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Messaggi - Carlo Pierini

#436
Tematiche Filosofiche / Lévy-Strauss e Jung.
17 Ottobre 2018, 17:10:34 PM
Nel campo dell'antropologia e dell'etnologia, Lévi-Strauss scopre, nella cosiddetta «struttura» e nei «modelli strutturali», quelli che Jung ed Eliade, nel campo della psicologia e della storia comparata delle religioni, avevano già nominato, rispettivamente, come «inconscio collettivo» e «archetipi». Lo stesso Lévy-Strauss, infatti, identificherà il suo concetto di «struttura» con quello di «inconscio».
Tuttavia c'è una fondamentale differenza tra la cornice teorica di Jung-Eliade e quella, mostruosa, di Lévi-Strauss. Freud "scoprì " l'inconscio e descrisse alcuni aspetti delle sue relazioni con la coscienza; ma, influenzato dal monismo materialista, lo interpretò come una regione speciale della coscienza, una sua appendice, una sorta di "secchio della spazzatura" in cui la coscienza nasconde (rimozione) gli aspetti sgradevoli di sé. Solo Jung seppe riconoscere il carattere dialettico della relazione coscienza-inconscio e scoprire il principio che la governa: il principio di complementarietà degli opposti. Lévi-Strauss invece cade nell'estremismo opposto a quello freudiano: se Freud annette l'inconscio alla coscienza, il nostro antropologo annette la coscienza all'inconscio, finendo così per negarne l'autonomia-sovranità e "dissolverla" in esso. La mostruosità di tale interpretazione consiste nel fatto che, in questa ottica, Lévi-Strauss non descrive la condizione umana, ma una condizione che è molto simile sia a quella degli schizofrenici, nei quali l'integrità e l'autonomia della coscienza sono patologicamente compromesse e la stessa coscienza è "posseduta" e travolta dall'inconscio, sia a quella degli animali, nei quali le forme arcaiche di comportamento si ripetono monotonamente tra una generazione e l'altra, senza presentare variazioni individuali di rilievo.
Alternerò alcune citazioni di/su Levy-Strauss con citazioni di Jung per poter cogliere le principali similitudini e le differenze tra le due concezioni.

"L'antropologia, in quanto scienza, è, per Lévi-Strauss, una ricerca di strutture al di là del vissuto storico e soggettivo. [...] Il reperimento effettivo di queste ultime avviene tramite i «modelli», tant'è vero che il suo pensiero è stato talora definito «strutturalismo dei modelli». [...]. Come tali, i modelli coincidono con il linguaggio simbolico (grafico o matematico) incaricato di formulare l'ordine intelligibile della realtà".  [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.357]

"In realtà, come ha messo in luce Franco Remotti, il pensiero di Lévi-Strauss, più che uno strutturalismo metodologico è uno strutturalismo ontologico, in quanto «il modello vero è la stessa struttura, alla cui organizzazione i fatti sono oggettivamente sottoposti, considerata e trattata nel suo valore esplicativo» (antropologia Strutturale, p.148). In altri termini i modelli strutturali, pur non essendo empirici, non sono, per questo, irreali. Lungi dal ridursi a vuota forma (mentale), la struttura di cui parla Lévi-Strauss è piuttosto «il contenuto stesso colto in una organizzazione logica concepita come proprietà del reale». [...] «Affinché lo strutturalismo sia legittimo bisogna che le strutture esistano non solo nella mente dello scienziato, ma in natura». Detto in altri termini, la struttura non è un semplice «strumento concettuale, un modello teorico destinato a inquadrare i fatti osservabili, a determinarne le regole di combinazione e a rendere possibile la previsione, ma l'Essere o la Sostanza quale si esprime ugualmente nella realtà delle cose e nella conoscenza di questa realtà, garantendo la corrispondenza, o l'omologia, tra realtà e conoscenza» (Abbagnano, Storia della filosofia, vol.III, pg.896)".  [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.357]

"Per l'antropologo francese, la struttura non si identifica con l'aspetto superficiale dei sistemi, ossia con il plesso empiricamente manifesto delle relazioni sociali (le quali fungono semplicemente da «materia prima impiegata per la costruzione dei modelli»), bensì con l'organizzazione logica sottesa ai sistemi medesimi. «In primo luogo una struttura presenta il carattere di un sistema.Essa consiste in elementi tali che una qualsiasi modificazione di uno di essi comporti la modificazione di tutti gli altri. In secondo luogo, ogni modello appartiene a un gruppo di trasformazioni, ognuna delle quali corrisponde a un modello della stessa famiglia, [linea di parallelo metaforico?] in modo che l'insieme di tali trasformazioni costituisca un gruppo di modelli. In terzo luogo, le proprietà indicate qui sopra permettono di prevedere come reagirà il modello in caso di modificazione di uno dei suoi elementi». [...] Lévi-Strauss ha sostenuto che una struttura non si riduce a una disposizione qualsiasi di parti, ma: a) «deve essere un sistema, retto da coesione interna»; b) «tale coesione, inaccessibile all'osservazione di una parte isolata, si rivela nello studio delle trasformazioni, grazie alle quali ritroviamo proprietà similari in sistemi in apparenza diversi» (Studi di antropologia, p.66)".  [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.358]

"Delucidato il concetto di struttura, rimane da chiarire dove risiedono, secondo Lévi-Strauss, le strutture. La risposta del nostro autore è, in sostanza, la seguente: le strutture abitano nella profondeur dell'inconscio, e si identificano con quel plesso di forme o categorie invarianti che governano, sin dalla notte dei tempi, le opere e i giorni degli individui, costituendo nel loro insieme, lo «spirito umano». [...] L'inconscio cessa di essere l'ineffabile rifugio delle particolarità individuali, il depositario di una storia unica, che rende ciascuno di noi un essere insostituibile. Si riduce a un termine con il quale designiamo una funzione: la funzione simbolica, specificamente umana, certo, ma si esercita in tutti gli uomini, secondo le stesse leggi»".  [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pp.359-360]

"La nozione lévi-straussiana di inconscio, più che la psicanalisi di Freud, ricorda la psicanalisi di Jung e la sua dottrina dell'«inconscio collettivo»".  [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.360]

"L'archetipo in sé è un fattore psicoide che appartiene per così dire alla parte invisibile dello spettro psichico. Come tale non è suscettibile di coscienza. Se ardisco avanzare quest'ipotesi è perché tutto ciò che di archetipico viene percepito dalla coscienza sembra rappresentare variazioni [originali] su un tema fondamentale [in sé irrappresentabile]".  [JUNG: La dinamica dell'inconscio - pg.230]

"Goethe ha parlato dell'alfabeto in connessione con la storia. Osservando il fare degli uomini nel corso dei milienni si potrebbero riconoscere «alcune formule universali» che avrebbero esercitato su intere nazioni come su singoli una magia: queste formule, che «eternamente ritornano, eternamente uguali in migliaia di variopinti abbellimenti, sono il viatico misterioso che una potenza superiore porta nella vita». Esse sarebbero difficili da riconoscere nel loro significato primitivo perché ciascuno le ha tradotte nella lingua che gli è propria e le ha adattate alla propria condizione. Ed è con questi modelli universali e costanti della storia che il ricercatore attento potrebbe mettere assieme una specie di «alfabeto dello spirito del mondo»".  [H. BLUMENBERG: La leggibilità del mondo - pg.227]

"La posizione dell'archetipo sarebbe definita al di là della sfera psichica, analogamente alla posizione dell'istinto fisiologico che è direttamente radicato nell'organismo materiale e rappresenta, con la sua natura psicoide, il ponte verso la materia in generale".  [JUNG: La dinamica dell'inconscio - pg.233]

"Non tutti i sogni hanno la stessa importanza. Già i primitivi distinguevano tra "piccoli" e "grandi" sogni. [...]
A ben guardare i piccoli sogni sono frammenti della fantasia che compaiono ogni notte, provengono dalla sfera soggettiva e personale e, quanto al loro significato, si esauriscono nella vita quotidiana. La loro validità non va oltre le oscillazioni quotidiane dell'equilibrio psichico. Vi sono invece sogni pregni di significato, i quali spesso sono conservati nella memoria per tutta la vita, e formano non di rado il nucleo racchiuso nel forziere degli eventi psichici. [...] Essi contengono i cosiddetti «motivi mitologici» o «mitologemi», che io ho definito col termine di archetipi [...] e provengono dagli strati più profondi dell'inconscio collettivo. La loro significatività trapela - a prescindere dall'impressione soggettiva - già fin dalla loro plasticità, che mostra non di rado forza e bellezza poetiche. Essi si presentano perlopiù in periodi decisivi della vita, vale a dire nella prima giovinezza, durante la pubertà, a mezzo del cammino (fra i trentasei e i quarant'anni), e in cospectu mortis".  [JUNG: La dinamica dell'inconscio - pg.313]

"La verità eterna deve adottare un linguaggio umano che varii con lo spirito del tempo. Le immagini archetipiche sono suscettibili di metamorfosi infinite eppure restano sempre le stesse; ma possono essere nuovamente intese soltanto in forma nuova. Esse esigono di essere costantemente reinterpretate, se non vogliono perdere, per l'obsolescenza crescente del modo in cui sono formulate, il loro potere esorcizzante sulla costante evasività del fugax ille Mercurius e permettere al loro avversario, tanto utile e pur tanto pericoloso, di sfuggire. Che ne è del «vino nuovo negli otri vecchi»? Dove sono le risposte ai bisogni e agli assilli spirituali di un'epoca nuova?".  [JUNG: Pratica della psicoterapia - pg.206]

"Si devono distinguere i simboli "naturali" da quelli "culturali". I primi derivano direttamente dai contenuti inconsci della psiche e rappresentano quindi un numero enorme di variazioni sui motivi archetipici di fondo. In molti casi si potrà risalire alle loro radici arcaiche. [...] I simboli "culturali" invece sono quelli che esprimono "verità eterne" o sono tutt'ora usati da molte religioni".  [JUNG: Simboli della trasformazione - pg.292]

"Il concetto di inconscio rappresenta la piattaforma su cui Lévi-Strauss ritiene di poter fondare adeguatamente la progettata universalità ed oggettività del sapere scientifico: «Se, come crediamo, l'attività inconscia dello spirito consiste nell'imporre forme a un contenuto, e se queste forme sono fondamentalmente le stesse per tutti gli individui antichi e moderni, primitivi e civili, [...] è necessario e sufficiente raggiungere la struttura inconscia, soggiacente a ogni istituzione o ad ogni usanza, per ottenere un principio di interpretazione valido per altre istituzioni e altre usanze, purché si spinga l'analisi abbastanza lontano»".  [ABBAGNANO: Storia della Filosofia, vol. VII - pg.361]

In realtà, l'attività inconscia non «impone», non determina, ma condiziona; se così non fosse, avremmo, come negli gli animali, in ogni luogo e in ogni tempo le stesse usanze rituali e le stesse istituzioni, e non quel ricco ventaglio di variabili che l'etnologia non finisce mai di sottolineare. Gli archetipi non sono immagini già determinate: sono la storia e la coscienza degli individui a dar loro un volto, un'espressione diversa e originale a seconda del luogo geografico, del momento storico e della cultura in cui esse vengono «rappresentate». Come scrive Jung:

Continua....
#437
Citazione di: Ipazia il 16 Ottobre 2018, 18:20:49 PM
CARLO
...Ma un risultato pratico non è una rappresentazione.

IPAZIA
L'ho detto io per prima, e l'hai pure nerettato

CARLO
Insomma, fammi un esempio di "pratica tecnica delle rappresentazioni" altrimenti non ci capiamo.

IPAZIA
il pc, la bicicletta,...
CARLO
Ah, ho capito cosa vuoi dire. ...Ma chiamare le creazioni tecnologiche "pratiche delle rappresentazioni" mi sembra piuttosto ...eccentrico. Restando nell'ambito della metafora, io le chiamerei piuttosto "frutti ...dell'albero della conoscenza".  :-)
#438
3a parte

EVOLA
«...Prima di dir qualcosa di più su tale processo, mettiamo un po' d'ordine in questa inaudita confusione di idee...»

CARLO
Ovviamente si riferisce alle PROPRIE idee, perché quelle di Jung non sono affatto confuse.

EVOLA
«...Anzitutto tracciamo una linea di demarcazione ben netta, dicendo che tutto il mondo di un Io scisso e malato alle prese coi suoi "complessi", i suoi istinti e con l'incosciente collettivo è privo di qualsiasi relazione col piano della mitologia, dei simboli tradizionali e non solo dei processi di realizzazione sovranormale, ma della stessa religione...»

CARLO
Evola continua a confondere le manifestazioni sane (archetipiche) con quelle patologiche dell'inconscio; e inoltre dimentica l'aspetto trans-personale che Jung riconosce in esso.
Se avesse ragione Evola, per esempio, la mia "visione" non avrebbe mai potuto avere luogo.

EVOLA
«...Jung, mentre in essenza resta sullo stesso piano, perché il suo inconscio, come dicemmo, è semplicemente il substrato subpersonale, vitale e, in un certa misura, perfino biologico della vita collettiva, in questa nozione introduce elementi "spirituali" d'ogni genere con l'effetto di moltiplicare la CONFUSIONE e, in essenza, di fornire nuove possibilità ad un metodo più sottile per ricondurre il superiore all'inferiore (...).
Tutto quanto si riferisce a simboli e miti tradizionali ha originariamente appartenuto ad un piano di supercoscienza, con riferimento non col substrato vitale e irrazionale collettivo, bensì con la realtà metafisica, con ciò che gli Antichi chiamavano "supermondo" e, con preciso riferimento alla sua natura luminosa e "olimpica", "mondo intelligibile", chósmos noetòs. Quante cose avrebbe potuto insegnare allo Jung già la semplice opposizione antica fra questo mondo e il mondo "demonico" o "infero"! »

CARLO
Infatti la confusione di Evola continua.
Jung conosce benissimo l' «...opposizione antica...» tra il chósmos noetòs e il mondo infero; anzi ne ha fatto un criterio portante della sua psicologia. Per lui, infatti, quella biologico-istintiva è solo UNA POLARITÀ dell'inconscio; L'ALTRA è quella metafisico-ideale-archetipica; ed ognuna di esse ha una sua simbologia specifica. Scrive, infatti:

«Archetipo e istinto formano i massimi opposti pensabili, e lo si può constatare facilmente mettendo a confronto un uomo dominato dall'istinto con un uomo in preda allo spirito».  [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.223]

EVOLA
«...E' una fortuna che questo psichiatra non abbia capito nulla e non abbia saputo vedere che prolungamenti di esperienze di psicopatici e psicoterapie là dove si è incontrato con le vestigia della Sapienza e dell'Arte...»

CARLO
E' invece una sfortuna che Evola non abbia capito nulla della psicologia junghiana, e che non abbia saputo vedere in essa che un'estensione della psicologia freudiana, quando invece essa aveva INCONTRATO GIÀ «...le vestigia della Sapienza e dell'Arte...».
Una vera sfortuna, perché Jung ed Evola sono due grandi "spiriti complementari" del nostro secolo.
#439
2a parte

EVOLA
«...Gli "archetipi" corrispondono a forze fondamentali dell'inconscio collettivo, epperò anche degli strati profondi dell'anima. Sono energie psichico-vitali elementari sempre presenti e organicamente unite all'Io, il quale in esse ha le sue radici (12). Ed ecco che a questo punto avviene l'inserzione o, meglio, l'irruzione nel mondo del mito e del simbolo. Come si è detto, le tendenze dell'inconscio disconosciuto malgrado tutto si manifestano: ma finché permane lo stato di scissione, esse si manifestano in proiezioni, in imagini fantastiche o in imagini che si sovrappongono alla realtà – cose o persone –, caricandola della qualità fascinosa e "libidinosa" propria alla forza-base dell'inconscio...»

CARLO
Evola non sta parlando della psicologia junghiana, ma di un guazzabuglio di alcune delle sue idee, frettolosamente interpretate. Il fatto che Jung parli del simbolo e del mito come archetipi dell'inconscio collettivo non significa affatto che egli li consideri tout-court come delle produzioni di un "Io" o di una collettività di "Io". L'origine ultima degli archetipi è sempre e comunque trans-umana, trascendente, pur se le immagini con cui l'uomo li esprime sono immagini che appartengono al mondo dell'esperienza umana (individuale o collettiva).
Questo è il malinteso centrale di Evola: egli crede che l'attribuire una origine psichica, cioè inconscia, ai simboli significhi spogliarli assolutamente della loro componente.

«La Sapientia Dei che si manifesta nell'archetipo fa sì che anche le più forti deviazioni ritornino costantemente alla posizione centrale. Così il fascino esercitato dall'alchimia filosofica è duvuta in buona parte al fatto che essa ha potuto dare nuova espressione a un gran numero di importantissimi archetipi. Come abbiamo visto in abbondanti esempi, si può anche arrivare a dire che essa abbia persino cercato di assimilare il cristianesimo». [JUNG: Mysterium coniunctionis - Nota pg.345]

«Essendo numinose, le immagini archetipiche esercitano una certa azione sulla psiche anche se non vengono afferrate razionalmente».    [JUNG: Studi sull'alchimia - pg.323]

«Paracelso considera la psiche oscura come un cielo notturno disseminato di stelle, un cielo in cui i pianeti e le costellazioni sono rappresentati dagli archetipi in tutta la loro luminosità e numinosità. Il cielo stellato è infatti il libro aperto della proiezione cosmica, il riflesso dei mitologemi, degli archetipi appunto».   [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.213]

«Se l'inconscio contiene troppi elementi che normalmente dovrebbero essere coscienti, le sue funzioni sono stravolte e compromesse: affiorano motivi che non si fondano su veri archetipi, ma sono originati dal fatto che la rimozione e l'oblio li hanno consegnati all'inconscio. Si sovrappongono, per così dire, alla normale psiche inconscia e ne deformano la naturale funzione simbolizzatrice (...).
Per questo motivo la psicoterapia, che si preoccupa di scoprire le cause di un disturbo, in genere cerca dapprima di ottenere dal paziente una confessione più o meno volontaria di tutto quel che egli detesta, aborrisce, teme o suscita in lui vergogna (confessione cristiana). (...)
La forma che assumono i sogni, e le loro immagini ambigue dipende 1 - dagli archetipi, e 2 - dai contenuti rimossi. Hanno cioè due aspetti, e si prestano a due tipi di interpretazione: si potrà mettere in primo piano l'aspetto archetipico, oppure quello personale. Il primo si richiama alla base istintuale sana, comune a tutta l'umanità, mentre il secondo rivela l'influsso patologico della rimozione e dei desideri infantili». [JUNG: Psicanalisi e psicologia analitica - pg. 264]

«La numinosità dell'archetipo ha spesso una qualità mistica e un'effetto analogo sull'animo. Esso mobilita concezioni filosofiche e religiose proprio in persone che si credono mille miglia lontane da simili "attacchi di debolezza". (...)
Archetipo e istinto formano i massimi opposti pensabili, e lo si può constatare facilmente mettendo a confronto un uomo dominato dall'istinto con un uomo in preda allo spirito».  [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.223]

«In quanto fattore numinoso, l'archetipo determina il modo e il decorso della configurazione con un'apparente prescienza o "nel possesso a priori del fine" che viene circoscritto dal processo di convergenza in un centro».  [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.226]

«Assoluto significa distaccato. Affermare che Dio è assoluto è lo stesso che porlo fuori di ogni rapporto con gli uomini. L'uomo non può agire su di lui ed Egli non può agire sull'uomo. Un simile Iddio sarebbe privo di ogni interesse. (...)
Un Dio assoluto non ci concerne affatto, mentre un Dio "psicologico" sarebbe reale e potrebbe raggiungere l'uomo. La Chiesa sembra sia uno strumento magico per difendere l'uomo da questa eventualità, poiché sta scritto che "è cosa terribile cadere nelle mani del vivente Iddio"».   [JUNG: L'Io e l'inconscio - pg.159]

EVOLA
«...Non basta: lo Jung sostiene la corrispondenza tra le figure vedute, sognate, disegnate, perfino danzate dai suoi malati e certi simboli esoterici. Così si è messo a parlare dei "mandala europei", vedendo nelle figure che, nell'esoterismo, servono da base per la contemplazione e l'evocazione, altrettante manifestazioni degli archetipi dell'inconscio collettivo, simili appunto a quelle che si producono negli stati della coscienza ridotta o malata...»

CARLO
Jung non sostiene che le manifestazioni dell'inconscio siano solo delle patologie; egli distingue le manifestazioni sane da quelle patologiche; e la produzione di simboli, di mandala, da parte dell'inconscio sarebbe appunto una di queste manifestazioni sane. Egli scrive:

«[In Dorneus] la discesa è da intendersi come una discesa analitica, come una scomposizione (separatio) nelle quattro componenti della totalità; l'ascesa va invece intesa come un'ascesa sintetica, come una ricomposizione del denarius. Questa riflessione coincide con il fatto psicologico che il confronto della coscienza con l'inconscio si traduce da un lato in una dissoluzione della personalità, ma dall'altro significa una ricomposizione della totalità. Ciò si può osservare chiaramente nel momento di una crisi psichica, quando nei sogni compaiono appunto i simboli dell'unità, per esempio i mandala. «Ma dov'è il pericolo, cresce anche ciò che ti salva», dice Hölderin nella lirica Patmos».  [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.211]

«Esiste - a mio parere - una relazione indubitabile tra il simbolo del Lapis e il concetto empirico del Sé. [...] Mercurio è spirito e materia; il Sé comprende, come mostra il suo simbolismo, tanto la sfera psichica quanto quella corporea. Questo fatto si esprime con particolare chiarezza nei mandala».  [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.503]

«Come ho più volte sottolineato, le asserzioni relative alla pietra, se considerate dal punto di vista psicologico, descrivono l'archetipo del Sé, la cui fenomenologia è esemplificata nel simbolismo del mandala. Quest'ultimo descrive il Sé come una struttura concentrica, spesso nella forma della quadratura del cerchio. Gli è associato ogni tipo di simbolo secondario che esprima in generale la natura degli opposti da unire. La struttura è invariabilmente avvertita come la rappresentazione di uno stato centrale o di un centro della personalità sostanzialmente diverso dall'Io. Esso è di natura numinosa, come indicano il tipo di raffigurazione o i simboli impiegati (sole, stella, luce, fuoco, fiore, pietra preziosa ecc.). Vi s'incontrano tutti i gradi di valutazione emotiva, dal disegno astratto, incolore e indifferente di un cerchio sino all'intensità suprema di una esperienza d'illuminazione. Tutti questi aspetti si possono già costatare nell'alchimia, con l'unica differenza però che là essi appaiono proiettati nella materia, mentre qui sono intesi come simboli psichici. L'arcanum chymicum si è dunque già trasformato in un evento psichico, senza perdere nulla della sua numinosità originaria».  [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.543]

EVOLA
«...Tutti i procedimenti alchemici, con i relativi simboli ermetici, sarebbero [per Jung] imagini di quel processo non riconosciute nella loro giusta sede ma proiettate in sostanze materiali e nel mito di un'assurda opera di trasformazione chimica...»

CARLO
Qui ha ragione Evola. Jung vedeva i simboli alchemici solo nel loro aspetto di proiezioni sulla materia di processi in realtà spirituali. Tuttavia in molti passi lascia anche intendere che una tale proiezione è forse resa possibile proprio grazie a una fondamentale analogia "prestabilita" tra i processi psico-spirituali e i processi chimico-materiali. In tal senso, quindi, non esclude la possibilità di un "Opus" SIA chimico SIA spirituale. Scrive Jung:

«Lo scopo e la meta del "magnum opus" consistono nel liberare dalle catene l'anima mundi, prigioniera del creato, nel redimere lo pneuma divino, creatore del mondo». [JUNG: Studi sull'alchimia - pg.328]

«Poiché l'oggetto dell'impresa alchemica si considera presente sia all'esterno che all'interno del soggetto, sul piano SIA FISICO CHE PSICHICO, l'opera abbraccia per così dire la natura intera, e la sua meta consiste in un simbolo, che ha un aspetto EMPIRICO e al tempo stesso TRASCENDENTALE».  [JUNG: Mysterium coniunctionis]

«Nell'immagine del Mercurio e del Lapis, la "carne" celebrava a suo modo la propria apoteosi, non lasciandosi trasmutare in spirito, bensì al contrario "fissando" lo spirito come pietra e fornendo a quest'ultima gli attributi delle tre Persone divine». [JUNG: Studi sull'alchimia - pg.113]

«"Pietra" è l'essenza di qualcosa di solido, irremovibile e terreno. È la " materia" femminile, la cui idea penetra nella sfera deI simbolismo spirituale. [...] La pietra è ben più di un'"incarnazione" di Dio; è una concretizzazione, una materializzazione che si spinge fino al più oscuro regno inorganico della materia. [...]
Possiamo quindi supporre che nell'alchimia si cercasse effettivamente di attuare una integrazione simbolica del male, localizzando nell'uomo stesso il dramma divino della redenzione. Tale processo appare ora come un'estensione della redenzione oltre che all'uomo anche alla materia, ora invece come un'ascesa dello "Spirito che imita Dio", o Lucifero, e come una riconciliazione di quest'ultimo con lo Spirito che discende dall'alto; sia l'elemento superiore che quello inferiore vanno cosí incontro a un processo di trasformazione reciproca».  [JUNG: Mysterium coniunctionis - pp.451-2]

Continua....
#440
EVOLA
«...Non meno del Freud, lo Jung sostiene che la forza fondamentale della psiche umana è costituita da un inconscio che è tale radicalmente, che non è stato mai conscio e che è insuscettibile ad esser risolto nella coscienza (2)...».
(2) [Jung-Kerényi, Prolegomeni alla mitologia come scienza, Torino, 1948, p. 115: "Gli archetipi non si riferiscono a qualcosa di cosciente o che già e stato cosciente, bensì a ciò che è sostanzialmente inconscio"].

CARLO
Questo non significa che Jung concepisse una separazione radicale tra coscienza e inconscio; egli semplicemente intendeva contrastare la prospettiva riduzionista freudiana che vedeva, sotto molti aspetti, l'inconscio come qualcosa di derivato dalla coscienza, come il ricettacolo di contenuti ex-coscienti rimossi, come un accessorio della coscienza privo di autonomia e vitalità propria. Fondamentalmente Jung concepiva una relazione dialettica tra le due dimensioni; pertanto si opponeva sia alle filosofie che annettevano l'inconscio alla coscienza (Freud), sia a quelle che annettevano la coscienza all'inconscio (Lévy-Strauss, Lacan, ecc.). Concepire una relazione dialettica tra due enti significa riconoscere ad essi sia ambiti di indipendenza ontologica (e quindi di opposizione), sia ambiti di consustanzialità (e quindi di complementarietà). E Jung non ha mai sostenuto né una indipendenza assoluta né una consustanzialità assoluta tra coscienza e inconscio.
Propongo alcune citazioni sull'argomento, dove è abbastanza evidente la sua posizione dialettica:

«Di regola il punto di vista dell'inconscio è complementare o compensatorio rispetto alla coscienza, e dunque inaspettatamente "diverso"».  [JUNG: Psicologia e alchimia - pg.50]

«Il valore attribuito alla psiche inconscia come fonte di sapere non è per nulla così illusorio come può apparire al nostro razionalismo occidentale. Vi è in noi la tendenza a supporre che ogni conoscenza derivi sempre, in ultima analisi, dall'esterno. Ma sappiamo oggi con certezza che l'inconscio dispone di contenuti tali che, se potessero essere resi coscienti, rappresenterebbero un incalcolabile aumento di conoscenza ».  [JUNG: Realtà dell'Anima - pg.22]

«Se si potesse personificare l'inconscio, esso apparirebbe come un uomo collettivo, al di là della giovinezza e della vecchiaia, della nascita e della morte: con l'esperienza umana pressoché immortale di uno o due milioni di anni. Quell'uomo sarebbe senza dubbio superiore al mutare dei tempi; egli sarebbe un sognatore di sogni secolari e, sulla base della sua infinita esperienza, capace di previsioni incomparabili». [JUNG: Realtà dell'Anima - pg.23]

«Ho definito "funzione trascendente" l'incessante confronto con la posizione dell'inconscio, poiché questa produce necessariamente una modificazione dell'atteggiamento cosciente. Un cambiamento è però possibile solo se si ammette l'esistenza dell'"altro", perlomeno sino a che non se ne prenda atto in maniera cosciente». [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.191]

«Anche ai nostri giorni ci è dato di osservare la formazione spontanea di veri e propri simboli religiosi nell'individuo; essi spuntano dall'inconscio come fiori di specie ignota, e la coscienza rimane smarrita e non sa bene che cosa fare con tale nascita. Non è troppo difficile stabilire che quei simboli individuali provengono, per il loro contenuto come per la forma, da quello stesso "Spirito" inconscio (o quel che esso sia) da cui provengono le grandi religioni degli uomini. L'esperienza prova comunque che le religioni non sorgono quali frutti di una elucubrazione cosciente, ma provengono dalla vita naturale dell'anima inconscia, che in qualche modo esprimono adeguatamente. Ciò spiega la loro diffusione universale e la loro straordinaria efficacia storica sull'umanità». [JUNG: Realtà dell'Anima - pg.157]

«L'Anima, da una parte è il ponte verso il regno dell'aldilà, verso le immagini primigenie viventi ed eterne, dall'altra essa avviluppa l'uomo con la sua emozionalità e lo trattiene nel mondo ctonio e nella sua caducità». [JUNG: Studi sull'alchimia - pg.355]

«Il vantaggio degli uomini creativi consiste proprio nella permeabilità del loro diaframma tra coscienza e inconscio ».  [JUNG: La dinamica dell'inconscio - pg.84]

EVOLA
«...Tutta l'opera dello Jung, come quella dei psicanalisti in genere, è improntata da un'animosa polemica contro la coscienza personale. Questa non avrebbe nessuna realtà in sé, eppure ha preteso di tagliarsi fuori dall'inconscio, dalla "Vita"; essa disconosce l'inconscio, ne respinge le esigenze e crede di poter esercitare una dittatura sulla base delle facoltà puramente intellettuali e volitive, con soffocamento degli istinti e dell'affettività...»

CARLO
Evola parla di «...tutta l'opera di Jung...» ma dimostra di non conoscerla che in modo superficiale e frammentario. Finisce così per travisarla fino a capovolgerne completamente il significato. Scrive infatti Jung:

«Trascurare la reazione e la presa di posizione dell'inconscio è leggerezza, superficialità e addirittura irragionevolezza, perché psichicamente malsano ». [JUNG: Realtà dell'Anima - pg.207]

«La dinamica degli istinti e il loro mondo di immagini costituiscono un a priori di fronte a cui nessuno può essere cieco senza il rischio di conseguenze pericolose. Il violentare o trascurare gli istinti arreca penose conseguenze di natura fisiologica e psicologica, per superare le quali si chiama poi solitamente il medico ».  [JUNG: Realtà dell'Anima - pg.206]

«Se si riesce a riconoscere l'inconscio come fattore codeterminante accanto alla coscienza, e a vivere in modo da tener conto, per quanto possibile, delle istanze sia consce che inconsce, si sposta allora il centro di gravitazione della personalità globale. Non più nell'Io, che è solo il centro della coscienza, ma in un punto per così dire virtuale tra coscienza e inconscio: il Sé».           [JUNG: Studi sull'alchimia - pg.54]

«Non si potrebbe avere alcuna esperienza di Dio stesso, se questo "Io" così futile non offrisse un modestissimo vaso capace di accogliere le influenze dell'Altissimo e di chiamarlo per nome. Il significato del simbolismo del vaso nell'alchimia mostra sino a qual punto l'artifex fosse preoccupato di possedere il giusto recipiente per il giusto contenuto: "Unus est lapis, una medicina, unum vasum, unum regimen, unaque dispositio"».  [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.205]

EVOLA
«Questo inconscio assume i tratti di un ente autonomo a carattere collettivo (3), che trascende l'individuo: è una totalità, di cui la persona cosciente non è che una sezione arbitraria. [Jung, Psychologie und Achemie, Zurich, 1945, p. 85: "L'inconscio non è un'appendice irrilevante della coscienza, ma una realtà autonoma (un ente) in larga misura non unito alle nostre intenzioni"]».

CARLO
Anche questa è una interpretazione superficiale del pensiero di Jung, il quale non considerava la coscienza (l'Io) come una sezione parziale e limitata della totalità psichica. Egli scrive:

«Come è noto ho definito il Sé come la totalità della psiche conscia e inconscia, l'Io invece come il punto di riferimento centrale della coscienza. E' una parte essenziale del Sé, che può stare - come pars pro toto - per quest'ultimo, se si tiene presente il significato della coscienza. Quando invece si voglia porre l'accento sulla totalità psichica, allora conviene piuttosto servirsi del termine "Sé" ».   [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.18]

EVOLA
«[Secondo Jung] "...l'anima è un dato irrazionale e non può essere affatto equiparata, come secondo l'idea antica, ad una ragione più o meno divina" (Io e inconscio, pp. 10-11). Ciò non basterebbe già per suggellare il livello su cui sta tutto il pensiero di questo psichiatra?...»

CARLO
Se questa fosse la sola "definizione" di anima data da Jung, Evola potrebbe anche avere ragione. Ma Jung contempla DUE aspetti dell'anima, uno individuale (comprensivo di quella che egli chiama "ombra"), e uno collettivo-trascendente. E nel caso citato, molto probabilmente lui si riferiva al primo aspetto.  Infatti, altrove scrive Jung:

«L'anima è in sé una essenza non spaziale; e poiché esiste prima e dopo l'essere corporeo, è pure fuor del tempo, ossia immortale. (...) Dal punto di vista della moderna psicologia scientifica, questa concezione è tutta una illusione..».  [JUNG: Realtà dell'anima - pg.18]

«L'esperienza prova comunque che le religioni non sorgono quali frutti di una elucubrazione cosciente, ma provengono dalla vita naturale dell'anima inconscia, che in qualche modo esprimono adeguatamente. Ciò spiega la loro diffusione universale e la loro straordinaria efficacia storica sull'umanità ». [JUNG: Realtà dell'anima - pg.157]

«L'Ombra [...] comprende quella parte dell'inconscio collettivo che sconfina nella sfera personale. Essa rappresenta per così dire il PONTE verso la figura dell'Anima che è personale solo relativamente, e al di là di questa, verso le figure impersonali dell'inconscio collettivo». [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.105]

«Nell'anima sono impresse le influenze dei vari pianeti. A questa discesa dell'anima attraverso le Case dei pianeti corrisponde anche il suo passaggio attraverso le porte dei pianeti, come le descrive Origene: la prima porta è di piombo ed è correlata con Saturno [...].
Senza approfondire il motivo del transitus attraverso le Case dei pianeti, ci sia sufficiente sapere che Mercurio le attraversa».    [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.214]

«È necessario che qualcosa di non individuale e implicitamente divino penetri nell'uomo, se questi vuole veramente uscire dal vicolo cieco delle volizioni individuali".   [JUNG: La dinamica dell'inconscio - pg.106]

«...Attraverso l'introspezione e la retrospezione non si riconoscono solo i propri desideri infantili, ma contemporaneamente si penetra nella sfera dell'inconscio collettivo, dove si scopre prima il tesoro delle idee collettive [universali], poi la propria creatività [...]                                                                                                            
Sembra che Freud sia rimasto bloccato nel suo pessimismo, aggrappato a un concetto negativo e personale dell'inconscio. Non serve a nulla credere che la base vitale dell'uomo sia di natura soltanto personale e sia di conseguenza un affaire scandaleuse  di carattere privato. Squarciando il velo di questa idea insana ed errata, si passa dalla stretta e soffocante atmosfera personale del vasto dominio della psiche, alla sana e naturale matrice dello spirito umano, all'anima stessa dell'umanità. Soltanto su questa base ci sarà possibile costruire un atteggiamento nuovo e fruttuoso».  [JUNG: Pratica della psicoterapia - pp.40-41]

«Mi si accusa di misticismo. Ma io non mi dichiaro responsabile del fatto che l'uomo ha sempre e dappertutto sviluppato naturalmente la funzione religiosa e che quindi l'anima umana è imbevuta e intessuta fin dagli inizi di sentimenti e rappresentazioni religiose. (...)
Il complesso del padre con la sua rigidità fanatica e la sua ipersensibilità, è una funzione religiosa malintesa, un misticismo proiettato sull'elemento biologico e familiare».  [JUNG: Il problema della malattia mentale - pg.218]

Continua...
#441
Citazione di: Lou il 16 Ottobre 2018, 21:14:49 PM
Ma sono solo astorici rispetto alla storicità del singolo vissuto del singolo individuo e/o astorici "in quanto tali"? Archè in senso pieno e non meramente etimologico.

CARLO
Naturalmente si tratta di una a-storicità individuale. Mentre, al contrario, il loro legame strutturale con i simbolismi-mitologemi della storia umana è marcatissimo.
Per avere un'idea più precisa, se non l'hai letto, puoi dare un'occhiata al mio thread "Un'altra visione archetipica":

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un'altra-'visione'-archetipica/
#442
Citazione di: Lou il 16 Ottobre 2018, 19:14:08 PM
Citazione di: Kobayashi il 13 Ottobre 2018, 10:30:22 AM
Volevo porre un interrogativo riguardo la parte "positiva" dell'inconscio.
In termini rudimentali il ragionamento di Jung consiste nel pensare che attraverso gli archetipi l'uomo possa collegarsi ai contenuti dell'inconscio collettivo. Questo lavoro conduce ad un arricchimento dell'individuo. Guarigione e completezza.
Questo ragionamento mi sembra che segua sempre lo stesso schema di tutto il pensiero moderno per cui alla crisi del presente si risponde con la ricerca di una dimensione originaria che nei secoli è andata smarrita e che nella sua riattivazione è in grado di mostrare quale sia la condizione vera e universale dell'umanità.
E alla base del ragionamento mi sembra ci sia essenzialmente solo desiderio.
Voglio dire, il desiderio che la ricchezza delle discipline spirituali antiche possa ancora produrre qualche effetto nella coscienza del povero uomo contemporaneo, che nonostante la sua buona volontà, dallo studio dell'alchimia, per esempio, non otterrà che un'erudizione piena di ammirazione e nostalgia, ma nessuna significativa trasformazione.

LOU
Ammetto che nei confronti di un apriorismo, kantianamente parlando, psichico, come quello ipotizzato da Jung, nutro fascinazione.
Tuttavia, leggendo il dubbio che sollevi, da un pdv filosofico avanzo il sospetto che l'idea che tanto più siamo di fronte a un "che" di originario e antico tanto più esso è vero, sia forse un pregiudizio sotteso alla prospettiva junghiana, su questo concordo.
Spero, detto ciò, che Carlo non mi fulmini, comunque voglia intendere l'extrarazionale, anche nel caso del farlo confluire e comprendere in una ratio superiore.

CARLO
...No, ...non ti fulmino.  :)  Vorrei chiarire, però, che per Jung l'arcaicità delle forme con cui certi contenuti inconsci si manifestano alla coscienza, nonché la loro estrema diffusione storico-geografica, più che essere la misura della loro verità, sono indizi della loro natura archetipica ("arcaico" e "archetipo" derivano dal greco "arché" che significa "origine", "principio", "inizio"), del loro carattere universale e della loro origine transpersonale, al di fuori del vissuto storico dell'individuo.
Ciò a cui, invece, Jung dà maggiore enfasi non è il loro legame col passato, ma il loro orientamento futuro:

"Il simbolo, nel suo significato funzionale, non è più rivolto all'indietro, bensí in avanti, verso un fine non ancora raggiunto".  [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pg.167]

"Come i nostri pensieri coscienti, anche l'inconscio e i sogni che ne scaturiscono si volgono al futuro e alle sue possibilità; e per molto tempo si è creduto in tutto il mondo che la funzione principale dei sogni fosse quella di pronosticare il futuro. Nell'antichità e fin nel Medioevo i sogni contribuivano alla formulazione di una prognosi medica". [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pg.277]

"Certi sogni, visioni o pensieri possono apparire inaspettatamente senza che, per quanto si indaghi, se ne possa scoprire la causa. Ciò non significa che non abbiano una causa, ma solo che essa è ancora lontana. In tal caso si deve aspettare che succeda qualcosa che spieghi il sogno, per esempio, un evento ancora avvolto nelle nebbie del futuro".  [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pg.277]

"Per me l'inconscio non è solo il receptaculum di tutti i fantasmi sordidi e di altri odiosi residui di epoche defunte, come per esempio quel sedimento di "opinione pubblica" storica che costituisce il "Super-io" di Freud, ma è propriamente lo stato germinale, sempre vivo e creativo, che si serve, sì, di vecchie immagini simboliche, ma esprime attraverso esse un nuovo spirito. [...]
L'inconscio contiene sì da un lato le fonti istintuali e tutta la natura preistorica dell'uomo, giù giù fino al mondo animale, ma accanto a ciò anche tutti i germi creatori del futuro e la fonte di ogni fantasia formatrice"   [JUNG: Contrasto tra Freud e Jung - pg.230]

"Dato che il futuro è solo apparentemente uguale al passato, ma per essenza sempre nuovo e unico, così anche l'espressione presente è incompleta, embrionale per così dire, in riferimento al futuro. Nella misura in cui noi consideriamo il contenuto presente della psiche come espressione simbolica del futuro, ci troviamo nella necessità di dedicare a questa espressione un interesse costruttivo".   [JUNG: Il problema della malattia mentale - pg.213]

"Io attribuisco un peso alquanto maggiore all'interpretazione costruttiva e sintetica, considerando il fatto che il domani è praticamente più importante dello ieri, e il "da dove" è meno essenziale del "verso dove". [...] Nessuna comprensione del passato e nessuna reviviscenza, per quanto intensa, può liberare l'uomo dal potere del passato quanto la costruzione del futuro".    [JUNG: Contrasto tra Freud e Jung - pg.229]



BERT KAEMPFERT - Wonderland by night (orch.)
https://youtu.be/1C1Do07gGlM?t=12
#443
Tematiche Filosofiche / Re:Il solipsismo
16 Ottobre 2018, 15:17:10 PM
Citazione di: bobmax il 16 Ottobre 2018, 14:45:34 PM
Sono convinto che la scissione originaria soggetto/oggetto sia il principale ostacolo nella ricerca della Verità.
Un ostacolo che si  è tentati di superare o privilegiando il soggetto oppure l'oggetto.
CARLO
L'ostacolo consiste sia nella scissione di soggetto e oggetto (il soggetto come assolutamente "altro" dall'oggetto) sia nella loro fusione ("esse est percipi", "il mondo è rappresentazione"). Cosicché il superamento dell'ostacolo consiste nel considerare soggetto e oggetto come ontologicamente complementari, come sosteneva Leibniz  nel suo concetto di <<armonia prestabilita>> tra linguaggio umano e mondo, ...o Spinoza nell'idea di una complementarità originaria tra l'<<ordo et connexio rerum>> e l'<<ordo et connexio idearum>>, ...o Platone quando afferma l'esistenza di un "nous", cioè di un regno metafisico delle Idee che sono modelli originari delle cose create, ...o il Vangelo quando afferma che la sostanza del mondo è il Verbo o Logos.  

BOBMAX
Poiché nella scissione compare inevitabilmente il male, lo slancio verso il Bene comporta il suo superamento.
Ossia il passaggio dall'esistenza, che è comunicazione, all'Uno.
E ciò può avvenire solo con l'annullamento di entrambi i poli che determinano la stessa esistenza, il soggetto e l'oggetto.

CARLO
Nella prospettiva della Complementarità degli opposti, l'Uno non annulla la dualità poiché si situa su un piano che trascende sia il soggetto che l'oggetto i quali, proprio in quanto polarità opposte-complementari dell'Uno, mantengono la loro sovranità individuale senza fondersi-annullarsi l'uno nell'altro. Come scrivevo in "La conoscenza come rito eucaristico":

...Pur nella massima oggettivizzazione operata dalla scienza, il soggetto non è affatto estromesso, ma è pienamente presente nella specie dei simboli matematici e logico-filosofici che egli impiega per trasmutare gli oggetti fisici in scienza. Come dice Tommaso: "L'oggetto conosciuto è nel conoscente secondo la natura del conoscente stesso". La "natura del conoscente" è presente nel suo "verbo", nell'<<ordo et connexio idearum>> che consente il trasferimento dell'oggetto dalla realtà fisica, dall'<<ordo et connexio rerum>> al "libro della conoscenza". Un "verbo" soggettivo, cioè, fatto originariamente a "immagine e somiglianza" della realtà fisica oggettiva.

"In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste". (Giovanni, 1:1-4)

E' in questo senso che il Principio superiore unifica soggetto e oggetto nella loro consustanzialità col Verbo (Logos) originario senza annullarne la dualità. E' la natura originaria di "Verbo" sia del soggetto che dell'oggetto ciò che suggella la loro unità ultima pur nella loro distinzione dialettica di "fenomeno fisico" e di "rappresentazione del fenomeno". Torniamo cioè all'idea leibniziana di "armonia prestabilita", cioè di complementarità ontologica tra tra parola e mondo, tra matematica e realtà sensibile, tra Metafisica e Fisica.
#444
Citazione di: Ipazia il 16 Ottobre 2018, 14:41:41 PM
Il suo risultato pratico, no. E' un artefatto, un prodotto materiale.
CARLO
...Ma un risultato pratico non è una rappresentazione. 
Insomma, fammi un esempio di <<pratica tecnica delle rappresentazioni>> altrimenti non ci capiamo. 
#445
Citazione di: Ipazia il 16 Ottobre 2018, 14:13:26 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Ottobre 2018, 13:26:02 PM
IPAZIA
c'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la pratica di questa rappresentazione. E ciò comporta che la pratica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione.

CARLO
Non è esattamente così: anche la pratica delle rappresentazioni è oggetto di rappresentazione. Ti faccio un esempio: l'uso di equazioni matematiche per esprimere delle leggi fisiche è una "pratica delle rappresentazioni". Eppure esistono due rappresentazioni diverse e inconciliabili di questa "pratica": quella di Hume-...Sgiombo, secondo cui l'immutabilità-eternità della logica matematica non garantisce l'immutabilità-eternità delle leggi fisiche che essa esprime, e quella di Pitagora-Platone-Galilei-Leibniz-Spinoza-...Pierini che, invece, concepisce i numeri come gli eterni archetipi del creato, cioè i modelli immutabili sui quali sono plasmate le leggi immutabili-deterministiche del mondo.
IPAZIA
Mi riferivo alla pratica tecnica delle rappresentazioni non al metalinguaggio logico-matematico che le rende universalmente fruibili e realizzabili. 

CARLO
Non capisco a cosa ti riferisci. Una rappresentazione è sempre e comunque un metalinguaggio.
#446
IPAZIA
c'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la pratica di questa rappresentazione. E ciò comporta che la pratica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione.

CARLO
Non è esattamente così: anche la pratica delle rappresentazioni è oggetto di rappresentazione. Ti faccio un esempio: l'uso di equazioni matematiche per esprimere delle leggi fisiche è una "pratica delle rappresentazioni". Eppure esistono due rappresentazioni diverse e inconciliabili di questa "pratica": quella di Hume-...Sgiombo, secondo cui l'immutabilità-eternità della logica matematica non garantisce l'immutabilità-eternità delle leggi fisiche che essa esprime, e quella di Pitagora-Platone-Galilei-Leibniz-Spinoza-...Pierini che, invece, concepisce i numeri come gli eterni archetipi del creato, cioè i modelli immutabili sui quali sono plasmate le leggi immutabili-deterministiche del mondo.

SARIPUTRA
Non è che non ti sto rispondendo è che non ci intendiamo proprio... o forse diamo significati diversi ai termini...lo stesso mi sembra con Ipazia.
Non voglio togliere nulla alla scienza ... magari solo non farne un totem...essere consapevole dei limiti...limiti della rappresentazione.

CARLO
Il problema, caro Sari, non è la mancanza di intesa sui termini, ma che la tua fede buddhista ti inclina a credere che la conoscenza intellettuale del mondo (e di noi stessi) sia puramente accessoria, limitata, non essenziale, anzi, che sia addirittura una dannosa forma di saccenteria o di presunzione retorica. Ed è questo che ti porta a sottoscrivere qualunque filosofia che getti discredito sull'intelletto, indipendentemente dalla bontà o meno delle argomentazioni che la supportano.
Io invece credo che la via dell'intelletto sia complementare alla via del cuore, cioè, alla via della retta azione e della retta condotta di vita. Come dice Jung:

<<La fede è un carisma (dono della grazia) per colui che la possiede, ma non è una via d'uscita per chi ha bisogno di capire qualche cosa prima di credere. Giacché infine la natura ha dato l'intelletto all'uomo e certo per qualcosa di meglio che per mentire e ingannare>>. [JUNG: Simboli della trasformazione - pg.231]
#447
Citazione di: Sariputra il 16 Ottobre 2018, 00:25:08 AM
@Carlo Pierini
dare del 'relativista' al Sari è come dare della "donna morigerata" alla Cicciolina... ;D
In realtà sono fondamentalmente un anti-speculativo. Non amo il proliferare incontrollato delle teorie sul "reale" (qualunque cosa s'intenda soggettivamente con questo termine...).
Pertanto sono necessariamente un critico dell'esperienza.
Essere un critico dell'esperienza comporta essere inevitabilmente anche un critico dell'esperienza  percettiva da cui scaturisce il pensiero, esperienza percettiva che anche ne determina i limiti , secondo me.
Alla mente che si rappresenta il 'mondo' non interessa il fatto di  conoscere in sé e per sé, ma gli interessa solamente perché essa si possa "realizzare" meglio. Dunque, i fenomeni che la mente si rappresenta, non hanno un valore in sé, ma solo in rapporto  a questa 'realizzazione' e quindi come mezzo per soddisfare questo desiderio.
Dire "il mondo non è che la mia rappresentazione" significa esercitare la critica sull'esperienza percettiva.
CARLO
Sari, tu stai monologando, cioè non ribatti alle mie obiezioni, come se io non ci fossi o non avessi scritto assolutamente nulla. Infatti già ho ripetuto più volte (e tu lo hai ignorato) che dire "il mondo non è che la mia rappresentazione" è una tua rappresentazione della conoscenza ed è falsa perché fonde insieme illegittimamente due concetti che devono restare distinti: quello di "mondo" e quello di "rappresentazione". Solo Dio può dire "il mondo è una mia rappresentazione", mentre per noi umani il mondo esisteva già prima della nostra esistenza e del nostro rappresentarlo. Persino i bambini sanno che i termini "rappresentazione" e "percezione" hanno senso solo se esistono TRE cose ben distinte: 1) un soggetto che percepisce-rappresenta; 2) un oggetto percepito-rappresentato; 3) una rappresentazione dell'oggetto, la quale può essere vera o falsa a seconda che essa corrisponda o meno con l'oggetto.
Ergo, l'affermazione: "il mondo è rappresentazione", è un inaccettabile aborto del pensiero e, pertanto, deve essere sostituita con: "la conoscenza è una corretta rappresentazione del mondo".

SARIPUTRA
C'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la coscienza critica di questa rappresentazione. Diventare consapevoli di una rappresentazione in quanto tale, significa esserne autocoscienti. Questa è la libertà data dall'autocoscienza critica di ogni rappresentazione/ teoria. E ciò comporta che la critica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione. Perché la mente/coscienza si porta sul piano della consapevolezza critica e non su quello delle rappresentazioni.

CARLO
Stai giocando con le parole. Infatti non esiste solo "la rappresentazione del mondo" e "la critica di questa rappresentazione", ma esiste 1) un soggetto che rappresenta il mondo, 2) un mondo che è rappresentato e 3) una rappresentazione che può essere vera o falsa. Pertanto, la critica, se vuole essere seria, deve essere mossa a partire da questi TRE elementi, altrimenti è una critica mossa su una falsa rappresentazione della conoscenza.
#448
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 16:12:56 PM
Carlo e Ipazia, rappresentazione non significa, come ho già scritto, che il mondo materiale non esiste o che c'è coincidenza tra la costruzione mentale e il mondo, ma significa che non lo posso conoscere per quello che è , ma solo per rappresentazioni (pertanto "elefante" è una mia rappresentazione, il fatto di provare la percezione dolorosa dello schiacciamento dato dal finirci sotto no... ;D ).

CARLO
Beh, ma se scappi è perché la tua rappresentazione di quell'aspetto dell'elefante che può schiacciarti è una rappresentazione corretta, cioè corrispondente con ciò che realmente è l'elefante.
Insomma, chi l'ha detto che il nostro intelletto - con la sua capacità di osservare, di comparare tra loro una molteplicità di fenomeni osservati e di astrarre da essi le leggi e i principi che li ordinano e che li relazionano - non sia lo strumento più adatto per rappresentare il mondo per quello che è? Chi l'ha detto che l'intelletto sia l'"assolutamente altro" dal mondo e che non sia, invece, un'entità ontologicamente complementare ad esso? Dove sta scritto che non abbia ragione Leibniz quando afferma l'esistenza di una <<armonia prestabilita>> tra linguaggio umano e mondo? ...O Spinoza quando afferma l'esistenza di una corrispondenza ontologica originaria tra l'<<ordo et connexio rerum>> e l'<<ordo et connexio idearum>>? ...O Platone quando afferma l'esistenza di un "nous", cioè di un regno metafisico delle Idee che sono modelli originari delle cose create, tale che "conoscere" le cose non significhi altro che risalire a quelle idee archetipiche sulla base dell'osservazione delle cose stesse e dell'astrazione-riflessione intellettuale? ...O il Vangelo quando afferma che la sostanza del mondo è il Verbo o il Logos?  
In definitiva, su cosa si basa questa cazzo di ideologia, oggi tanto di moda, secondo cui la rappresentazione umana del mondo non avrebbe nulla a che vedere col mondo?
La mia risposta è: si basa sulle fantasie oziose di chi non si rende conto che se l'intelletto fosse assolutamente "altro" dal mondo, se le sue rappresentazioni non avessero nulla a che vedere col mondo, ogni conoscenza sarebbe impossibile e la nostra cultura non differirebbe in nulla da quella dei nostri antenati scimpanzè; ma soprattutto non sarebbe mai nata quella forma di sapere che chiamiamo "scienza" che in soli tre secoli ha permesso all'uomo di volare fin sulla Luna, di inviare delle sonde su pianeti e comete e di mostrarci da vicino come sono fatti, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, di alleviare la nostra fatica fisica grazie alla costruzione di macchine di ogni tipo e dimensione, ...e tali e tante altre conquiste che solo tre o quattro secoli fa sarebbero state catalogate come "magìe"!
Che altro dovrebbe succedere per convincere delle persone potenzialmente intelligenti che l'idea relativista è una fantasia masochista priva di qualunque fondamento e che, invece, la conoscenza del mondo non solo è possibile, ma è già una realtà di fatto, è già un processo più o meno graduale di accrescimento in estensione e in profondità del nostro sapere sia su noi stessi che sul mondo?
#449
Cit. CARLO
Questo è solo un "furbetto" gioco di parole per imporre il relativismo come una verità assoluta, cioè per contrabbandare come valida una contraddizione.  Infatti, l'affermazione <<il mondo è rappresentazione>> è anch'essa una rappresentazione, quindi, a rigor di logica, dovrebbe essere anch'essa relativa.
Insomma, se io dico di pesare almeno 70 chili e tu dici che non ne peso più di 30, le nostre due rappresentazioni si contraddicono, e per stabilire quale delle due è falsa non ricorriamo a una terza rappresentazione soggettiva, ma ricorriamo ad una bilancia di precisione; e se essa indicherà 72 chili, non avremo dubbi che la tua rappresentazione è falsa e quindi deve e essere cancellata dal novero delle rappresentazioni corrette. Ergo, è falso anche che <<il mondo è rappresentazione>>, ed è vero che <<il mondo è la corretta interpretazione delle nostre percezioni>>.
Se poi non sempre è facile capire quale sia la corretta interpretazione del mondo, ciò non vuol dire che possiamo fare di tutta l'erba un fascio e accettare indiscriminatamente qualsiasi "rappresentazione". Altrimenti non staremmo qui a discutere se sia più corretta la mia rappresentazione del mondo o quella di Hume-Schopenhauer.
Questa è roba da asilo, non da NG di filosofia!


SARIPUTRA
Carlo, dire che anche la scienza è una rappresentazione non significa dire che è inutile o illusoria, significa solamente stabilire il 'limite' di quella rappresentazione mentale , cioè non assolutizzare nemmeno la scienza. Essere consapevoli di ciò non è relativismo, ma semplicemente il porsi su un piano di 'consapevolezza' di questo limite. Questa consapevolezza di essere "costruttori di rappresentazioni" non può essere 'relativismo' perchè il relativismo si pone sul piano delle rappresentazioni, non su quello della consapevolezza/coscienza di questo. Infatti non è 'relativo' che il mondo è una mia rappresentazione (concetto a cui "non ci si può mai sottrarre" dice Schopenauer...).

CARLO
Io non contesto il fatto che l'uomo non abbia altro modo di introiettare il mondo che come rappresentazione (Tommaso diceva che <<l'oggetto conosciuto è nel soggetto conoscente secondo la natura del conoscente stesso>), ma contesto la affermazione di identità tra mondo e rappresentazione a favore di una più ragionevole corrispondenza. Un'identità ingannevole che occulta la possibilità di esistenza di rappresentazioni false e quindi la necessità di distinguere il falso dal vero. Anche a questa distinzione "non ci si può mai sottrarre", così come non possiamo sottrarci - come uomini - all'imperativo etico di distinguere il bene dal male, per quanto difficili e problematiche possano essere entrambe le imprese.

SARIPUTRA
Non mi sembra un "gioco di parole" furbesco e nemmeno sottintende l'imporre il relaativismo come "verità assoluta", infatti la coscienza che il mondo è una mia rappresentazione mi fa essere consapevole anche del fatto che pure una concezione relativistica non è altro che una mia rappresentazione...

CARLO
E' un gioco di parole ingannevole anche questo perché lascia falsamente intendere che la conoscenza sia una costruzione assolutamente arbitraria e soggettiva, e non, invece, il risultato di un confronto dialettico incessante, metodico e profondo con il mondo che dobbiamo rappresentare. Quella di Schopenhauer-Hume, cioè, è una rappresentazione solipsistica-egocentrica della conoscenza e della vita, mentre la vita è invece relazione tra spiriti diversi che, nella conoscenza, scoprono la reciproca somiglianza-fratellanza e quindi la loro comune discendenza da un unico Principio. Come diceva Ficino: <<...la conoscenza è l'unione spirituale con qualche forma spirituale>>; e Francesco parlava di <<...fratello Sole, sorella Luna, madre Terra ...fonti di vita, doni di Lui>>.

SARIPUTRA
In realtà questo "principio di consapevolezza" si muove in direzione autonoma sia alla concezione 'assolutistica' che a quella 'relativistica' delle rappresentazioni, a mio parere...e fatto risuonare da me, oggi, come ruggito di virile leone ( che ha visto le leonesse andarsene con un altro leone...).

CARLO
Appunto. Quando la leonessa ritornerà dal suo leone ruggiranno insieme la pari dignità di yin e yang, di "soggetto" e "oggetto", di "mondo" e "giusta rappresentazione", nell'unità superiore del Tao!  :-)
#450
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 11:28:12 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 11:07:38 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:53:58 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 10:42:44 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:23:55 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 10:19:10 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:13:45 AMPer approfondire ulteriormente la concezione del mondo come mia rappresentazione posto questo link ad un commento di Diego Fusaro sul tema,..
CARLO Vuoi dire che anche Diego Fusaro è "una tua rappresentazione"?
Ovviamente!... ;D Nota però che non si sta negando l'esistenza del 'materiale' , ma solamente si sostiene che di questo non può darsi che una nostra rappresentazione...
CARLO Certo, quando trasferiamo il "materiale" nel nostro linguaggio, non diventa altro che una nostra rappresentazione. Ma se la mia rappresentazione contraddice la tua, è sicuro che almeno una delle due è falsa (se non entrambe). Quindi non è sufficiente dire che <>, ma dobbiamo chiarire che <>. Per questo la scienza ha scoperto il metodo sperimentale: per scartare le false rappresentazioni ed ammettere solo quelle corrette. ...E, a giudicare dall'enorme successo che essa ha riscosso (nel dominio che le compete), è molto più probabile che abbia ragione lei e non Schopenhauer.
SARIPUTRA E' sempre "corretta" o "falsa" in rapporto alla rappresentazione che se ne fa la mente del "metodo sperimentale". E cos'è questo 'metodo' se non anch'esso una rappresentazione che nasce e si sviluppa sulla base delle percezioni?
CARLO Appunto: esiste il mondo ed esiste quella "giusta rappresentazione" del mondo che noi chiamiamo "verità". Ma se diciamo che <<il mondo è rappresentazione>>, occultiamo questa distinzione di soggetto e oggetto con-fondendo indebitamente i DUE enti nel solo concetto nebuloso di "rappresentazione" (o "percezione") e rendendo nebuloso e confuso anche il concetto di "verità", per la gioia dei relativisti. Per cui, come ho ripetuto più volte, dobbiamo correggere il motto di Hume da <<esse est percipi>> a <<esse est iusta interpretatio perceptionis>>.
SARIPUTRA
Infatti , quel che dice S., riportato anche dal Fusaro, e che io condivido è che le "rappresentazioni" sono relative , ma non è relativo il fatto che il 'mondo' è una rappresentazione e, di conseguenza, non è relativo il fatto che l'uomo, unico (per quel che se ne sa...indimostrabile a parer mio) tra tutti gli esseri senzienti, può essere consapevole di questo "processo di costruzione mentale"... cioè di essere l'autore della rappresentazione.

CARLO
Questo è solo un "furbetto" gioco di parole per imporre il relativismo come una verità assoluta, cioè per contrabbandare come valida una contraddizione.  Infatti, l'affermazione <<il mondo è rappresentazione>> è anch'essa una rappresentazione, quindi, a rigor di logica, dovrebbe essere anch'essa relativa.
Insomma, se io dico di pesare almeno 70 chili e tu dici che non ne peso più di 30, le nostre due rappresentazioni si contraddicono, e per stabilire quale delle due è falsa non ricorriamo a una terza rappresentazione soggettiva, ma ricorriamo ad una bilancia di precisione; e se essa indicherà 72 chili, non avremo dubbi che la tua rappresentazione è falsa e quindi deve e essere cancellata dal novero delle rappresentazioni corrette. Ergo, è falso anche che <<il mondo è rappresentazione>>, ed è vero che <<il mondo è la corretta interpretazione delle nostre percezioni>>.
Se poi non sempre è facile capire quale sia la corretta interpretazione del mondo, ciò non vuol dire che possiamo fare di tutta l'erba un fascio e accettare indiscriminatamente qualsiasi "rappresentazione". Altrimenti non staremmo qui a discutere se sia più corretta la mia rappresentazione del mondo o quella di Hume-Schopenhauer.
Questa è roba da asilo, non da NG di filosofia!