Citazione di: Ipazia il 24 Luglio 2021, 10:01:15 AMEsatto. Il rosso certamente esiste per noi, ma poi tocca digerire coerentemente la palla da biliardo come fatta della stessa sostanza . Se intendi questo concordo.
L'essere in sè, ovvero la "cosa", das Ding, si salva delimitando funzionalmente il suo ambito semantico attraverso un accordo intersoggettivo denominato "definizione". Lo si fa attraverso un processo epistemico sempre in progress che non esclude costanze nel tempo fornite dalla realtà/natura con chiarezza ed evidenza al nostro apparato sensoriale e cognitivo.
Tale scelta toglie alla cosa ogni residuo metafisico rendendola per quello che è: per noi e non in sè.
Occorre rendersi conto che il problema nasce da sistemi percettivi, non intesi come individuali, ma dell'umanità, alternativi , ma non in concorrenza.
Sul sistema sensoriale non occorre alcun accordo poiché esso è stato ereditato allo stesso modo da tutti noi.
In tale ambito si esagera quando si pone l'accento sulla soggettività.
Sul sistema scientifico le dinamiche che portano all'accordo sono sotto i nostri occhi e ad esso ogni soggettività partecipa.
Qualunque cosa si riuscirà a trarre da tutto ciò è incredibilmente presuntuoso credere di poter giungere alla verità, in quanto essa, qualunque cosa sia, non può essere il frutto di un accordo grazie a un ritocco definitorio che soddisfi tutti.
La, ricerca della verità spinge tale processo e al tempo stesso lo ostacola fino a bloccarlo.
Tutto quello che possiamo ottenere in ambito scientifico non ha una sostanza diversa da un rosso che, con tutta evidenza non ha nulla a che fare con la verità.
Esso però esiste, allo stesso modo che esiste una palla da biliardo, perché entrambe nascono dallo stesso tipo di processo di interazione con la realtà, motivo per cui possiamo dirci vivi.
Esse nascono da un accordo intersoggettivo che non può mai dirsi definitivo e che va' inteso in senso lato, laddove un accordo non richiede necessariamente un uso della coscienza.
Non sappiamo come abbiamo raggiunto un accordo sul rosso e non potremo certo modificarlo anche quando convenissimo tutti di volerlo fare., perciò esso sembra avere una esistenza in se'.
Ma assumere l'esistenza in se' come definizione di essere non è cosa ne' giusta ne' sbagliata se non nella misura delle sue conseguenze che in ambito scientifico sembrano essere quelle di non farci sentire , noi, in sintonia con le nostre esperienze, cioè coi fatti, fatti che non si possono negare, e che vanno comunque avanti, con noi e senza di noi.
Ciò che intuisco è che per agevolare un processo virtuoso in tal senso occorre togliere concretezza all'essere.
Considerare cioè i diversi gradi dell'esistente senza fare il tipo per alcuni di essi, da portare ad esempio dell'essere, la classica palla da biliardo, e nascondere, tacere su altri tipi che meno sì prestino a sostenere l'essere in se'.
È vero che rosso e palla hanno la stessa sostanza, ma servirà' meglio la causa il portare la palla alla consistenza del rosso, che non il viceversa.
Basta leggere molti dei post presenti in questa discussione per rendersi conto della difficoltà che l'operazione comporta.
Una ridefinizione dell'essere viene avversata come un annullamento dell'essere, come provocatoriamente io stesso ho lasciato intendere con la domanda "esistono le cose?".
Certo che esistono. Non vi è mai stato alcun dubbio.
Esse spariscono quando chiudiamo gli occhi?
Se intendiamo gli occhi di ogni individuo la risposta ragionevole è no.
Se intendiamo gli occhi dell'umanità, a vedere con i quali ho cercato con questa discussione di invitare a fare, la risposta è sì.
Magari poi sarebbe più corretto allargare la platea in discorso a tutti i viventi, ma per il nostro scopo sarebbe stata solo una complicazione inutile.
Non sappiamo chi sono i viventi e non sappiamo cos'è la realtà, perché noi possiamo indagare solo i loro rapporti reciproci i quali ci dicono poco e nulla degli uni come dell'altra.
E perché mai dovrebbero dircelo?