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Messaggi - Il_Dubbio

#436
Citazione di: Jacopus il 02 Marzo 2024, 22:42:52 PMIl problema etimologico nasce dallo spostamento di significato di "arbitrio" dal rinascimento ad oggi. Ai tempi della disputa fra Erasmo e Lutero, arbitrio aveva lo stesso significato di volontá autonoma, tanto che parlare di libero arbitrio era pleonastico, l'arbitrio è inevitabilmente libero. Oggi l'arbitrio ha assunto un significato diverso, di capriccio, di atto vanitoso, inutile, prepotente e fuori dalle regole. Per questo si tende ad usare al posto di libero arbitrio, il termine "libera volontà" o "libertà di agire".

Si ma attenzione, io non ho letto tutte le 20 le pagine e me ne scuso. Può darsi che ne abbiate gia parlato. Ma qualsiasi cosa si voglia dire con arbitrio il significato non può mutare drasticamente. 
Se per esempio cerco di accendere il mio PC, la macchina usa il suo arbitrio, che vuol dire capacità di agire, e si accende. Ma quante volte dopo il comando di accenzione il PC non si è avviato? Vi sarà certamente capitato no? Allora al PC non gli si può privare di una capacità di agire. Agisce e potrebbe anche agire in modo diverso da come ci aspettiamo. Ma allora  E' libero di accendersi o non accendersi?  
Non è importante l'azione, ma chi la fa.
Se ci sono io davanti al PC,  potrei essere libero di accenderlo oppure no. Ma anche il PC potrebbe non accendersi al mio comando di accensione. Qual'è la differenza? 

Libero di agire o libero arbitrio si utilizzano solo ed esclusivamente quando si parla di persone e non di macchine. Perchè? Cosa hanno le persone diversamente dalle macchine? Sicuramente non è la capacità di agire, perchè quella ce l'hanno anche le macchine. Semmai è il concetto di libero, che però noi stiamo utilizzando senza descriverlo. 
L'IO è la migliore definizione, forse un tantino sintetica. 
Si potrebbe anche tentare di descrivere l'IO del PC, tanto è ugualmente complesso descrivere quello che è dentro di me.

Io ho detto quello che assomiglia alla libertà, quindi al mio IO, cioè la capacità di cercare, di approfondire, anche di studiare, e alle volte anche di andare a rompere le scatole alle persone che potrebbe darti una mano per capire. Questa è la libertà.   
#437
Citazione di: Ipazia il 02 Marzo 2024, 21:27:38 PMIl libero arbitrio e un concetto teologico che non andrebbe confuso con il concetto moderno di libertà di agire.

Il rafforzativo "libero" è in opposizione al servo arbitrio, della teoresi teologica cristiana, in particolare luterana.


Il topic iniziale non mi pare indicasse una precisa direzione teologica alla discussione. 
Oggi si parla di libero arbitrio e di libertà di agire in modo paritario. 
Storicamente libero arbitrio è nato per questioni teologiche? Benissimo, eliminiamo quelle teologiche e teniamoci tutto il resto. 

Facciamo l'analisi: Agire è sinonimo di arbitrio?
Per me si. Se si agisce è implicito che ci sia una capacità di agire. 

Che vuol dire libero? Prima di tutto serve il soggetto, cosa o  chi è libero? Colui che sta agendo. E se io agisco, chi sta agendo? IO. Quindi anche nel caso generale, il soggetto della locuzione libero agire è L'Io. 
Anche in senso teologico non mi sembra sia un rafforzativo visto che antiteticamente posto a servo. Ammesso che servo non sia il rafforzamento di capacità di agire. Non mi sembra. Ma potrebbe non interessarmi visto l'argomento mi pare non riguardi strettamente posizioni teologiche. 

#438
Salve a tutti. Non entravo in questo forum da qualche anno. 
Al dire il vero mi sono ricordato di questo forum l'altro ieri mentre leggevo delle vecchie mail. Poi per caso oggi ho dato un'occhiata all'interno e la prima cosa che ho letto è stata questa discussione messa in evidenza. La tentazione è stata forte, così eccomi qua  :-*

Sono sicuro di aver gia scritto cosa penso del libero arbitrio in passato, ma non in questo topic.
Prima di incominciare a scrivere ho letto prima qualche commento (putroppo non tutte le 20 pagine) per tracciare qualche collegamento. 

Mi sono accorto, nel leggere i commenti, che spesso ci si sofferma giustamente sul significato delle parole o delle locuzioni, perchè poi vien fuori che si voleva dare un significato specifico ad una parola, ma non a due parole messe assieme. 
In effetti se io apro il significato di arbitrio mi dice: capacità di scelta.
Se arbitrio lo faccio precedere da libero, viene fuori una libera capacità di scelta. A pensar bene, se si è già capaci di scegliere a che serve che questa sia libera? 

A me sembra ovvio (poi per carità non conosco le origini) che libero sta per IO. Sono IO che ho la capacità di scegliere. Si da per scontato poi che l'IO sia libero e operi la scelta attraverso la sua capacità. Ad esempio, come qualcuno prima diceva, attraverso il suo discernimento tra il bene e il male. L'io non sarebbe altro che l'anima, al suo stato puro che sa quale sia il bene e quale sia il male. Per cui essere liberi vuol dire saper discernere il bene dal male, e l'arbitrio significa che si è capaci di scegliere (senza costrizione). 

Vorrei mettere da parte la parte finale, ovvero cosa sia L'IO (ovvero la parte di cosa sia l'anima o l'IO psicologico, la coscienza ecc). Mi interessa ora maggiormente quelle che vengono chiamate le "costrizioni" che alcuni poi descrivono anche come "condizioni".
Ho detto che l'arbitrio è la capacità di scelta. Alle volte, o quasi sempre, le condizioni o addirittura le costrizioni sono viste come l'ostacolo alla capacità di scegliere. Per cui continuiamo a pensare che si è meno liberi se si è più condizionati. ..................................................E' l'esatto contrario. 
Le costrizioni, e quindi i condizionamenti, non sono altro che l'assunzione di una maggiore capacità di scelta. In assenza di condizionamenti infatti non esisterebbe l'arbitrio. La liberà non è una condizione, o meglio non è uno stato di come è un essere; la libertà è il perseguimento di uno scopo, è divenire. Scopo che non potrà mai essere raggiunto appieno, in quanto non esiste l'arbitrio. 

IO ho capacità di scegliere se perseguo nella ricerca della migliore condizione per continuare a scegliere al meglio.
E' libero chi persegue nella ricerca. 
Un po' sono quelli che dicono: voglio vederci chiaro---io direi ho qualche << Dubbio >>  ::)
 
#439
Tematiche Filosofiche / Re: SOLIPSISMO 2
13 Dicembre 2022, 23:32:59 PM
E' difficile per me stabilire se il solipsismo sia una filosofia sostenibile. 
Effettivamente ho sempre creduto che per certi versi tutto il mondo, quello che io penso sia reale e che sia fuori dalla mia esperienza mentale, esista "oggettivamente". Però anche questa è una convinzione che mi lascia qualche dubbio. Dopo tutto esisterebbe un mondo reale se non ci fosse una mente che lo percepisca cosciententemente? Un universo senza qualcuno che lo guardi sarebbe reale? Sembrerebbero "reali" molto piu le "relazioni" fra le menti che il mondo esterno alle menti stesse. D'altra parte le considerazioni su un mondo che invece esiste solo perchè è pensato, non avrebbero senso se non ci fosse un mondo reale da pensare. In altre parole perche pensiamo a quel mondo e solo a quello, e che ci sembra reale, anche se sappiamo che non lo è, e non ad altri mondi? Se non ci fosse un mondo reale la fuori allora perche tutti siamo d'accordo su alcuni (o molti) aspetti che ci accomunano? Sembrerebbe che siamo noi a dare al mondo delle sembianze, che riconosciamo in modo comune, mentre il mondo non ha alcuna caratteristica particolare oggettiva. Il mondo come un quadro nero (direi morto) e le menti come tanti pennarelli colorati che ravvivano cose prima inanimate. 
Per certi versi questo non è poi cosi lontano dalla mia visione iniziale (dovrei dire kantiana): vediamo le cose (il mondo la fuori) attraverso la nostra mente, non possiamo vederle cosi come sono, ma possiamo  farcene un'idea alle volte anche troppo colorata rispetto a quelle che sono realmente. Magari sono proprio nere. 
Tutto questo parlare però non mi smove ancora dal dubbio che sta sotto. Ma se io non ci fossi, o non fossi mai stato, o quando non ci sarò più, esisterà qualcosa? Razionalmente mi verrebbe da dire di no. Quindi sono solipsista? Non ho ancora deciso :-\  
#440
Salve a tutti  ;)

Dopo svariate supposizioni sul tema, attualmente sono arrivato alla conclusione (ma non so se definitiva) che la libertà ce la conquistiamo giorno dopo giorno mettendo a frutto la nostra voglia di sapere prima di agire di conseguenza.
Prima di questa conclusione mi ero fermato all'idea che, dopo tutto, la coscienza a qualcosa doveva servire, senza però capire a cosa.
Avere voglia di sapere, o di capire, di informarsi, di leggere o di studiare è per me quel qualcosa. Questa voglia non è propriamente un desiderio, anche se ognuno di noi saprà a cosa sia dovuto. Ma avere voglia di studiare o solo di informarsi è sicuramente legato alla coscienza del sapere. Essere consapevoli che la conoscenza aiuta nel fare la migliore azione possibile mi fa supporre che il libero arbitrio può esistere. Praticamente è il dubbio che ci rende liberi, perchè il dubbio ci fa studiare. Anche se arriviamo a questo traguardo tramite "meccanismi" deterministici, una volta presa coscienza di questa possibilità ovvero di sapere di non sapere e quindi di studiare per agire meglio, il libero arbitrio diventa importante. Come si potrebbe dire anche, il libero arbitrio diventa la realtà emergente di un meccanismo deterministico. Senza riuscire a ricreare un soggetto cosciente non è possibile costruire un soggetto libero. La libertà è quindi dovuta alla coscenza e questa rende il sapere un soggetto da conquistare e non da subire.
Per cui io non credo nel libero arbitrio, ma suppongo che in qualche modo, anche se a fatica, è presente nelle nostre vite. Non è qualcosa di immanente, o di profondo, ma qualcosa che succede per merito della coscienza.  
#441
Citazione di: Carlo Pierini il 08 Luglio 2018, 10:50:28 AMVisto che stiamo discutendo sul tema della conoscenza, mi sia concesso di ripubblicare questo post che scrissi un anno fa nella sezione "Tematiche spirituali". Cos'è la conoscenza? E' una costruzione soggettiva (conoscenza = soggetto), oppure essa coincide con "l'oggetto in sé" (conoscenza = oggetto)? 

Mi hai inviato qua da questo argomento: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/perche-un-principio-universale/30/

Per quanto riguarda la conoscenza io ho gia detto la mia e per certi versi potrebbe anche coincidere con il tuo ragionamento, almeno fino a che sono riuscito a seguirlo (non capisco per esempio cosa sono gli archetipi e a cosa servono).
Come ho detto la conoscenza è  per me un atto di coscienza. Io conosco perche ho coscienza del contenuto di questa mia conoscenza. Quindi sono consapevole di sapere!

Il mio ragionamento mi ha portato a individuare un tema che se fosse adeguatamente indagato potrebbe portare alla soluzione, riporto pertanto una frase che ho gia scritto in quel argomento e cerco di spiegarlo meglio:

Secondo me il principio universale da trovare è nella teoria dell'informazione che si attua nell'interazione fra l'informatore e l'informato. Quando parlo di interazione parlo asetticamente di due enti interagenti non per forza di cose coscienti. Ma è ovvio che credo che la forma cosciente sia una forma di interazione, di stile e modi ed effetti, diversi dalle interazioni senza coscienza. Qui però sono io a non aver ancora trovato le differenze.

Perchè non ho trovato ancora differenze? Io ho parlato di interazione. Spesso, ed anche tu lo hai usato, si tende a individuare due enti, che chiamiamo uno soggetto e l'altro l'oggetto, che, interagendo, creano un terzo ente che sarà il risultato dell'interazione. Possiamo chiamarlo come vogliamo. Anche  "tertium" come hai scritto tu.

Chiarito di cosa stiamo parlando, la mia soluzione parte sostanzialmente nel ritenere l'interazione come parte fondamentale della spiegazione. Però capita di fare un ragionamento che non tiene conto di tutte le interazioni possibili alla creazione del "tertium". Quindi si arriva alla fine, ovvero all'interazione ultima tra soggetto e oggetto. Si dimentica però che il soggetto è anch'esso effetto di una interazione molto piu particolare e poco (o per nulla conosciuta) che è una interazione con se stesso. In senso stretto il soggetto informa se stesso. Altrimenti la semplice interazione fra due enti A e B diventa solo un passaggio di output. Per cui il soggetto è qualcosa di piu complesso di un oggetto. B informa A ma A deve poi anche informare A (quindi se stesso) della interazione con B. Come infatti A non conosce B come B (l'oggetto in se) ma conosce B attraverso A. Per questo facevo leva sua una futuribile teoria dell'informazione dove A è sia l'informatore che l'informato. Chiaro che una tale teoria non c'è... ma è del tutto ovvio che debba esistere.
Perchè io non riesco a trovare differenze? Ovvero posso accorgermi da qualche aspetto (da un effetto che posso provare ed osservare) che A venga ad essere informato di B in modo che sia cosciente di questa stessa informazione? Al momento mi manca una prova. Infatti A può benissimo essere informato da B e dare la risposta giusta perche l'ha imparata o una tra le risposte programmate, o riuscire a "calcolare" una nuova se è programmato ad un certo tipo di calcolo. La cosa che mi rincuora è che io sono sicuro di essere cosciente delle mie informazioni, ma non so se il fatto di essere cosciente abbia qualche influenza con le mie decisioni o con le mie stessa caratteristiche di uomo cosciente.
Comunque sia, anche se non avesse influenza, il fatto di avere certezza di essere cosciente mi induce a ritenere certa l'esistenza anche di questa interazione sottostante.

In linea generale tutte le interazioni trasferiscono una certa informazione fra un ente ed un altro. Questo in chimica, in fisica ma anche nei rapporti umani. E' ovvio però (e anche questo lo riprendo dalla risposta che ti ho dato nell'altro argomento) che le interazioni fra umani non sono interazioni semplici. Qui ti vado a ricordare la differenza che facevo fra un comportamento istintivo ed uno di tipo spirituale o culturale. Mentre le interazione fra  fotoni ed elettroni, benche sia complesso capirlo in quanto non li vediamo direttamente, si basano su leggi fisiche/matematiche note e che possono essere cosi previste ogni tipo di effetto, le interazioni fra umani sono complesse perchè sottintendono una impalcatura (fatta di usi, costumi, leggi ecc.) formata nel tempo e che può mutare con essa. Per cui l'interazione fra il mondo reale, fisico e chimico, con gli umani è una interazione compensata dalle conoscenze fisiche /matematiche. Di tutt'altro tipo sono le informazioni complesse  (ad esempio far legare l'economia al benessere) dalle cui interazioni è difficile fare previsioni.

Per finire, per me esiste solo l'interazione ma solo una di queste interazioni è attualmente non compresa o non conosciuta, ovvero l'interazione con se stesso che però crea il soggetto.  Senza questo tipo di interazione non c'è conoscenza. 
Ora io la vedo cosi  in termini un pò piu vicini a quelli scientifici che filosofici. Ovvero io non guardo al problema oggetto soggetto in termini di complementarità di opposti, ma in differenza di interazione. Il soggetto oltre che interagire con l'esterno interagisce anche con se stesso ed è solo questa caratteristica a renderlo soggetto.  Non riesco neanche a capire cosa ci guadagnamo, in termini filosofici, a vedere queste due entità in termini di complementarità. Dimmelo tu, perche io da questo punto in poi non ti seguo piu :)
#442
Citazione di: Carlo Pierini il 09 Agosto 2018, 16:25:12 PM
CARLO
Non capisco cosa vuoi dire. Uno stesso raggio di luce si comporta come un'onda oppure come una "pioggia" di particelle a seconda del materiale con cui interferisce, indipendentemente dalla grandezza della sorgente. Per esempio: se colpirà un prisma si comporterà come un'onda (rifrazione), se invece colpirà una superficie metallica si comporterà come una "pioggia" di particelle (effetto fotoelettrico). Quindi, che c'entra la grandezza della sorgente?
Idem per il resto del tuo commento: non so come ricondurlo al tema della Complementarità degli opposti.

Hai ragione, le questioni riguardanti la complementarità onda/particella sono complesse e andrebbero spiegate punto su punto. Se vuoi puoi leggere il velo di Einstein di Anton Zeilinger dove certe problematiche sono spiegate meglio di come possa fare io in pochi passi.

Per quanto riguarda tutto il resto, io ho risposto a questo argomento perchè mi sembrava interessante, solo che non capivo (e da come ti sei espresso non capirò mai) le basi, ovvero il significato dei termini usati. Ho capito che io ho un'idea di complementarità diversa dalla tua, ma mentre io conosco la mia e ho spiegato i suoi termini, non ho capito la tua. Ed è per questo che non riesci a ricondurlo al tuo tema. Se solo si potesse capire che vuol dire per te complementare potremmo anche chiamarlo girolamo, ci comprenderemmo meglio :) Ma dire che complementare vuol dire solo ciò che tu hai in mente, allora non ne verremo mai a capo, sempre che si capisca e che sia definito senza ombra di dubbio il significato che tu dai al termine.
#443
Citazione di: Carlo Pierini il 08 Agosto 2018, 23:14:20 PM


CARLO
E' ciò che ho detto sopra: <<...quella di Bohr può essere considerata un'intuizione, ma non una teoria vera e propria, perché egli ha parlato di complementarità tra i due comportamenti (ondulatorio e particellare) del campo elettromagnetico, ma non ha mai indicato - così come vuole il paradigma dialettico - quella grandezza (fisica o metafisica che sia) di cui i due comportamenti rappresentino le "due facce della medaglia", cioè quel "tertium comparationis" unificante DA CUI derivare logicamente le due "nature" della luce, o VERSO CUI farle convergere unitariamente>>.
In altre parole, le due "nature" della luce (onda/particella) da un lato continuano ad apparirci come contraddittorie, ma dall'altro sappiamo che gli eventi naturali non sono mai contraddittori e che, dunque, è la nostra interpretazione che deve contenere in sé qualcosa di erroneo. ...Ma cosa? Il problema è ancora aperto, epistemologicamente irrisolto. E la dichiarazione di Bohr sulla loro complementarità non ha convinto nessun fisico, perché non ha chiarito nulla: la sua è solo un'intuizione non sviluppata, incompiuta.

No, Bohr non credo, ma ho riferito un passaggio di Anton Zeilinger che attribuisce la causa alla grandezza della sorgente. E' come se tu attivassi il rubinetto di casa al massimo e vorresti che desse lo stresso spruzzo che potrebbe dare la pompa che usa un pompiere per spegnere gli incendi. Quindi qui parliamo di limite fisico. I rubinetti li usi in casa per lavarti i denti, mentre le pompe idrauliche le usi esternamente ad esempio per irrigare un campo. E' chiaro che una pompa idraulica emette una quantità gigantesca di acqua al secondo ed essa sarà complementare al rubinetto di casa. L'effetto sarà diverso e non è possibile avere lo stesso effetto di una pompa idraulica con un rubinetto di casa.

Potrebbe essere utile il concetto di complementarità negli insiemi. Ad esempio i numeri naturali formano un unico insieme, ma i numeri pari sono complementari ai numeri dispari. In questo caso avrai un solo insieme di numeri naturali e due sottoinsiemi complementari.
Prendiamo la coppia che hai citato "natura/cultura", e spirito/istinto.
Io formerei un solo insieme di eventi naturali e due sottoinsiemi che chiamiamo istinto e spirito (o anche cultura).
Non vedo quindi una differenza fra natura e spirito e natura e istinto. Fanno parte tutti dello stesso insieme naturale e si dividono in due sottoinsiemi complementari.

Ora, sappiamo tutti qual è la differenza fra un numero pari ed un numero dispari. Come sappiamo la differenza fra un comportamento ondulatorio e uno corpuscolare. E sappiamo anche la differenza fra un rubinetto di casa e una pompa idraulica. Il fatto che esistano delle differenze non significa però che non appartengano ad un unico insieme, come infatti pari e dispari appartengono all'insieme dei numeri naturali; rubinetti e pompe idrauliche all'insieme degli spruzzatori di acqua e i comportamenti ondulatorio e corpuscolare  all'insieme dei comportamenti della materia.

E' chiaro che non tutto è semplice  e lineare. C'è sempre qualche "dubbio" che appare qua e la. Ad esempio qual è la differenza fra spirito e istinto? Anche se resta il fatto che facciano parte entrambi degli eventi naturali, cosa ci spinge a classificarli in modo diverso? Ma poi sono effettivamente complementari come lo sono i pari e i dispari nei numeri naturali? Da qui possono partire opinioni personali, ma fino a questo punto io non credo si possa avere opinioni diverse.  Non credo cioè che un atteggiamento culturale non sia un atteggiamento naturale sempre che non si riesca a costruire una definizione di "naturale" contradditoria con un atteggiamento culturale. Secondo me le cose naturali sono quelle che sono possibili, ed anche se ci fosse qualcosa che sembrerebbe fatta in modo da sembrare contro-natura, solo per il fatto di essere stata attuata lo imprigiona per sempre nei fatti naturali, ovvero possibili.
Tra un fatto istintivo e uno culturale esiste una specie di impalcatura creata dalla storia e dalla memoria, stilata attraverso i modi e le consuetudini di un popolo (leggi, religioni, intrattenimenti ecc.), che rende gli eventi culturali differibili dagli eventi istinitivi.  Non potrebbe cioè accadere che per istinto, cioè senza passare attraverso la memoria, la storia, lo studio ecc, uno scriva la divina commedia. Anche qui io ci trovo una causa fisica dipendente dai gradi di libertà. Uno uovo è stato creato nel tempo attraverso tanti cicli naturali. Può la natura creare un uovo senza passare  attraverso la storia di quell'uovo? Certamente la natura non lo impedisce, ma i gradi di libertà che servirebbero per ricomporre un uovo senza passare attraverso la sua storia sono cosi numerosi che tale evento è praticamente impossibile. Come infatti non vedremo mai l'uovo sbattuto per terra ricomporsi "istinitivamente". Per cui questa è secondo me la differenza.
Poi ci sarebbero sicuramente dubbi sull'insorgenza della coscienza. Se per alcuni è un evento primordiale (ma sempre naturale) per altri è appunto l'apice di una evoluzione storica. Esiste però li un grosso problema non risolto che però mi porterebbe lontano dal tema che mi vede abbastanza scettico nel ritenere la complementarità come un principio universale.
Secondo me il principio universale da trovare è nella teoria dell'informazione che si attua nell'interazione fra l'informatore e l'informato. Quando parlo di interazione parlo asetticamente di due enti interagenti non per forza di cose coscienti. Ma è ovvio che credo che la forma cosciente sia una forma di interazione, di stile e modi ed effetti, diversi dalle interazioni senza coscienza. Qui però sono io a non aver ancora trovato le differenze.
#444
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Agosto 2018, 22:48:14 PM

CARLO
Bene e male non sono opposti complementari, ma contraddittori. Leggi almeno questo thread dalla Risposta #8 in avanti, dove ho sinteticamente chiarito questo aspetto.


Bhe allora nemmeno la complementarità di Bohr rientra fra le complementarità alla "Pierini". Infatti l'adeguadezza nella conoscenza di una elimina l'altra, per cui per come poni tu la questione anche gli elementi complementari di Bohr sono in sostanza contradditori.

A questo punto ritengo che per complementare vuoi intendere:  due (o almeno due) elementi che, anche se sembrano distinti (°dialetticamente),  non lo sono nella sostanza.
E qui va capito cosa intendere per "sostanza".  Ad esempio una delle coppie (l'ho letto da quel che hai scritto) potrebbe essere spirito/materia. Io ci aggiungo mente/cervello che potrebbe anche sostituire in senso dialettico spirito/materia.
Mente/cervello potrebbero cosi essere complementari (alla "Pierini"), ma in che senso sarebbero opposti? Sarebbero concilianti (cioè complementari) se fossero due entità distinte, ma non li vedrei come entità opposte. Opposte rispetto a cosa? Se la complementarità riguardasse invece all'assunto di Bohr allora qualche ragione potrebbe esserci, ovvero sarebbe impossibile, osservando il cervello, vedere la mente, o al contrario usando la mente controllare il cervello. 
Poi nella sostanza se la mente e il cervello fossero complementari come tu vorresti che fossero, la loro distinzione sarebbe solo dialettica, per cui nella sostanza non ci sarebbe distinzione fra mente e cervello. Mi fermo a questa coppia... perchè mi sembrava quella piu vicina alla nostra esperienza.
In sintesi mi manca il punto di partenza. Se abbiamo capito cosa è per te complementare, non si comprende perche queste coppie debbano essere opposte, se poi è vero che non debbano nemmeno contraddirsi (nella sostanza). Ovvero mente e materia potrebbero essere anche complementari, ma non sono opposte...ma neanche dialetticamente...per cui per loro non vale il principio universale a cui tu vuoi giungere?
#445
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Agosto 2018, 12:46:19 PM
CARLO
Per il momento poggia sulla sola logica: se la Complementarità è valida in campi del sapere tanto distanti e indipendenti tra loro (psicologia, storia comparata del simbolo e delle idee religiose, epistemologia, etica, teologia, ecc.), allora l'ipotesi della sua universalità (affermata intuitivamente in tutto l'arco della storia del pensiero umano) merita di essere presa in seria considerazione.

Non avendo una risposta esplicita alla prima domanda, è difficile capire se applicando x (ciò che non conosciamo) la complemetarità è valida.

Dovresti fare uno sforzo di sintesi.

Ad esempio io potrei dire che X (cio che tu non hai detto) è rappresentato dall'informazione. Nell'altro forum ne avevo parlato diffusamente.

Ad esempio coscienza e conoscenza sono fatti della stessa sostanza, anzi sono la stessa cosa e vengono rappresentati da un tipo di informazione auto-referenziale (il sapere di sapere).  Anche in m.q. si parla di informazione rispetto ad esempio alla traiettoria di una particella o della figura di interferenza. Piu in generale si parla di informazione probabilistica.
Quindi gli opposti complementari sono opposti rispetto al tipo di informazione di cui noi abbiamo conoscenza (coscienza).
Qui va fatta una certa distinzione e un certo ragionamento. Ammettiamo si possa conoscere il bene e il male.  Siccome sono opposti, che tipo di conoscenza posso averne?
Sicuramente posso avere una conoscenza diretta del male o del bene, non posso (o non potrei) conoscere entrambi in modo diretto. Indirettamente invece potrei avere informazioni sulla distinzione tra il bene e il male, ma solo direttamente abbiamo la percezione cosciente di qualcosa che è bene o che sia male. 
Per cui l'informazione diretta e cosciente di uno degli opposti è un tipo di informazione diversa dalle informazioni concettuali sugli opposti. Ovvero si, io potrei conoscere il bene e il male, concettualmente, ma non potrei dire di conoscerli veramente. La vera conoscenza è diretta. Facendo il solito esempio sull'interferenza e sulla traittoria delle particelle: noi possiamo sapere indirettamente i comportamenti che potrebbero avere le particelle, ma la vera conoscenza di una (interferenza) o l'altra (direzione delle particelle) dipende solo dall'esperienza diretta e nell'esperienza diretta non possiamo conoscere entrambi gli opposti. Tutto però dipende dall'informazione e  dall'uso che ne vogliamo fare. Potremmo dire che i robot un giorno avranno coscienza. Potremmo dirlo a due condizioni: la prima condizione è essere certi di possedere un tipo di informazione auto-cosciente, ovvero conoscere concettualmente che tipo di informazione è. La seconda condizione è quella diretta, ogni robot dovrà sentirsi cosciente...
#446
Per complementarità di due termini si intende (o per lo meno cosi intendo io) la possibilità di conoscere esattamente una a dispetto dell'altra.

Ho cercato di capire cosa intendi tu (mi sono dato uno sguardo quasi a tutti gli argomenti aperti, ma non ho trovato una frase esplicita per tale termine).

In fisica fu Bohr a introdurre il concetto di complementarità. Anche Bohr pensò di poter estendere questo principio, ma non credo sia possibile dire che ci sia riuscito. In alcune situazioni (di meccanica quantistica) questo sembra essere un principio valido, ad esempio la complementarietà tra la figura di interferenza e l'informazione sulla traiettoria di una particella. Per vedere la figura di interferenza non possiamo conoscere la traiettoria delle particelle. E' un principio fisico in quanto (per come si esprime l'eminente fisico Anton Zeilinger) tutto dipende dalla grandezza della sorgente e che lo sperimentatore può controllare. Non posso quindi avere una sorgente piccola e grande nello stesso tempo, per cui posso sperimentare o una condizione o l'altra.
Ma, come ho detto, tale principio è circoscritto ad alcune situazioni particolari, visto che è possibile conoscere esattamente due o piu aspetti che tra loro non sono complementari. Ovvero non tutte le conoscenze in fisica sono complementari.

Ovvio che io credo tu intenda trovare un principio di complementarità generale che comprenda anche la fisica. Ma non so su cosa si poggi questo desiderio, almeno rispetto alla fisica e se il concetto di complentarità sia quello che ho scritto io o ce ne sta un altro.
#447
Tematiche Filosofiche / Re:Matematica e realta’.
02 Giugno 2018, 14:53:56 PM
Il rapporto tra la metamatica e la realtà credo sia simile a quello tra le regole di un gioco e i partecipanti del gioco stesso.

In un certo senso la matematica crea migliaia o centinaia di migliaia od anche infiniti giochi poi comunque noi ne giochiamo solo uno.
La matematica crea una sorta di elenco di giochi possibili. Poi noi verifichiamo quale gioco stiamo giocando attraverso l'osservazione delle regole imposte.
Potremmo non sapere che l'acqua bolle perche non abbiamo mai sperimentato questo evento, ma potremmo prevederlo solo attraverso la tiratura di una regola. Se poi scopriamo, facciamo l'esperimento e troviamo che l'acqua bolle per davvero possiamo dire di essere nella strada giusta nell'individuazione della regola.

Ora qui io credo potrebbe nascere un fraintendimento. Quando parlo di regole non sto pensando alla realtà. Infatti come preambolo ho detto che le regole (quindi la matematica) si rapportano con i partecipanti del gioco. Sono questi ultimi la realtà. Questo diventa un grosso fraintendimento  quando, con la m.q. (richiamata da jano) sembra voler intendere una regola, cioè un gioco, senza partecipanti.  La funzione d'onda descrive matematicamente stati sovrapposti ma mai (o quasi mai) qualcosa di preciso e netto come un singolo partecipante al gioco. In questo caso la regola antecede la realtà (che in precedenza non esiste o chi cui possiamo dire poco), la quale poi nasce con l'osservazione ma senza (al momento) la comprensione della regola di creazione. Mi spiego. Quando io mi accingo a fare una osservazione quantistica (prima di farla) non sto misurando qualcosa che è gia in atto. Non solo, secondo le regole che ci sono date, neppure posso prevedere quello che misurerò.  Per cui la m.q. che antecede l'atto di misura non può descrivere la realtà. E' una regola senza giocatori. Quello che io chiamerei "matematica pura" ...
Poi esiste un'altra regola: l'atto di misura rende reale una proprietà, ma questa non segue la meccanica classica. Facciamo conto che la m.q. sia uno scatolo di gioco, tipo il risiko. Io sono il giocatore esterno, o meglio quello che farà l'osservazione, e accanto a me ho altri giocatori/osservatori. Abbiamo un bel gioco da fare ora però ricapitoliamo le regole. Io ho la possibilità di prendere un carro armato viola alla volta il secondo osservatore un carro armato nero, il terzo un soldato un carro armato bianco.  Abbiamo tutti le stesse probabilità: 33%. All'interno dello scatolo però non esistono carri armati e tanto meno la vernice per colorarli. Esistono però delle fessure da dove può uscire un carro armato viola o non uscire alcun carro armato (cosi uguale per gli altri due amici osservatori) Io che faccio. mi metto con un piccolo barattolo sotto la fessura di mia competenza e faccio un klikk dalla parte  del carro armato viola e osservo che alle volte esce un carro armato (che sarà viola per forza) alle volte non esce nessun carro armato. Alla fine quando tutti noi avrermo piu o meno 1/3 dei carrarmati totali incominciamo il gioco del risiko. Prima però il gioco lo ha fatto lo scatolo vuoto ma con una regola ben precisa. Deve restituire ai partecipanti 1/3 di carri armati di un solo colore.
Quella della regola probabilistica è una regola che descrive in comportamento della somma totale dei carro armati. Non del singolo. Il singolo è costretto diciamo a non indugiare troppo nell'uscire.
Come si vede il gioco non ha pezzi reali all'interno, ma per realizzarsi impone una regola probabilistica. Come posso notare la regola interna alla m.q. (che io ho accumunato allo scatolo del risiko) è molto piu importante del partecipante (in quel caso il carro armato). Non può esiste un partecipante senza la regola e il partecipante è reale solo dopo aver rispettato la regola probabilistica.

Per cui per finire la matematica alle volte, come nel caso della m.q. , non descrive la realtà, ma detta le regole della sua stessa esistenza. 

Come abbiamo visto nella discussione sull'entangled (per chi ha partecipato) nato da un argomento parallelo che lo ha fatto nascere (fisica e tempo) alle volte la matematica da una regola per la nascita della realtà e noi la osserviamo mentre si realizza. In taluni casi però le regole cosi trovate non bastano a farci comprendere i meccanismi. Anche la stessa regola probabilistica a me lascia un po' interdetto. Quella è una regola fondamentale o è solo il modo migliore per fare una previsione? Non è molto chiaro. Due sistemi entangled si correlano nonostante siano lontani e nonostante le correlazioni nascano solo ad osservazione attuata; anche questa ultima regola non è molto chiara e ci lascia senza alcuna spiegazione di come facciano a rimanere correlate. Ovvero tra le regole da una parte e la realtà dall'altra, manca una comprensione meccanica che noi fondiamo ad esempio con  il principio di causa ed effetto. Se una dopo l'altra dovessimo abbandonare principi cardine che si legano alla comprensione, per mantenere in piedi solo regole matematiche (scatole di gioco vuote), dovremmo abbandonare l'idea di avere del mondo una "visione" comprensibile.
#448
Tematiche Filosofiche / Re:Fisica e Tempo
27 Maggio 2018, 11:26:50 AM
Citazione di: Apeiron il 26 Maggio 2018, 13:04:48 PM
Ciao @Il_Dubbio,


CitazioneLa risposta che ho ricevuto è che la m.q. non fa distinzioni. Ma allora in che senso continuano ad essere entangled se non possiamo distingure il comportamento?

In realtà, è stato proprio l'esperimento di Aspect a confermare la predizione di Bell che a sua volta ha confermato l'esistenza effettiva delle correlazioni.  Non capisco, sinceramente, questa tua affermazione. Le particelle entangled hanno un comportamento "diverso" dalle altre, altrimenti non avrebbe senso tutta la questione!

Io sono d'accordo con te, ma ho ricevuto una risposta diversa. Rimango un po' disorientato almeno fino a quando capirò come cambiano le probabilità quantistiche tra una situazione di tipo entangled da una non-entagled. E' chiaro che devono cambiare se è vero che gli esperimenti attestano le correlazioni.
Se le attestano allora non c'è via di scampo, per rimanere correlate non possono farlo "a caso". Per cui deve per forza esserci una causa alle correlazioni in modo non-locale, ovvero avvengono per scambio di informazioni tra i sistemi.  Scambio che noi non vediamo direttamente ma lo attestiamo dai risultati sperimentali.
So che ormai questa discussione è andata anche oltre le nostre possibilità e penso abbiamo detto tutto. Per cui se se non ci sono novità in merito rimaniamo con i nostri rispettivi dubbi riflessivi fino a quando avremo qualcosa di nuovo da dire, grazie per la tua pazienza  ;)
#449
Tematiche Filosofiche / Re:Fisica e Tempo
24 Maggio 2018, 00:17:24 AM
Citazione di: Apeiron il 23 Maggio 2018, 23:16:16 PM
Risposta a Il_Dubbio...

lasciami chiarire un paio di cose. Primo: la correlazione "in potenza" a cui mi riferivo è dovuta a come è impostata la teoria di Bohr. Bohr non accetta che si possa parlare in modo sensato di "posizione" all'infuori della misura, quindi dire che le posizioni sono correlate è errato. Ciononostante le particelle sono correlate. In sostanza "non è un caso" che due particelle siano entangled: per esempio possono essere entangled due particelle prodotte durante un decadimento. In questo caso se la particella P decade in P1 e in P2 (due particelle) queste due sono entangled. Visto che sono entangled, sappiamo che i risultati di potenziali misure saranno "correlati". Se pensiamo allo spin (supponendo che possa avere solo due valori) mentre per due particelle indipendenti abbiamo quattro possibili coppie di risultati sperimentali ciascuna con il 25% di probabilità di verificarsi, nel caso di due particelle entangled le coppie di risultati sono due. In sostanza è come se le particelle "si ricordassero" della loro comune origine e che questo "ricordo" facesse in modo che i risultati delle misure sono a loro volta correlati.
Quindi è bene precisare che ci sono, effettivamente due "correlazioni": una è tra le particelle (questa è in atto), l'altra è quella potenziale (che può attualizzarsi o meno) tra i risultati della misura (ovvero la correlazione tra i risultati è potenziale). Ma, come ben dici, perchè ciò succede? Qual è la ragione per cui ciò avviene?


CitazioneOppure diciamo: la scienza non vuole spiegare perche non sa spiegare. A me questo risvolto piace di piu che una soluzione che si priva di una soluzione.

Beh, direi che è così! In fin dei conti se seguiamo Bohr, noi studiamo i sistemi quantistici con i concetti classici. E i concetti classici non sono validi all'infuori della misura. Ergo, la teoria di Bohr ammette, per così dire, la propria ignoranza. Tuttavia è chiaro che non essendo le proprietà reali se non all'atto della misura, l'entanglement non può essere spiegato come scambio di informazione.

Secondo: la probabilità. Vorrei fare una precisazione. Nel caso di Bohr il probabilismo è intrinseco. Quindi non è la stessa cosa di misurare la probabilità del lancio di un dado. Su questo credo che concordiamo. In questo caso, intrinsecamente il risultato sarà probabilistico e quindi mi aspetto che, ad esempio, per "come vanno le cose" quando effettuo la misura (nell'esempio di prima) ottengo uno dei due risultati col 50% della probabilità. Viceversa, nel caso di Bohm tale "probabilità" è spiegata esattamente come il caso del lancio dei dadi (ovvero nel secondo caso).

Spero di aver chiarito meglio la questione delle correlazioni. C'è una correlazione "in atto" tra le particelle e una correlazione in potenza tra i risultati delle misure  :)

In questi giorni mi è venuto un dubbio. Per cui mi sono rimesso a studiare (nel senso lato del termine) tutta la questione sulle correlazioni e specificatamente su come è impostato il ragionamento di Bell.
Alla fine ho trovato una falla. Siccome però non sono ancora sicuro, anche se presumo di non essere molto lontano dal vero, ti pongo un quesito preciso, dopo ti spiego il retropensiero.

Per chi ci ascolta ricapitolo la questione Bell semplificandola.

Bell dice: i sistemi nascono correlati ok, ma se nascessero gia con delle proprietà i risultati delle misure dovrebbero concordare 5 volte su 9 (9 sono le possibilità in totale). La meccanica quantistica invece, facendo un conteggio diverso, sostiene che il rapporto è 50% e 50%. Se le disugualglianze sono violate ci troviamo difronte all'impossibilità che i sistemi nascano gia con quelle proprietà.
Fino a qua ci siamo, e sappiamo che gli esperimenti violano le disuguaglianze e si accordano invece con le probabilità quantistiche.

La domanda è questa: se invece di coppie entangled usassimo fotoni non entangled riusciremmo a distinguere, solo facendo il conteggio che fa Bell, le coppie entangled da quelle non entangled? Ovvero se la relazione, il rapporto, è 1/2 per sistemi entangled che tipo di relazione ci sarebbe invece tra quelle non entangled?

La risposta che ho ricevuto è che la m.q. non fa distinzioni. Ma allora in che senso continuano ad essere entangled se non possiamo distingure il comportamento?

In un certo senso capisco il problema posto da Bohr anche se lui non aveva ancora avuto modo di vedere gli esperimenti di Bell... solo che qui io noto un problema fondamentale (che precedentemente non avevo ancora valutato, e chissa quanto altro scoprirò alla fine) e cioè il fatto che parliamo di sistemi entangled che si rendono indistinguibili da sistemi non-entangled. Se solo non fossero piu entangled anche se noi li riteniamo ancora intrecciati, non ci sarebbe alcun problema dovuto ad invio di informazioni per rimanere correlati, in quanto non hanno piu bisogno di esserlo.  ::)
#450
Tematiche Filosofiche / Re:Fisica e Tempo
19 Maggio 2018, 23:03:13 PM
Citazione di: Apeiron il 19 Maggio 2018, 12:43:30 PM

Risposta a Il_Dubbio

CitazioneL'influenza causale tra apparato di misura e sistema quantistico non può essere messo in dubbio. Ovvero se c'è interazione tra apparato di misura e sistema quantistico abbiamo la misura. Per cui c'è bisogno di una interazione (oggettiva) per ottenere una misura. Quindi l'interazione è la causa della misura.
Quello che intendevo era che l'influenza causale tra i sistemi distanti si riduce solo alla comunicazione degli osservatori. Effettivamente quanto ho scritto poteva essere visto come una negazione dell'interazione che corrisponde alla misura. Come ben dici nessuno nega ciò. Hai fatto bene a farlo notare! Perdona l'equivoco.

CitazioneSe sostieni che la correlazione sia un atto di misura provocato dalla comunicazione  tra i due osservatori, stai (secondo me) sorvolando sul concetto di misura che è un atto preciso ovvero una interazione tra l'apparato e il sistema di misura. Nella comunicazione fra i due osservatori l'apparato non c'è, avviene solo uno scambio di informazione (a voce, o tramite telefono, o anche personalmente) tra due fisici che ovviamente hanno gia fatto le loro misure e quindi hanno gia operato per creare le condizione per fare una misura. Per cui secondo me o è vera la 2) oppure la 3)
Questo per me invece è un non-sequitor. Gli atti di misura sono "atti precisi", ma sono atti che avvengono anche in uno spazio e in un contesto preciso. La misura è una interazione tra l'apparato di misura e il sistema quantistico. Ma il fatto che i risultati delle due misure sono correlati e ottenuti con atti precisi non implica che tra di loro ci sia una connessione. Implica solo la correlazione. L'eventuale interazione tra i due osservatori (o tra i due apparati o tra i due sistemi) avviene sempre a velocità subluminali. Discorso diverso è se accetti la "definitezza controfattuale" (il realismo Einsteiniano), in tal caso, invece, non riesci a spiegare la correlazione senza una connessione (a meno che non scegli la non-spiegazione superdeterministica).

Citazioneammettiamo che io faccio la misura e tu ne fai un'altra da un'altra parte. I nostri sistemi quantistici non sono correlati (questo sembra tu dire con la contraddizione che io leggo) fino a che noi due non siamo in grado di comunicarci le reciproche misure.

La correlazione c'è anche prima, ma è una correlazione tra risultati di potenziali risultati di misura. (vedi anche la discussione con @sgiombo). Bohr accetta tale correlazione. Non accetta però che la correlazione sia sempre in atto (conseguenza del realismo Einsteiniano). Inoltre il fatto che all'atto della misura i risulati siano effettivamente "correlati" come atteso non implica la connessione (vedi l'esempio dei calzini che ho fatto a @sgiombo in questo post).

Spero di aver chiarito l'equivoco  :)

mi spiace ma non ti seguo. Rispondo su questo:
La correlazione c'è anche prima, ma è una correlazione tra risultati di potenziali risultati di misura. Bohr accetta tale correlazione. Non accetta però che la correlazione sia sempre in atto (conseguenza del realismo Einsteiniano).

Non posso condividere questa linea, in quanto la correlazione in atto non è una conseguenza del realismo einsteniano perchè l'abbiamo gia eliminata dopo il teorema di Bell ed esperimenti (ma Bohr ed Einstein non sono stati testimoni di questa evoluzione). Al limite Bohr non accetterebbe che vi sia invio di informazione, ma quello è ciò che einstein vuole dimostrare. Il fatto che vi sia correlazione è conseguenza del fatto che vi sia scambio di informazione. Se elimini lo scambio di informazione senza spiegare in che modo riescano ad essere correlati non hai spiegato nulla. Eliminare la spiegazione non vuol dire spiegare. Oppure diciamo: la scienza non vuole spiegare perche non sa spiegare. A me questo risvolto piace di piu che una soluzione che si priva di una soluzione.

Comunque sia, essere in atto non vuol dire che sia precedente all'atto di misura come avrebbe voluto Einstein, ma è comunque in atto nel senso di conseguenza delle misure effettuate. Quindi la correlazione c'è  potenzialmente è vero e siamo d'accordo.  A noi però non importa la potenzialità della correlazione, ci interessa che essa sia dovuta alla misura e no a scambi di informazioni fra osservatori. Se posticipi l'atto della correlazione, ovvero come sarebbe piu giusto cioè dopo la misura che ne è l'unico momento scientificamente plausibile, stai soltanto  cancellando la correlazione dovuta all'atto di misura. Non è piu una correlazione causale ma ipotetica. Cioè stai svalutando il motivo per cui le particelle sono entangled. Sono entangled ipoteticamente o la loro correlazione è un atto?
Se dici che è un atto, devi poter specificare l'atto... se l'atto diviene solo quando avviene un'informazione fra due osservatori allora non è vero che la misura delle due particelle abbia rilevanza sulla loro correlazione. Per cui la misura non serve a nulla. Hai cambiato cosi tutta la meccanica quantistica.

Veniamo al dunque. Come ho gia detto la meccanica quantistica si affida alle probabilità. La correlazione esprime una probabilità del  100%. La meccanica quantistica cioè non dice che A manda un segnale a B in modo che sia correlato al 100%. Sostiene solo la certezza di una correlazione.
Ho letto molti esempio che hai fornito. Ad esempio quella della mano che se sbatte contro il muro sente dolore.
In che modo usiamo il concetto di probabilità in questo caso? Un conto è dire che se sbatti la mano contro il muro sentirai dolore e questo è dovuto alla certezza probabilistica che ti ho dato dovuta al 100%, un conto è dire che per essere sicuro di trovarti di fronte alla probabilità del 100% devi sbattere la mano 100 volte e sentire il dolore tutte e 100 volte.
A me sembra che tu stia utilizzando il concetto di probabilità come nel secondo caso. Ovvero: non sono in grado di stabilire di trovarmi difronte alla certezza di una correlazione, devo stabilirlo facendo 100 tentativi. A questo punto utilizzando il criterio della probabilità come l'assunzione di non essere nelle condizioni di poter dire di trovarmi di fronte proprio a quella correlazione, e potendo dedurlo solo statisticamente, non sono in grado di poter stabilire che ci sia una correlazione in atto, per le singole correlazioni,  ma posso dedurlo solo statisticamente. Ho letto bene cio che volevi dire oppure ho travisato?