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Messaggi - iano

#4381
A te sta decretare chi sono le api e chi sono le formiche e chi sono gli uomini, le quali specie , a meno di non credere ai testi sacri, non è scritto in altro posto cosa siano se non dove tu decidi di scriverlo.
Come fai a racchiuderti dentro di te se non per la convenzione che ti definisce, astraendo il fatto che tu, contenga moltitudini di microbi senza dei quali non sopravviveresti?
L'individuo quindi è una definizione di comodo in relazione ad un contesto , e ciò toglie fondamento ad ogni possibile solipsismo, cheche' Viator ne dica.
Preferisco dire che guardiamo dentro di noi perché lo facciamo specchiandoci negli altri, contenendo e essendo contenuti in diversi possibili modi.
Non esiste individuo in se', in se' stesso racchiudibile, se non in senso operativo relazionale, e quindi in modo non univoco determinabile.
Penso quindi sono, significa che la funzione definisce il soggetto, senza che vi sia un modo univoco di descrivere i fatti come relazioni fra oggetti.
Se cambiano gli oggetti cambiano le relazioni, ma il risultato non cambia.
#4382
Se volessimo traferire al mondo micro l'intuitività macro legata alla geometria euclidea, potremmo immaginare una particella come una sfera , il cui centro rappresenta la sua posizione, che vibra in continuazione con moto ondulatorio in un range descritto dalla disuguaglianza in cui si esprime il principio ,il che renderebbe conto del perché l'incertezza della posizione non si possa disgiungere dalla incertezza sulla velocità.
Ma se facciamo l'operazione inversa, andando dal micro al macro, con la nuova mentalità che l'esperienza micro ci ha dato, allora parimenti ci apparirà  una natura duale , concreta e ideale.
Se la tocchiamo è una massa concreta  ma se la osserviamo è una sfera ideale.
La natura in cui ci appare dipende ancora dal particolare esperimento percettivo con cui la riguardiamo.
La natura diversamente ci appare univoca nella misura in cui il cervello a nostra insaputa sovrappone le diverse forme dentro di se' creando un unico oggetto con diverse nature, e dove non arriva il cervello in forma implicita arriva la matematica in forma esplicita.
Una ulteriore dualità' apparente in ragione del fatto che si usi lo strumento della coscienza oppure no.
#4383
La morale filosofica che possiamo trarne è che la forma in cui la realtà ci appare dipende da come la guardiamo e che possiamo descrivere questa forma attraverso la matematica e la logica, mediante i concetti di continuo, discontinuo, sovrapposto, complementare, esclusivo, etc... ma alla natura in se' nulla di tutto ciò necessariamente si attaglia, perché non c'è un esperimento che possa attestarlo in modo univoco.
La forma in cui il mondo appare alla nostra percezione è univoca perché una è l'esperienza percettiva.
La scienza può essere vista come un insieme di esperienze percettive alternative, quindi modi diversi di vedere il mondo con relative diverse apparenze.
Nella misura in cui riusciamo a descrivere queste nuove forme nei termini delle forme della percezione sensoriale esse risultano a noi ancora relativamente intuitive.
Ma ciò che conta ai fini pratici è che si possano esprimere quelle forme attraverso la matematica.
Una di queste è il principio di indeterminazione espresso da una disuguaglianza matematica che ha validità generale, ma che è nato nella dimensione micro, come un onda che nata in uno stagno si è propagata nello spazio.
Ciò non è strano perché la matematica sta dove la metti, anche quando nasce in un preciso contesto.
Se ci limitiamo alla percezione sensoriale in un contesto macro le forme della geometria euclidea bastano a descrivere la realtà che ci appare, e siccome per lungo tempo siamo rimasti a quel contesto relegati, ci è parso che la realtà fosse un libro leggibile per chi ne conoscesse il  linguaggio con cui è scritto in caratteri geometrici.
Ma non esiste un linguaggio unico e diverse sono le possibili descrizioni, ma tutte nella sostanza veicolano la nostra esistenza.

#4384
Citazione di: daniele22 il 28 Maggio 2021, 22:52:22 PM
Per quel che ne sai si considera continua la luce quando viaggia nel vuoto?
Per l'ulteriore principio di complementarietà la luce come la materia si manifestano come onda, quindi in forma continua, oppure come particelle, quindi in forma discontinua, in relazione all'esperimento che le rileva.
Ciò significa che la natura duale onda particella non si rivela mai in un singolo esperimento contemporaneamente.
Se faccio passare un fascio di elettroni da una singola fenditura li rilevo come particelle, se raddoppio le  fenditure li rilevo come onde.
Anche per questo diverso principio la parolina magica è "contemporaneamente".
Qualunque sia la forma in cui la luce si presenta a noi nel vuoto non cambia invece la sostanza che è quella per cui la luce trasporta energia.
In analogia con le onde in uno stagno , per cui sembra non possano esservi onde senza un mezzo che le veicoli, i fisici si sono inventati i campi elettromagnetici, ma da un punto di vista sostanziale l'acqua dello stagno dissipa l'energia che trasporta l'onda.
Sia nel vuoto che nello stagno si ha trasporto di energia senza trasporto di materia, se si esclude appunto il movimento periodico delle molecole d'acqua in su e in giù , ma non in avanti, cioè nel senso in cui si propaga l'energia, movimento che alla fine dissipa l'energia dell'onda attenuandola.
L'analogia quindi non regge del tutto perché nel campo elettromagnetico nel vuoto non si dissipa energia. Tuttavia il concetto matematico di campo ha un vasto impiego in fisica al di là' del motivo per cui è nato.
#4385
Ciao Viator.
Mi sembra di essere tornato alle misure a palmi e a braccia, ma non lo dico con ironia, perché in effetti non sembra possibile allontanarsene se possiamo integrare i nostri strumenti nella nostra anatomia e le nostre teorie nella nostra psiche.
Ma in questo quadro come integriamo il nostro principio in discussione?
Se devo dirti il vero io , mettendo in campo la mia anatomia, la mia psiche e il mio intuito, non ci trovo niente di strano nel principio di indeterminazione , tanto che trovo strano non vi sia un limite più generale  riferito ad ogni singola misura.
Non abbiamo evidenza ancora di ciò, ma non possiamo nemmeno escluderlo .
Anche su questa ipotesi ci si potrebbe esercitare filosoficamente, e ciò avrebbe un senso non solo filosofico, perché è dalle loro possibili conseguenze che a volte si risale indirettamente alle cose, così che si risale alla velocità istantanea con un calcolo a partire dalle forze note, dato che in se' la velocità istantanea non è cosa intuitiva, come lo è invece quella media.
Però se un limite è riferito all'insieme di cose che io intuisco come distinte , questo si mi sembra notevole.
#4386
Citazione di: daniele22 il 28 Maggio 2021, 17:20:25 PM
Bene. Quando in un post dissi che avevo scoperto di essere un solipsista (grazie a viator) dissi pure che la conoscenza (quella di ciascun individuo) è sinonimo perfetto di realtà. Continuo a sostenerlo e mi sembra di averlo pure ripetuto in altro modo.
Parte affettiva. Ti faccio un esempio: "una pietra che rotola". Se tu la vedi da spettatore puoi magari anche speculare su dove andrà a finire standotene fermo a guardare. Se tu la vedi rotolare verso di te probabilmente ti sposti. L'azione che vedi è la stessa, "la pietra che rotola", ma il significato, o senso, diverte. Nel primo caso ha agito di più la componente razionale del significato, mentre nel secondo caso ha agito di più la componente affettiva (altamente emotiva in questo caso specifico). Il significato non può separare queste due componenti facendo finta di nulla. Questa unità a mio giudizio rappresenta, è, il "quanto" dell'unità della conoscenza".
È una definizione di conoscenza che mi sento di condividere, come qualcosa che non può mancare di coinvolgere, da cui il lato affettivo che mi appare adesso più chiaro.
Ma coincide con la mia visione delle cose solo se si lascia libera la definizione di individuo.
L'individuo è ciò che si rapporta con la realtà in virtù di una unità conoscitiva, abbracciando quindi un arco che va' dal solipsismo fino al regno dei viventi.
Non come unità indivisibile, ma diversamente componibile in funzione di una azione .
Cosa accade nel mondo dei viventi non c'è un solo modo di rappresentarlo , e ognuno a suo modo è solipsistico perché esclusivamente riferito ad un individuo preciso, se afferro bene il concetto di solipisismo  , di chi guarda solo dentro se stesso. Sarebbe una triste prospettiva solo se esistesse un solo se' stesso individuale, anche se questa diventa la prospettiva di chi si affeziona ad un individuo piuttosto che ad un altro.
Una scelta di amore che sembra ineluttabile, guidata dal destino, ma tutt'altro che tale.
#4387
Citazione di: Jacopus il 28 Maggio 2021, 17:39:18 PM
Permettetemi un haiku sull'argomento.
"Il re del mondo ci tiene prigionieri i cuori".
Permettimi di applaudire.
#4388
Naturalmente si ammette la possibilità di misure indirette, come per la velocità istantanea in quanto derivante da un calcolo, che rende ancora possibile parlare di misure contemporanee.
Forse a ciò ti riferivi Ipazia con la tua stringata risposta.
Parliamo banalmente di misure, che sono però qualcosa di complesso e variegato .
Lo stesso concetto di precisione prevede due segni.
Una misura più precisa significa una misura con migliore stima dell'errore in più o in meno, e il principio di indeterminazione pone un limite per tale stima, non alla misura di velocità e non a quella di posizione, ma alla stima del prodotto degli errori , per cui il termine stesso usato, errore, appare inadeguato.
#4389
Citazione di: Ipazia il 28 Maggio 2021, 16:18:48 PM
Citazione di: iano il 27 Maggio 2021, 23:34:43 PM
In particolare cosa sono "veramente" la posizione e la velocità?
In che senso dobbiamo pensarle diversamente?
Prova a determinare l'esatta posizione di un'auto in corsa e poi ne riparliamo.
Fotofinish...😅
Sono ben cosciente che qualcosa mi sfugge, magari per un inevitabile difetto di comunicazione nella divulgazione scientifica, che ci costringe a lavorare di fantasia, se non siamo propriamente addetti ai lavori.
Un tale difetto mi pare di vederlo nell'espressione " non si può misurare precisamente posizione e velocità di una massa CONTEMPORANEAMENTE.
Lo credo bene ,se per misurare una velocità devo rilevare una distanza percorsa dalla massa in un delta t.
Allora subentra l'analisi infinitesimale che mi spiega come calcolare la velocità istantanea in un punto.
Essa è però la derivata dello spazio rispetto al tempo di una curva non misurata.
Dunque?
Dunque io suppongo di conoscere tutte le forze che agiscono sulla massa e da ciò derivo la curva di cui sopra.
È una supposizione che in pratica ben sappiamo funzionare, ma quando ho a che fare col microcosmo e relativi valori di misura lillipuziani, diventa una affermazione forte.
Ma io posso anche tenermi i miei inevitabili dubbi, e porre massima fiducia nella scienza, ma non posso evitare di provare a trarne le conclusioni filosofiche, chiedendomi cosa leghi posizione e velocità in modo così stretto, per cui quando parlo di "errore" di misura devo riferirlo al prodotto delle due distinte misure?
Da un punto di vista filosofico, cioè della rappresentazione che ci facciamo del mondo, ciò sembra essere più notevole del limite di precisione che il principio assume.
Ovviamente se le misure non sono contemporanee ogni loro limite teorico sparisce, pure se assumiamo ciò perché non ci è toccato ancora sperimentarlo.
Se la realtà, nella misura in cui la confondiamo con la sua rappresentazione , fosse  un mazzo di carte, Einstein le ha rimescolate, e alla fine abbiamo ancora  un mazzo di carte.
Ma il principio di indeterminazione cambia le carte del gioco rappresentativo, non limitandosi a mescolare il vecchio mazzo.
#4390
Ciao Daniele.
La componente affettiva di cui parli inizia ad acquisire una fisionomia, ma resta ancora vaga per me.
Intendi dire che non si può gestire la rappresentazione della realtà se non affezionandosi ad essa , cioè scambiandola per la realtà?
Se è così io a tal proposito parlo di "senso della realtà ", come fosse propriamente un senso che ci guida dentro alla rappresentazione della realtà.
Lo chiamo senso perché credo che ciò che costruiamo con coscienza possiamo costruire anche senza e parimenti si sono costruiti gli altri nostri sensi.
La scienza/filosofia quindi come percezione altra, ma non diversa nella sostanza.
Il linguaggio prima di essere ciò che da' significato è ciò che si condivide.
Se non lo condividessimo non esisterebbe alcun significato, il quale emerge io credo dall'azione coordinata che consente un linguaggio condiviso.
La confusione che faccio fra senso come significato e senso come ciò che percepisce è voluta, e si basa sulla condivisione .
La condivisione è quella cosa che ci fa' essere uno nella percezione e quindi nell'azione, ma col vantaggio di essere tanti, ciò che da' forza all'azione.
Che si tratti di filosofia, scienza, religione o cultura il loro valore sta nella capacità di essere un collante di individui.
Se conoscessi tutte le verità di questo mondo io solo, non potendole comunicare ad altri, il mio potere sarebbe zero, in quanto la mia capacità di agire come singolo sarebbe ridicola.
Insomma sto provando a ribaltare la prospettiva comune, per cui i sensi non sono una cosa che  condividiamo non si capisce bene come, ma sono tali perché li condividiamo , allo stesso modo che condividiamo una teoria, una filosofia, un credo, che parimenti ci danno una visione del mondo che perderebbe ogni senso e significato se non sufficientemente condivisa.
Ma al di là' della teoria di moda cui ci ...affezioniamo al momento, la possibilità di essere condivisa non sta nel fatto che ci convince tutti, e perciò è buona, ma che ci consente una azione coordinata che è efficace se pur non avviene dentro la realtà, ma dentro una sua rappresentazione che non strida troppo con essa. In un certo senso ogni essere vivente in se' è una particolare rappresentazione della realtà approvata dalla realtà stessa.
#4391
@Ciao Daniele.
Confesso che i tuoi post sono perlopiu  spiazzanti, ma allo stesso tempo sembrano possedere una onesta' filosofica di fondo.
Confesso di aver prodotto ben 4 post del tutto ignorante della questione, solo per quel che ho fatto finta di capire dal tuo post di apertura. Quindi hai fatto bene a non leggerli, e io manco li ricordo e non li rileggerò'.
Ma se tu volessi chiarire meglio la questione con parole tue, a quelle risponderò con piacere con  parole mie.
Perché se tu non hai letto tutto io ancor molto meno.
Uno dei motivi per cui leggo poco è che mi basta leggere la frase di un filosofo per perdermi nei miei pensieri, non restandomi tempo per altro.
Sicuramente non costruirei la mia filosofia sulla critica della filosofia altrui per ottenere qualcosa di parimenti criticabile.
Più che individuare gli errori dei filosofi per criticarli mi sembra interessante constatarne la persistenza nel tempo, ciò che li rende significativi ai miei occhi, perché tale insistenza nell'errare deve avere un solido fondamento che val la pena cercare.
Quindi quali sarebbero gli errori filosofici che critichi e con quali verità vorresti sostituirli, se non pensi di fermarti a una pura critica?
#4392
Così mi piace presentarvi li principio di indeterminazione, in forma di paradosso, anche se vi dico subito che non vi è alcun paradosso.
Il principio afferma che vi è un limite teorico alla precisione di una misura e allo stesso tempo afferma che non vi è alcun limite teorico.
Posso garantirvi che la precedente frase dice il vero. Ma come è possibile?
Soluzione: è possibile perché dice il vero, ma non tutta la verità .
A rigore però il principio di indeterminazione in se' non afferma alcuna verità, ma come tutte le affermazioni che si fanno in fisica, è vero fino a prova contraria.
Ma non solo non abbiamo avuto finora prove contrarie , ma su esso abbiamo costruito la meccanica quantistica la cui efficacia nessuno, fisico o filosofo che sia , mette in dubbio.
Precisato doverosamente in che senso deve intendersi il termine verità in questo contesto,
Il principio di indeterminazione, nonostante il nome, come detto non pone un limite teorico alle misure fisiche, ma modifica  il senso in cui queste siano rappresentative dell'ente fisico misurato.
O diciamo meglio che questo è il punto di vista da cui vi invito, ad osservarlo.
Nella fisica classica una particella viene definita  dalla sua massa, come dalla sua posizione , oppure dalla sua velocità, o ancora dalla sua carica elettrica,e quindi, se si vuole, da tutte queste cose insieme, ognuna misurata con la precisione che gli strumenti usati posseggono, essendo questo l'unico limite di fatto alla precisione della misura.
In fisica quantistica ciò non è del tutto vero.
L'ente fisico non può più essere rappresentato da tutte quelle cose insieme, ma da coppie di quelle.
Non dalla posizione e dalla velocità , ma dalla coppia posizione e velocità, perché il prodotto delle relative misure ha un limite di precisione teorico.
Possiamo ancora scegliere di rappresentare l'ente fisico con la sua posizione, oppure con la sua velocità, ma non possiamo scegliere di rappresentarlo con entrambe senza che qualcosa cambi rispetto alla fisica classica.
Non dico di aver compreso tutto e infatti di quanto precede non vi do' certezza, quindi correggetemi se sbaglio, e integrate le inevitabili lacune.
Lo scopo della discussione non è comprendere la meccanica quantistica, ma far partire riflessioni filosofiche dallo stesso punto, il principio di indeterminazione, da cui è partita la meccanica quantistica.
In particolare cosa sono "veramente" la posizione e la velocità?
In che senso dobbiamo pensarle diversamente?

#4393
Tematiche Filosofiche / L’essere e il divenire.
26 Maggio 2021, 19:17:41 PM
Tornando a L.W. se taccio ciò  che non posso dire rischio di perdermi la prospettiva più interessante, il perché lo dico, ed è un perché che mi difinisce quanto mi rende altro quando trovo la risposta.
Così se del triangolo nulla posso dire, se non ripetendo che è un triangolo, giacché ne parlo, non posso più mettere  in discussione il mio essere chiedendomi perché, e vado oltre me, mutando la mia percezione prendendone coscienza quando chiedendomelo trovo una risposta.
Ciò che va' oltre il poter dire mi porta oltre me, ma non mutando la mia essenza di colui che dice, finché dice.
Posso sempre identificarmi in ciò che non varia nel mutamento, perché ci sarà sempre qualcosa che non varia se qualcosa noto ,ma niente di preciso in se'
#4394
Tematiche Filosofiche / L’essere e il divenire.
26 Maggio 2021, 18:27:09 PM
Citazione di: Ipazia il 26 Maggio 2021, 17:37:40 PM
Tornando a LW ogni "essere" è un fatto, ovvero un sussistere nel tempo di stati di cose, collegate (nesso) tra loro, di adeguata consistenza da permetterne una durevole costituzione
Diciamo meglio di adeguata consistenza e durata da potersi configurare in esistenza.
Quindi certamente persistenza ma non persistenza in se' .
Io parto da una certezza, che la mia percezione è sufficientemente consistente da farmi sopravvivere nella realtà in cui agisco, ma che essa può mutare, e che io posso di determinarla nella misura in cui la comprendo prendendone coscienza.
Nel mutare la percezione rimane la sua funzione di percepire.Dice bene Alexander quando afferma che non vi è essere se non vi è chi lo percepisca, perché l'essere è appunto il prodotto di una percezione possibile come di cio' mutando si fa' notare.
Non esistendo un modo di percepire in se' non esiste nulla in se'.
L'essere è quella preda che il predatore nota, perché scappa invece di mimetizzarsi immobile.
Ma secondo me è più interessante quel che sfugge di quel che fugge.
Così può sfuggire che l'essere è il prodotto di una invarianza la quale non può darsi senza mutamento, ma di quale invarianza si tratta è la nostra relativa percezione a decidere, creando distinzione dove non v'è una precisa distinzione in se'.

#4395
Tematiche Filosofiche / Re:L’essere e il divenire.
26 Maggio 2021, 17:14:16 PM
Direi che in questo giocoo di riflessi fra essere e divenire la scienza non ha un senso privilegiato, perché è ciò che vuole dare un senso ad ogni cosa senza escludere alcun senso possibile..
Mentre Dio è un senso unico che indica il bene, perché non vi è azione che possa descriversi se non come costanza nel mutamento.
L'una cosa aiuta a capire l'altra ad agire.
Una rileva la costanza nel mutamento, l'altra promuove la costanza nell'azione.
C'è modo e modo nel mutare e modo e modo nell'agire.
Il mutamento in se' contempla la casualità e l'etica la determinazione.
Il caso si ripete determinando l'essere, l'etica ripete determinando il bene.