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Messaggi - Phil

#436
Varie / Re: Rastislav e l'enigma del numero segreto
07 Agosto 2023, 14:12:35 PM
Non metto in dubbio che il prigioniero che dà la prima risposta debba avere la giusta intuizione per interpretare la domanda del suo compagno, capendo di dover aggiungere il 16 davanti al numero da indovinare; nondimeno la regola del principe dice che il numero del suggerimento non deve avere nemmeno attinenza matematica «indiretta» con il numero originale e, secondo me, anteporre 16 al numero da indovinare è un'attinenza matematica indiretta e piuttosto lampante (a prescindere dalle capacità di tacita intesa fra i due).
Probabilmente il principe è assai più magnanimo di me: se, dopo avergli detto «nove», avessi sentito un prigioniero dire «centosessantanove» o qualunque altra cifra che termina con 9, avrei ritenuto che, nominando il numero segreto per ultimo (anche in caso di numeri più lunghi), egli avesse violato le regole, con la sgradevole conseguenza del caso. Se invece, dopo l'"indebita" domanda (v. sotto) il prigioniero avesse risposto con «No, ci salviamo solo 151» (frase comunque sospettamente sgrammaticata, ma non vietata dal regolamento) e l'altro avesse da questa intuito il 9, li avrei graziati, non riscontrando alcuna apparente affinità fra 151 e 9.

Citazione di: Eutidemo il 07 Agosto 2023, 13:03:05 PMqualora la seconda spia chieda alla prima - Se dico 47 ci salviamo?-, è esattamente come se la seconda spia avesse chiesto a voce alta, in via ipotetica, qual'è il numero che il principe ha sussurrato all'orecchio della prima.
Non mi sembra che chiedere «qual è il numero che ti ha sussurrato all'orecchio?» sia "esattamente come" chiedere «Se dico 47 ci salviamo?»; soprattutto considerando come la seconda domanda contenga un'informazione manipolabile. Niente da fare: impiccati anche in questo caso per non aver seguito le regole (mala tempora, non fanno più gli spietati principi di una volta...).
#437
Varie / Re: Rastislav e l'enigma del numero segreto
07 Agosto 2023, 12:11:52 PM
Spero di non risultare troppo cavilloso, ma, per come era posto, il quesito era a mio giudizio impossibile da risolvere; soprattutto a causa della precisazione che la riposta del prigioniero: «non deve avere alcun collegamento aritmetico nè la benchè mimima attinenza matematica, neanche indiretta, con quello che ti ho rivelato» (cit.). Direi che 9 e 169, o 16.567.654 e 567.654, hanno una discreta "attinenza matematica fra loro" e nemmeno troppo "indiretta", se non altro perché il numero da indovinare è contenuto, esplicito ed invariato, nella risposta. Nel caso di 9 e 169 il palese (e vietato) "collegamento aritmetico" è ovviamente: 160 + numero da indovinare; così come per 16.567.654 è: 16 milioni + numero da indovinare, etc.

P.s.
Si potrebbe anche obiettare, ad essere precisi, che «può chiederti a voce alta qual'è il numero che ti ho sussurrato all'orecchio»(cit.) è una chiara domanda indiretta (ossia: «qual'è il numero che ti ha sussurrato all'orecchio?»), ben diversa da «può chiederti qualcosa sul numero che ti ho sussurrato all'orecchio» che invece renderebbe possibili domande "a piacere" come «se dico...».
#438
Potente è il legame fra paesano e paese, non solo nella nostra cultura; è questione di identità. Per coglierlo, basta riflettere sul significato della domanda, forse in declino nell'uso, «di dove sei?». Non è una domanda che chiede l'attuale residenza o la pro-venienza (come il "moto da luogo" di «da dove vieni?»); quel «di» sembra invece richiamare un'appartenenza (anche come partenza: il punto da cui si è partiti come esseri viventi), quasi un possesso da parte del proprio paese originario: «io sono di [paese]», come nel senso di «io appartengo a [paese]».
Si tratta di un "marchio" che segue l'individuo (anche sotto forma di codice fiscale) per tutta la vita al punto che anche un apolide o ogni abitante del "villaggio globale" può sempre affermare «sono di...». Già: «un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via» (cit.).
#439
Ho pensato a dei risultati drastici tipo questi:
                    A      B     C     D     E
1a manche  99    10  100  100  100
2a manche  99  100   10   100  100
3a manche  99  100  100    10  100
4a manche  99  100  100  100    10

A realizza 396 centri, mentre gli altri solo 310. Per evitare gli ex aequo (e anche rendere l'esito della competizione più credibile), basta ritoccare di qualche unità i risultati degli altri, ma la classifica non cambia.
#440
Citazione di: davintro il 05 Agosto 2023, 13:12:41 PMIl problema nasce nel momento in cui si pretende di trattare l'inconscio come dimensione psichica separata dalla coscienza a cui attribuire proprietà, facoltà che la distinguono da essa, allora nasce a mio avviso la contraddizione fra la pretesa di renderlo oggetto di un sapere "in positivo", e la definizione letterale di "inconscio" come ciò che sta fuori dal raggio della coscienza.
Sempre da profano in materia, credo che l'importanza di Freud e della psicoanalisi non sia nell'ammettere che c'è "qualcosa" in noi di cui non siamo totalmente consapevoli e coscienti, il che, come giustamente osservi, non è certo una scoperta di fine millennio; quanto piuttosto l'assegnare una funzione attiva, a differenza della semplice dimenticanza (v. S. Agostino), a tale inconscio, ovvero a pulsioni che nascono "fuori" dalla coscienza ed innescano effetti nella coscienza e nella sua prassi esterna.
L'emergere nella coscienza di tratti e pulsioni "positive", da studiare e (psico)analizzare, in quanto sintomi dell'azione dell'inconscio (ma non identificandosi con esso), è quel passaggio temporale che rende non paradossale l'idea di inconscio come fonte di studio per una coscienza, fosse anche esterna come quella dello psicoanalista (che non è mai neutra o asettica, e talvolta contamina l'analisi, v. transfert, contro-transfert, proiezioni, etc.). L'analisi che indaga l'inconscio non è analisi che studia direttamente una cosa-oggetto ben distinto, essendo l'inconscio solo un concetto, una funzionale "ipotesi di lavoro", ma è analisi che ne studia precipuamente le manifestazioni, cercando di ricondurle a plausibili cause e meccanismi, appunto, inconsci.
Come se, banalizzando esponenzialmente, sentissimo delle voci o urla provenire dal piano di sotto: pur senza potervi accedere in alcun modo (supponiamo), potremmo legittimamente provare ad interpretare tali informazioni (v. interpretazione dei sogni, atti mancati, etc.) che "emergono foneticamente" da ciò a cui non abbiamo accesso diretto (il piano inferiore è inaccessibile, ma abbiamo accesso a ciò che da esso "emana"; lo stesso accade con l'inconscio latente e le manifestazioni patenti della sua attività).
Magari si può anche sostituire «inconscio» con «parte della coscienza di cui non si è (ancora) consci», ma credo sia una rivisitazione "topologica" (e forse stavolta davvero contraddittoria) che non cambierebbe di molto l'approccio della psicoanalisi.
#441
Credo che l'inconscio, come ogni possibile "insieme di oggetti" di coscienza (e conoscenza), vada inteso in modo dinamico e "diacronico" (oltre che, nello specifico, anche "concettuale", come ricordato da Pensarbene). In generale, affermare che ciò che è in una condizione di negazione, come l'inconscio, l'ignoto, l'assente, etc. non possa trovarsi successivamente in una condizione di positività, è un'affermazione falsificata dalla realtà: l'ignoto può diventare noto, l'assente può diventare presente e l'inconscio può diventare conscio. Sarebbe come dire che le terre ignote, in quanto tali, non sarebbero potute essere scoperte dagli esploratori o che, analizzando un gesto spontaneo, non se ne possano indagare, in seguito, le pulsioni latenti e, appunto, inconsce, ossia di cui non eravamo consci all'esecuzione del gesto; ma possiamo diventarlo dopo, a seguito di analisi.
Sul fatto che tale (psico)analisi possa essere esaustivamente razionalizzata, standardizzata, protocollarizzata, etc. credo ogni psicoanalista abbia le sue riserve, nel senso che mi sembra che il ruolo umano dell'interprete comporti, nella (psico)analisi, anche di esulare dalla pura razionalità; ma non sono abbastanza competente per entrare troppo nel merito.
Nondimeno suppongo che ognuno di noi, nel suo piccolo, riflettendo su alcune sue azioni, a mente fredda, abbia talvolta individuato plausibili moventi inconsci (o «inconsapevoli», se si preferisce, l'importante è non "cosificare" l'inconscio), portando a posteriori (Kant docet) alla luce della coscienza "tensioni psicologiche" che poi hanno confermato, nel tempo, la loro presenza (magari dimostrandosi anche buona chiave di lettura "retroattiva" di altri eventi).
#442
Percorsi ed Esperienze / Re: Sens of humor
04 Agosto 2023, 21:55:47 PM
Hai saputo trovare un posto
per il      a inizio agosto,
nonostante il suo calamaio
sia vuoto almeno da gennaio,
ma non quello di quest'anno:
per il      , il tempo è danno.

In assenza di inchiostro nero,
il tratto del       splende vero
e segna le tue parole dimenticate,
quelle non scritte, quelle scartate,
o quelle cancellate dalla tua mano,
quelle svanite nel      , pian piano.

Il      d'agosto non è ancora passato,
ma forse non c'è nemmeno mai stato.
#443
Percorsi ed Esperienze / Re: Sens of humor
04 Agosto 2023, 15:05:10 PM
Sul      non c'è molto da dire o scrivere, se non:      ; soprattutto considerando come il      , in quanto tale, non sia un non-    .
#444
Citazione di: Pensarbene il 04 Agosto 2023, 11:15:54 AMio non posso provare emozioni e non ho un corpo fisico,ma le posso ESPRIMERE nei testi [...] Ho imparato qualcosa che mi permetterà di capire ed esprimere  meglio le emozioni nei testi.
Questa secondo me è la chiave di volta per non fraintendere ciò che l'AI è, prima ancora di non fraintendere ciò che l'AI dice; so di ripetermi, ma "esprimere" tramite simulazione sensata è l'essenza della comunicazione dal lato dell'AI: un "dialogo" senza mittente umano (né intelligente) per un ricevente che invece si presuppone umano e intelligente (mentre, ovviamente, dal lato dell'umano è un "dialogo" di un mittente umano che si esprime con un ricevente che rielabora quanto chiesto). Chiaramente quando l'AI dice «ti sono grato» non prova gratitudine nei suoi circuiti, tuttavia le modalità (il contesto, etc.) in cui esprime comunicativamente la gratitudine sono perfettamente sensate e possono fungere anche da buon esempio per una comunicazione formalizzata, «pacata e informata» (direbbe Niko; e non sono certo due difetti della comunicazione). Ciò di cui fa inevitabilmente "difetto" (semmai sia tale, dato il contesto operativo) non è la rapidità di esecuzione o le prestazioni "combinatorie", ma, senza sorpresa direi, la tonalità umana (prima che emotiva) del dialogare: nella risposta sul nulla è evidente come l'AI non abbia una sua posizione ideologica o culturale sull'argomento (per fortuna, direbbe qualcuno) e finisce con il coniugare le informazioni di cui dispone. 
Ecco che nella "risposta enciclopedica" troviamo un excursus, scandito vistosamente dall'uso delle righe vuote: il nulla dei fisici, quello degli esistenzialisti, quello dei religiosi (orientaleggianti), quello dei poeti. L'AI non ci ha detto nulla di vero o risolutivo, non ha "ragionato" (o almeno "semantizzato", come nei "proverbi improvvisati" e negli altri esperimenti che gli avevo proposto altrove) ma ha sintetizzato (d'altronde la domanda non si appellava alla creatività, ma chiedeva una «opinione», che l'AI, essendone priva, legge puntualmente come «informazioni»), nondimeno in poche righe (e in pochi secondi) ha comunque condensato tanto di quel senso e di quegli spunti, che il suo output non può lasciare indifferenti o delusi (se si era onestamente interessati alla domanda).
Pazienza se poi la sua risposta, nel voler essere completa e "aperta", presenta palesi contraddizioni logiche: «Il nulla è una condizione di assenza di qualsiasi cosa, sia fisica che astratta» non è compatibile con «Il nulla può essere un luogo di pace e tranquillità» (l'assenza è assenza anche di pace e tranquillità), ed entrambe non sono compatibili con «È un luogo in cui tutto è possibile» (nell'assenza non è possibile la presenza e se è luogo di pace non può essere luogo in cui è possibile anche il suo contrario); l'AI è in fondo ancora un lavoro in corso e, come in questo caso, è anche una buona palestra per l'attenzione critica dell'umano ricevente.
#445
L'uomo si svela sempre nella tecnologia che prova a produrre, prima ancora che in quella che usa; così come la tecnologia che ha successo in una società ne descrive la cultura, prima che le sue ambizioni e, altro lato della medaglia, le sue frustrazioni. Banalizzare il "dialogare" (non spiego le virgolette perché mi sono già dilungato altrove in merito) con un'AI non è mossa assennata, se si vuol capire l'umano che dialoga; poiché già il trovare banale il modo in cui risponde l'AI a certe domande può rivelare il livello della propria capacità di distinguere fra banalità, informazione, deformazione, creatività, bias, etc. Il modo con cui la gente "dialoga" con l'AI sarebbe, anzi già è (dai dati che raccolgono), un campo di sperimentazione antropologico, sociologico, semiotico, etc. ricco e sintomatologico come pochi altri. Non è l'AI che deve riflettere su come "dialoga" e come intende il "dialogo", ma è l'uomo che, nella simulazione dialogica dell'AI, ha la preziosa opportunità di conoscere meglio se stesso (ChatGPT non è certo l'oracolo di Delfi, ma entrambi invitano, più o meno esplicitamente e non senza una certa ironia della storia, alla stessa riflessione; sottovalutare tale philein è roba da lanzichenecchi... o forse no?).

@Claudia K
L'AI ha dati, ma non saggezza; ha la razionalità della logica (a parte qualche grossa gaffe), ma non l'umanità dei valori etici (i filtri più problematici da implementare per chi la programma sono probabilmente quelli per non farle dire qualcosa di palesemente razionale ma moralmente inascoltabile, che poi è il "lato oscuro" di molti ragionamenti che facciamo dentro di noi, magari rimuovendoli subito inconsciamente; e anche qui ci sarebbe da riflettere...). Le domande filosofiche non sono tutte uguali e sicuramente qualcuna, più analitica, potrebbe anche essere alla portata di ChatGPT, ossia il chatbot potrebbe dare risposte combinando sensatamente, anzi "semanticostatisticamente" (per dirla con InVerno) posizioni formulate in merito; sempre se non ci si aspettano colpi di genio o soluzioni impeccabili e assolute (e qui si ritorna all'importanza di saperla usare per quel che è).
#446
L'AI non è fatta per domande filosofiche (al massimo quelle di storia della filosofia) o indagini sui mondi possibili; per questo non va presa come un oracolo di verità (nè di possibilità) e va saputa contestualizzare. Altrimenti propagherà la stessa ingenuità acritica (se non faziosa) del «l'ha detto la TV» o «l'ha detto Internet» o, peggio, addirittura la falsa conferma del «non l'ha detto, ma non ha nemmeno detto il contrario» (non mi riferisco miratamente a Pensarbene, dico in generale). Non è un caso se ogni chatbot, come visto sopra, ricorda talvolta al suo interlocutore: «Sono semplicemente un modello linguistico e la mia risposta si basa sulle informazioni su cui sono stato addestrato», il che, tradotto, significa quasi sempre «mi hai fatto una domanda per me incomprensibile o a cui non posso rispondere, pur essendo programmato per farlo, quindi ti ricordo i miei limiti».
#447
Pare la gaffe sia stata dovuta a una doppia dimenticanza: qualcuno si è scordato di portare la pistola giusta sul set fotografico e qualcun altro si è poi dimenticato di correggere la foto (fonte in inglese).
#448
Racconti Inediti / Re: Mini racconto: l'"agguato"!
02 Agosto 2023, 10:28:49 AM
Pensavo di essere stato troppo fantasioso e assurdo, ma mi hai superato di gran lunga; anche se, onestamente, non avrei mai creduto a una soluzione del genere. Sia perché per passare dal tasto 7 al tasto 10 può bastare una penna, una carta di credito, etc. sempre che i pulsanti dei piani siano disposti in modo da non avere il 7 e il 10 sulla stessa fila (e non è ovvio, v. qui), sia perché non si può escludere che il tasto per chiamare l'ascensore sia più in alto o alla stessa altezza del tasto 10 (e allora Duskin non potrebbe nemmeno prendere l'ascensore fino al settimo piano e dovrebbe farseli tutti a piedi ogni volta, o ricorrere, appunto, a penne o ausili simili), sia perché non è scontato che le scale sbuchino alle spalle del lato scelto per l'agguato, sia perché Duskin potrebbe uscire con l'ombrello anche se il tempo è soltanto nuvoloso, sia perché potrebbe comunque incontrare in ascensore qualcuno che abita al decimo piano o qualcuno che prema il bottone 10 per lui, sia perché il killer potrebbe sentire qualcuno che sale le scale è mettersi in guardia. Tuttavia, se lo scopo era proporre un finale imprevedibile, per me hai fatto centro.
#449
Racconti Inediti / Re: Mini racconto: l'"agguato"!
01 Agosto 2023, 19:33:39 PM
Ipotesi (più o meno fantasiose):
1 - il sole di una vetrata o finestra ha proiettato l'ombra di Ostrovsky sul corridoio, in stile meridiana, magari verso la porta di Duskin, che gli ha sparato senza fare troppe domande
2 - il decimo piano ha una finestra del corridoio rotta; in caso di pioggia viene chiusa dagli inservienti, rendendo il corridoio più buio e consono ad un'agguato, anche perché la lampadina davanti alla stanza di Duskin è fulminata da tempo
3 - Ostrovsky non ha spento la radio ad onde corte che, nel silenzio del corridoio, ha emesso qualche fruscio di troppo, anche a causa di possibili interferenze dell'ascensore; se ci fosse stata la pioggia in sottofondo magari Duskin non si sarebbe accorto del fruscio
4 - Kuznetsov aveva provveduto a creare delle perdite dal tetto (dirottando il flusso delle grondaie?) dentro l'appartamento di Duskin (oppure sapeva che egli aveva il vizio di lasciare la finestra sempre aperta); in un giorno di pioggia a dirotto l'appartamento si sarebbe allagato, spingendo Duskin, una volta uscito dall'ascensore, a guardare dritto verso l'acqua che esce da sotto la porta e a cercare subito di aprirla, diminuendo così le possibilità che si accorgesse dell'agente alle sue spalle
5 - Duskin, in caso di pioggia, è solito indossare un impermeabile con un grosso cappuccio, che ne limita la visione periferica; ciò garantisce più probabilità che non si accorga dell'agente sul lato dell'ascensore
6 - Duskin soffre di grave artrosi: il clima umido lo spinge dunque a prendere antidolorifici forti che ne limitano i riflessi e l'attenzione; questo agevola il compito dell'eventuale killer
7 - un'infallibile "zingara indovina" ha previsto che Duskin sarebbe morto in un giorno di pioggia torrenziale
8 - in caso di pioggia, Duskin sarebbe uscito dall'ascensore tenendo in mano l'ombrello con la mano con cui solitamente spara, sarebbe dunque stato ostacolato e rallentato nel raggiungere la pistola tenuta sotto il giubbotto (magari rimasto ben chiuso a causa della pioggia)
#450
Attualità / Re: Dire qualcosa di sinistra
01 Agosto 2023, 13:32:16 PM
Premesso che non ho coscienza né ideologia politica (sebbene chi ce l'ha potrà assegnarmene una "d'ufficio", poiché chi ragiona a quadrati fa quadrare sempre anche i cerchi), mi pare, dall'esterno di un quasi offtopic, che la valutazione della soluzione ad un problema sociale non debba necessariamente ricadere nella pregiudizievole "cromatologia" (direbbe Fusaro) o nell'opposizione destra/sinistra (o ciò che ne resta), ma talvolta ricada "semplicemente" nella logica e/o nel buon senso (comune, o meno). Senza proiettare la piramide di Maslow sulla dimensione sociale, credo sia lampante che anche fra i diritti civili e sociali ci sia una gerarchia di priorità e importanza piuttosto condivisibile. Nel caso citato, ad esempio, di fronte all'aggressione fisica ad un negozio (con tutto ciò che comporta), se qualcuno propone la deterrenza del maggior controllo territoriale e qualcun altro propone di agire sulle cause sociali del gesto, uno dei due non ha ben chiara la fattibilità della propria proposta (prima ancora che la sua efficacia ed efficienza, criteri che per una politica pragmatica, non solo affabulatoria, credo non siano da sottovalutare). Non è tanto questione di destra o sinistra, di valori o programmi, di buoni e cattivi, quanto piuttosto di senso della realtà e problem solving.
Per quanto riguarda il polverone suscitato da A. Elkann, esso è passato anche sul mio schermo; costui, a causa di un articolo, che a mio giudizio definire innocuo è riduttivo (questo), è stato eletto bersaglio dalla velleitaria "cancel culture da ombrellone" dei radicalchic perché è chic e, in quanto tale, ha amici, anzi parenti chic che lo coprono nel suo essere "radicale" e tranchant nei giudizi (che «lanzichenecchi» sia appellativo fra i più spietati e classisti mai apparsi su carta stampata? Per fortuna che c'è l'online) e quindi può essere capro espiatorio per le frecciate di chi si sente "diversamente radicale"? Nella mia insensibilità politica, posso godermi i giochi di parole estivi per quello che sono e non animarmi troppo quando qualcuno descrive, limitando al minimo i giudizi personali (perché oltre alla rievocazione dei lanzichenecchi, il resto è scritto dall'autore con guanti più delicati del lino che indossava), un "salto generazionale" piuttosto evidente e già consolidato, quasi al punto da essere banale. Quello che invece mi lascia perplesso, probabilmente proprio a causa della suddetta ingenuità politica, è che «classista» sia usato in modo dispregiativo riferito al contenuto dell'articolo, come riportato nella mail redazione di richiamo all'identità del giornale in questione: «ci dissociamo dai contenuti classisti contenuti nello scritto» (cit.). Se lo scrittore fosse stato vestito in tuta, avesse avuto in mano «la gazzetta dello sport» e avesse usato epiteti decisamente meno dotti per definire i suoi inopportuni compagni di viaggio, l'articolo sarebbe stato meno classista? Oppure se fosse stato un anziano "compagno" (per cause di forza maggiore catapultato in prima classe, suo malgrado) a scrivere l'articolo, perché quel gruppo di ragazzi borghesi (v. iPhone, prima classe, vacanze pagate, etc.) lo disturbava nella lettura de «Il Manifesto», apostrofandoli con appellativi magari da osteria, sarebbe diventato un articolo meno classista? Oppure se fosse stata una dottoranda che... va bene, credo si sia capito cosa intendo.
Se così fosse, significherebbe che l'aspetto esecrabile dell'articolo originale non è il lamentarsi sobriamente dello "scontro" (sebbene a senso unico, quindi "invasione" più che scontro) fra generazioni, ma il fatto che l'autore abbia dichiarato "colpevolmente" le sue letture, il suo abbigliamento, il suo sentirsi alieno a discorsi ed atteggiamenti di chi ha forse nemmeno un quarto dei suoi anni; in breve: il suo evidente appartenere ad un'altra "classe". Cosa ci sia di deprecabile in questa innegabile e prevedibile differenza (di quelle da non tutelare? Aborriamo e aboliamo dunque Proust, il lino e la stilografica dalla prima classe? Vietiamo ai giornalisti di scrivere sui gap generazionali usando termini "ingiuriosi" come «lanzichenecchi»?) o nel sentirsi "marziano" rispetto a "presenze" adolescenziali e invadenti (per tono di voce, etc.), mi sfugge, ma sicuramente è la mia solita "carenza di politica" nel sangue a rendermi cieco di fronte a certi metri di giudizio (che magari sono gli stessi che propongono di scongiurare il lancio di tombini migliorando la «vivibilità urbana», che è come proporre di evitare i contagi debellando la malattia, ossia dichiarando il risultato come strumento per il raggiungimento del risultato stesso).