dal punto di vista epistemico bisognerebbe preliminarmente chiarire il punto di partenza metodologico, il punto di vista del sapere positivo empirico (es. le neuroscienze) o quello più propriamente filosofico-fenomenologico. Questi due approcci sono complementari ma distinti, in quanto individuano un piano di indagine proprio. Infatti il metodo filosofico-fenomenologico non considererebbe la fattualità del rapporto mente-cervello, ma considererebbe i fenomeni in quanto tali, la coscienza non come emanazione di una causalità neurologica (senza però escludere la possibilità dell'esistenza di tale causalità), ma la coscienza come complesso di vissuti che l'Io avverte dentro di sé, riconducendolo a uno spazio interiore, definibile come "anima", mentre le scienze empiriche basta sull'osservazione esteriore non considerano i vissuti dell'esperienza interiore diretta, ma non può che ridurli e conseguenze secondarie del loro oggetto di ricerca, il cervello, inteso come oggetto da studiare appunto come "oggetto", dall'esterno. Ciò a cui tramite i due approcci si può pervenire non confligge con l'altro, proprio in quanto disegnano due distinti punti di vista non tra loro confliggenti, a cui corrispondono distinti dimensioni della realtà su cui investighiamo, attenzione, distinte, non sostanzialisticamente separate. Personalmente cerco di stare nell'approccio filosofico-fenomenologico, che è quello più vicino alla mia "formazione", nel rispetto dell'autonomia dell'altro punto di vista.
La visione metafisica classica dell'anima come "forma corporis" sviluppato in un certo modo può essere un efficace modello interpretativo sulla questione, in quanto da un lato supera il rigido dualismo cartesiano corpo-anima, che lascerebbe inspiegato il nesso tra esercizio delle nostre facoltà intellettive e specifici campi neuronali, dall'altro supera il riduzionismo che ricondurre la complessità della vita interiore tendente a elaborare nozioni trascendenti la mera particolarità degli oggetti fisici (idee astratte e concetti aventi forme intenzionali di universalità) ad una realtà che, nella misura in cui è osservabile dall'esterno, non può mostrare pienamente tale vita intima vissuta in prima persona, e sarebbe puramente fisica. cioè il cervello. La "strategia" corretta sarebbe quella da un lato di non porre l'anima come sostanza a se stante separata dal corpo, dall'altro di svincolare la nozione di cervello dalla mera materialità. Non nel senso che il cervello non sia composto di materia, ma considerando la materia, aristotelicamente come condizione insufficiente della determinazione esistenziale dei singoli oggetti materiali, del darsi differenziato del loro senso. La materia in sé, non esiste, è pura indeterminazione, esiste in quando materia formata, materia cioè che assume un proprio senso e proprietà in relazione alla natura della forma che la configura rendendola "una certa cosa invece che un'altra", attribuendole una essenza. Nello specifico, il cervello non è pura materia, ma materia formata dall'anima, che la rende materia di un certo tipo, materia vivente atta a sostenere e supportare i processi che la costituiscono come "anima razionale", cioè anima umana. Senza l'anima intesa come causa formale, essenza dell'umano il cervello non esisterebbe in quanto tale, la materia che lo compone non sarebbe organizzata come materia vivente e pensante. Ciò permette quindi di non pensare la mente come separata dal cervello, dato che l'anima razionale (forma) non potrebbe operare senza una materia su cui applicarsi, ma implica anche la necessità di ammettere un'irriducibilità dell'interiorità vivente (l'anima non è forma nel senso meramente geometrico, ma forma vivente, che muove la materia a formare a partire da un'interno, e la presenza di questo nucleo interno permette di vivere i processi mentali come vissuti in prima persona, su cui riflettere mediante l'introspezione. L'esperienza interna non può essere ricreata e rivissuta in laboratorio a partire da uno sguardo esteriore e oggettivante e ciò fissa i limiti delle scienze positive riguardo la conoscenza della mente umana, che resta così aperta allo sguardo fenomenologico che coglie la soggettività non come oggetto esterno, ma come attualità vivente, che non esclude la validità dei risultati delle scienze positive, ma li integra con quelli ricavabili dal suo approccio, autoriflessivo e autocoscienziale, e mirante a cogliere la struttura essenziale dei fenomeni coscienziali, e non la loro fattualità empirica
La visione metafisica classica dell'anima come "forma corporis" sviluppato in un certo modo può essere un efficace modello interpretativo sulla questione, in quanto da un lato supera il rigido dualismo cartesiano corpo-anima, che lascerebbe inspiegato il nesso tra esercizio delle nostre facoltà intellettive e specifici campi neuronali, dall'altro supera il riduzionismo che ricondurre la complessità della vita interiore tendente a elaborare nozioni trascendenti la mera particolarità degli oggetti fisici (idee astratte e concetti aventi forme intenzionali di universalità) ad una realtà che, nella misura in cui è osservabile dall'esterno, non può mostrare pienamente tale vita intima vissuta in prima persona, e sarebbe puramente fisica. cioè il cervello. La "strategia" corretta sarebbe quella da un lato di non porre l'anima come sostanza a se stante separata dal corpo, dall'altro di svincolare la nozione di cervello dalla mera materialità. Non nel senso che il cervello non sia composto di materia, ma considerando la materia, aristotelicamente come condizione insufficiente della determinazione esistenziale dei singoli oggetti materiali, del darsi differenziato del loro senso. La materia in sé, non esiste, è pura indeterminazione, esiste in quando materia formata, materia cioè che assume un proprio senso e proprietà in relazione alla natura della forma che la configura rendendola "una certa cosa invece che un'altra", attribuendole una essenza. Nello specifico, il cervello non è pura materia, ma materia formata dall'anima, che la rende materia di un certo tipo, materia vivente atta a sostenere e supportare i processi che la costituiscono come "anima razionale", cioè anima umana. Senza l'anima intesa come causa formale, essenza dell'umano il cervello non esisterebbe in quanto tale, la materia che lo compone non sarebbe organizzata come materia vivente e pensante. Ciò permette quindi di non pensare la mente come separata dal cervello, dato che l'anima razionale (forma) non potrebbe operare senza una materia su cui applicarsi, ma implica anche la necessità di ammettere un'irriducibilità dell'interiorità vivente (l'anima non è forma nel senso meramente geometrico, ma forma vivente, che muove la materia a formare a partire da un'interno, e la presenza di questo nucleo interno permette di vivere i processi mentali come vissuti in prima persona, su cui riflettere mediante l'introspezione. L'esperienza interna non può essere ricreata e rivissuta in laboratorio a partire da uno sguardo esteriore e oggettivante e ciò fissa i limiti delle scienze positive riguardo la conoscenza della mente umana, che resta così aperta allo sguardo fenomenologico che coglie la soggettività non come oggetto esterno, ma come attualità vivente, che non esclude la validità dei risultati delle scienze positive, ma li integra con quelli ricavabili dal suo approccio, autoriflessivo e autocoscienziale, e mirante a cogliere la struttura essenziale dei fenomeni coscienziali, e non la loro fattualità empirica