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Messaggi - Kobayashi

#436
Il Soggetto non esiste. Esistono tanti soggetti. E come hanno detto Lou e Phil, assistiamo continuamente alla morte di soggetti senza che si manifesti l'apocalisse. Mi pare si tratti di una certezza assai razionale, ben fondata.
Del resto non esiste nemmeno una Realtà, ma tante realtà, ciascuna pensata da un singolo soggetto. E quelle realtà scompariranno insieme al suo correlato umano, anche se certo qualcosa di materiale continuerà ad esistere.
Cioè insieme a me scompariranno anche le montagne che ho scalato. Quelle montagne esistono solo per me. Resteranno delle rocce, dei sassi, un po' di terra.
La buona notizia è che insieme alle mie montagne scomparirà anche il mio sottosuolo...
#437
Io non sono ne' un suo discepolo ne' un suo detrattore.
Non mi interessa difenderlo.
Però quando mi avvicino alla sua opera riconosco che c'è qualcosa di grande. Basta avere un briciolo di istinto filosofico per sentirlo.
Non ho nessuna intenzione di fare il gioco di cercare di giustificare parti della sua opera etc.
Per capire il suo pensiero bisognerebbe prima chiedersi se si sono compresi i suoi concetti filosofici di base (volontà di potenza, eterno ritorno, genealogia, etc.). Del resto è quello che si farebbe normalmente se si decidesse di leggere per esempio la Fenomenologia dello spirito.
Saremmo attenti a non confondere il significato specifico dei termini usati da Hegel con quelli del senso comune.
Nella tua poesia sembravi confondere la volontà di potenza, che è un concetto filosofico, con il semplice desiderio e le sue oscillazioni. Non mi sembra un buon punto di partenza...
Bisognerebbe chiedersi con onestà se si ha voglia di condurre una lettura critica e attenta e riuscire magari a tirar fuori qualche tesoro o rimanere fermi ai propri pregiudizi.

Detto questo, ed essendomi reso conto che nel forum nei confronti di N. c'è poca generosità e giustizia, mi fermo qui per non risultare troppo insistente ed essere confuso con i suoi violenti supporter...
#438
Quello che voleva suggerire Deleuze è che l'uomo nobile di N. (così come per esempio l'uomo nobile di Eckhart), non può essere dedotto dai luoghi comuni della nostra vita pubblica.
L'uomo nobile non è chi ha il potere politico o economico, per intenderci, ma chi vive con gioia la propria differenza, chi non ha risentimento e non ha alcun interesse a costringere gli altri a essere come lui, chi con serenità va avanti per la sua strada senza voler essere riconosciuto, interessato più alla sua gioia di creare che al vile godimento di sottomettere gli altri etc..

Bisogna cercare di allontanarsi dai soliti pregiudizi critici su N. altrimenti non si fanno che ripetere gli stessi secolari fraintendimenti.
Se prendessimo come modello dell'uomo nobile di Eckhart l'aristocratico del suo tempo non capiremmo praticamente nulla del suo pensiero.
Ma Eckhart, mi dirai tu, ha scritto saggi e sermoni che chiariscono la sua concezione.
E Nietzsche no?
#439
Scrive Deleuze: "Non si insisterà mai troppo nel sottolineare quanto siano estranee a Nietzsche e alla concezione della volontà di potenza le nozioni di guerra, di rivalità o anche di confronto. Non che egli neghi l'esistenza della lotta, ma non la ritiene affatto creatrice di valori. Tutt'al più, i soli valori che essa crea sono i valori dello schiavo che trionfa: la lotta non è principio o motore della gerarchia, ma mezzo di cui lo schiavo si serve per rovesciare la gerarchia. La lotta non è mai espressione attiva delle forze o manifestazione di una volontà di potenza che afferma, e il suo risultato non esprime affatto il trionfo del signore o del forte. Al contrario, la lotta è il mezzo con cui i deboli, in quanto più numerosi, riescono a prevalere sui forti."
#440
Per donquixote.
I tuoi due interventi sono veramente molto interessanti e profondi.
L'unica perplessità che ho è sulla definizione di N. come autentico cristiano. Io direi piuttosto che N. "acconsente" che quella libertà di spirito che definisce l'oltre-uomo possa essere anche incarnata in un nuovo cristianesimo, così come lo era in Cristo. Cioè, portata a termine la critica a quelle forze negative che N. aveva riconosciuto nella religione, assimilata quella lezione, non c'è nulla che impedisca di riscoprire in Cristo la propria via per essere liberi, per diventare se stessi.
#441
Per Sari.
Non sto leggendo niente dietro i vostri interventi. Io non sono mai interessato a confutare o polemizzare con qualcuno. Ma partire dalle idee che magari vengono presentate dagli altri per sviluppare ulteriori possibilità.
In questo caso ho utilizzato gli esempi proposti da te per discutere della possibilità che dietro al fastidio per la volgarità della bestemmia si celi in realtà una "cattiva spiritualità".
Quando ero giovane e mi sentivo pronto per la vita religiosa rimanevo scioccato dalle bestemmie o dalle battute anticristiane di certi films. Oggi, dopo anni di "devastazione spirituale" comprendo l'ipocrisia di quel mio periodo, la rigidità psicologica, la superficialità.
Quindi, al limite, le mie parole erano rivolte contro me stesso, se questo vi può tranquillizzare.

Per Freedom.
Non hai scritto che la questione della bestemmia non è soltanto una questione di educazione civica ma ha qualcosa a che fare con la spiritualità per via di una sensibilità particolare che le persone spirituali tenderebbero a sviluppare?
Beh, io sono partito da lì. Tutto qua.
#442
Citazione di: Sariputra il 16 Luglio 2018, 14:12:58 PMNon è solo una religiosità mal digerita che serve a rafforzare la propria individualità. Oggigiorno si usa anche, per esempio, comprarsi un Suv più grosso di quello del vicino.Ogni cosa che sentiamo come "mia" mi pare serva allo scopo... Insomma non è che sempre dobbiamo "sparare" addosso alla religiosità affibbiandogli tutte le colpe dell'andazzo ( anche perchè ormai l'influenza della spiritualità nel mondo consumistico attuale è assolutamente risibile...).[/font][/size][/font][/size][/color]


Nessuno sta sparando addosso al religioso.
Il dubbio legittimo è che una spiritualità che ti porta a essere più intollerante (nei confronti di un bestemmiatore o del proprietario di un Suv) non serve assolutamente a niente.
Chi ha fatto un certo percorso di distacco, di fronte al Suv si sorprende che qualcuno possa desiderare un'auto così grossa e costosa, non si sente afflitto per il confronto con la propria auto e bisognoso quindi di argomentazioni spirituali ad hoc per tornare a ristabilire dentro di se' un certo equilibrio.
Così come di fronte al bestemmiatore convinto il "religioso sano" rimane affranto dal fatto che quell'uomo sia così lontano dalla pienezza e dalla gioia che sa donare il suo dio. Ma di sicuro non va a pensare che quelle parole siano un affronto alla sua persona. Soprattutto se si tratta di cristiani. Non si fa che ripetere della necessaria rinuncia a se' e poi, contemporaneamente si continua a interpretare ciò che ci circonda come un attacco alla nostra preziosa individualità?
#443
In riferimento all'ultimo intervento di C. Pierini.

E' ovvio che il pensiero di N. si pone al di là dei concetti metafisici elementari di spirito e materia.
Tu continui a condannare N. perché non sarebbe arrivato a quella tua unità superiore etc., e non hai ancora capito che il pensiero di N. è anti-dialettico. N. non è interessato a lavorare su ciò che gli si oppone per poi sviluppare una posizione di sintesi, ma piuttosto cerca di studiare che cosa si nasconde dietro un valore, quali forze reali agiscono al fine di affermarlo.
Solo seguendo queste idee ci si può avvicinare alla comprensione del suo pensiero.
Che evidentemente non è il tuo obiettivo.
Il tuo obiettivo sembra piuttosto quello di giudicare o convertire. Il che rende la prosecuzione del dialogo quantomeno poco stimolante...
#444
Citazione di: Freedom il 14 Luglio 2018, 23:15:46 PMC'è tuttavia un aspetto, a ben guardare, che può concernere la spiritualità: la volgarità in senso lato è del tutto contraria ad essa. Più si acquisisce sensibilità spirituale più una serie di cose diventa urticante se non insopportabile. Almeno così penso.

Purché questa sensibilità spirituale non sia la solita presunzione gnostica di essere migliori, quindi troppo delicati e nobili e bisognosi di protezione dalla contaminazione della volgarità di coloro che "non capiscono". Altrimenti siamo sempre lì con la religiosità che serve solo a rafforzare la propria identità.
#445
Cit. Ox.: "Credo in definitiva che buona parte delle ragioni della visione filosofica nietzscheiana vadano ricercate proprio nella filosofia anglosassone e nel suo concetto di "Bene".
La volontà di potenza, dunque, come volontà di perseguire ciò che piace e che è utile. Senza "orologiai" o infingimenti che ne ammantino ipocritamente la cruda realtà"

La coscienza è descritta da N. come una formazione essenzialmente reattiva. Le forze vitali, quelle affermative, lavorano sotto di essa. Sono più potenti e più ampie rispetto a quelle che strutturano l'io.
Quindi l'ego stabilirà un proprio utile inevitabilmente reattivo, un compromesso che ingloba forze che negano. E in effetti non è così? Le vite degli uomini non sono costruite forse basandosi sull'accettazione di ogni genere di rinuncia? Fino al punto di ritrovarsi completamente esauriti e come dei morti viventi?
#446
Se questa discussione ha come obiettivo cercare di capire meglio il concetto di volontà di potenza in N., forse può essere utile tornare a riflettere sulle idee di N.
Secondo Deleuze, a differenza di quello che molti sostengono con una certa superficialità, la terminologia di N. è in realtà molto rigorosa e precisa. Riporto alcuni concetti così come lo studioso francese li ha analizzati.

Il concetto di forza. Ci sono forze attive, che tendono alla propria affermazione (che godono della differenza rispetto alle altre forze), e reattive, che si oppongono alle prime.
La volontà di potenza è l'elemento genealogico delle forze. Ossia, è ciò che produce la differenza di quantità di due o più forze che sono in rapporto, ed è ciò che determina la qualità di ciascuna forza.
Le forze, in base alla loro quantità, possono essere dominanti o dominate.
In base alla loro qualità, attive o reattive.
C'è volontà di potenza sia nella forza attiva che in quella reattiva.
Il problema dell'interpretazione consiste nello stimare, dato un fenomeno, la qualità della forza che gli dà un senso e misurare il rapporto delle forze in esso presenti.
Il nichilismo, che è volontà di negare, non cessa di essere volontà di potenza. Ma in esso il filosofo deve saper riconoscere forze reattive e volontà di negazione. Il fatto che il nichilismo emerga grazie alla vittoria sulle forze attive e affermative non implica però che la propria qualità sia cambiata.

Quindi in N. c'è un'opera di ricerca di ciò che si muove sotto un certo fenomeno e che determina il valore di esso (il lavoro genealogico), e nello stesso tempo un'opera creativa che mira a favorire la liberazione delle forze che affermano, le forze vitali, attive, nobili.
Del resto questi due aspetti non possono essere separati dal momento che lo stesso studio genealogico, per esempio, dell'ascetismo è un'interpretazione che nel momento in cui mostra le forze reattive all'opera impone una valutazione ad esso permettendo una liberazione dalle sue seduzioni (che i filosofi continuano a subire).
#447
Se la teologia della morte di Dio nasce come tentativo di confrontarsi con la cultura secolarizzata, e se il suo sforzo è quello di avvicinarsi ad una nuova immagine di Dio, lontana dalla trascendenza del canone classico, allora mi chiedo che senso abbia concludere con la speranza di una nuova rivelazione.
Cioè, si fanno i conti con l'ateismo per poi dire che in realtà si tratta della morte non di Dio ma di una sua immagine specifica e infine si rinvia ad un atto di fede: l'avvento di una nuova era in cui finalmente dopo un tempo di oscurità ci sarà la luce.
A mio giudizio si tratta di una risposta del tutto inadeguata perché ci si appoggia ancora ad una sensibilità spirituale (verso la profezia, l'attesa, l'avvento di qualcosa di definitivo etc.) che non appartiene più al nostro tempo (tranne che ai nostalgici o a chi è riuscito a mantenere una fede classica).
#448
Un esempio.
Mettiamo di trovarci in Amazzonia, ospiti di una tribù sconosciuta. E mettiamo di scoprire che questa tribù professa una religione che prevede il sacrificio di cuccioli di cinghiale selvatico: vengono presi, scuoiati vivi, lasciati morire dopo ore di sofferenza e poi bruciati.
Se io avessi il potere di cancellare questa tradizione senza alcun dubbio lo farei. Non mi servirebbe inventarmi argomentazioni metafisiche etc. Sarei perfettamente consapevole dell'arbitrarietà del mio gesto. Semplicemente mi prenderei la responsabilità di esso. È stata la mia volontà di potenza (o meglio è stata la mia volontà sorretta da un potere maggiore rispetto a quello della tribù) a imporre qualcosa di nuovo, anzi a cancellare qualcosa di antico.
E se il mio gesto dovesse condurre infine all'estinzione della loro religione? Ancora una volta, nessuna ipocrisia e nessuna ingenuità: io non sono nelle condizioni di immaginare la mia posizione come più vera. Sono solo posizioni opposte che si contrastano, ciascuno lotta per la propria vittoria. E ciascuno porta con se' la responsabilità delle conseguenze dell'eventuale vittoria.
#449
Citazione di: Apeiron il 12 Luglio 2018, 09:23:34 AMA me il relativismo non piace perchè ritengo che cose come i Lager, i Gulag, la discriminazione razziale, quello che è successo in Cambogia, in Ruanda ecc sono azioni eticamente sbagliate, ingiuste, riprovevoli ecc e non penso che sono sbagliate, ingiuste, riprovevoli ecc solo "per me", ma che lo sono in realtà "per tutti". E rimarrà vero che sono sbagliate in futuro. Azioni simili erano, sono e saranno da considerare immorali, da non fare. Concordo con King su questo punto: la discriminazione razziale è moralmente riprovevole e ciò è stato vero in passato, è vero oggi e lo sarà in futuro. Su questo, mi spiace molto dirlo, ma il relativismo portato allo stremo (come nel caso di Protagora e Nietzsche) mi sgomenta. Ma per Nietzsche la sopraffazione, il conflitto, la prevaricazione ecc sono manifestazioni come altre della volontà di potenza. Quindi, per Nietzsche, non ci sono azioni giuste o sbagliate. Nemmeno quelle che ho citato. In fin dei conti per lui: "la vita stessa è essenzialmente, appropriazione, violazione, sopruso su ciò che è estraneo e più debole, oppressione, durezza e imposizione delle proprie forme, annessione e perlomeno ‑ ed è il caso più benevolo ‑, sfruttamento", " Un'entità vivente vuole prima di tutto liberare la propria forza ‑ la vita stessa è volontà di potenza ". Nietzsche, seguendo Eraclito, per il quale "dobbiamo riconoscere che il conflitto è comune e la giustizia è contesa"(DK B80) e "Il conflitto è padre di tutte le cose e di tutte il re" (DK B53), ha glorificato il conflitto. Per Nietzsche non c'è nessuna ragione per cui dovremmo mettere a freno il conflitto, la tendenza all'appropriazione, al sopruso. Quindi nel caso di Nietzsche oltre al problema già presente nel caso di Protagora e simili, c'è anche la tendenza abbastanza esplicita a glorificare. Se, per Nietzsche, quello che conta è esprimere la volontà di potenza, senza alcun modo per regolarla, allora tutti i modi di espressione della stessa sono "legittimi". Il punto, paul11, è che Nietzsche non riconosce un motivo per cui non si dovrebbe fare, ad esempio, la discriminazione razziale perchè non riconosce niente di superiore alla volontò di potenza per regolare le azioni. 

Ti ricordo Apeiron che il relativismo culturale mostra la relatività (la non assolutezza) di una determinata cultura nel suo complesso, e non la relatività della singola azione all'interno di una civiltà. La singola azione dovrà sempre fare i conti con i riferimenti etici della cultura di appartenenza del soggetto che agisce. Per cui se io volessi dimostrare la giustezza del genocidio, potrei anche provare a elaborare qualche argomentazione, ma alla fine tu saresti sempre in grado di confutarmi perché apparteniamo entrambi ad una civiltà i cui valori collettivi condannano questo tipo di fenomeno.

Altra cosa accadrebbe se vivessimo in una civiltà completamente diversa basata sulla guerra e sulla necessità di estinguere tutte le altre.

La grandezza di N., come indicato da Ox., sta soprattutto nell'aver condotto un'opera genealogica sui fondamenti della nostra civiltà. Si tratta di un'opera che possiamo definire come distruttiva? Si tratta di critica, di un'analisi che mostra quello che si nasconde sotto la superficie. Se poi qualcuno ha nostalgia dell'antica compattezza della superficie... Beh, che se faccia una ragione. Un po' di coraggio.
#450
Citazione di: Carlo Pierini il 11 Luglio 2018, 18:27:33 PMCARLO Il tuo discorso potrebbe funzionare SOLO SE fossi sicuro che Dio non esiste. Ma cos'è che ti dà questa sicurezza? Come spieghi la onnipresenza del fenomeno religioso (tranne in questo ultimo secolo) in OGNI AMBITO della cultura umana fin dalle sue origini (arte, letteratura, conoscenza, ritualità, usanze)? Un perfetto NULLA può essere la causa di un fenomeno così macroscopico e onnipervadente? ...E se invece ci decidessimo a studiare il fenomeno per stabilire una volta per tutte che COS'E' che fa sbucare dèi e demoni in ogni tempo e in ogni luogo, anche nelle più sperdute tribù della foresta Amazonica? Naturalmente, mettendo da parte stupidaggini puerili fritte e rifritte come "la paura della morte", la necessità di spiegare con "gli dèi" i fenomeni naturali che l'uomo non capisce, ecc.. Ebbene, anche se non te ne sei accorto, questo studio è già iniziato da almeno un'ottantina d'anni: si chiama "Storia comparata del mito e delle idee religiose"; e i primi risultati portano alla necessità logica di ipotizzare un'UNICA fonte di ispirazione di TUTTI i simbolismi e i paradigmi religiosi; un' UNICA matrice che trascende lo spazio geografico e il tempo storico. Naturalmente, a te, che sei un indottrinato dalle idee materialiste oggi di gran moda, non te ne puo' fregare di meno. Ma almeno, sii consapevole del fatto che l'ateismo E' SOLO UNA FEDE che non trova NESSUN supporto nella Scienza, ma solo nella maggior parte degli scienziati (non tutti), indottrinati come te. E che, dunque, la tua "genialata" di cancellare dall'orizzonte della filosofia tutte <<le illusioni religiose o dottrinarie di Oriente e Occidente>> potrebbe essere solo la conseguenza della tua ignoranza e dei tuoi pre-giudizi infondati sul tema "fenomeno religioso". HÄNDEL: Tornami a vagheggiar, op. Alcina https://youtu.be/8Kvdf-fRNM8


Si stava discutendo di come Leopardi concepisse la filosofia. Un tema a lui caro è l'idea del pensiero come distruzione delle illusioni della vita, con tutto ciò che ne consegue in fatto di pessimismo etc.
Da lì prendevo spunto per fare una riflessione: perché non provare a guardare alla questione del nichilismo non secondo la tematica della fine della metafisica ma provando a capire che cosa significa quello stato di disperazione o di quasi morte, a cui si arriva anche attraverso l'ascetismo cristiano, senza però il supporto appunto del riferimento religioso. Cioè provare a indagare che cosa ne deriva dall'essere vicino alla morte, dall'essere passati attraverso un processo di devastazione psicologica, senza doversi alla fine ne' attaccare alla nostalgia di un dio, ne' a qualche illusione etc. Un esperimento antropologico, diciamo così.
Per Leopardi la vita per il filosofo, cioè colui che appunto vede perfettamente la realtà così com'è, la sua vanità, la sua inconsistenza, è sopportabile solo perché sempre si tende a sospendere tale verità pessimistica con qualche piccola illusione, con le abitudini etc.
Se non ci fossero queste pause la vita non sarebbe sopportabile.
Magari da quel fondo oscuro, azzardo io..., potrebbe venir fuori qualcosa come la pietà.

Infine sulla tua matrice universale sono d'accordo con l'argomentazione di Jacopus: la sua universalità non dimostra nulla, tant'è che se la civiltà la si guarda come un prodotto della biologia umana, questa essendo uguale dall'Amazzonia alla Siberia, inevitabilmente avrà strutture simili.