensazioni interiori (dei miei pensieri, sentimenti, ecc.: la cartesiana res cogitans) che ne è anche il soggetto.
Tutte le sensazioni fenomeniche costituenti l' esperienza cosciente (o coscienza) sono tali (sono fenomeni: "esse est percipi") sia nel caso di quelle materiali che nel caso di quelle mentali; invece i loro "oggetti" e i loro "soggetti" da esse (sensazioni fenomeniche) distinti (e persistenti, o per lo meno che possono persistere anche allorché esse non accadono, indipendentemente da esse: se ci sono, ci sono anche allorché non sono sentiti fenomenicamente, indipendentemente dall' eventuale essere inoltre soggetti e/o oggetti di sensazioni fenomeniche) non possono che essere cose in sé o noumeno.
E allora (se c'è) l' oggetto di sensazione può benissimo (essere ipotizzato. Non dimostrato; né tantomeno mostrato, per definizione) essere la stessa cosa de- (identificarsi con) il soggetto (questo è il caso delle sensazioni mentali o interiori: quando penso sento* me che pensa, quando provo dolore sento* me sofferente, quando provo piacere sento* me gaudente); oltre che essere diverso da esso (questo è il caso delle sensazioni materiali o esteriori): non vedo in questa ipotesi alcuna contraddizione, ovvero impossibilità in linea di principio, né alcuna impossibilità di fatto.
Secondo la mia personale concezione ontologica "dualistica dei fenomeni, monistica del noumeno" il mio cervello posso vederlo indirettamente (per esempio in uno specchio), perché in questo caso è l' oggetto di sensazione fenomenica cosciente che si identifica con il soggetto (me stesso) ma in quanto percepito "dall' esterno", nella maniera in cui si percepiscono oggetti diversi dal soggetto (dunque "res extensa", i cui elementi o parti per definizione possono darsi sotto diverse prospettive nello spazio percepito), mentre posso sentire "immediatamente" me stesso "dall' interno" in quanto sensazioni fenomeniche costituenti la mia mente, i miei sentimenti, pensieri, ecc. (la "res cogitans").
La res cogitans è autosensazione fenomenica immediata, diretta; la res extensa è eterosensazione fenomenica o, nel caso particolare del proprio cervello, autosensazione fenomenica indiretta, "dall' esterno" (e dunque inevitabilmente indiretta e prospettica per esempio attraverso uno secchio o attraverso l' imaging neurologico funzionale), cioè autosensazione nella maniera in cui si danno le eterosensazioni.
E' che in realtà non vi è alcun interno o esterno, quindi non vi è una conoscenza immediata dell'interno o dell'esterno, perché questo presupporrebbe un io originario che separa interno ed esterno e che in realtà non è per nulla originario, ma è solo una costruzione fenomenologica più o meno unitaria, a posteriori.
Tu dici, quello che sento internamente lo sento io e nessun altro, mentre quello che vedo fuori lo vediamo io e gli altri, quindi questo dimostra che quello che sento internamente sono proprio e solo io e sentendolo posso conoscermi e raffigurarmi per quello che sono. Ma questo vale solo quando quell'io c'è e si ritiene autore dei suoi pensieri, sentimenti, emozioni (che comunque non potrà mai comprendere per intero) come se accadessero dentro un involucro che lo nasconde al mondo di fuori. In realtà non c'è alcun involucro, quei pensieri, sentimenti, emozioni sono modi di accadere del mondo che è tutto quello che c'è e di cui ogni "io" è solo un nodo di una rete infinita di relazioni sempre accadenti, un nodo che continuamente si disfa e si rifà in modi diversi e che solo in particolari condizioni può mantenere e riconoscere una propria identità a cui riferire pensieri, sentimenti, emozioni come "miei", perché in realtà essi non sono affatto miei, sono della totalità relazionale per come in questo momento si realizza e per questo momento sembra poter durare. 
#424
Citazione di: bluemaxE' appurato, e accettato, e consolidato, senza alcun dubbio, che il tutto avviene come semplice reazione chimica all'interno del cervello.
Non c'è spiritualità, non c'è dolore ne gioia (se non ricompense chimiche volute dall'evoluzione), non c'è mente se non processi cerebrali, ma sopratutto non vi è un Se' un io... se non come sovrapposizione di mappature tra quel che l'occhio vede e quel che il corpo prova (è il mondo a muoversi o la testa ? Per valutare questo serve la creazione di un IO illusorio).
E non c'è amore, non c'è odio, non c'è Libero arbitrio...
E perché mai quel "se non"? Perché dovrebbe esserci un cervello e dei processi cerebrali? Perché mai dovrebbe esserci l'occhio che vede? Sono forse queste cose che ci sono o non forse solo parole messeci in testa? Perché è vero: il linguaggio non ci appartiene, la vita che ci vive (qualsiasi cosa sia) non ci appartiene. Arriviamo in fondo a quello che dici, non fermiamoci a metà strada per creare nuove ontoteologie metafisiche di apparenti materialità oggettive, fatte di occhi e di cervelli, anziché di dolore e gioia, di mente o di anima. Perché si dovrebbe credere a queste piuttosto che a quelle? Dicono forse più di quelle cos'è la realtà dietro i sogni dei suoi significati? Non sono anch'esse solo parole che solo se si prendono nella loro autoreferenzialità sembrano dire qualcosa di reale?
Diciamo allora che realmente non c'è niente, proprio niente, ma se non c'è niente c'è tutto: c'è il dolore e c'è la gioia, c'è la mente e l'anima, ci sono io con i miei sogni di me stesso e ci sono gli altri con i loro sogni che costruiscono il sogno di un me stesso, ci sono gli atomi, le molecole e i neuroni, che sono parole come tante altre per raccontarsi dei sogni, ci sono le nostre prassi, i nostri modi di dire e di pensare, che non sono per nulla nostri, ma sono il prodotto di un numero sterminato di sogni sognati insieme per fare qualcosa insieme e che si presentano ora, in ogni istante a dettare i sogni secondo i quali si vedono cervelli o menti, gioie e dolori o trasmissioni sinaptiche. Galileo non vide la luna com'era con il suo telescopio, ma vide un sogno per come quel telescopio glielo faceva sognare e volle condividerlo. Perché anche queste prassi non sono che le prassi di un sogno. La realtà non è che un sonno profondo, senza sogni, che continuamente li genera per vedere cosa ha turbato la propria originaria perfetta beatitudine. La realtà è il sogno che sogna un sonno profondo e lo vuole credere realtà e beatitudine e sognandolo ne è terrorizzata.
Citazione di: Angelo Cannata il 09 Novembre 2016, 19:51:29 PM
Di per sé proprio l'acquisizione scientifica detta da bluemax potrebbe essere accusata di essere una pretesa di verità, quindi pretesa metafisica, realista, oggettivista, ma in realtà la scienza vera non ha pretese di verità intese in senso metafisico: la scienza fa ricerche e presenta i risultati, molto umilmente.
No, Angelo, te lo dico a te, ex prete, da ex ricercatore. La scienza, anche quella vera, non ha nessuna umiltà, ha la stessa eterna pretesa metafisica che tiene ben nascosta ai suoi stessi occhi: vedere le cose per come stanno per poterle usare, credere di avere in esterno una realtà in oggetto tutta da scoprire. E questa è la pretesa dell'uomo da quando nasce cosciente e la scienza è e resta umana, prodotta dalla coscienza umana che nell'eterno riproporsi del proprio limite vede l'oltre limite che non può mancare per vivere e ancora desiderare. La scienza non è umile perché l'uomo non è umile e non è umile perché, a differenza dell'animale quanto di Dio, l'uomo è sempre in bilico, sa, vivendo, di morire e non può crederci al punto da evocare un Dio che si faccia uomo per risorgere come Dio.
#425
Citazione di: sgiombo il 08 Gennaio 2017, 10:26:58 AM
A me sembra che le spiegazioni non poggino necessariamente su delle metafore, anche se queste possono aiutare (in un certo senso possono spesso -non sempre necessariamente- svolgere un ruolo euristico nelle spiegazioni, cioè aiutare a raggiungere la comprensione del problema, che però da metafore non é costituita bensì da ragionamenti logici e constatazioni empiriche).
Per esempio per spiegare a un bambino che la terra gira intorno al sole (relativamente alle "stelle fisse") e su se stessa e che se si può cadere nell' errore di pensare il contrario è per l' intrinseca, "connaturata" relatività dei movimenti ci si può aiutare  con l' esempio dell' apparente movimento del proprio treno rispetto alla stazione mentre é quello del binario a fianco a partire (se il bimbo ha avuto questa esperienza), ma non é certo questa la spiegazione (non é il fatto che a partire rispetto alla stazione era l' altro treno che spiega che relativamente alle "stelle fisse" -fin da quando non esisteva alcun treno e per molto tempo anche quando non esisteranno più treni- é la terra che gira su se stessa e non il sole intorno ad essa): la spiegazione dell' una dell' altra apparenza e possibile errore é invece la relatività del moto (la metafora, o in questo caso l' esempio, non spiega ma aiuta a capire)
.
Ma la relatività del moto che regge la metafora dell'esempio, può essere mai pensata e compresa se non attraverso metafore? non è che il concetto astratto della relatività del moto non sia in fondo altro che ciò che lega e si pensa sottostare a tanti diversi accadere che appaiono metaforicamente legati l'uno all'altro e che alla fine, proprio per considerarli tutti insieme li leghiamo in quel solo principio di significare metaforico che è la relatività del moto?  

CitazioneSecondo me bisogna distinguere fra "spezzare realmente" o "separare fisicamente" da una parte e "distinguere mentalmente" o "discernere teoricamente" dall' altra.
Certe cose, come un soggetto autocosciente (soggetto di coscienza ed anche oggetto di coscienza) non si possono fisicamente separare, ma si possono benissimo teoricamente distinguere come funzioni, aspetti, caratteristiche di un' unica, medesima entità reale (o insieme-successione di eventi reali): connotazioni dello stesso denotato reale, come (esempio-metafora, non propriamente spiegazione!) il fatto di essere pensabile in quanto (attraverso il senso o connotazione del concetto di) "stella del mattino" e/o in quanto "stella della sera" dell' unica entità reale che entrambi i concetti significano o denotano: il pianeta Venere.
Dissento quindi dall' affermazione che
Citazionea ben vedere il soggetto, oggetto della mia conoscenza, non può, a rigor di logica, essere effettivamente il soggetto che lo conosce.
Secondo me a rigor di logica può benissimo esserlo in quanto unica, fisicamente inseparabile entità reale considerata teoricamente, pensata in due diversi modi, ponendo l' attenzione separatamente su ciascuno di due suoi diversi aspetti o caratteristiche che nella realtà sono inseparabili ma nel pensiero discernibili.
Il problema è che il soggetto che conosce non può conoscere, proprio per quanto si è detto, l' "intero" di se stesso, per questo il se stesso che vede in oggetto, nella propria prospettiva, non è lui che conosce determinando la prospettiva in cui si vede. Al massimo se lo immagina, lo vuole così per recuperare la sua unità che sente necessaria. Ciò che non può vedere è proprio il se stesso che sta vedendo, ossia il punto di partenza che lo determina. Può vederlo come riflesso di ciò che gli altri vedono e gli raccontano di lui, ma ciò che gli altri vedono è pur sempre lui che lo vede nella sua parzialità visiva, dunque l'immagine che ho di me, non sono io, proprio perché per vederla io non sono quell'immagine, quell'oggetto in cui mi identifico, anche se mi metto davanti a uno specchio che sembra dirmi questo sei proprio tu.
#426
Molto interessante. Kamal Fawzy Isahk è un cristiano copto nato nel 1948 (studioso così famoso che non ho trovato nessuna altra notizia su di lui nel web, tanto meno del suo curriculum culturale) che ha evidentemente tutti i suoi interessi (di sicuro non solo di natura religiosa) a dire la sua sul Corano, mentre Armando Manocchia che fa la prefazione, è segnalato come un farloccaro del web, ex coordinatore politico della Lega Nord da cui fu diffidato e fondatore di un sito (Imolaoggi) contro l'immigrazione e la cultura islamica http://www.bufale.net/home/guida-utile-chi-ce-dietro-il-sito-imolaoggi-bufale-net/, senza dubbio due islamisti di grande pregio, delle vere autorità obiettive e disinteressate in fatto di storia delle religioni e di esegesi coranica!
Peraltro tutto quello che Isahk scrive sul Corano si potrebbe pensare di scriverlo pure sulla Bibbia (ed è pure stato fatto, da Odifreddi ad esempio, che per lo meno, non è un illustre sconosciuto) mettendone in luce le innumerevoli contraddizioni e l'ignoranza che emerge da ciò che vi si trova scritto. A leggere il saggio dell'illustre Kamal mi sa che la vista la si è già persa da tempo, accecati dal pregiudizio e dall'odio e poco vale in tal frangente invocare Santa Lucia.
Suggerisco invece la lettura di "Non c'è altro Dio all'infuori di Dio", di Reza Aslan, musulmano iraniano di formazione scita, che, almeno con la competenza di chi sa ciò di cui scrive, illustra la molteplicità dell'Islam e ne ricostruisce la storia anche nei suoi effetti politici passati e attuali. Non per prenderla come oro colato, si intende, ma per sentire, doverosamente anche l'altra campana.
I crociati entrarono in Gerusalemme, non certo perché costretti a difendere i cristiani dall'invasore islamico (costretti da chi? Ai tempi ebrei, cristiani e musulmani, convivevano a Gerusalemme e i pellegrini cristiani erano stati per secoli liberi di accedere ai luoghi sacri che pure l'Islam venerava riconoscendo nel racconto biblico sia vetero che neo testamentario la sua matrice giunta a compimento con la rivelazione coranica), ma dalla loro voglia sanguinaria di rapina, dal papa che cercava sostegno politico a Costantinopoli e dall'arrivo dei Turchi nella regione.  Non bisogna poi dimenticare il farneticante "Dio lo vuole!" che ispirò il successivo pellegrinaggio armato di massa. Comunque già alla prima (e grazie al Cielo unica) entrata in Gerusalemme i nobili guerrieri con la croce compirono uno dei più spietati massacri che la storia ricordi, indifferentemente su musulmani, ebrei e cristiani inermi, anteprima di altri massacri su cui la Croce ha sventolato. Poi si spartirono le terre per la gloria non di Dio, ma per assicurarsi un futuro di famiglia, alla faccia dell'imperatore di Costantinopoli ovviamente. Costantinopoli che, tra l'altro, fu depredata e distrutta nel corso di un'altra crociata che, stranamente, si fermò lì per la gioia dei mercanti veneziani, sovvenzionatori delle sacre imprese. I Crociati divennero presto la peggiore pestilenza per l'imperatore cristiano di oriente. Ma questo è lo spirito che ha guidato (e continua a guidare) tutta la storia dell'Occidente, cambiano solo i simboli di riferimento; un tempo la Croce e i Vangeli che predicano l'amore e la misericordia, oggi il Libero Mercato, la Democrazia, il Progresso e via dicendo.
Peraltro era stato l'imperatore Teodosio, colui che proclamò il cristianesimo religione di stato nell'impero romano, a chiudere definitivamente la scuola di Atene (sempre in nome della unica Verità evangelica, si intende, che rende falso e inutile tutto il resto) che fu costretta a trasferirsi ad Alessandria in Egitto, ove i testi, un po' di tempo dopo, furono bruciati da bande di fanatici cristiani (non dai musulmani, come la leggenda e la propaganda cristiana pretende), preludio di ben altri roghi contro gli infedeli che avrebbero funestato per secoli l'Europa, fino ai campi di sterminio per l'Ebreo demoniaco e subumano. Se la cultura greca tornò in Europa fu solo ed esclusivamente grazie all'occupazione islamica dell'area del Mediterraneo e alla ammirazione che gli studiosi islamici mostrarono per essa, certo, anche per interpretare il messaggio coranico, come poi avrebbe fatto la Scolastica medioevale per il cristianesimo. I monaci amanuensi che ricopiarono quei testi in un Europa devastata da barbari analfabeti e dall'intolleranza fanatica, predatrice e sanguinaria dei neo convertiti, lo devono solo all'Islam, le radici della nostra civiltà sono sopravvissute grazie all'Islam, unico faro di civiltà che allora rimase nell'area Mediterranea. Addirittura in quelle regioni del Medio Oriente c'è ancora una corrente musulmana sui geris che venera i filosofi Greci (Platone, Aristotele, Plotino, Parmenide) quasi come divinità, sono i Drusi, nel Libano (si legga a tal proposito "Regni dimenticati" di G.Russell, sulle religioni di ascendenza pagana che hanno potuto sopravvivere nelle zone del Medio Oriente, fondendosi con i culti islamici, mentre in quelle cristiane praticamente nulla è rimasto a parte un po' di folklore).
Ma il punto non è questo, il punto è a cosa mira oggi questa demenza che non si ferma davanti a nessuna disinformazione, pur di fomentare l'odio tra Islam (che rappresenta sempre più la maggioranza povera del mondo) e Occidente (ove peraltro la tradizione cristiana è sempre più in decadenza se non quando serve per stimolare la paura e l'odio).  Gli islamici, nelle forme diversissime con cui l'Islam si presenta in concreto (e non come etichetta) nel mondo sono ormai più di un miliardo e sono destinati, a differenza dei cristiani, a crescere. Chiedersi a cosa punta questa forma di demenza che pretende l'odio, la reciproca incomprensione e la più fanatica chiusura credo sia assolutamente doveroso, perché il fanatismo islamico, quello dell'Isis o del "califfato", che tanto ci preoccupa, trovo sia esattamente della stessa pasta (quanto meno in pari misura ignorante, falsificante e interessato) di questo fanatismo che si appella ai pretesi valori cristiani di casa nostra, e ciò che è utile a uno lo è pure all'altro, in sinergia.
#427
Tematiche Filosofiche / Re:pensieri sull'inconscio
07 Gennaio 2017, 18:34:38 PM
Citazione di: sgiombo il 06 Gennaio 2017, 19:24:39 PM
Dissento invece che l[/size]'unica terapia praticabile per la malattia psichica sia la presentazione dell' inconscio (per definizione non esperibile coscientemente) alla sfera razionale cosciente, la quale vi consegue nel senso di cui sopra, men che meno attraverso il discorso e il linguaggio psicoanalitico. "Presentazione alla coscienza dell' inconscio" é un' espressione contraddittoria, ciò che pretende di esprimere é impossibile; casomai si può cercare di fare ipotesi su cosa di "noumenico, di non cosciente poteva accadere nel proprio cervello mentre non si era coscienti ed a cui sono conseguiti stati fisiologici cerebrali con corrispettivo cosciente.

Sul fatto che la psicanalisi non sia l'unica terapia praticabile per la malattia psichica concordo perfettamente con te, anche se mi pare che a oggi non ci sia alcuna terapia che possa agire realmente sulla malattia psichica e quella farmacologica riesce solo a contenerne gli effetti, senza, per quanto ne so, incidere sulle cause, soprattutto se queste non appaiono essere direttamente fisiologiche. Il problema è anche comprendere cosa, al di là del disagio sociale e psicologico che procura, sia effettivamente la malattia psichica e mi pare che il mondo attuale sia ben poco capace di farlo. Io la definirei, in accordo con Jung (che soffriva di allucinazioni che sono molto interessanti da seguire con lui nel suo "Libro rosso"), un disturbo del significato. Ma mi è difficile capire cosa davvero significhi "disturbo del significato".  
Concordo anche sul fatto, come già detto in precedenza, che la terapia mediante il discorso psicanalitico presenta gli aspetti contradditori che tu denoti.

CitazioneE penso che riconoscersi in quello che si è, nella propria radicale genealogia richieda introspezione razionale (già praticata da molti pensatori da gran tempo) e non certo le elucubrazioni irrazionali della psicoanalisi.

Sulla necessità dell'introspezione non ho dubbi, ma che questa debba essere necessariamente razionale non credo, se per razionale si intende uno sguardo del tutto oggettivo che rifiuta il proprio essere fondamentalmente irrazionale, anche quando si opera da osservatori. Più sopra ho accennato a Jung che nel "Libro rosso" compie un'introspezione del tutto irrazionale, lasciandosi guidare dalle proprie allucinazioni per tentare di arrivare al "Sé". E in un certo senso trovo sia quello che fanno in genere i poeti. Chissà se potrà mai esservi per la malattia psichica, una "via terapeutica della poesia"... (o forse vi è già stata, è stato il mito per l'umanità) 
#428
Tutti tentativi di spiegazione poggiano inevitabilmente su delle metafore e certamente in primis, il fenomeno "coscienza", ma qui certamente il tentativo si rivela di impossibile soluzione, poiché si tratta di spiegare l'origine della coscienza a partire dalla coscienza stessa e un fenomeno non può avere la visione della propria origine, se non poendo l'oggetto di cui pretende di vedere l'origine come altro da ciò che è.
Certo "linguaggio" e "coscienza" hanno in comune lo spezzare l'unità del mondo, il primo lo divide tra segno e cosa, il secondo tra soggetto (individuale o collettivo, che gestisce il significato) e l'oggetto o l'accadimento, il segno in sé. Questo può far ritenere che solo con il prodursi del linguaggio si possa produrre coscienza e autocoscienza, quando anche il soggetto si duplica, così da apparire a sua volta in oggetto, come segno reale di se stesso che interpreta.
Poter dire "questo oggetto sono io" non credo possa essere spiegato semplicemente con il tramonto di un'ipotetica mente bicamerale, anche perché a ben vedere il soggetto, oggetto della mia conoscenza, non può, a rigor di logica, essere effettivamente il soggetto che lo conosce. Paradossalmente si potrebbe sostenere che la mente bicamerale, per quanto meno funzionale, veda le cose più realisticamente di quella non più bicamerale.
#429
Attualità / Re:La rivolta dei migranti
07 Gennaio 2017, 12:41:01 PM
L'articolo da me linkato è del luglio 2014, 2 anni e mezzo fa, quindi più recente della tua citazione di Wikipedia. La guerra civile è ufficialmente terminata nel 2010, ma è ancora latente e condotta per bande, fomentata dagli interessi francesi e delle multinazionali che hanno il loro interesse a fomentarla. Questa è una situazione ormai comune in tutta l'Africa subsahariana, dove gli interessi occidentali, ora anche cinesi, e del "libero mercato" fanno sfracelli.
Poi ci si lamenta quando arriva il conto da pagare in forma di profughi e gente che scappa da miseria e fame indotta dall'economia globale.
In ogni caso è vero che l'Italia da sola non può farsene carico, occorre che se ne occupi l'Europa e ancor più l'ONU e ogni stato, nella misura in cui gode della rapina sistematica in Africa e del terzo mondo, dovrà assumere le proprie responsabilità anche in fatto di accoglienza.
#430
Tematiche Filosofiche / Re:Quell'Astrattista di Kant
06 Gennaio 2017, 18:19:03 PM
Citazione di: paul11 il 05 Gennaio 2017, 22:46:01 PM
La mente umana è correlata al mondo fisico naturale dal cervello analogico con le sue proprietà innate  al mondo in cui ad esempio si possono analizzare fisicamente neuroni, attività, ecc, ma la mente i non si "vede" sperimentalmente e nemmeno i pensieri. Trovo che sia proprio il rapporto fra mente e cervello il trascendente, il luogo in cui i linguaggi prendono forma e costruiscono le sintassi e le semantiche.La mente, come la logica, la matematica, i linguaggi, non sono il prodotto del dominio fisico/naturale, ma li trascende e li correla come nel rapporto cervello-mente.
E' proprio in questo sta la qualità umana, la possiblità di vivere fisicamente nel mondo fisico ,ma di trascenderlo linguisticamente.
La logica non è ontologicamente del dominio fisico, ma lo "legge", lo interpreta, lo modella sintatticamente.
la contraddizione, ripeto è sostenere che essendo l'uomo costruito e costituito nel mondo fisico, tutte le sue qualità appartengano ontologicamente al mondo fisico per cui l'episteme è da ricercare nel mondo fisico.
D'altra parte quale animale potrebbe sostenere il concreto e l'astratto, la realtà e la fantasia?
Se linguisticamente sono descrivibili  è la prova che esiste comunque l'astrazione e la fantasia.
In realtà mi pare che anche quello che intendiamo come mondo fisico naturale sia solo una mappa. I cervelli e i neuroni non sono cose, ma parole che esprimono significati che il linguaggio scientifico attuale presenta e indica nelle modalità con cui si esprime. Dire cervello o dire mente, o anima è questione di mappature linguistiche che indicano ciò a cui si riferiscono in ambiti di riferimento delimitati in cui si manifestano delle evidenze secondo una consequenzialità che quel linguaggio presenta e verifica seguendo le proprie regole esplicite o implicite, affinché la mappa si mantenga utilmente affidabile. La realtà primaria possiamo anche chiamarla "noumeno", ma anche noumeno è solo una parola, un modo con cui la si vuole dire, mantenendola nell'indeterminatezza inaccessibile al pensiero, così da esserne la matrice, oppure in un senso del tutto tautologico, come l'ente di Severino, che è definito solo dalla perfetta tautologia del suo essere per cui, qualsiasi cosa sia, è sempre quello che è e dunque non potrà mai diventare altro, per logica eternamente fedele a se stesso. Qualsiasi cosa sia, ma cosa è se non una dialettica infinita che può concludersi solo nell'astratto formale del principio logico?
Il mondo empirico a cui mi riferivo non è quindi tanto quello descritto dalla fisica o dalla fisiologia, quanto il primo segno di qualcosa che accade o forse l'ultimo segno che lascia l'interpretazione chiudendo il suo cerchio, è come un urlo o un respiro che ripetendosi in una primitiva modulazione performativa lascia tracce venendo a significare, ma ancora non sa dire cos'è o non lo sa più e non c'è ancora e non c'è più parola che possa dirlo, perché per dirlo occorre che la parola e la cosa si separino pur restando sempre tra loro legate, come desiderandosi. In questo modo si determinano continuamente delle polarità entro la quale il linguaggio può disegnare delle mappe e interpretare e trattenere dei segni che si presentano come simboli, creare significati per delle cose, distinguere sogni e fantasie dal reale accadere e illudersi di poter afferrare ciò che in sé è reale e ha effetto da ciò che è irreale e non ha effetto, salvo poi scoprire ogni volta che ciò che ora appare irreale, il sogno, ha avuto ben più effetto di ogni reale, che solo i sogni hanno effetti reali.
C'è un punto di rottura su cui l'uomo resta in bilico, ma questa rottura non è precedente all'uomo, non vi sono domini fisico/naturali e trascendenti/metafisici che siano prima di una forma di coscienza, è piuttosto la forma di coscienza stessa che sentiamo appartenere alla nostra forma, a essere nell'unità del tutto il punto di rottura, ma anche questo è solo una metafore, solo un modo di dire che tenta di cogliere quello che è impossibile cogliere. Prima non c'è nulla pur essendoci tutto e la prima parola separa il nulla dal tutto per poter dire qualcosa e dargli forma, quella forma che è, contrapposta alle altre che non è e in quella sua forma trattenerlo per goderne, afferrarlo o per respingerlo esorcizzandolo. La prima parola è una sorta di atto puro che si esprime in una negazione, un "non" che separa (A non è B, la fame non è la sazietà, io non sono tu e perciò sono io). L'uomo in questo senso è colui che può dire "non" e dirlo sempre meglio per trattenere dei segni ed evocare delle cose allontanandone altre, evocare anche quello che è prima del "non" e che sarà dopo il "non", perché anche il "non" che distingue e separa non è e quindi si cerca di trattenerlo.  
E' in virtù delle modulazioni del "non" che dei domini con i loro significati pertinenti possono apparire ed essere verificati secondo regole sintattiche e semantiche che appartengono a quei domini stessi e operano ulteriori distinzioni facendo emergere nuovi significati e quindi nuove distinzioni e così avanti all'infinito, finché non resta che la prima parola che è appunto solo una parola, primo e ultimo atto di una coscienza che divide. oltre il quale non c'è nulla perché c'è tutto, quello che c'è, è sempre stato e sempre sarà, né sogno né realtà, né parola né cosa.
#431
Tematiche Filosofiche / Re:Quell'Astrattista di Kant
06 Gennaio 2017, 10:35:54 AM
Citazione di: davintro il 05 Gennaio 2017, 20:14:48 PM
Perchè una visione parziale dovrebbe essere in quanto tale errata?
Perché esclude il contesto di cui è parte e che la determina per come si manifesta vera, ossia esclude proprio la ragione della sua verità, ponendosi nella sua parzialità fuori e sopra il contesto che ne costituisce la radice per immaginare di poter vedere la verità in oggetto. E qui è proprio la verità di una totalità la questione, ma la verità della totalità ovviamente non può essere colta da alcuna versione parziale, non è qualcosa che si costruisce pezzo per pezzo spostandosi da una parte all'altra e poi sommando il tutto, non è una questione additiva proprio perché il rapporto tra parti e tutto non è semplicemente quantitativo, ma è dato da una qualità radicalmente diversa. Proprio il concetto di "totalità dei finiti" è qualitativamente diverso da un numero espresso per sommatoria contabile.
Per questo l'infinito non è solo qualcosa di quantitativamente diverso da finito, ha una qualità e un significato diverso anche se riferito allo stesso tipo di cose, esprime una qualità diversa che si riferisce a quell' "oggetto" qualitativamente diverso che è appunto la totalità di quelle cose.
E non trovo nemmeno vero che il pennello di Van Gogh resti lo stesso se lo usi tu o Van Gogh, resta lo stesso solo nei termini di una pura astrazione, ossia prendendo l'idea-significato di quel pennello come del tutto separabile dal modo di usarlo e da chi in un determinato momento della giornata, del tempo e dello spazio (fisico e culturale) lo usa. Beninteso, questo di considerare le cose come oggetti perfettamente separabili, anziché come modi di accadere, è quello che facciamo sempre, automaticamente ogni volta che le concepiamo, ma proprio per tale motivo restiamo, pur partecipandovi, estranei alla reale totalità che in esse si presenta.
I confini discreti sono fondamentali per poter pensare, ma fanno parte delle mappe, della lettura e utilizzo della realtà (ovvero del sogno di poterla utilizzare in questo o quel modo), non della realtà.
Ed è proprio questa realtà che si colloca sopra il piano spazio temporale che è il piano della mappa perché solo su questo piano ogni mappa può essere e viene tracciata, ma ciò che in essa è tracciato non è la realtà, ma appunto le sue infinite rappresentazioni di significato e queste variano continuamente per poter dare ragione della realtà che è la loro eterna, immutabile, sempre presente (un presente che non è semplicemente il presente che sta all'incrocio tra passato e futuro), totale e unica (che non è l'unicità contrapposta ai molti, ma l'unicità che è i molti, plurale) entità.
Per questo il mondo cambia e nulla in esso è definitivo e ogni definizione presa in sé, per quanto utile, lo falsifica arbitrariamente, per questo non vi è altro mondo al di fuori di questo: immutabile nel suo essere, ma sempre mutevole nel suo venire a rappresentarsi nella forma dei suoi tanti significati e dei suoi tanti simboli (divinità comprese).
   



#432
Tematiche Filosofiche / Re:pensieri sull'inconscio
06 Gennaio 2017, 09:40:06 AM
Citazione di: sgiombo il 05 Gennaio 2017, 19:33:11 PM
Intanto mi sembra che Freud considerasse la psicoanalisi una scienza (medica) e non una filosofia. Quindi anche da un "presumibile punto di vista freudiano ortodosso" la tua interpretazione filosofica mi sembra per lo meno decisamente discutibile.
Probabilmente sì, ma il concetto di inconscio ha risvolti filosofici fondamentali, in parole povere implica che nessuno, con la sua parte razionale (e a dispetto del mito platonico dell'anima che sta alla base del pensiero occidentale successivo, classico e poi cristiano nella sua forma teologica razionale), può essere davvero padrone di se stesso, poiché quella parte razionale proviene comunque dall'irrazionale inconscio. L'unica terapia praticabile per la malattia psichica è quindi la presentazione di questa matrice profonda e oscura alla sfera razionale che essa produce tramite il discorso e il linguaggio psicoanalitico, affinché ci si possa riconoscere in quello che si è, nella propria radicale genealogia e credo che questo rappresenti una novità assolutamente non trascurabile rispetto al pensiero classico.
Freud era un medico, dunque sicuramente e soprattutto inizialmente perso considerasse la psicanalisi una forma di scienza medica che sviluppò interessandosi di ipnotismo come terapia mei casi di isteria, vedendo in essa solo limitatamente i presupposti filosofici, ma poi riconobbe sempre più la natura filosofica della questione, soprattutto con l'entrata in gioco della dicotomia tra istinto di vita e istinto di morte, tanto da auspicare che fossero in primo luogo i filosofi e non i medici a occuparsi di psicanalisi. Ma poi le cose sono andate in modo diverso per ovvie ragioni per cui oggi per fare psicanalisi occorre essere medici o quanto meno psicologi. 
Comunque la si pensi in merito, credo però si possa riconoscere che la psicanalisi ha marcato il clima di un'epoca, è nata da un contesto epocale culturale e sociale alla fine dell'800, ed è stata determinante per il clima filosofico almeno della prima metà del secolo successivo con strascichi molto importanti che arrivano ai primi decenni successivi. Certamente è stata il prodotto della cultura della classe sociale borghese dell'epoca e del suo tramonto.
Come terapia forse potrei dire che essa si è rivolta all'uomo del '900, intendendolo in chiave nevrotica, senza accorgersi che quel malato in realtà era psicotico o si avviava verso una psicosi epocale.


#433
Tematiche Filosofiche / Re:Quell'Astrattista di Kant
05 Gennaio 2017, 20:45:50 PM
Paul, anche la mente umana è un prodotto del mondo empirico, non è qualcosa che sta fuori di esso, quindi anche la logica e la matematica fanno parte del mondo empirico e le leggi universali sono rese vere (concretamente vere) dai contesti empirici in cui possono apparire vere, quindi non sono entità eterne, nel senso che possono apparire e valere in ogni tempo e in ogni luogo o occasione, ma sono specificate da un dove, da un quando e soprattutto dai modi di pensare, di fare, di dire.
Il problema è che si tende a confondere sempre i modelli che il linguaggio produce con la fenomenologia del mondo (come rilevi anche tu), la tentazione è irresistibile, la mappa con il territorio. La mappa è nel territorio, ma il territorio non è mai davvero nella mappa ed è per questo che le mappe sono tante (mentre il territorio è uno solo) e più sono meglio è, ogni mappa reca il suo errore e la sua verità, il territorio no, è quello che è, né vero né falso, il territorio è sempre quello che è, ma solo nelle mappe lo si può vedere. Le mappe non nascono a caso, nascono dal territorio e lo rappresentano in parte, ma proprio poiché lo rappresentano non si possono rappresentare come quegli elementi del territorio che sono, si immaginano nel momento in cui pongono in atto la loro funzione rappresentativa (la loro "performance") al di sopra di esso. Ed è per questo che ogni mappa ha un inevitabile errore, non può vedersi nel territorio per vedere in sé il territorio.
Anch'io, ora che parlo in questo modo sto tracciando una mappa, usando gli strumenti di conoscenza e di pratica che so usare e che il mondo mi dà come disponili e mi ha insegnato a usare. E questa mappa mi convince, erroneamente di essere nel giusto. Erroneamente, perché nel momento in cui parla del mondo, di come è, non può che immaginarsi fuori dal mondo per parlarne. L'unico modo di rimediare forse all'errore è rimettere idealmente la mappa nel territorio, considerandone l'inevitabile parzialità e fallacia, fallacia che non è sintattica (cioè una mancanza rispetto alla regola logico deduttiva che mi è stata insegnata per costruire la mappa coerentemente), ma fondamentalmente semantica.
Ma come posso fare a ricollocare la mia mappa nel mondo se pretendo che essa sia la "mappa del mondo intero"? come posso fare a rimettere la mappa nel mondo se pretendo che mi dia addirittura ragione di Dio, l'essere infinito? Che me lo rappresenti per come "deve" essere (e non può non essere) secondo le regole della mappa? Non è allora una totalità panoramica ed eterna che vado a rappresentare in queste super mappe, ma è solo un mio sogno, per come il mondo (non io) adesso lo produce, il sogno che mi trovo ad abitare e ad esistere.
#434
Tematiche Filosofiche / Re:Quell'Astrattista di Kant
05 Gennaio 2017, 09:55:48 AM
Citazione di: davintro il 04 Gennaio 2017, 23:22:07 PM
In ciò trovo diversi punti di dissenso. I limiti della mente umana, come scritto prima, impediscono certamente di giungere allo stesso livello del sapere di una mente divina e assoluta, ma non impediscono di giungere a una visione parziale ed imperfetta di tale mente.
E pertanto errata, ma sempre con la pretesa di essere quella giusta.
Chi dice che tale mente è sovraspaziale e sovratemporale si trova comunque nel tempo e nello spazio, altrimenti non potrebbe dire assolutamente nulla, dunque la mente sovraspaziale e sovratemporle è comunque stabilita dalle dimensioni spaziali e temporali dalle quali (temporalmente e spazialmente) ci si immagina la loro assenza
CitazioneIl punto è che accanto alla constatazione dei limiti, si potrebbe anche riconoscere un legame analogico tra l'uomo e Dio,che permette all'uomo di poter speculare sulla natura divina pur restando in una posizione inferiore e subordinata. Questa analogia è data dal fatto che ciò che si può predicare dell'uomo lo si può predicare anche di Dio, ma in misura, nell'uomo, depotenziata rispetto a Dio.

Ma anche questa è una concezione posta a priori dall'uomo: c'è analogia tra me, uomo, e Dio; e chi lo dice? Io, uomo che sono certo finito, ma grazie a questa analogia con differenze solo quantitative posso parlare a proposito dell'infinito! L'infinito non ha solo una differenza solo quantitativa rispetto al finito, non è che tanto finito, faccia l'infinito.
Citazionetra Dio e logica non ci può essere contrapposizione, perchè la logica è solo, per  così dire, un concetto, un insieme di regole formali con cui il pensiero considera la realtà non una realtà che potrebbe entrare in concorrenza con Dio.
E chi lo dice: l'uomo, Dio? La logica stessa? "La logica è solo un insieme di regole formali", e dici poco! le regole formali sono quelle che danno forma, che ci permettono di vedere, concepire e definire le cose, Dio compreso quando pretendiamo di rappresentarcelo! Già Aristotele aveva capito che nella forma c'è la sostanza. Questo Dio, principio primo dell'essere, che è la realizzazione somma della ragione, è creato dalla ragione, dunque è la ragione (ovviamente umana, dato che non ne conosciamo altre) che diventa così il principio primo dell'essere, Dio compreso. Ma lo fa di nascosto, perché ovviamente la ragione sa del suo limite e dunque non può presentarsi per quello che è, ma con una maschera divina sì, proprio come il ventriloquo che fa parlare il pupazzo.
Citazionesaremo 4 gatti a pensare che molti assunti dei sistemi metafisici della classicità o del medioevo siano tuttora validi.
Ma per forza che sono cambiati! E' cambiato il mondo che li concepisce, sono cambiati i modi di pensare, di sentire, di vivere! Forse che quei 4 gatti riescono a sentire e pensare come si sentiva e si pensava nel mondo classico e medioevale? Forse che si trovano fuori dal tempo così da vedere le cose come stanno e senza tempo, sub specie aeternitatis? Se tutti noi siamo figli del passato è ancor più vero che il passato è figlio del presente, è figlio del nostro modo di pensare e sentire che adesso e solo adesso così lo concepisce e se lo immagina. Quei "quattro gatti" non sostengono idee di secoli e millenni passati, ma idee di adesso che si agganciano con tanta nostalgia a un passato immaginato adesso per raffigurarsele eterne. E questo è inevitabile, perché nessuno sta fuori dal mondo in cui vive, non c'è specula o eremo che possa isolarlo, anche se vivendoci può immaginarsi di godere di uno sguardo che tutto sovrasta. E questa pretesa ce l'ha sia lo scientismo moderno, che chi si fissa sulle eterne verità teologiche di Agostino e Tommaso, perché questo pretendere di essere nella verità oggettiva è comunque un pretendere "umano, troppo umano", a testimonianza del suo umano non poter esserci mai. La differenza solo è che, dati i tempi e i contesti, il primo, nonostante si appoggi sulla stessa superstizione della verità in oggetto, appare ora ben più credibile dei secondi, a eccezione forse, che per quei quattro gatti.
#435
Tematiche Filosofiche / Re:Quell'Astrattista di Kant
04 Gennaio 2017, 22:17:07 PM
Resta il fatto che pretendi di inquadrare il funzionamento di una mente divina che si suppone illimitata e trascendente a partire da una visione comunque umana e pertanto, come tu stesso riconosci limitata. Limitata anche nella sua logica, a meno di non ritenere che la logica detti pure la natura della divinità e quindi le stia al di sopra. Beninteso, in passato questo si faceva abbastanza normalmente in filosofia (con polemiche a non finire ovviamente), ma ormai mi sembra le ontoteologie siano da lasciarsi da parte. Poi per carità, se lo si prende come un esercizio logico ipotetico va benissimo.