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Messaggi - Koba

#46
Citazione di: green demetr il 26 Settembre 2025, 17:46:33 PMDopo aver letto Montinari capisco che Nietzche non è mai andato oltre Umano Troppo Umano. La sua opera finale è infatti l'Anticristo.
La gaia scienza rimbalza di nuovo nella sua impossibilità.
A mio modo di vedere togliendo la morale Nietzche si è auto-sabotato.
E' normale che sia tornato al punto di partenza, e anzi si sia definitivamente ammalato.
Naturalmente sono ben conscio che quando lui attacca la verità, in realtà sta attaccando la menzogna.
Putroppo dopo di lui, tutti hanno finto che la verità non sia una ridicola menzogna.
E questa menzogna si chiama cristianesimo, non si scappa.
Il vittimismo soverchiante di chi è abitato dalla volontà di potenza, la sua menzogna in tutte le salse, non si chiama forse scienza?
E' la scienza a essere ridicola nell'affermare di poter dire il vero.
Quando è un semplice psicologismo. E anche da lì non si scappa.
Non vorrei davvero tornare a dove citare heideger, ma la sua critica alla scienza mi pare ancora citabile. Lasciando perdere tutto il resto della sua squinternata "visione del mondo".
Nietzche si riferisce a quello che i greci sapevano già molto bene, ossia che è la phisis stessa a essere la risposta ai quesiti dell'uomo.
Quando guardiamo un monte, un lago, un mare: gli uomini impazziscono divorati dalla loro nevrosi, e loro sono sempre là, imperturbabili. La natura regna, il resto sono solo scuse di un epoca impazzita nel momento in cui ha deciso che non esiste più un Dio.
Ciao green.
Non sono sicuro di aver capito quello che intendi dire. Come si può criticare e dissolvere la metafisica e la religione senza intaccare l'insieme di quei valori etici che derivano da esse?
Subito dopo Umano troppo umano, in Aurora e poi in Gaia scienza, Nietzsche mi sembra faccia i conti con la conoscenza. Conoscenza che è appunto smascheramento delle menzogne religiose e metafisiche, ma anche conoscenza in quanto passione (che lui conosceva bene).
Un'opera aforistica, come fa notare Montinari in "Che cosa ha detto Nietzsche", è sempre un'opera aperta.
Io ho l'impressione, mentre leggo questi testi, di rimbalzare dall'uno all'altro affrontando gli stessi nuclei tematici da visuali però differenti.
Lo spirito libero di Umano troppo umano diventa così l'uomo della conoscenza di Aurora e Gaia scienza. Il quale poi con l'idea dell'eterno ritorno è chiamato a fare un salto di qualità, diciamo così, ad andare oltre se stesso, ad essere "superuomo".
Belle le pagine di Montinari dedicate alla fase preparatoria dell'idea dell'eterno ritorno. Cioè la ricerca da parte di Nietzsche di un'attendibilità scientifica di essa attraverso la consultazione di alcuni testi di fisica di quel tempo. Sembra che comunque – così dice Montinari – la sua ricerca puntasse a trovare le prove della non contraddittorietà dell'eterno ritorno (non contraddittorietà rispetto alle conoscenze scientifiche del tempo). Affinché rimanesse in piedi l'ipotesi, insomma. Così da poter dare frutti.
Ancora oggi sembra che per tenerla in piedi ci si possa rivolgere a certe speculazioni cosmologiche bizzarre sì ma possibili. Nonostante il problema rappresentato dall'entropia.
#47
Attualità / Re: La flottilla
28 Settembre 2025, 13:57:50 PM
@niko 
Hai voluto fraintendere il mio post.
È evidente che indicare la causa di un evento bellico non significa legittimarlo, né dal punto di vista del diritto internazionale né da quello etico.
Far finta che il bombardamento di Gaza non abbia una causa specifica, cioè l'attacco del 7 ottobre, e farlo passare come un piano di annientamento della popolazione palestinese in quanto tale, è un errore.
Questo non toglie l'orrore di ciò che sta accadendo, non toglie che la scelta di Israele poteva essere completamente diversa, così come gli alleati avrebbero potuto risparmiare Dresda.
#48
Attualità / Re: La flottilla
28 Settembre 2025, 09:21:25 AM
Premessa: io sono a favore di ogni iniziativa che possa essere di aiuto ad una popolazione civile sotto attacco, quindi faccio il tifo per la Flottilla.
Ma...
Ieri sera ho ascoltato alla tv per un paio di minuti Cacciari che diceva: mentre verso la fine della seconda guerra mondiale gli alleati bombardavano le popolazioni civili di Germania e Giappone per ottenere una resa incondizionata, ora per la prima volta nella storia un esercito, quello di Israele, bombarda Gaza con il solo obiettivo del massacro, senza una vera finalità strategica.
Non so, avrò capito male ma... ma è possibile dimenticarsi di Hamas?
Forse è il caso di ricordarselo.
Secondo le ultime stime pare ci siano ancora almeno 10mila miliziani di Hamas.
È realistico pensare che altrettanti siano stati uccisi.
Uno degli obiettivi dell'attacco del 7 ottobre era sicuramente quello di attirare l'esercito israeliano in una guerriglia urbana nella città di Gaza. L'immagine di soldati israeliani intrappolati tra le rovine dei palazzi, con i militanti di Hamas che intanto si muovono veloci nei tunnel sotterranei, deve aver alimentato la fantasia di tanti comandanti di Hamas mentre sonnecchiavano nei loro bunker a 30 metri sotto terra (la metro di Gaza: secondo alcune fonti si tratta di una rete di tunnel di 300 km – forse un'esagerazione –, con tratti in cemento, illuminati, muniti di porte blindate).
Chi costruisce per dieci anni una struttura del genere lo fa per un solo motivo: perché pensa che nel futuro ci sia solo la guerra.
Hamas però, come tutti noi, ha sottovalutato la brutalità dell'esercito israeliano: anziché lasciarsi attirare nella guerriglia urbana, meglio raderla al suolo quella città! Dal punto di vista razionale non fa una piega.
Brutalità che significa anche, come è ovvio, scegliere di sacrificare gli ostaggi.
Che è ciò che finora ha diviso la società israeliano, per il resto tutto sommato concorde sulla modalità con cui è stata condotta l'azione militare.
Perché naturalmente loro non dimenticano in cosa è consistito l'attacco del 7 ottobre. Anche se qualcosa non è ancora del tutto chiaro, le sequenze sugli attacchi ad alcuni kibbutz vicino al confine sono ormai perfettamente documentate. Centinaia di civili uccisi e alcune decine di persone prese in ostaggio.
E siccome i responsabili di tale atto non sono i membri di un oscuro movimento terroristico, ma l'ala militare dell'organizzazione politica che da quindici anni controlla la Striscia di Gaza, la popolazione che li ha eletti, che li abbia eletti per disperazione o convinzione, non può essere considerato completamente estranea a ciò che è accaduto, esattamente come i tedeschi con il Terzo Reich.
Purtroppo è così.
#49
Citazione di: Jacopus il 22 Settembre 2025, 00:34:40 AMInsomma la domanda da farsi è sempre la solita: si tratta di una condizione ancestrale dell'uomo (il maschio alfa) o di una costruzione della civiltà, al fine di renderla possibile? E in questo secondo caso l'asimmetria dominatori/dominati in quante diverse declinazioni può essere individuata?

Sicuramente una declinazione alternativa è quella della società giapponese, in cui la gerarchia, il rapporto verticale sempai/kōhai (anziano/giovane, esperto/inesperto) ha un carattere di cura, di responsabilità di chi sta in alto rispetto a chi sta in basso, oltre che di rispetto e dedizione di chi sta in basso verso chi sta in alto.
Ma se esiste questa declinazione del potere gerarchico, niente affatto antisociale, forse è il caso di mettere anche in discussione l'idea che esista una causa naturale, biologica, all'esercizio tirannico del potere.
E uscire quindi dallo schema tutto occidentale e illuminista che i corsi e ricorsi storici, nel bene e nel male, siano l'effetto del predominio di una o dell'altra componente, della componente antisociale, regressiva, o di quella sociale, collaborativa.
In sintesi, tutto il ragionamento crolla, e soprattutto tale ragionamento non sembra più capace di produrre soluzioni alla crisi della democrazia in assenza di una coscienza di classe. In assenza di essa manca la forza che viene dal basso e che costringe chi è in alto ad una responsabilità che culturalmente l'Occidente non ha mai sviluppato.
#50
Faccio un altro esempio (l'ultimo perché non ho più molto da dire sulla questione).
La filosofia nasce in Grecia come dialogo (saltiamo la sua fase sapienziale e andiamo direttamente a Socrate). Fare filosofia significa fin dall'inizio prendere un'ipotesi e metterla sotto torchio. Anche oggi, con le nostre biblioteche sterminate, fare filosofia non significa studiare e capire i testi della tradizione, ma, dopo averlo fatto, prenderli uno ad uno e "brutalizzarli" senza pietà.
Questa specie di indagine funziona bene quando si è almeno in due.
E qui arriviamo al problema perché di fatto è quasi impossibile trovare un compagno/a che abbia veramente voglia di mettere da parte la propria presunzione di sapere qualcosa per affrontare libero e leggero l'avventura.
Così i filosofi (quelli che poi nella vita insegnano la materia o quelli che per campare fanno altro) sono tutti, dal primo all'ultimo, dei solitari e degli autodidatta.
Tentativi di rompere questa condizione solipsistica se ne sono sempre fatti. Chi ha fondato comunità filosofiche (poi inesorabilmente annientate dal carisma del maestro), chi forum digitali (annientati dal narcisismo degli utenti). Tentativi tutti falliti.
Ora, per i Greci il problema del libro, della scrittura, era il fatto che il testo è la cristallizzazione di un ragionamento. Fisso. Immobile. Non sa difendersi, né adattarsi all'interlocutore che lo consulta.
L'IA potrebbe essere una soluzione. Non offre quello che offre il filosofo di successo, cioè originalità di visione, ma è capace di collaborare in modo dinamico e naturale a quell'indagine brutale che è l'essenza della prassi filosofica.
E' questo l'aspetto più rilevante della IA per l'uomo della conoscenza, non la sua capacità di trovare risposte iper-specialistiche quasi fosse un super motore di ricerca, tantomeno un produttore di testi (siamo già pieni di libri!).
#51
Citazione di: fabriba il 23 Settembre 2025, 07:57:07 AMNon ti ho mai risposto a questo, ma credo di averlo disambiguato all'apertura di questo thread (post #1 e #9 più di altri).
Riassumo:
  • l'intelligenza come valore (morale, etico, culturale, ecc), nasce dal fatto che l'intelligenza ha un valore (economico)
  • l'AI come forza lavoro potenzialmente infinita ed a bassissimo costo, causa inflazione al valore economico dell'intelligenza
  • come conseguenza, anche il valore moraleticulturale dell'intelligenza umana, col passare del tempo verrà meno (in #19 mi chiedo però se questo vale solo per "alcune" intelligenze)
Questo ha valore solo di riassunto per agevolare, se pensi di volermi contraddire, per favore riguarda prima le formulazioni originali, sennò andiamo in cerchio  :)

Ovviamente avevo capito.
Ma "Inflazionare" è ambiguo perché volendo esprimere una perdita di valore economico non lo fa in modo diretto, come farebbe il termine "svalutare", ma lo fa rimandando ad un ragionamento inutilmente tortuoso.
"Inflazione" infatti indica un aumento dei prezzi. Processo di aumento, non di diminuzione. Solo in modo indiretto rimanda ad una diminuzione (quella del potere d'acquisto reale).
Quindi usando tale termine per l'intelligenza umana di fronte alla concorrenza della IA, per capirne il senso si deve percorrere questo ragionamento non diretto.
In pratica la tua discutibile infatuazione per il termine "inflazionare" rende meno fluida e chiara l'esposizione del ragionamento.
Ragionamento che io non ho alcun interesse a contraddire perché, secondo me, come ho già espresso nei miei post precedenti, non coglie l'aspetto filosofico più rilevante.
#52
Nella realizzazione dei nostri progetti non è mai soltanto una questione di tempo, ma anche di motivazioni, di ostacoli complessi che oggettivamente impediscono di continuare, che bloccano il proprio slancio, ecc.
Alla fine non ha alcun valore dire: se avessi più tempo, se avessi altri dieci anni, forse...
O l'hai fatto oppure no. Conta solo questo.

Un esempio. Diciamo che una persona ha questo sogno: scrivere un romanzo. Ci sono persone che di fronte alla domanda "cosa vuoi fare prima di morire?" ti dicono: costruire una casa con le mie mani. Lui invece "un romanzo!". Bene. Se alla fine riuscisse a realizzarlo sul serio, proprio grazie alla AI usata come assistente (correzione, fornitura di espressioni alternative, giudizi "incoraggianti ma realistici" –  esattamente come un assistente in carne e ossa), come dovremmo interpretare questo fatto, questo nuovo oggetto venuto al mondo? (ovviamente al di là della qualità letteraria del romanzo, che magari resta banale).
Da una parte la IA ha fornito al nostro scrittore dei contributi che possiamo anche considerare solo quantitativi: le espressioni alternative consigliate sono un po' l'evoluzione del vocabolario dei sinonimi e contrari, nulla più, tra le 5 o 6 che ti fornisce è lo scrittore che sceglie, esattamente come la consultazione di un vocabolario. Le correzioni poi velocizzano un po' il lavoro di revisione della prima stesura, ecc.
Ma quello che alla fine resta è il risultato del lavoro umano + IA: qualcosa di nuovo, un prodotto creativo che non sarebbe mai venuto alla luce senza tale connubio.

Non voglio insistere più di quel tanto, e non ci ritornerò: per me la vera questione filosofica è questa.
#53
Forse il termine "inflattivo" è un po' ambiguo.
Comunque, se partiamo dall'idea di Gardner e altri sulle intelligenze multiple, è naturale che la IA riesca bene nell'ambito logico-matematico (al punto da poter sostituire l'uomo), meno bene in quello interpersonale, e sia del tutto esclusa da quello intrapersonale.

Prendiamo le sette intelligenze principali:
1. Linguistica – capacità di usare il linguaggio in modo efficace (scrittori, poeti, oratori).
2. Logico-matematica – capacità di ragionare, analizzare problemi, fare calcoli (scienziati, matematici).
3. Musicale – sensibilità a ritmo, melodia, timbro (musicisti, compositori).
4. Corporeo-cinestetica – abilità nell'uso del corpo (atleti, ballerini, artigiani).
5. Spaziale – capacità di percepire e manipolare lo spazio (architetti, scultori, navigatori).
6. Interpersonale – comprensione delle emozioni e motivazioni altrui (insegnanti, terapeuti, leader).
7. Intrapersonale – consapevolezza di sé, delle proprie emozioni e motivazioni.

A me sembra chiaro che nella maggior parte di questi ambiti è del tutto insensato usare la IA al posto dell'uomo.
La domanda vera è questa: quale potrà essere la ricaduta sullo sviluppo della civiltà del connubio IA + "tocco umano".
Si tratta di qualcosa di qualitativamente differente rispetto a quelle che sono state finora le conseguenze delle tecnologie? Si tratta di un vero salto qualitativo rispetto, per esempio, a quello che è avvenuto con l'impatto del pc o di internet?
Infatti finora la tecnologia ha dato contributi quantitativi, non qualitativi.
Miglioramenti nella potenza di calcolo, comunicazioni istantanee, ecc.
Ma se grazie all'aiuto di una IA io, nel mio piccolo, riesco a realizzare risultati conoscitivi o creativi che non sarei mai riuscito a realizzare da solo, allora sì che le cose si fanno veramente interessanti... O no?
#54
Molto interessante è il §110, "Origine della conoscenza".

Sinossi:
Per lunghissimi periodi l'intelletto umano non ha prodotto conoscenze vere, ma illusioni ed errori. Eppure proprio questi errori hanno sostenuto la vita e la conservazione della specie: erano utili, non perché veri, ma perché davano stabilità, sicurezza, orientamento. Con il tempo, questi errori sono diventati abitudini, articoli di fede, e hanno formato il contenuto più duraturo delle nostre credenze.
Solo molto più tardi l'uomo ha cominciato a dubitare di essi e a distinguere il vero dal falso.
Col tempo, però, la ricerca di verità è diventata una passione a sé, un compito, una vocazione. Anche le forze che negano e distruggono sono state inglobate in questo processo: tutto lavora al servizio della conoscenza.
Alla fine, però, la conoscenza si trova di fronte al suo problema estremo: deve riconoscere che tanto gli errori quanto la verità sono forze vitali, entrambi necessari. Ne nasce un conflitto interno all'uomo stesso.
E così, la domanda ultima diventa: fino a che punto la vita può sopportare la verità?
Fine della sinossi.

Apparentemente nel brano qualcosa non funziona. Infatti sappiamo che per Nietzsche il vero è, diciamo così, un errore utile. Non c'è cioè una reale distinzione tra ciò che si ritiene vero e ciò che si reputa falso.
La soluzione è la seguente: le verità non sono tali perché misteriosamente rappresentano la realtà; vengono considerate tali invece perché sono state capaci di smascherare idee precedenti, e sostituirle.
La conoscenza assume così la forma di un continuo smascheramento. Una battaglia in cui le immagini perdenti vengono scalzate da quelle vincenti. Le quali, come la storia dimostra, saranno a loro volta sostituite.
Detto questo, rimane però la domanda finale: fino a che punto la vita può sopportare la verità?
Come dobbiamo intenderla?
Forse qui Nietzsche intende dire: fino a che punto possiamo reggere questo processo di smascheramento sempre più raffinato, complesso? Questo processo che è di fatto una specie di cammino nella disillusione, nello scetticismo.
Oppure potrebbe anche intendere che in queste verità contemporanee non c'è abbastanza vitalità rispetto alle illusioni antiche, certo grezze, ma fondamentali per la conservazione della vita.
Comunque la si voglia interpretare rimane il fatto che per l'uomo della conoscenza la cosa si fa ancora più seria. Da una parte infatti, in quanto tale, non può che partecipare a questo grande programma di smascheramento; dall'altra però non ha alcuna intenzione di deprimersi per il venire meno delle antiche certezze.
Vuole sì confutare, ma sente anche il bisogno di creare. Si richiede dunque che sia non solo sottile teorico, ma anche costruttore, artigiano, artista, ballerino.


@niko
Se si accetta che l'impostazione del problema data da Nietzsche sia corretta, e cioè che il bisogno di senso sia ormai come iscritto biologicamente nell'uomo, per effetto di millenni di religioni e metafisiche, mi sembra difficile che si possa, con un atto di volontà individuale, forzare il giudizio su quello che ci circonda, che appare come privo di senso, e trasformarlo in sensato.
Cioè ribaltare l'evidenza con una decisione propria. Mi sembra un po' come quelli che hanno oggettivamente una vita triste e sfortunata ma che si sforzano comunque di essere ottimisti, dove gli altri vedono fallimenti loro dicono "opportunità!".
#55
Citazione di: iano il 18 Settembre 2025, 12:48:22 PMSe per te ''L'interpretazione della scienza, in generale dell'impresa scientifica attuale, da questo punto di vista, è secondaria, cioè per quanto ineludibile non è l'oggetto della discussione.'', e per quanto, grazie alla tua ottima esposizione, posso verificare una buona coincidenza fra il mio pensiero e quello di F.N., dal resto che aggiungi deduco solo che la conoscenza , nella forma attuale di scienza, sia per te solo fonte di delusione, non soddisfacendo le tue aspettative.
Però io credo che tu ed io, in quanto singoli, non possiamo non vedere l'impresa scientifica come un fatto, in quanto impersonale è i suo creatore, per quanto ognuno di noi vi contribuisca.
In quanto fatto, il volervi prescindere a cosa può portare di nuovo, se non a un distorsione dei fatti?
Nel caso questa insoddisfazione fosse dovuta alla constatazione dell'aridità cui è divenuta la materia, secondo me sbagli.
Cercare di fare a meno della metafisica ha solo chiarito quale sia il suo ruolo insostituibile.
Sarà interessante seguire l'evoluzione del tuo pensiero, perchè comunque è un piacere leggerti.

No, la scienza non mi delude affatto. Quando ho scritto che la considero "secondaria" rispetto al tema in discussione, intendevo solo chiarire che con "Gaia scienza" Nietzsche intende "conoscenza nel suo complesso" (il titolo originale è "Die fröhliche Wissenschaft": Wissenschaft in tedesco significa "sapere sistematico", non "scienza" nel senso ristretto delle scienze naturali).

A deludermi non è la scienza, ma due atteggiamenti opposti nei suoi confronti: da un lato chi la rifiuta come arida (sono d'accordo con te su questo), o colpevole di dissezionare la natura e di trascurare il "qualitativo" (tipico dei nostalgici della metafisica); dall'altro chi si arrende all'iper-specializzazione, perdendo di vista un orizzonte più ampio.

Per questo, nel parlare di gaia scienza, il punto per me è come immaginare un modo nuovo di vivere la conoscenza, non come liquidare la scienza attuale.

Naturalmente all'uomo della conoscenza (così lo chiama Nietzsche, intendendo l'uomo innamorato del sapere, il filosofo) la scienza in senso stretto si manifesta come sapere depositato nei testi. Non come una prassi esercitata all'interno di un laboratorio.
Noi, in quanto uomini della conoscenza, desideriamo comprendere. E non possiamo accettare che qualcosa che amiamo possa rimanere fuori dalla nostra portata. Non si tratta del sogno di un nuovo enciclopedismo – sarebbe ridicolo. Ma che anche le basi della scienza moderna (compresa quindi la sua struttura matematica) debbano essere fuori dalla nostra portata... no, questo non possiamo accettarlo.

Una possibilità che andrebbe verificata con attenzione è l'apporto della AI. In questi giorni sto usando la versione plus di chatGPT. Tra le sue funzioni c'è questa: gli invii una foto della pagina del libro che stai leggendo e di cui magari non hai capito nulla e le chiedi spiegazioni. Lei traduce l'immagine in testo, dopodiché ti fornisce una versione alternativa, più sintetica, più pedagogica ecc., a seconda delle tue esigenze. Se il significato del testo ti continua a risultare oscuro puoi proseguire a interrogarla. Per sempre.
Si tratta di qualcosa di straordinario dal punto di vista dell'aiuto all'apprendimento. Soprattutto nelle scienze della natura. Per esempio nella comprensione di un teorema di matematica o di fisica. È come se avessimo a disposizione un insegnante preparato e paziente, senza il timore di fare domande troppo stupide.
Per questo in altro topic parlavo di potenziamento cognitivo.
Che grazie alla AI si possa diventare come tanti uomini rinascimentali?
#56
In §57 chiede ai realisti: voi siete convinti che quello che vi sta davanti sia la realtà, oggettiva, senza veli ecc., ma non vi rendete conto che dentro di voi vi portate dietro le valutazioni delle cose che si sono plasmate nei secoli? Vi illudete di vedere le cose per quelle che sono – semplice, no? – e invece dietro ai vostri occhi c'è un mondo di pregiudizi, valori, lotte antiche...
E poi, continuando in §58, parlando delle casualità e delle vicissitudini storiche, con cui ad una cosa è stata assegnata una specifica parola, che ha finito per determinarne quella che per noi è la sua sostanza, sottolinea: ma non pensate che mostrare l'origine spuria di essa significhi annientarne il valore! "Solo come creatori noi possiamo annientare!"
Non lasciamoci fuorviare dall'enfasi del testo, dal suo carattere di invettiva. Qui Nietzsche sta dicendo qualcosa di fondamentale. Ovvero: le nostre valutazioni delle cose, il nostro modo di vedere il mondo sono il risultato di un processo che affonda nei millenni. E anche sapendolo, anche potendolo ripercorrere non si otterrebbe comunque l'effetto di cancellare quello specifico valore. Sappiamo che non è universale, che non è vero, che è emerso magari per effetto di un errore, di una interpretazione ingenua della natura, ma, tuttavia, continua a far sentire il suo effetto.
Solo creando qualcosa di nuovo, il vecchio smette di apparirci vero.

Il mio problema in quanto uomo della conoscenza, cioè uomo che è stato contagiato dalla filosofia, è delineare un modo nuovo di praticare la conoscenza. Ecco perché questo tentativo di lettura della Gaia scienza.

@Alberto Knox
Sì, quello che hai scritto è corretto, ma dopo 150 anni non si tratta più, credo, di combattere Platone e il cristianesimo. Piuttosto l'urgenza è quella di allenarci, nel nostro piccolo, a creare cose nuove (in modo che le cose vecchie smettano definitivamente di far sentire i propri effetti, anche soltanto come nostalgia). Posare il martello, insomma, e iniziare a maneggiare strumenti più fini.

@Alexander
Nietzsche non contrappone istinto e ragione, anzi il suo obiettivo è mostrare che la ragione è un prodotto derivato, un adattamento organico, al pari dell'istinto. Smaschera la presunta purezza della razionalità, in quanto invenzione metafisica. Così anche per quanto riguarda la critica della morale: è la critica di una specifica morale, non del fatto che ci siano sempre, in ogni cultura, dei valori, un'etica. Per lui, il rimedio offerto da quella morale, in generale dalla metafisica platonico-cristiana, è stato peggiore della malattia.
Su Raskolnikov le cose non sono così semplici. Non si tratta di omicidio-pentimento-redenzione. Forse il suo dramma riguarda più l'aver fallito una prova (dimostrare di essere un grande uomo) che il senso di colpa per le sue vittime.
Raskolkov si salva quando già dopo un anno in Siberia ai lavori forzati, con il cuore ancora di ghiaccio, fa due sogni. Nel secondo vede, al di là di un fiume sulla cui riva sta lavorando, una comunità nomade di uomini liberi, diversi, come fuori dalla storia. È l'utopia a salvarlo (scrive Pietro Citati). La possibilità di un mondo nuovo. Solo a quel punto riesce a sciogliersi, ad abbandonarsi all'amore per Sonja.
Ma su "Delitto e castigo" andrebbe aperto un topic...

@iano
Al tuo secondo post credo di aver già risposto nella parte finale del brano qui sopra.
Il tentativo è quello di mettere a punto concretamente un modo di vivere il lavoro della conoscenza. L'interpretazione della scienza, in generale dell'impresa scientifica attuale, da questo punto di vista, è secondaria, cioè per quanto ineludibile non è l'oggetto della discussione.
#57
Citazione di: Adalberto il 17 Settembre 2025, 15:14:12 PMil riferimento alla danza mi aiuta a capire meglio, essendo un preciso riferimento al ditirambo e ai riti (collettivi) dionisiaci.
Giacché  i cretesi lo consideravano un loro conterraneo, alluderei anche alla danza delle gru studiata da Kerenyi , un danza circolare che rivitalizzando  il senso del labirinto  - a differenza di altre ritualità basate sul dualismo morte / rinascita - aggiunge a livello intermedio fra quei due opposti anche il senso dello smarrimento. 
In altre parole la perdita di sé modulata attraverso l'estasi dionisiaca viene simbolicamente proposta  da Nietzsche come soluzione alternativa al dilemma angoscioso di colui che  di fronte al dualismo morale/immorale o  bene/male si blocca. O in alternativa sceglie una delle due opzioni rinunciando comunque  a parte di sé stesso. Da qui la sofferenza e l'idea di un premio compensatorio nell'aldilà.
 Invece nella vita si danza, e pur sfiorando l'abisso, il senso di smarrimento (cognitivo e razionale) viene trasmutato (intuitivamente/emotivamente ?) in un percorso che tutto sommato mi sembra  iniziatico.  Ma quella di Nietzsche non mi sembra una danza collettiva ma individuale.
Così per tornare alla domanda iniziale di Kob, con la sfrontata timidezza di chi ignora Nietzsche, splitterei la risposta in due:
. Al plurale, mi viene dubitare che il pensiero intuitivo e simbolico possa coinvolgere le masse verso una maggiore comprensione reciproca, un migliore equilibrio fra le pluralità presenti nella società, avendo memoria di quello che dice Le Bon sulla psicologia delle folle. L'immagine intuitiva nella folla tende a uniformarsi a livelli semplicistici e identitari, che storicamente hanno visto corrodere (e poi distruggere) la relazione fra diversi  e quindi  il pluralismo della nostra bistrattata società occidentale. Ora, non so se pù internamente che esternamente, sembra che ci si avvicini  alle soglie di un nuovo abisso. Ma mi rendo conto che proseguendo di questo passo mi avvicinerei alla sciocchezza di pensare la società all'interno di una visione ciclica. quindi non so, mi fermo...
. Al singolare sì,  l'abbandono delle pastoie moralistiche che generano più colpevolizzazioni che una efficace (e funzionale)  relazione con le altrui personalità penso che aiuti a danzare meglio nella vita. Ma anche Max Stirner aveva  già messo in guardia l'individuo, forse in maniera più grossolana e parolaia.
Ho ancora qualche difficoltà a digerire il fatto che la parvenza (l'estetica ) sia ciò "che opera e vive", se non riferendomi alla superfice di contatto fra yin e yang nel tao. Non so se l'analogia sia sostenibile.
L'immagine della danza nel brano della Gaia scienza che ho riportato ha un significato profondamente diverso rispetto a quello rituale-iniziatico a cui fai riferimento tu, più in linea con le tematiche della Nascita della tragedia, scritta quasi quindici anni prima.
Nella Gaia scienza non si tratta infatti di delineare una sorta di itinerario estatico, ma l'abbozzo di un modo di interpretare l'avventura della conoscenza.
Studiare, pensare, sperimentare.
È possibile continuare a farlo al di là delle illusioni della metafisica? Farlo in modo avventuroso, creativo, senza la pesantezza di un compito morale? Farlo senza la responsabilità di migliorare l'umanità, ma solo per la bellezza delle ipotesi, delle possibilità complesse ancora tutte da sviscerare?
In questo senso Nietzsche parla di gaia scienza: un modo di conoscere che mantiene in sé l'entusiasmo della danza e della giovinezza.
Come un nuovo Rinascimento.
#58
Alcune precisazioni.
"Gaia scienza": qui scienza va intesa come conoscenza, conoscenza nel suo complesso, conoscenza della natura quindi, della storia, della civiltà, dell'uomo.
È bene capire che Nietzsche non si sta rivolgendo al ricercatore che passa le sue giornate sprofondato nel proprio laboratorio al riparo dalle inquietudini degli uomini. Si sta rivolgendo agli uomini della conoscenza che sarebbero presto venuti, disillusi dalle ultime utopie positivistiche, pieni di nostalgie metafisiche e tendenti alla regressione del realismo.
È a questi uomini che vorrebbe consegnare una possibilità: quella di fare vera conoscenza senza precipitare negli abissi del pessimismo o nelle deformazioni della cultura fine a se stessa.

La premessa del discorso è questa. Ma per rafforzarla ho voluto chiarire che quelle di Nietzsche non sono semplici invettive. E per dare robustezza epistemologica a espressioni a volte troppo poetiche e aforistiche ho richiamato l'affinità con le teorie di Mach. Il che non significa dover essere d'accordo con la critica della scienza di Mach, con la sua accezione del principio di causalità ecc. Significa solo che quando Nietzsche parla di parvenza in opposizione a sostanza bisogna ricordarsi che dietro al suo concetto di parvenza ci sono gli studi di Mach e degli empiristi inglesi sulla sensazione e sulla conoscenza.

Ecco cosa scrive (in una versione sintetica e più chiara) in §54.

Che cos'è ora, per me, la "parvenza", ciò che appare? In verità, non l'opposto di sostanza. Infatti che cos'altro posso attribuire ad una sostanza qualsiasi se non appunto i soli predicati della sua parvenza? Parvenza è per me ciò che opera e vive.
[...] Tra tutti questi sognatori anch'io, "l'uomo della conoscenza", danzo la mia danza; l'uomo della conoscenza è infatti un mezzo per prolungare la danza terrena.
E tutta la conoscenza, con la sua estensione e i suoi legami, sarà forse il mezzo più alto per mantenere l'universalità dei sogni e quindi la generale comprensione reciproca di questi sognatori e con ciò appunto la durata del sogno.

L'uomo della conoscenza fa la sua parte per prolungare il sogno. Perché la vita dell'uomo è un sogno. Come nottambuli, se fossimo svegliati, rischieremmo di cadere negli abissi su cui immemori conduciamo le nostre vite.
Le morali, le religioni, le metafisiche cercano di salvarci da questo precipitare. Impongono che ci si svegli e che si prenda sul serio l'abisso per poi ancorarci alla robustezza (o pesantezza?) della loro verità. Al contrario della gaia scienza si rifiutano di continuare con la danza.
#59
Citazione di: fabriba il 16 Settembre 2025, 16:14:44 PMLa mela cade perché l'ho lasciata andare.
L'esperimento finisce li e la causalità è dimostrabile.

Se poi si vuole andare a dimostrare cos'è la gravità, allora non basta una mela; però questo esula dal punto, nulla è dimostrabile se andiamo indietro nel gioco dei "perché" fino all'origine del mondo. Se era questo che voleva dire Mach credo ci siano stati pensatori prima di lui che l'hanno detto in modo più elegante

La mela cade perché, nell'interpretazione della meccanica classica, c'è una forza che viene esercitata sulla mela. Quando tu lasci la mela, smetti di esercitare una forza uguale e contraria a quella che spinge verso il centro della Terra.
Quindi l'effetto è la caduta, la causa è la forza di gravità (che si manifesta perché tu smetti di esercitare una forza uguale e contraria, cioè la "lasci andare"). La causalità è appunto presenza di un nesso di causa-effetto.
Come Mach interpreta questo fenomeno, diversamente da Newton, l'ho già scritto. Si tratta di sostituire al nesso causa-effetto quello di funzione.
Mach interviene all'interno di un ampio dibattito sulla causalità che parte da Hume e Kant e arriva fino a Cassirer.
#60
Citazione di: fabriba il 16 Settembre 2025, 12:02:42 PMappunto brevemente che questo è errato: il metodo scientifico richiede ripetibilità:
  • se sollevo un oggetto e lo lascio andare da 1m di altezza, l'oggetto cade
il rapporto di causalità è dimostrabile e ripetibile fino alla fine del pianeta terra, non è pregiudizio.
Questo cambia poco sulla domanda finale, ma mi pareva importante.

Se tu lasci cadere una mela da una certa altezza perché la mela cade? Tu sembri convinto che la causa della sua caduta sia la forza di gravità che la attrae nella direzione del centro della Terra.
La causa sarebbe cioè qualcosa di invisibile che tocca i due corpi in gioco, che misteriosamente li mette in contatto, la mela e la Terra. Questa specie di fluido misterioso, di azione invisibile, è la forza di gravità.
Quello che dice Mach è che non abbiamo bisogno di utilizzare queste immagini antropomorfe per spiegare le regolarità che osserviamo: è sufficiente intendere il legame tra i corpi come relazione funzionale. Come funzione: al variare di un elemento, ecco variare anche il secondo, secondo una regolarità che la legge scientifica appunto esprime.
"Forza", "materia" ecc. sono concetti utili per la prassi, per intenderci velocemente, ma non rimandano a niente di reale.
Infatti, tornando alla mela, nel modello della relatività generale la caduta viene spiegata in tutt'altro modo: nessuna forza attrattiva misteriosa, ma il moto inerziale lungo lo spaziotempo curvo.