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Messaggi - daniele22

#46
Citazione di: anthonyi il 12 Agosto 2025, 01:53:58 AME' proprio questo l'assurdo, tu sei un professionista serio e invece, su questo concetto, diventi qualunquista.
Non é la stessa cosa. Ci sono concetti sociali che sono certamente neuroplastici, come liberalismo ad esempio, o anche democrazia, anarchia non lo é, perché non contiene una spinta all'adattamento alle esigenze altrui che comporta necessariamente l'accettazione di una logica democratica e dell'assetto istituzionale ad esso conseguente.
Comunismo e liberismo, invece, io non li considererei neuroplastici, perché rafforzano un certo indirizzamento socio economico rendendo rigido il sistema.
Piuttosto social democrazia, quello si che é un concetto neuroplastici, che bilancia le esigenze sociali con quelle del libero mercato.
Ciao Anthonyi, trovo questo tuo pensiero fuorviante. Non puoi inquadrare concetti come democrazia, liberalismo, comunismo, o anarchia come neuroplastici o no. La neuroplasticità, se ho ben inteso il concetto, dovrebbe consistere nella capacità di scardinare in senso migliorativo abitudini che vengono considerate dannose. Presuppone pertanto che un presente metta in discussione un passato.
Allo stato attuale delle cose, quindi, mi sembra che la democrazia più che essere nelle mani del popolo sia nelle mani di poteri forti che agiscono anche a livelli sovranazionali. Se in un post precedente ho detto che non credo molto alla neuroplasticità intendevo dire che questa agisce fino a un certo punto. In questo senso, la neuroplasticità (paradossalmente in senso peggiorativo) ha fatto sì che si sia prodotta una montagna di menzogne intese a far credere che si viva in democrazia. E questo è vero formalmente, ma grazie al potere esercitato da vari potentati sull'informazione, in realtà la democrazia (i democratici) sta di fatto producendo il caos sociale, ovvero una forma fraintesa di anarchia
Un caro saluto
#47
Citazione di: iano il 11 Agosto 2025, 11:47:56 AMCome Putin ha scommesso in un'operazione speciale così veloce che la popolazione non avesse il tempo di valutare quanto i costi superassero i benefici.
Il mio esempio in realtà corrisponde solo a una curiosità e non penso che potrebbe rappresentare un cambiamento vero e proprio nella mentalità israeliana. Si tratterebbe solo di ribellarsi a un capo di Stato.
Quello che intendevo dire è che si cambia quando si è in certa misura costretti a farlo (non entro nel merito della natura della costrizione). Io non credo molto alla neuroplasticità di cui parla Jacopus. L'essere umano, almeno collettivamente, non si è mai emancipato da posture mentali che lo portano ancor oggi ad avere bisogno di leader che li guidino o di personaggi esemplari da imitare o rifiutare.
Visto però che a livello individuale sia io che te ci rendiamo conto che si vive in un mondo obsoleto e, almeno per quello che mi riguarda non sono nato imparato, resta quantomeno nell'aria cosa abbia provocato apprendere questa nozione di mondo obsoleto.
Comunque siamo ormai abbondantemente fuori topic
#48
Citazione di: iano il 11 Agosto 2025, 09:10:40 AMNon ci sono conseguenze negative in se nel vivere in una descrizione, ma avendo coscienza di ciò,  se questo mondo/descrizione in cui vivi non ti piace, o non ti piace più, sai di poterlo cambiare, cambiando descrizione.
Nel vivere in una descrizione quindi io ci vedo solo conseguenze potenzialmente positive.
Diversamente, se il mondo in cui vivi, stante la sua evidenza, perciò coincide con la realtà, te lo devi tenere, anche se non ti piace, o non ti piace più.
I diversi mondi in cui viviamo in sequenza, o in contemporanea, devono avere tutti una caratteristica: dobbiamo viverci tutti insieme, e questo non è scontato che succeda, e quando non succede, in ciò io  vedo un ingiustizia.
Questo è quello che sta succedendo.
Vedo all'orizzonte nuove arche in cui tutti non ci potranno stare.
Ognuno di questi mondi ha senso quando è un impresa umana, e finché lo resta.
Tu puoi vedere ingiustizia nel mondo in cui vivi, e chi potrebbe darti torto?
Però io lo vedo più come un mondo superato, quindi da cambiare.
Non ci sono mondi giusti o sbagliati, veri o falsi in se, ma, in senso evoluzionistico, inadeguati ad un ''uomo'' sempre nuovo.

Può sembrare non positivo il vivere dentro una descrizione, ma è quando arriva il momento di cambiarla che ci accorgiamo di quanta inerzia al cambiamento possiede, proprio come se si trattasse di cosa concreta.

Viviamo dentro descrizioni, nessuna delle quali è inimitabile, ne tanto meno definitiva, quindi vera.
Parliamo di una verità  che però è sempre e solo intersoggetiva, ed è questa intersoggettività che ci dobbiamo tenere, perchè è ciò che, se non ci fa santi,  ci fa uomini.




Beh, mi sembra di aver detto più di una volta che viviamo in una società ottocentesca e obsoleta, ma sembra che la maggior parte non sia di questo avviso.
La possibilità di cambiare di sicuro c'è, ma cambiare ha dei costi e mi sembra che le persone non ne vogliano proprio sapere. In questo senso e concretamente sono proprio curioso di vedere se sarà seguito l'appello di Olmert (ex primo ministro, uomo di destra liberale) allo sciopero generale (costo per l'individuo) per fermare Netanyahu

#49
Citazione di: iano il 10 Agosto 2025, 15:13:09 PMNessun esempio. E' un ipotesi.
L'ipotesi che viviamo dentro una descrizione.
Naturalmente se assumo questa ipotesi ritengo che ci siano buoni motivi per farlo.
Però non devi pensarla nel senso negativo che diamo all'aggettivo ''immaginario''.
Il mio invito è appunto quello di rivalutare l'immaginario.
Questa ipotesi ricuce lo strappo fra quel concreto con cui condiamo ogni verità ( tu ci hai condito l'esempio che mi chiedi, ma prima dovresti spiegarmi come si distingue un esempio concreto da uno che non lo è) e il disprezzato astratto.
Un esempio concreto è quello che ho fatto riferendomi al Vaticano. 
Comunque posso appoggiare l'idea che si viva all'interno di descrizioni, ma d'altra parte siamo immersi nella lingua ed è innegabile che molte descrizioni siano utili. 
Quali sarebbero dunque le conseguenze negative di questo fatto e come uscirne?
#50
Citazione di: iano il 10 Agosto 2025, 12:54:31 PMConoscendo il tuo pensiero non mi sorprende che tu parta dal(la) fine. :)
Poi magari non è che sono complicato, ma esprimo idee per te insolite, talchè ti appaiono come  inutili complicazioni.
Cioè, non è quello che ti aspetti di leggere.

Nei miei precedenti post ho inteso l'evidenza come una descrizione inconsapevole della realtà; la descrizione dell'evidenza sarebbe quindi una descrizione di una descrizione, cosa che non avrebbe molto senso,  senonché attribuendo verità all'evidenza, l'essere cioè coincidente con la realtà, noi crediamo di star descrivendo la realtà.
Questa descrizione però va a cozzare con quella scientifica, il che si spiega solo se sono fatte della stessa sostanza, l'essere entrambe descrizioni in diverse lingue, che richiederebbero una traduzione , piuttosto che una descrizione.
Capita che uno non capisca.
Ti prego allora di farmi un esempio concreto di come l'evidenza sia o possa essere una descrizione inconsapevole della realtà
Saluti
#51
Citazione di: iano il 09 Agosto 2025, 18:53:49 PML'evidenza della ''realtà'' precede la scienza, la quale ci consegna una ''realtà'' non evidente ,  ma entrambe svolgono la stessa funzione.
Entrambe, immagini ed equazioni, sono due forme diverse della realtà, le quali entrano in conflitto se la realtà non può che avere una sola forma.
Non entrano in conflitto se la realtà non ha una forma, talchè gliene possiamo dare diverse.
Se non hai coscienza di avergliela data (lavoro oscuro dell'evoluzione), il mondo in cui vivi ha quella forma.
Se ne hai coscienza, dentro quella forma non puoi vivere.
In un modo o nell'altro non smetti di vivere nella realtà.
Dal discorso dovrebbe capirsi che per mondo e realtà non intendo la stessa cosa, come invece normalmente si intende. il mondo lo intendo come ciò che si costruisce sulla realtà interagendovi, e vi si può interagire in modo cosciente o meno, e ciò determinerà la forma del mondo, che va da forme concrete a forme astratte.
Dire che la realtà non ha forma, equivale a dire che non c'è una verità, in qualunque forma tu la voglia esprimere, come ciò che si scrive,  come ciò che si tocca, come ciò che si vede, come ciò che si intuisce, come ciò che si pensa.

L'evidenza della ''realtà'' e la scienza fanno la stessa cosa, e finché lo fanno in modo indipendente non entrano in conflitto.
Noi le usiamo  insieme, ma ci manca quella consapevolezza dei mezzi che usiamo per non farle entrare in conflitto, e in particolare ci manca la consapevolezza che la realtà come ci appare, al pari della scienza, è uno strumento per muoversi nella realtà.

Se abbiamo bisogno di conoscere la realtà per poterci muovere in essa, dipendendo questa conoscenza dallo sperimentarla, e quindi dal poterci muovere in essa, resteremmo immobili.
E' la storia dell'uovo e della gallina, che però in questo caso secondo me ha una soluzione: il fare viene prima del sapere.
Muovendoti a caso, escludendo i movimenti sfavorevoli, acquisisci per esclusione un movimento sempre più centrato sulla realtà, ma questo non porta alla verità, finché tu, col tuo mutare, ne fai parte. Le equazioni della fisica descrivono una realtà costante nel suo mutare , con le sue leggi di conservazione, con una eccezione, che sei tu.
Tu che ti descrivi come vivo, per questo motivo.
Tu che teorizzi che non c'è nessun libero arbitrio, ma che non sapendo bene cosa sia, non te ne puoi liberare.
Qualunque cosa sia descrive quella parte di realtà che non è materia per  fisici, talchè ai filosofi il lavoro non glielo toglie nessuno.
Quando le macchine avranno sostituito tutti i lavoratori, i filosofi lavoreranno ancora.

A volte mi sembra che tu voglia complicare cose semplici con pensieri contorti. La separazione che fai tra mondo e realtà, forse mi sbaglio, assomiglia molto alla distinzione cartesiana (res cogitans/extensa). Naturalmente la res cogitans diviene pubblica tramite le descrizioni che fa della res extensa.
Che il fare venga prima del sapere è cosa ben nota (la pratica fonda la grammatica). Ma perché non evidenzi pure che il fare è sempre finalizzato a qualcosa? E se è finalizzato questo presuppone che tu abbia sapienza dei mezzi che usi per fare. È nato dunque prima l'uovo o la gallina?
Alcuni hanno tagliato la testa al toro dicendo che è stato Dio a disporre il tutto partendo dalla gallina (Dio ha fatto l'uomo). Costoro forse erano mossi da un'idea di giustizia; c'è chi dice invece che volevano ingannarci ... questo naturalmente io non lo so, però è vero che l'idea di giustizia pregna senz'altro la parola divina.
Tornando quindi all'idea che il fare è sempre finalizzato a qualcosa, non sarebbe cosa scontata ad esempio la finalità dei partecipanti al forum, ovvero di quelli che "fanno" tramite la parola. Se c'è infatti una cosa che ho apprezzato del pensiero heideggeriano è quella di affermare che l'individuo è preoccupato. Quello che però non si capisce bene delle sue azioni è di cosa sia preoccupato. E in questo senso è degno di nota che il Vaticano abbia manifestato chiaro e tondo il sospetto che Israele non abbia colpito la chiesa della Sacra famiglia a Gaza per errore. Insomma, il problema non è il rapporto tra evidenza e descrizione dell'evidenza, ma il fine della descrizione che può benissimo esulare dalla ricerca di una verità 
Saluti
#52
Tematiche Filosofiche / Re: Dio vs caso.
09 Agosto 2025, 08:26:41 AM
Nessuno ha mai dimostrato l'esistenza di Dio e nessuno ha mai dimostrato l'esistenza del caso. Penso che il pensiero di Benedetto XVI non sarebbe molto felice qualora il pensiero scientifico dominante pensasse che il caso consista esclusivamente di ignoranza della causa. Ma siccome sono abbastanza ignorante lascerei a voi l'ardua sentenza. Nell'ipotesi che il caso puro fosse considerato come causa che produce effetti, Benedetto XVI avrebbe senz'altro ragione (almeno per quel pensiero che compare in calce al profilo di Duc in altum)
#53
Citazione di: iano il 07 Agosto 2025, 10:56:01 AMNon ci ho capito molto Daniele.
Comunque, se vuoi dire che il colpo di fulmine è il finale evidente di un lungo lavoro oscuro che avviene nell'atmosfera, sono d'accordo, e lo stesso lavoro potrebbe fare il processo che porta alla fede, anche se noi saremo tentati sempre di dire che siamo stati fulminati sulla via di damasco.
Possiamo parlare solo di ciò ce ci è evidente, però ciò che si può dire non esaurisce mai la questione.
La realtà non può essere come ci appare, se dietro questa apparenza c'è un lungo oscuro lavoro.
La realtà è il risultato di un calcolo che non decidiamo di fare, ma a cui si può risalire per decidere di non farlo più, o di rifarlo in modo nuovo una volta presa coscienza appunto che  dietro c'è un calcolo riproducibile a volontà o modificabile , creando una realtà virtuale la cui sostanza però non è diversa da quella naturale.
Il termine stesso ''evidenza'' richiama l'immediatezza della visione, come se non vi fossero intermediari fra noi e la realtà.
Troppo bello e troppo facile per essere vero.
L'intelligenza che porta all'intuizione è un processo logico dove si salta la coscienza di alcuni passaggi per necessità, per l'impossibilità di avere il controllo totale su tutto.
Dio ci ha lasciati liberi di scegliere, o forse semplicemente non è in grado di controllarci del tutto?
Magari è solo un povero diavolo, come noi.
Non mi risulta, in generale, che i credenti tendano a dire che siano stati fulminati lungo la via di Damasco. Comunque non è molto importante nell'economia del discorso.
Citandoti:
"Possiamo parlare solo di ciò che ci è evidente, però ciò che si può dire non esaurisce mai la questione.
La realtà non può essere come ci appare, se dietro questa apparenza c'è un lungo oscuro lavoro."
Il lavoro oscuro di cui parli sarebbe in realtà molto chiaro: dei fenomeni, che possono definirsi oggettivi anche se non è proprio vero, noi spontaneamente cerchiamo la causa. Se così non fosse non esisterebbe alcuna scienza, tanto per dirne una. L'oscurità emerge quindi dalle discordanze in merito all'attribuzione di causa del fenomeno. E questo può accadere non solo per le scienze umane, ma pure all'interno delle cosiddette scienze dure, almeno quando queste abbiano un dissidio al loro interno.
Citandoti ancora:
"La realtà è il risultato di un calcolo che non decidiamo di fare...."
Quel "non" sarebbe un "noi", o è proprio un "non"?
Ancora citandoti:
"Il termine stesso ''evidenza'' richiama l'immediatezza della visione, come se non vi fossero intermediari fra noi e la realtà.
Troppo bello e troppo facile per essere vero."
Mi sorge spontanea la domanda: che cosa sono gli intermediari e in che senso ci complicherebbero la vita?

#54
Citazione di: iano il 06 Agosto 2025, 19:59:35 PMNon vedo la consequenzialità.
Vedo, e lo comprendo, la volontà di voler controllare tutto.
Questo però non è del tutto possibile, perchè ha un costo.
Sarebbe come se ogni volta che devi applicare il teorema di Pitagora  dovessi ogni volta dimostrarlo.
Così alla fine vi poni fede, dimenticando pure quale sia la dimostrazione.
Così il teorema diventa una cosa vera in se.



Non vedi consequenzialità? Di sicuro non si tratta di un automatismo, ma non si può negare in toto che la scelta di una fede possa derivare dallo scartare altre opzioni. Insomma, la gente cresce e vive in mezzo alla gente, sente parlare di Dio, di diverse religioni, di atei e via dicendo. Che la decisione dell'atto si espliciti in un immediato pensiero, il classico colpo di fulmine, o che questa decisione non venga esplicitata poiché l'adesione o un rigetto potrebbero anche avvenire previo un percorso di riflessione e di informazione tanto da rendere infine ridicola una formula esplicita del tipo "Ho deciso che questa sarà la mia fede" ... in merito a tutto ciò dico appunto che  si tratta pur sempre di decisioni prese consapevolmente. Comunque, al fine di prendere una via diversa da quella che ho fin qui esposto ritorno al tuo discorso con Duc. Riguardo a quella che tu chiami una fede inconsapevole, cioè quella che noi inconsapevolmente già avremmo senza saperlo, io penso che una delle funzioni della fede sia senz'altro quella di rispondere alle nostre spontanee necessità (e nel forum si nota assai) di un senso di giustizia. Pertanto non si tratterebbe di una fede inconsapevole, bensì del presupposto che la farebbe emergere
Saluti
#55
Citazione di: iano il 05 Agosto 2025, 22:18:06 PMMagari perchè è un intuizione che devo chiarire a me, prima che ad altri.
Si tratta di togliere alla coscienza il risalto che per sua natura assume.
Quindi per ogni azione conscia suppongo vi sia una corrispondente inconscia, e nel caso della fede questo mi aiuta a spiegare quale sia l'origine del concetto di verità, cioè da una fede che c'è senza bisogno di dichiararla. Quando parliamo di fede intendiamo invece automaticamente un atto conscio.
Perchè, voglio dire, che noi si parli di verità non è cosa banale.
Quindi da dove salta fuori questo concetto?
Avendo l'abitudine a parlarne, si rischia perciò di considerarlo un concetto ovvio, ma a pensarci bene non è così.
Inoltre a me pare che in molti discorsi in cui la si tira in ballo, non ci sia una stretta necessità per farlo.
Non ho mai creduto in Dio, e recentemente ho smesso di credere nella verità, rendendomi conto infine che sono la stessa cosa.
Per buon peso poi ci ho aggiunto per ultima anche la realtà, che non basta per me dire che sia inconoscibile, ma che non ha senso proprio dirlo.
Apparentemente possoggono difficolta di conoscenza  crescente, partendo dalla realtà per arrivare a Dio, passando per la verità, ma alla fine mi è apparso come siano tre diversi nomi che diamo alla stessa cosa.

Se mi concedi un suggerimento da valutare eccomi qua.
Hai mai pensato che il gesto inconsapevole possa corrispondere invece all'insieme dei gesti che uno più o meno consapevolmente scarta nel mercato dei gesti disponibili? (Atti di fede compresi). E che quindi l'atto di fede esca come conseguenza. Penso che sarebbe più proficuo chiedersi piuttosto come mai certi gesti precipitino in una sorta di conformismo generale. In questo senso però, liberi di farlo, non mi avventurerei certo nei concetti heideggeriani di "autenticità" e "inautenticità", e il conseguente "riappropriarsi di sé stesso" come se esistesse un "sé stesso".
Da dove salta fuori il concetto di verità? Primordialmente, secondo me salta fuori dal successo, inteso non come fama, ma come "gratificazione" di uno scopo conseguito. Se consegui sei nel giusto (verità) altrimenti in errore (falsità). Con l'ingresso in campo di Dio il concetto si sarebbe evoluto ponendo lo scopo oltrevita
Saluti 
#56
Citazione di: iano il 05 Agosto 2025, 14:10:55 PMNoi con la realtà interagiamo, ma conosciamo solo i risultati di questa interazione, da cui traiamo norme comportamentali, per cui il nostro agire diventa causa delle azioni future.
Questo insieme di norme è ciò che scambiamo per realtà.
In questo ''inganno'' non ci sarebbe nulla di male, tanto è vero che quando per noi era evidente realtà, ciò non ha causato, e continua a non causare inconvenienti.
E' nel progredire del nostro agire, che è la scienza, ad aver scoperto l'inganno, che però non è un inganno.
Non c'è nessuna falsità nell'apparenza della realtà, perchè non c'è un alternativa a questa apparenza, se non nella forma, che può essere sensitiva o scientifica o altro ancora, che mirano tutti allo stesso scopo, a normare il nostro comportamento.
Ma alla fine si tratta solo di un modo, forse più complesso, forse migliore, di far tesoro della propria esperienza, cosa che qualunque essere vivente in qualche modo riesce a fare, perchè se non lo fà è morto.

Sinceramente non comprendo chiaramente il tuo pensiero. D'altra parte forse non mi sono espresso bene, anche il riferimento a Phil non era ben connesso.
Comunque siamo sempre lì. La confusione di cui parli, i vari mantra etc. possono condizionare le persone poco sensibili al pensiero, ma non noi che frequentiamo un forum dedicato al pensiero. Il problema sta da un'altra parte. In ogni caso buona notte
#57
Citazione di: iano il 05 Agosto 2025, 07:00:20 AM......Però secondo me le cose stanno al contrario, siccome agiamo ci creiamo una realtà in cui agire, che però è solo una descrizione del nostro agire.
Cambiando l'ordine dei fattori il risultato cambia, perchè ci ritroviamo un Dio, o una verità, o una realtà, di troppo, cioè non strettamente necessari, per quanto sufficienti a spiegare ogni cosa.

Insomma a me pare che ci comportiamo come se il diverso nome che usiamo, Dio, Verità, Realtà,  facesse davvero la differenza.
Bene .. quasi ottimo direi. Siamo della stessa "falsa" opinione, essendo appunto una nostra descrizione. In tal senso anche Phil ha cercato di convincere Stefania che forse era atea senza saperlo. Ma restando a noi, resta una domanda inevasa, nel senso che non mi è chiaro come la metti, domanda a mio giudizio fondamentale: cosa fa sì che noi si abbia, come dici, la sensazione di vivere in una realtà?
#58
Citazione di: Stefaniaaa il 02 Agosto 2025, 19:55:11 PMQuesto pensiero mi ha sfiorato spesso.
E se esistesse un'altra verità, ancora nascosta?
Qualcosa che va oltre le versioni confezionate nei libri, oltre ciò che ci raccontano o vogliono farci credere?
Forse c'è una verità che nessuno ha ancora colto, qualcosa che sfugge ai dogmi, alle religioni, persino alla scienza.
Un livello più profondo della realtà, che non si lascia afferrare così facilmente...
E se la vera verità non fosse mai stata scritta?
Ciao Stefania e benvenuta. Non sono un credente, o meglio, mi disinteresso quel tanto che basta della parola di Dio .. sarà affar suo semmai giudicarmi visto che è pure onnipotente. Oggi ero in treno come spesso accade da quando la mia guida spirituale, anthonyi, mi consigliò caldamente di utilizzare i mezzi pubblici. Fortunatamente devo dire, perché quando ho letto il tuo post mi si è accesa una lampadina. Premetto che a volte penso di essere Dio ... No, scherzo, volevo dire che quando si è accesa la lampadina mi sono accorto che non avevo mai pensato esplicitamente al fatto che Dio potesse avere scritto i testi sacri a fronte di averli premeditati. Cioè li avrebbe scritti per tendere una trappola all'uomo ancora ignaro
Un saluto

#59
Tematiche Filosofiche / Re: Fallacia naturalistica
03 Agosto 2025, 17:23:49 PM
Citazione di: Alberto Knox il 02 Agosto 2025, 17:27:29 PMè una domanda interessante in quanto noi non accettiamo che la nostra vita abbia in se la sofferenza, non lo accettiamo, non ci piace. Allora medicine contro quello , iniezioni contro quell altro, droga per nascondere la vita che è accanto a sofferenza. Cerchiamo il piacere, il divertimento, l eccesso come cura per la nostra sofferenza . Ma questi divertimenti , questi piaceri sono una guarigione? no, la guarigione è la ricostituzione dell equilibrio. La cura relazionale di cui ho parlato può forse ricostituire l equilibrio vitale. Solo a questa condizione possiamo forse indicarla come fondativa della vita umana. e indicarla come fondamento etico.
La domanda può essere interessante quando vi sia data una risposta chiara, o una domanda di chiarimento.  Questo perché apre ad altre questioni ancora poco indagate, tipo quella linguistica accennata ad esempio da iano. 
Mi spiace Alberto, ma non mi interessa impelagarmi su di concetto, la "cura", per me ambiguo se non farraginoso. Non mi interessa più che altro perché ho fatto una domanda precisa. Saluti 
#60
Tematiche Filosofiche / Re: Fallacia naturalistica
02 Agosto 2025, 10:02:26 AM
Sembra finita l'estate.
In generale la mia opinione squalifica il pensiero che distingue naturale da artificiale. Ma più che altro trovo superficiale dire che ciò che è male per te può essere bene per qualcun altro. Non perché non sia vero, ma perché viene scarsamente ponderato il legame, chiamiamolo neurobiologico, col dolore e il piacere che ben tutti conosciamo sperimentandolo sulla nostra pelle ... forse l'unica conoscenza verace. E questo ridimensiona senz'altro la pretesa della scarsa oggettività dei concetti di bene e di male; quando cioè si ammetta che questi siano in qualche misura connessi all'atavica coppia dolore/piacere di natura neurobiologica. 
Per quanto brevemente detto, insomma, la verità del "ciò che è male per te magari non lo è per altri" sarebbe quasi tutta a carico della nostra mente, e la cultura è sicuramente un evento anche mentale. Verrebbe quasi da pensare che ci si trovi di fronte a una torre di Babele. In ogni caso mi sembra che l'etica, ai giorni nostri, resti per lo più direzionata da una miriade di leggi positive che ben poco concorrono a integrarsi con un comune senso di giustizia.
Aggiungo per inciso e oltre legge che non avrei mai immaginato che la comunità internazionale avrebbe permesso a Israele di fare quello che sta facendo. D'altra parte Netanyahu per giustificare la sua politica ha pure evocato la loro fede incrollabile (immagino in Dio).
Premesso quindi che ciascuno normalmente repelle il dolore fisico, e pure quello psichico, qualora si volesse perseguire l'idea di un'etica "più" universale, sarebbe secondo me d'obbligo chiedersi in primo luogo se quell'antica conoscenza succitata (ciò che si descrive quindi) debba o no essere fondativa (prescrittiva quindi) nel codice del comportamento umano. La domanda si pone giusto per schiarirsi le idee, giacché siamo ben consapevoli che quella domanda ne implica in risposta quantomeno un'altra, del tipo che cosa si intenda per dolore psichico (spesso appunto riconducibile a conflitti di natura culturale). Intendo cioè: non mi interessa discutere sulla definizione del dolore psichico se prima non mi è chiaro se la conoscenza del dolore/piacere fisico debba o no essere fondativa di un'etica ... giusto perché ho letto in questa discussione che più d'uno pensa che sia possibile scegliere (liberamente.. ah ah ah aaaah) una società diversa. Ho forti dubbi in proposito, tutto può accadere naturalmente, ma ci vorrebbe una tempesta perfetta