Nel campo dell'antropologia e dell'etnologia, Lévi-Strauss scopre, nella cosiddetta «struttura» e nei «modelli strutturali», quelli che Jung ed Eliade, nel campo della psicologia e della storia comparata delle religioni, avevano già nominato, rispettivamente, come «inconscio collettivo» e «archetipi». Lo stesso Lévy-Strauss, infatti, identificherà il suo concetto di «struttura» con quello di «inconscio».
Tuttavia c'è una fondamentale differenza tra la cornice teorica di Jung-Eliade e quella, mostruosa, di Lévi-Strauss. Freud "scoprì " l'inconscio e descrisse alcuni aspetti delle sue relazioni con la coscienza; ma, influenzato dal monismo materialista, lo interpretò come una regione speciale della coscienza, una sua appendice, una sorta di "secchio della spazzatura" in cui la coscienza nasconde (rimozione) gli aspetti sgradevoli di sé. Solo Jung seppe riconoscere il carattere dialettico della relazione coscienza-inconscio e scoprire il principio che la governa: il principio di complementarietà degli opposti. Lévi-Strauss invece cade nell'estremismo opposto a quello freudiano: se Freud annette l'inconscio alla coscienza, il nostro antropologo annette la coscienza all'inconscio, finendo così per negarne l'autonomia-sovranità e "dissolverla" in esso. La mostruosità di tale interpretazione consiste nel fatto che, in questa ottica, Lévi-Strauss non descrive la condizione umana, ma una condizione che è molto simile sia a quella degli schizofrenici, nei quali l'integrità e l'autonomia della coscienza sono patologicamente compromesse e la stessa coscienza è "posseduta" e travolta dall'inconscio, sia a quella degli animali, nei quali le forme arcaiche di comportamento si ripetono monotonamente tra una generazione e l'altra, senza presentare variazioni individuali di rilievo.
Alternerò alcune citazioni di/su Levy-Strauss con citazioni di Jung per poter cogliere le principali similitudini e le differenze tra le due concezioni.
"L'antropologia, in quanto scienza, è, per Lévi-Strauss, una ricerca di strutture al di là del vissuto storico e soggettivo. [...] Il reperimento effettivo di queste ultime avviene tramite i «modelli», tant'è vero che il suo pensiero è stato talora definito «strutturalismo dei modelli». [...]. Come tali, i modelli coincidono con il linguaggio simbolico (grafico o matematico) incaricato di formulare l'ordine intelligibile della realtà". [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.357]
"In realtà, come ha messo in luce Franco Remotti, il pensiero di Lévi-Strauss, più che uno strutturalismo metodologico è uno strutturalismo ontologico, in quanto «il modello vero è la stessa struttura, alla cui organizzazione i fatti sono oggettivamente sottoposti, considerata e trattata nel suo valore esplicativo» (antropologia Strutturale, p.148). In altri termini i modelli strutturali, pur non essendo empirici, non sono, per questo, irreali. Lungi dal ridursi a vuota forma (mentale), la struttura di cui parla Lévi-Strauss è piuttosto «il contenuto stesso colto in una organizzazione logica concepita come proprietà del reale». [...] «Affinché lo strutturalismo sia legittimo bisogna che le strutture esistano non solo nella mente dello scienziato, ma in natura». Detto in altri termini, la struttura non è un semplice «strumento concettuale, un modello teorico destinato a inquadrare i fatti osservabili, a determinarne le regole di combinazione e a rendere possibile la previsione, ma l'Essere o la Sostanza quale si esprime ugualmente nella realtà delle cose e nella conoscenza di questa realtà, garantendo la corrispondenza, o l'omologia, tra realtà e conoscenza» (Abbagnano, Storia della filosofia, vol.III, pg.896)". [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.357]
"Per l'antropologo francese, la struttura non si identifica con l'aspetto superficiale dei sistemi, ossia con il plesso empiricamente manifesto delle relazioni sociali (le quali fungono semplicemente da «materia prima impiegata per la costruzione dei modelli»), bensì con l'organizzazione logica sottesa ai sistemi medesimi. «In primo luogo una struttura presenta il carattere di un sistema.Essa consiste in elementi tali che una qualsiasi modificazione di uno di essi comporti la modificazione di tutti gli altri. In secondo luogo, ogni modello appartiene a un gruppo di trasformazioni, ognuna delle quali corrisponde a un modello della stessa famiglia, [linea di parallelo metaforico?] in modo che l'insieme di tali trasformazioni costituisca un gruppo di modelli. In terzo luogo, le proprietà indicate qui sopra permettono di prevedere come reagirà il modello in caso di modificazione di uno dei suoi elementi». [...] Lévi-Strauss ha sostenuto che una struttura non si riduce a una disposizione qualsiasi di parti, ma: a) «deve essere un sistema, retto da coesione interna»; b) «tale coesione, inaccessibile all'osservazione di una parte isolata, si rivela nello studio delle trasformazioni, grazie alle quali ritroviamo proprietà similari in sistemi in apparenza diversi» (Studi di antropologia, p.66)". [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.358]
"Delucidato il concetto di struttura, rimane da chiarire dove risiedono, secondo Lévi-Strauss, le strutture. La risposta del nostro autore è, in sostanza, la seguente: le strutture abitano nella profondeur dell'inconscio, e si identificano con quel plesso di forme o categorie invarianti che governano, sin dalla notte dei tempi, le opere e i giorni degli individui, costituendo nel loro insieme, lo «spirito umano». [...] L'inconscio cessa di essere l'ineffabile rifugio delle particolarità individuali, il depositario di una storia unica, che rende ciascuno di noi un essere insostituibile. Si riduce a un termine con il quale designiamo una funzione: la funzione simbolica, specificamente umana, certo, ma si esercita in tutti gli uomini, secondo le stesse leggi»". [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pp.359-360]
"La nozione lévi-straussiana di inconscio, più che la psicanalisi di Freud, ricorda la psicanalisi di Jung e la sua dottrina dell'«inconscio collettivo»". [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.360]
"L'archetipo in sé è un fattore psicoide che appartiene per così dire alla parte invisibile dello spettro psichico. Come tale non è suscettibile di coscienza. Se ardisco avanzare quest'ipotesi è perché tutto ciò che di archetipico viene percepito dalla coscienza sembra rappresentare variazioni [originali] su un tema fondamentale [in sé irrappresentabile]". [JUNG: La dinamica dell'inconscio - pg.230]
"Goethe ha parlato dell'alfabeto in connessione con la storia. Osservando il fare degli uomini nel corso dei milienni si potrebbero riconoscere «alcune formule universali» che avrebbero esercitato su intere nazioni come su singoli una magia: queste formule, che «eternamente ritornano, eternamente uguali in migliaia di variopinti abbellimenti, sono il viatico misterioso che una potenza superiore porta nella vita». Esse sarebbero difficili da riconoscere nel loro significato primitivo perché ciascuno le ha tradotte nella lingua che gli è propria e le ha adattate alla propria condizione. Ed è con questi modelli universali e costanti della storia che il ricercatore attento potrebbe mettere assieme una specie di «alfabeto dello spirito del mondo»". [H. BLUMENBERG: La leggibilità del mondo - pg.227]
"La posizione dell'archetipo sarebbe definita al di là della sfera psichica, analogamente alla posizione dell'istinto fisiologico che è direttamente radicato nell'organismo materiale e rappresenta, con la sua natura psicoide, il ponte verso la materia in generale". [JUNG: La dinamica dell'inconscio - pg.233]
"Non tutti i sogni hanno la stessa importanza. Già i primitivi distinguevano tra "piccoli" e "grandi" sogni. [...]
A ben guardare i piccoli sogni sono frammenti della fantasia che compaiono ogni notte, provengono dalla sfera soggettiva e personale e, quanto al loro significato, si esauriscono nella vita quotidiana. La loro validità non va oltre le oscillazioni quotidiane dell'equilibrio psichico. Vi sono invece sogni pregni di significato, i quali spesso sono conservati nella memoria per tutta la vita, e formano non di rado il nucleo racchiuso nel forziere degli eventi psichici. [...] Essi contengono i cosiddetti «motivi mitologici» o «mitologemi», che io ho definito col termine di archetipi [...] e provengono dagli strati più profondi dell'inconscio collettivo. La loro significatività trapela - a prescindere dall'impressione soggettiva - già fin dalla loro plasticità, che mostra non di rado forza e bellezza poetiche. Essi si presentano perlopiù in periodi decisivi della vita, vale a dire nella prima giovinezza, durante la pubertà, a mezzo del cammino (fra i trentasei e i quarant'anni), e in cospectu mortis". [JUNG: La dinamica dell'inconscio - pg.313]
"La verità eterna deve adottare un linguaggio umano che varii con lo spirito del tempo. Le immagini archetipiche sono suscettibili di metamorfosi infinite eppure restano sempre le stesse; ma possono essere nuovamente intese soltanto in forma nuova. Esse esigono di essere costantemente reinterpretate, se non vogliono perdere, per l'obsolescenza crescente del modo in cui sono formulate, il loro potere esorcizzante sulla costante evasività del fugax ille Mercurius e permettere al loro avversario, tanto utile e pur tanto pericoloso, di sfuggire. Che ne è del «vino nuovo negli otri vecchi»? Dove sono le risposte ai bisogni e agli assilli spirituali di un'epoca nuova?". [JUNG: Pratica della psicoterapia - pg.206]
"Si devono distinguere i simboli "naturali" da quelli "culturali". I primi derivano direttamente dai contenuti inconsci della psiche e rappresentano quindi un numero enorme di variazioni sui motivi archetipici di fondo. In molti casi si potrà risalire alle loro radici arcaiche. [...] I simboli "culturali" invece sono quelli che esprimono "verità eterne" o sono tutt'ora usati da molte religioni". [JUNG: Simboli della trasformazione - pg.292]
"Il concetto di inconscio rappresenta la piattaforma su cui Lévi-Strauss ritiene di poter fondare adeguatamente la progettata universalità ed oggettività del sapere scientifico: «Se, come crediamo, l'attività inconscia dello spirito consiste nell'imporre forme a un contenuto, e se queste forme sono fondamentalmente le stesse per tutti gli individui antichi e moderni, primitivi e civili, [...] è necessario e sufficiente raggiungere la struttura inconscia, soggiacente a ogni istituzione o ad ogni usanza, per ottenere un principio di interpretazione valido per altre istituzioni e altre usanze, purché si spinga l'analisi abbastanza lontano»". [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.361]
In realtà, l'attività inconscia non «impone», non determina, ma condiziona; se così non fosse, avremmo, come negli gli animali, in ogni luogo e in ogni tempo le stesse usanze rituali e le stesse istituzioni, e non quel ricco ventaglio di variabili che l'etnologia non finisce mai di sottolineare. Gli archetipi non sono immagini già determinate: sono la storia e la coscienza degli individui a dar loro un volto, un'espressione diversa e originale a seconda del luogo geografico, del momento storico e della cultura in cui esse vengono «rappresentate». Come scrive Jung:
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Tuttavia c'è una fondamentale differenza tra la cornice teorica di Jung-Eliade e quella, mostruosa, di Lévi-Strauss. Freud "scoprì " l'inconscio e descrisse alcuni aspetti delle sue relazioni con la coscienza; ma, influenzato dal monismo materialista, lo interpretò come una regione speciale della coscienza, una sua appendice, una sorta di "secchio della spazzatura" in cui la coscienza nasconde (rimozione) gli aspetti sgradevoli di sé. Solo Jung seppe riconoscere il carattere dialettico della relazione coscienza-inconscio e scoprire il principio che la governa: il principio di complementarietà degli opposti. Lévi-Strauss invece cade nell'estremismo opposto a quello freudiano: se Freud annette l'inconscio alla coscienza, il nostro antropologo annette la coscienza all'inconscio, finendo così per negarne l'autonomia-sovranità e "dissolverla" in esso. La mostruosità di tale interpretazione consiste nel fatto che, in questa ottica, Lévi-Strauss non descrive la condizione umana, ma una condizione che è molto simile sia a quella degli schizofrenici, nei quali l'integrità e l'autonomia della coscienza sono patologicamente compromesse e la stessa coscienza è "posseduta" e travolta dall'inconscio, sia a quella degli animali, nei quali le forme arcaiche di comportamento si ripetono monotonamente tra una generazione e l'altra, senza presentare variazioni individuali di rilievo.
Alternerò alcune citazioni di/su Levy-Strauss con citazioni di Jung per poter cogliere le principali similitudini e le differenze tra le due concezioni.
"L'antropologia, in quanto scienza, è, per Lévi-Strauss, una ricerca di strutture al di là del vissuto storico e soggettivo. [...] Il reperimento effettivo di queste ultime avviene tramite i «modelli», tant'è vero che il suo pensiero è stato talora definito «strutturalismo dei modelli». [...]. Come tali, i modelli coincidono con il linguaggio simbolico (grafico o matematico) incaricato di formulare l'ordine intelligibile della realtà". [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.357]
"In realtà, come ha messo in luce Franco Remotti, il pensiero di Lévi-Strauss, più che uno strutturalismo metodologico è uno strutturalismo ontologico, in quanto «il modello vero è la stessa struttura, alla cui organizzazione i fatti sono oggettivamente sottoposti, considerata e trattata nel suo valore esplicativo» (antropologia Strutturale, p.148). In altri termini i modelli strutturali, pur non essendo empirici, non sono, per questo, irreali. Lungi dal ridursi a vuota forma (mentale), la struttura di cui parla Lévi-Strauss è piuttosto «il contenuto stesso colto in una organizzazione logica concepita come proprietà del reale». [...] «Affinché lo strutturalismo sia legittimo bisogna che le strutture esistano non solo nella mente dello scienziato, ma in natura». Detto in altri termini, la struttura non è un semplice «strumento concettuale, un modello teorico destinato a inquadrare i fatti osservabili, a determinarne le regole di combinazione e a rendere possibile la previsione, ma l'Essere o la Sostanza quale si esprime ugualmente nella realtà delle cose e nella conoscenza di questa realtà, garantendo la corrispondenza, o l'omologia, tra realtà e conoscenza» (Abbagnano, Storia della filosofia, vol.III, pg.896)". [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.357]
"Per l'antropologo francese, la struttura non si identifica con l'aspetto superficiale dei sistemi, ossia con il plesso empiricamente manifesto delle relazioni sociali (le quali fungono semplicemente da «materia prima impiegata per la costruzione dei modelli»), bensì con l'organizzazione logica sottesa ai sistemi medesimi. «In primo luogo una struttura presenta il carattere di un sistema.Essa consiste in elementi tali che una qualsiasi modificazione di uno di essi comporti la modificazione di tutti gli altri. In secondo luogo, ogni modello appartiene a un gruppo di trasformazioni, ognuna delle quali corrisponde a un modello della stessa famiglia, [linea di parallelo metaforico?] in modo che l'insieme di tali trasformazioni costituisca un gruppo di modelli. In terzo luogo, le proprietà indicate qui sopra permettono di prevedere come reagirà il modello in caso di modificazione di uno dei suoi elementi». [...] Lévi-Strauss ha sostenuto che una struttura non si riduce a una disposizione qualsiasi di parti, ma: a) «deve essere un sistema, retto da coesione interna»; b) «tale coesione, inaccessibile all'osservazione di una parte isolata, si rivela nello studio delle trasformazioni, grazie alle quali ritroviamo proprietà similari in sistemi in apparenza diversi» (Studi di antropologia, p.66)". [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.358]
"Delucidato il concetto di struttura, rimane da chiarire dove risiedono, secondo Lévi-Strauss, le strutture. La risposta del nostro autore è, in sostanza, la seguente: le strutture abitano nella profondeur dell'inconscio, e si identificano con quel plesso di forme o categorie invarianti che governano, sin dalla notte dei tempi, le opere e i giorni degli individui, costituendo nel loro insieme, lo «spirito umano». [...] L'inconscio cessa di essere l'ineffabile rifugio delle particolarità individuali, il depositario di una storia unica, che rende ciascuno di noi un essere insostituibile. Si riduce a un termine con il quale designiamo una funzione: la funzione simbolica, specificamente umana, certo, ma si esercita in tutti gli uomini, secondo le stesse leggi»". [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pp.359-360]
"La nozione lévi-straussiana di inconscio, più che la psicanalisi di Freud, ricorda la psicanalisi di Jung e la sua dottrina dell'«inconscio collettivo»". [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.360]
"L'archetipo in sé è un fattore psicoide che appartiene per così dire alla parte invisibile dello spettro psichico. Come tale non è suscettibile di coscienza. Se ardisco avanzare quest'ipotesi è perché tutto ciò che di archetipico viene percepito dalla coscienza sembra rappresentare variazioni [originali] su un tema fondamentale [in sé irrappresentabile]". [JUNG: La dinamica dell'inconscio - pg.230]
"Goethe ha parlato dell'alfabeto in connessione con la storia. Osservando il fare degli uomini nel corso dei milienni si potrebbero riconoscere «alcune formule universali» che avrebbero esercitato su intere nazioni come su singoli una magia: queste formule, che «eternamente ritornano, eternamente uguali in migliaia di variopinti abbellimenti, sono il viatico misterioso che una potenza superiore porta nella vita». Esse sarebbero difficili da riconoscere nel loro significato primitivo perché ciascuno le ha tradotte nella lingua che gli è propria e le ha adattate alla propria condizione. Ed è con questi modelli universali e costanti della storia che il ricercatore attento potrebbe mettere assieme una specie di «alfabeto dello spirito del mondo»". [H. BLUMENBERG: La leggibilità del mondo - pg.227]
"La posizione dell'archetipo sarebbe definita al di là della sfera psichica, analogamente alla posizione dell'istinto fisiologico che è direttamente radicato nell'organismo materiale e rappresenta, con la sua natura psicoide, il ponte verso la materia in generale". [JUNG: La dinamica dell'inconscio - pg.233]
"Non tutti i sogni hanno la stessa importanza. Già i primitivi distinguevano tra "piccoli" e "grandi" sogni. [...]
A ben guardare i piccoli sogni sono frammenti della fantasia che compaiono ogni notte, provengono dalla sfera soggettiva e personale e, quanto al loro significato, si esauriscono nella vita quotidiana. La loro validità non va oltre le oscillazioni quotidiane dell'equilibrio psichico. Vi sono invece sogni pregni di significato, i quali spesso sono conservati nella memoria per tutta la vita, e formano non di rado il nucleo racchiuso nel forziere degli eventi psichici. [...] Essi contengono i cosiddetti «motivi mitologici» o «mitologemi», che io ho definito col termine di archetipi [...] e provengono dagli strati più profondi dell'inconscio collettivo. La loro significatività trapela - a prescindere dall'impressione soggettiva - già fin dalla loro plasticità, che mostra non di rado forza e bellezza poetiche. Essi si presentano perlopiù in periodi decisivi della vita, vale a dire nella prima giovinezza, durante la pubertà, a mezzo del cammino (fra i trentasei e i quarant'anni), e in cospectu mortis". [JUNG: La dinamica dell'inconscio - pg.313]
"La verità eterna deve adottare un linguaggio umano che varii con lo spirito del tempo. Le immagini archetipiche sono suscettibili di metamorfosi infinite eppure restano sempre le stesse; ma possono essere nuovamente intese soltanto in forma nuova. Esse esigono di essere costantemente reinterpretate, se non vogliono perdere, per l'obsolescenza crescente del modo in cui sono formulate, il loro potere esorcizzante sulla costante evasività del fugax ille Mercurius e permettere al loro avversario, tanto utile e pur tanto pericoloso, di sfuggire. Che ne è del «vino nuovo negli otri vecchi»? Dove sono le risposte ai bisogni e agli assilli spirituali di un'epoca nuova?". [JUNG: Pratica della psicoterapia - pg.206]
"Si devono distinguere i simboli "naturali" da quelli "culturali". I primi derivano direttamente dai contenuti inconsci della psiche e rappresentano quindi un numero enorme di variazioni sui motivi archetipici di fondo. In molti casi si potrà risalire alle loro radici arcaiche. [...] I simboli "culturali" invece sono quelli che esprimono "verità eterne" o sono tutt'ora usati da molte religioni". [JUNG: Simboli della trasformazione - pg.292]
"Il concetto di inconscio rappresenta la piattaforma su cui Lévi-Strauss ritiene di poter fondare adeguatamente la progettata universalità ed oggettività del sapere scientifico: «Se, come crediamo, l'attività inconscia dello spirito consiste nell'imporre forme a un contenuto, e se queste forme sono fondamentalmente le stesse per tutti gli individui antichi e moderni, primitivi e civili, [...] è necessario e sufficiente raggiungere la struttura inconscia, soggiacente a ogni istituzione o ad ogni usanza, per ottenere un principio di interpretazione valido per altre istituzioni e altre usanze, purché si spinga l'analisi abbastanza lontano»". [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.361]
In realtà, l'attività inconscia non «impone», non determina, ma condiziona; se così non fosse, avremmo, come negli gli animali, in ogni luogo e in ogni tempo le stesse usanze rituali e le stesse istituzioni, e non quel ricco ventaglio di variabili che l'etnologia non finisce mai di sottolineare. Gli archetipi non sono immagini già determinate: sono la storia e la coscienza degli individui a dar loro un volto, un'espressione diversa e originale a seconda del luogo geografico, del momento storico e della cultura in cui esse vengono «rappresentate». Come scrive Jung:
Continua....