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Messaggi - Visechi

#46
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
15 Gennaio 2025, 17:52:15 PM
Citazione di: anthonyi il 15 Gennaio 2025, 17:47:46 PML'analisi é stata fatta su parti periferiche del tessuto, tessuto che ha subito i fumi di più di un incendio e che probabilmente ha avuto vari interventi di rammendo periferici nel tempo.
Comunque va bene così, la chiesa di oggi non ha bisogno di prove di alcun genere, bastano le prove di fede di quelli che credono, gli altri comunque non crederanno.

Oddio! Nulla questio, se la Chiesa e i suoi fedeli si limitassero a far credere qualsiasi scemenza a chi vuol far parte del gregge e lasciassero in pace gli altri cittadini che della Chiesa se ne fregano, magari a questo punto alcuni diritti civili farebbero già parte del bagaglio giurisprudenziale e legislativo del nostro Paese laico.
Ma piace alla Chiesa infilarsi nelle camere da letto del prossimo... che libidine.
#47
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
15 Gennaio 2025, 17:46:48 PM
Citazione di: Jacopus il 15 Gennaio 2025, 17:28:07 PMNon lo dice il cardinale ma l'esame al carbonio che è piuttosto preciso fino ad un periodo compreso fra oggi e diecimila anni fa. Secondo questo esame che risponde a tutti i requisiti scientifici la sacra sindone è un telo realizzato fra il 1280 e il
1360 dopo Cristo.
Guarda che è inutile contrapporre razionalità e scienza a cecità (in questo scabroso caso, solo di cecità si tratta), i cattolici sarebbero addirittura capaci di credere ad un parto virgineo, addirittura, e sarebbe davvero troppo, vergine durante ed anche dopo il parto... opsss, mi pare sia un dogma. Vabbè, ma mai sono arrivati e mai arriveranno a credere all9idiozia dell'assunzione diretta in cielo di un essere mortale, quale potrebbe essere, che ne so... magari una donna... o diavolo, un altro dogma.
Insomma, non ci vuol molto a fargli credere quel che vuoi.
#48
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
15 Gennaio 2025, 15:12:25 PM
Citazione di: anthonyi il 15 Gennaio 2025, 13:58:30 PMBen 3 risposte per un solo post di circa 250 battute, poco più di un tweet. Ho la netta sensazione di aver proprio azzeccato la domanda, e vi spiego l'origine della mia riflessione.

Ah, sì, sì, troppo acume per me.
#49
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
15 Gennaio 2025, 12:47:48 PM
Citazione di: InVerno il 15 Gennaio 2025, 12:31:09 PMUna rondine non fa primavera, che ci siano alcune persone che praticano "ateismo militante" (non so cosa voglia dire, ma vabbè) dimentica che la maggior parte degli atei non offre alcun ostacolo a ricevere Dio, anzi per buona parte della loro vita hanno pure cercato, è lui che chiaramente non ha risposto (non sto parlando di me), e la Bibbia tiene conto delle "non risposte" più famose, comprese quelle ricevute dal suo presunto figlio sulla croce, tanto che un ateo altro non fa che rilevare che allora non è solo un problema suo, questo proprio non risponde a nessuno. Neanche nelle chiese e tra i farisei della domenica belli imbardati che vanno alla messa per conformismo e gossip a ricevere il sacro biscotto del perdono, non c'è molta fede, l'onniscente non può confondere la paura e il conformismo con la fede, lui vede tutto. Per trovare la fede oggi bisogna togliersi gli occhiali delle religioni tradizionali, in america bisogna andare per esempio su un ring di wrestling. Gli "atei del wrestling" non capiscono, ma questi fanatici del wrestling ci sono o ci fanno?  Non si rendono conto che è tutto finto? Ma loro imperterriti tutta la settimana si preparano per la domenica sugli spalti, e quando vi sono seduti urlano, piangono,si incazzano come se fosse tutto vero fino all'ultima gomitata..e lì c'è il buono, il cattivo, la donzella rapita e tutti gli altri strumenti tipici dei racconti morali, è tutto vero, ciò che importa! E quale cristiano può vantare la stessa fede di un fan del wrestling, davanti alla concreta possibilità che sia tutto finto ?Neanche il papa!
Facevi wrestling da giovane?
#50
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
15 Gennaio 2025, 12:46:41 PM
Citazione di: anthonyi il 15 Gennaio 2025, 05:12:06 AMSe ne sei convinto chissà perché continui ostinatamente a parlare di lui.
E' il grande paradosso del male, rifiuta Dio, ma continua, ostinatamente ed ossessivamente a tenere lo sguardo fisso verso di lui.
Non so perché, ma ho sempre la sensazione che sbagli sempre ed in ogni occasione la domanda... per cui...
#51
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
14 Gennaio 2025, 20:04:00 PM
Citazione di: taurus il 13 Gennaio 2025, 19:12:01 PMTu scrivi: si pentì del suo errore (un Dio che sbaglia, altra particolarità).



Ma se ricordi bene _ lo stesso santo Abbà altre volte si pentì amaramente per:

- aver scelto re Saul ( 1 Sam. cap. 15) 

- Gioele cap. 2 /
Il devoto che riconosce la sua gravissima colpa e si straccia il cuore (molto poetico..) il santoAbbà si Pente semmai lo castigò (gli procurò del male..)

[alla faccia della sua super-Onniveggenza]

alleluia, alleluia

----------------------------------------------------------------



Sì, conosco quei passi, ma mi interessava soprattutto focalizzare e far udire la viva voce di Dio. Dio è, fra l'altro, il Dio dei patti (ben 5, se non me ne sono perso qualcuno), ogni tanto ne stipula uno nuovo. Mah! Che strano personaggio: ha creato l'universo per sentirsi meno solo, osserva il nostro dibatterci perché ho la sensazione che lo diverta... diciamo che siamo il trastullo di Dio. 
Ci sarebbe da bestemmiarlo ogni attimo, per fortuna è solo una nostra astrusa creazione.
#52
Tematiche Spirituali / Re: La legge della parola
14 Gennaio 2025, 19:47:07 PM
Un fiume di parole per dire delle parole!
Le parole, pur nella loro afasia, nella loro incompiutezza, esprimono pur sempre qualcosa, anche se d'indefinito e soffuso. Trasmettono parti dell'intimo di chi le utilizza per comunicare, e chi le legge o le ascolta, pur fra i tanti fraintendimenti insiti nella comunicazione, recepisce qualcosa di quest'intimo. Un autore vive attraverso le parole che utilizza nei suoi libri, ed è vivo nella misura in cui le sue parole sono lette. Parole non lette o ascoltate sono come se non fossero mai state scritte o pronunciate, come un albero che cade senza che vi sia nessun essere vivente che possa assistervi o udirne il tonfo... non esiste. La parola è, in questa accezione, reminiscenza. Reminiscenza è anche cultura.
Pur tuttavia, è anche vero che soprattutto da un testo scritto filtri sempre un'assenza, anche perché quel che viene letto è un insieme di termini e locuzioni utilizzate in un momento diverso da quello che a suo tempo coinvolse colui che scrisse. Non vi è immediatezza fra scrittura e lettura. Fra le due fasi si crea una sfasatura temporale e, soprattutto, emotiva. Fra le due azioni – scrivere e leggere – s'interpone una stasi, una sospensione che si integra nel non detto, perché appunto ancora non letto. E forse in essa, fra le sue pieghe, s'insinua un'assenza, una mancanza che in un certo senso priva l'autore dell'esistenza in vita. Questo "ristagno" è sempre solo un rimando, una sospensione. È nella ripresa (lettura) che questo vuoto si ripopola pian piano e, ripopolandosi, si ricostituisce per tasselli, come in un mosaico, l'esistenza in vita dello scrittore.
Ma man mano che la lettura si fa più attenta, via via che la comprensione penetra sempre più fra le righe e i contorsionismi verbali, fra l'indecifrabilità della grafia, fra le piroette lessicali, l'immagine del significato si compone sempre più, senza però, credo, riuscire mai a svanire totalmente quel fumus che avvolge tanto lo scritto, quanto colui che scrive: le sue sensazioni, le sue impressioni, i suoi pensieri spesso manichei.
Le parole sono impregnate di una labile traccia, forse un profumo o il lezzo, della coscienza, della volontà ed intima presenza di chi ha inteso attraverso questo precario veicolo trasmettere all'esterno qualcosa di sé. Certo, alle volte lasciano solo l'impressione di un qualcosa; chi le cattura, leggendole ed interpretandole (perché uno scritto impone sempre un'interpretazione, alle volte anche fuorviante), mescola al non essere presenza dell'autore, la pretesa d'essere del lettore. Così è che si viene a comporre quel flusso, quel feedback denominato 'comunicazione', forse impropriamente denominato in tal modo. Ma il linguaggio, fra le varie combinazioni possibili di vocali e consonanti, estrae a sorte proprio questo termine.
Il linguaggio è così un trait d'union fra persone; una forma o un sistema o un mezzo che coniuga due o più individui che, per quanto lontani, non solo geograficamente, ma anche nel tempo e nelle emozioni e sensazioni, si connettono... minimamente si connettono... entrano in contatto. Le parole hanno questa prerogativa: coniugare le persone. Coniugarle parzialmente, certo, ma pur sempre più di nulla...
È anche vero, sarebbe stupido negarlo, che le parole trascinano con sé l'ego di chi scrive o parla. Le parole, in tal senso, sono la manifestazione e al tempo stesso la protezione di quell'ego naturale che tendiamo a proteggere ed esaltare. Sono così anche la manifestazione e la vetrina della volontà di potenza che ciascuno di noi esprime intimamente; sono, perciò, l'epifania del nostro Ego. Che poi questo ego sia malato poco rileva rispetto alla proprietà trasduttrice delle parole ed alla loro facoltà compositiva e connettiva.
Ecco perché, errando forse, ritengo che vi sia un filo, seppur labile, un ordito di parole, che connette e mantiene labilmente coesi i due capi del filo. Vi è, indubitabilmente, qualcosa che scrive e trasmette, e qualcosa che legge e risponde. Vi è così un comunicatore, un contenuto della comunicazione e un recettore di questa comunicazione.
Poi accade che si assista ad un fenomeno, che è tipico e peculiare di ogni comunicazione: l'emergere di un caleidoscopico affastellarsi accidentale di impressioni, interpretazioni e sensazioni, tale da rendere spesso lo scritto letto assai diverso da quello originario, e, per via di una proprietà transitiva, con esso anche il suo autore. Ma non avendo in sé il testo scritto alcuna coscienza di essere tale, essendo una fredda traslazione di segni grafici, la fonte originante questa increspatura della comunicazione, è da ricondurre interamente a colui che legge, non a chi scrive, giustappunto perché è chi legge che ricompone il mosaico, riconnettendo, secondo le proprie impressioni e sensazioni, le sensazioni e le emozioni di chi ha scritto. Solo chi legge è presente a sé stesso nel preciso istante in cui scorre con gli occhi i periodi e i paragrafi; in questo scorrere si attiva l'attenzione che evoca le impressioni e le sensazioni che vanno a comporre quell'affastellamento caleidoscopico accidentale di cui vi è traccia in ogni componimento scritto. Per cui sarebbe sempre il lettore a creare colui che scrive.
In chiusura... un mare di parole per parlare delle parole
#53
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
12 Gennaio 2025, 10:33:37 AM
Citazione di: Duc in altum! il 12 Gennaio 2025, 01:51:23 AMChe era già a disposizione non significa che il Male provenga da Dio... questa è la tua interpretazione!

Hai saltato il passaggio precedente (capisco la convenienza per giustificare la tua fede) dell'angelo caduto: Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli (Ap 12,9) , oppure: Afferrò il dragone, il serpente antico - cioè il diavolo, satana - e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell'Abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni (Ap 20, 2-3);cco da dove proviene il Male (alias il Maligno, come traduce il testo originale del Padre Nostro), ecco chi ha messo a disposizione, seducendo Adamo ed Eva - alterando la verità di Dio che suggeriva di non mangiare, altrimenti avrebbero portato la Morte sulla Terra e nell'Universo: la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono (Sap 2, 24) -, la tentazione a far del male.

Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato( Rm 5, 12).

Pace e bene 

Ma come, al reboante tuono di Dio tu contrapponi il pigolio dell'uomo, della sua interpretazione, e pretendi che il pigolio taciti e sovrasti il tuono? Possono le parole di Dio essere sovrastate da quelle dell'uomo? Ad ogni buon conto, proseguiamo rilevando che in Genesi è riportato un altro episodio, a parer mio abbastanza esplicativo e sintomatico. Al Capitolo 6, cosa alquanto singolare e piuttosto inusuale per un essere perfetto, anzi per l'essere perfetto per antonomasia, si racconta che Dio si pentì della sua opera e si determinò a distruggerla. Incredibile per un essere onnisciente.
Dio si pentì perché il Male aveva interamente preso possesso dell'umanità. Lo stesso Male che Egli ebbe a creare (chi altri se non l'unico creatore di tutte le cose visibili ed invisibili?) e reso disponibile in foggia di tentazione (sempre da Lui indotta – cercate pure di edulcorare e far sparire le tracce, ma anche Gesù indica nella tentazione divina l'origine del Male).
L'Abisso del Male entro cui l'uomo, voluto fragile dal suo creatore, nel suo incespicare, fatalmente sprofonda. Dio, in definitiva, si pentì di aver abbandonato l'intera creazione all'imperio del Male; si pentì del suo errore (un Dio che sbaglia, altra particolarità). Abbandono che reiterò successivamente con l'unigenito, paradigma dell'umanità. Ed in effetti, questa indifferenza, questo abbandono lo si reperisce anche nella storia dell'uomo: la Shoah non è forse una storia di indifferenza, di abbandono?
#54
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
11 Gennaio 2025, 23:32:07 PM
Citazione di: Duc in altum! il 11 Gennaio 2025, 18:23:43 PMIn Genesi il male è l'essenza di Dio?!!... ma quale Bibbia leggi?!?
Giobbe e il Crocifisso sono l'eterno mistero della sofferenza dell'innocente: la "roccia" dell'ateismo che si dissolve come sabbia, innanzi a Gesù che - condividendo la nostra stessa condizione umana - ci rivela che Dio non è indifferente, ma soffre con l'uomo, piange come un uomo.

Inoltre, sia Giobbe, sia Gesù (ossia: sia il mito che la realtà), terminano la loro iniziale imprecazione a Dio, con due delle più belle e commoventi lodi a Dio.

Giobbe passa dal maledire Dio per avergli dato la vita, al pentimento e al ricredersi di ciò che considerava.

Gesù, che non è un mito ed è di un livello di perspicacia unico, alza ancora di più la qualità della glorificazione, invocando il salmo 22, dimodoché solo gli ebrei là presenti, potessero intendere cosa stesse facendo.

Non è mia intenzione burlarmi (sia ben chiaro!), ma siccome avverto che c'è davvero fede in questo che tu credi, non posso trattenermi dal dirti: penso che in questa tua personale interpretazione "evangelica", ci siano tutti gli elementi per redigere un'eccezionale sceneggiatura di una nuova serie televisiva su Gesù.



Non mi andrebbe troppo ripetermi, nondimeno vedrò di fornirti un sunto, schematizzando quanto possibile la spiegazione.
Evidente che la tua Bibbia dev'essere monca, priva di sicuro del bellissimo Libro di Genesi. Acquistane una completa, non perderti questo gioiello di letteratura sacra.
AVVERTENZA: La Bibbia utilizza sì un linguaggio simbolico, ma, pur fra vapori, mostra una verità... ovviamente la verità della Bibbia. Il linguaggio che utilizza è il medesimo che descrive quello che il CCC chiama peccato originale, imbastendoci su questa storia l'intera teologia della redenzione, del peccato e, in definitiva, la propria ragion d'essere.
Iniziamo dall'incomincio:
A.Prima evidenza: Sbaglio o nel racconto di Genesi, precisamente al Capitolo 2, versetti 16-17, il buon Dio, Creatore di tutte le cose visibili ed invisibili (mai sentita questa professione di fede?), impartì alla sua più bella creatura (cosa molto buona), un ordine perentorio: "16. Dio il Signore ordinò all'uomo: «Mangia pure da ogni albero del giardino,
 17. ma dell'albero della
conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai».

Nelle tue peregrinazioni fra le parrocchie, hai notato se qualcuno abbia mai focalizzato la propria estasiata attenzione sul fatto che se Dio (creatore...) ha formulato un ordine perentorio di tale portata, è anche evidente, credo indiscutibile, che facesse riferimento ad un qualcosa che era già nella disponibilità di fruizione o accesso della sua più bella creatura.
Per spiegarti meglio, considerata la stupefacente disinformazione (mica tanto stupefacente) che mostri: il Male cui Dio (creatore...) fa riferimento con quella prescrizione perentoria è presente nel Creato ben prima della narrata disubbidienza dell'uomo. Addirittura, è rappresentato da un frutto prodotto da un albero che Dio stesso ha posto al centro del Giardino dell'Eden, insieme a quell'altro albero che avrebbe garantito l'eternità, quindi l'assenza della morte.
Nota pure l'utilizzo del sostantivo conoscenza, utilizzato in altre sezioni del Libro sacro per indicare intimità profonda o addirittura fusione, come a voler segnalare che, nel caso ne mangiasse, da quella gnosi sarebbe stato posseduto... e noi, oggi, ben sappiamo che così è. Dal morbo della conoscenza siamo posseduti: fatti non fummo per viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza.
Diversamente, se questa potenza non fosse preesistente rispetto all'atto di hybris, Dio (creatore... onnipotente, onnisciente... onnitutto) avrebbe impartito un ordine assurdo, essendo del tutto assente proprio l'oggetto della prescrizione. Ciò l'avrebbe esposto al ridicolo, non credi? Ti pare sensato questo excursus?
B.La professione di fede dei cristiani, il simbolo niceno-costantinopolitano, formulato ed approvato dalla Chiesa Cattolica Romana, (conosci?) pone un'enfasi particolare sul fatto irrinunciabile che Dio sia il "creatore del cielo e della terra e di tutte le cose visibili ed invisibili". Tale formula attribuisce una grande responsabilità al Creatore, le cui qualificazioni sono infinite e tali da non consentire ad alcuna altra di essere considerata aliena dal Creatore. È discutibile ciò che affermo?
C.Fai bene a notare che Giobbe alla fine elevò un bellissimo inno di lode al creatore. Ma, come certamente saprai, il suo concedersi a Dio, e la sua lode fecero seguito alla terrificante Epifania divina. Dio, piuttosto che fornire una risposta al continuo interrogare di Giobbe circa il Male, oppose a questo pretendere la sua ineffabile potenza e il suo imperscrutabile arbitrio creativo, che affianco alle meraviglie del Creato pose l'orrido e il possente: il Leviathan e Behemoth altro non sono appunto che la manifestazione violenta della creazione. Giobbe rispose: «3. Io riconosco che tu puoi tutto e che nulla può impedirti di eseguire un tuo disegno.
 4.
Chi è colui che senza intelligenza offusca il tuo disegno? Sì, ne ho parlato, ma non lo capivo; sono cose per me troppo meravigliose e io non le conosco.
 
5. Ti prego, ascoltami, e io parlerò; ti farò delle domande e tu insegnami!
 6.
Il mio orecchio aveva sentito parlare di te, ma ora l'occhio mio ti ha visto.
 
7. Perciò mi ravvedo, mi pento sulla polvere e sulla cenere»(vedi Giobbe 42:1-2). In pratica, Giobbe riconosce e si assoggetta all'arbitrio creativo di Dio, rinuncia ad ottenere una risposta e si sottopone silente alla volontà superiore di Dio, che persegue un suo ineffabile disegno. Ancora una volta, il Male non è parto umano. Concordi?

D.Perché questo stato di cose? Conoscerai il significato antropologico del termine "sacro". L'uomo fin dalla sua comparsa sulla terra ha dovuto fare i conti proprio con questa dimensione. Il termine è riferito ad un qualcosa che rappresenta una persona, un luogo, un oggetto legato o connesso ad una dimensione trascendente, ove si sviluppano forze terrifiche e si estrinseca liberamente la piena furia violenta del divino. Magari rileggi l'episodio del Dio del roveto, forse a te ben noto, e domandati perché mai Mosé non poté guardare in faccia Yhawe? Anche in questo caso ne sarebbe certamente morto.
Lo stupore (l'etimo non tradisce) ha consacrato (votato alla trascendenza) il luogo ove la voce di Dio si manifesta: diventa inviolabile. La cautela nell'approssimarsi al sacro non è dettata solo dal rispetto, ma anche e soprattutto dal terrore che il divino ha sempre incusso nell'umano. Da questa necessità discende l'uso di perimetrare, recintare, separare, conchiudere l'area del sacro. L'accesso ed il rapporto diretto, non mediato, sono concessi solo a chi, all'uopo consacrato, è in possesso dei carismi necessari che gli consenta, senza trarne danno, una relazione diretta con la divinità. Hai mai sentito parlare dei sacerdoti? Perché è necessaria questa mediazione? Perché il sacro è violenza, forza bruta ed arbitrio assoluto: è un fulmine che incendia un villaggio; un terremoto che sbriciola le case; un meteorite che disintegra una comunità  etc... Behemoth e Leviathan.
Se il Male è già presente nel creato ben prima della disobbedienza narrata in Genesi; se il simbolo niceno-costantinopolitano ci impone (pena anatema) di credere che Dio sia il creatore di tutte le cose visibili ed invisibili; se Giobbe ci avverte che non è dato alla creatura indagare il disegno ineffabile di Dio e pretendere di aver ragione del suo assoluto arbitrio creativo; se, infine, anche l'antropologia (stupendo il tomo di René Girard sulla Violenza e il sacro) ci insegna che il sentimento delle popolazioni arcaiche conviene nel ritenere sacro il luogo ove la divinità manifesta la propria violenza (forza bruta... quella descritta più volte nell'AT, cui anche voi cristiani fate riferimento), ti chiedo perché, viste le premesse, non accettare come conseguenza più che logica che il male fosse e sia parte costitutiva del Dio Padre nostro che sei nei cieli? Colui che ci induce in tentazione? Poco rileva aver falsato, edulcorandola con abbandonarci, anche la preghiera che la vostra tradizione vorrebbe insegnata direttamente da Gesù.
E.Perché mai tutto questo? Per reperire un abbozzo di risposta a questo quesito, mia risposta, ti invito a leggere o rileggere il mio commento n. 164 di questa discussione.
Buona lettura.
#55
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
10 Gennaio 2025, 21:11:45 PM
Citazione di: Duc in altum! il 09 Gennaio 2025, 22:23:53 PMSe il Male è l'assenza di Dio (Einstein docet), come può un male provenire da Lui?

Il peccato delle origini, voluto dall'Uomo, ha generato la sofferenza, la caducità e la morte dell'Universo, e nessuno può esentarsi dal contrarre (pur non avendolo commesso) questa dimensione o sentirsi immune dal peccato.

Certo uno può illudersi che sia una favola, ma il racconto prosegue con un Messia che ha detto: sono qui per rendere più sani del sano i portatori di handicap (sconvolgendo la fede del popolo eletto, che ghettizzava i lebbrosi e le sterili poiché credevano che fossero maledetti da Dio)...
Certo, non hai torto: "Se il Male fosse l'assenza di Dio...", ma, stante l'esplicita ammissione contenuta in Genesi, è ancor più immediato e conseguente affermare che: "essendo il Male essenza di Dio, normale che questo provenga direttamente da Dio" - ascolta le terribili parole di Giobbe, ma anche quelle di Gesù sulla croce.

Il racconto prosegue, infatti, con l'unigenito immolato sul Golgota. Ciò lascia intuire che Dio abbia inviato il proprio figlio sulla terra per resipiscenza, per redimere sé stesso dalla colpa di aver abbandonato la sua creazione all'imperio di una sua ipostasi. E Gesù, ben cosciente delle inemendabili colpe del Padre suo, si adoperò come meglio potè per alleviare il dolore dal Padre cagionato. Fallì nell'impresa di sradicarlo, poiché sulla croce fu abbandonato dal Padre, ma la sua opera potè trasmettere all'umanità, come lascito ereditario, il germe che da sempre ammorba ancor più la vita dell'uomo: la lusinga di una speranza, falsa.  
#56
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
09 Gennaio 2025, 15:08:05 PM
Citazione di: Duc in altum! il 09 Gennaio 2025, 14:59:07 PMQuesta è una parte della teologia della Croce.
Bisogna anche riflettere sull'altra: Cristo non ci libera dalla sofferenza, ma dal non senso di questa... questa è la Croce!

Dio non salva dalla sofferenza e dalla tribolazione, ma nella sofferenza e durante la tribolazione (non c'è un apostolo/a che arrendendosi a Dio senza ragione, sia divenuto primo ministro o re o regina).

Ribadisco, non costa nulla attribuire il Male (e le sofferenze che produce all'umanità) a Dio, ma questo non risolve il dilemma personale con il proprio essere volutamente il Male, con il proprio produrre il "peccato".
Se il Male è peccato, Dio è stato ed è il primo grande peccatore, poiché certo Male, se tu credi a Dio, non può che provenire da Lui. L'handicap è un Male, quindi un peccato, non cagionato dall'uomo... ma neppure i terremoti, le inondazioni, un meteorite che distrugge una comunità. Dio non si salva dal Male. L'unica Sua salvezza è la sua inesistenza. Diversamente sia Benedetta ogni maledizione a Lui rivolta.
#57
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
09 Gennaio 2025, 15:04:21 PM
ma sono i cristiani ad aver subito più di tutti questo problema, dovendo assicurare che alla fine dei tempi il tribunale celeste sarebbe stato giusto ed equo, il problema del male diventa centrale, compreso quello commesso da Dio, a seconda di dove si crede finiscano i suoi illimitati limiti, sono i cristiani a portare Dio in tribunale.

Io credo, e ne son fermamente convinto, che, seppure i Vangeli spesso raccontino il medesimo evento in maniera contraddittoria o che le narrazioni non siano sempre sovrapponibili, il nucleo teologico centrale che è stato trasmesso sia abbastanza coerente. L'esito o l'epilogo a cui doveva approdare il complesso excursus narrativo dei tre sinottici, soprattutto alla luce del cono di luce che il quarto Vangelo vi proietta sopra, non poteva discostarsi troppo da quello a noi pervenuto. Evidente anche l'intervento di collazione e ulteriore sviluppo compiuto dall'uomo di Tarso. Chiunque intenda confrontarsi con Gesù e il suo messaggio, non può far a meno di riferirsi costantemente, se non addirittura unicamente, a quella che è conosciuta come "letteratura gesuana". Cioè l'opera omnia – diremmo oggi – che racconta di Gesù. Altro non c'è. Diversamente non ci sarebbe spazio per un discorso, se non quello sterile affidato ad ancor più sterili filosofemi costruiti su molecole mentali da filosofi annoiati. Di Gesù si può parlare solo se si tengono ben aperti davanti agli occhi i libri che di Gesù raccontano le gesta: Vangeli, su tutto, Atti, epistole paoline, apocalisse... in poche parole, è necessario aver presente quello che i cristiani chiamano con una locuzione assai significativa Nuovo Testamento. Soprattutto si deve aver agio di saper sostare in contemplazione ai piedi dei legni di Cristo, interrogarli, ascoltare cosa hanno da dire. Da lì si deve necessariamente partire sia per conformarsi e confermare, sia per ricusare e rigettare quello che a noi appare come il corpus teologico della cristianità. È dentro ciò che questi testi tratteggiano con tinte talvolta fosche, più spesso tenui, che noi si può reperire il filum per una decisa adesione o una altrettanto decisa negazione dell'intera teologia cristiana. Fatta la tara di quanto davvero è accertatamente artefatto ed apologicamente narrato, credo permanga un nucleo di narrazione storica sufficiente ad indurre una fede tetragona, oppure, nel caso di rifiuto, un fermo ateismo. Ovviamente, questa fede che si trasfonde dalla narrazione evangelica al sentimento ed alla propensione all'innamoramento; che dialoga con le profondità dell'anima per pervadere ratio e sentimento, non può far appello all'empirismo, tantomeno alla ragione. È una condizione imprescindibile e di cui è necessario tener sempre conto. Supera e travalica scienza e coscienza e si insedia nell'anima dell'uomo, con una potenza tale da non consentire resistenze... come un innamoramento: evento, quest'ultimo, stupendamente (dall'etimo colpire con forza) trasecolante e di cui non si possono reperir ragione e senso: accade (per fortuna). L'analogia fra fede ed innamoramento non è casuale: l'innamoramento altro non ė che il barbaglio umano del sentimento e del legame che si genera nella fede fra Dio e credente: in entrambi i casi una resa, in entrambi i casi vi è la possibilità del tradimento e della ricusazione. Oppure è possibile un rigetto totale di ciò che i racconti evangelici tramandano. In ogni caso, due atteggiamenti leciti e non irrisori.


È necessario, talvolta, provare ad indossare i calzari altrui e provare ad immaginare la strada che quei calzari percorrono. Ho troppo profondo rispetto per l'amore fra umani per potermi permettere di irridere la fede.



Corretto il tuo avvertirci che le narrazioni delle civiltà arcaiche convergono quasi tutte nel riferire eventi soprannaturali, soprattutto quelli legati alla nascita dell'eroe. Ma non si può perciò, per il solo loro convergere, dedurne che si tratti di semplici leggende o favole. Tutt'altro, il racconto reiterato, anche quando presenta vistose difformità ma preserva il nucleo centrale della storia, attesta proprio che si tratta di eventi in qualche modo e misura accaduti veramente, ma avvertiti e narrati in linguaggio simbolico tipico del mito. Il mito altro non è che la narrazione in forma simbolica di eventi realmente accaduti e la cui percezione è mediata dalle emozioni. Nel mito chi si esprime è proprio la sfera emozionale. Su questo argomento l'antropologia si pronuncia in maniera univoca, e a noi, ignoranti, non è data la possibilità di confutare, se non facendo appello ad un credo oppure non credo. Null'altro! Qualcosa è accaduto. Sicuramente non si è trattato del diluvio con le conseguenze di cui in Genesi, presumo neppure di quello descritto nell'Epopea di Gilgamesh. Ma un evento traumatico è stato certamente avvertito dalla coscienza e registrato dal sentimento delle genti del tempo. Lo hanno trasmesso ai posteri facendo perno sulle loro particolari capacità di comunicare attraverso le emozioni dall'evento suscitate. Da qui Caino ed Abele, chiaro riferimento alla transizione da una società pastorale all'affermarsi di un nuovo sistema per procacciarsi il necessario nutrimento. Qui anche le resistenze dell'una rispetto all'affermarsi dell'altra e l'omicidio fraterno: comunità che si spaccano, chi per conservare e chi per progredire. Quella che viene narrata in Genesi è, in sunto, la storia dell'umanità. Anche il racconto riguardante il Male è una narrazione mitica che descrive con linguaggio simbolico la percezione che il Male provenisse e fosse opera del Creatore, e si manifestasse in foggia di eventi naturali catastrofici. Questo è il vero canone e l'unica sensata chiave di lettura dei racconti biblici, e non, intorno al problema del Male. Attraversare la Bibbia con l'ausilio della scienza antropologica che tanto ha avuto da dire sul significato del mito, non è un punzecchiare il testo e non è neppure uno sforzo o tentativo secondario. È, invece, l'unico modo per carpire al testo la chiave di lettura e il relativo significato. Certo, se tutto viene avvolto ed infagottato entro un sarcofago di sacralità divina, l'impresa è da subito votata al fallimento, e lo sforzo prodotto accede l'improvvido ad un'area densa di ridicolo e grottesco.

#58
Il Visechi scambia l'espressione chiara per velleitaria e continua col trasformismo - adesso la Trascendenza la tira fuori di nuovo - senza esser disposto ad usare le evidenze della ragione. Non gli riesce più di fare il sofisma, però ci aggiunge, dopo quella ultima sull'asma, la illazione sul presunto "io ce l'ho più duro di te"; io invece ho scopo di far emergere una verità, non di primeggiare in un confronto tra menti e tanto meno sono guidato dall'eros nello scrivere questi messaggi. Le illazioni oppostemi sono proiezioni psicologiche, dato che mi si attribuisce torto solo per voglia di sentirsi più forte.
 

Lasciamo che l'eco delle lallazioni si sperda nell'etere o si diluisca inane fra i mille riveli tentacolari del web. Non curiamocene.

Ti rassicuro, non è mia intenzione di ipostatizzare il male ed ergerlo a feticcio cui tributare onori e gloria. Io non credo nel Male, credo, perché presente, nella sua esistenza e nel suo essere nel mondo (vorrei davvero vedere come potresti negarne l'esistenza). Son vieppiù convinto che un credente nel creatore di tutte le cose visibili ed invisibili debba arrendersi alla necessità che il Male sia frutto della volontà creatrice del creatore di tutte le cose visibili ed invisibili (con buona pace dell'uomo settecentesco). Su questo argomento ti avevo preannunciato qualcosa. Se sei interessato a leggere, basta che segua il link: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/la-fede-in-dio/135/


Ancora una volta fai riferimento a quel qualcosa che permarrebbe dopo ed oltre la morte fisica,  ma di questo permanere o rinascere o essere post mortem non hai alcuna evidenza, se non quella resa disponibile dalla fede che sia così. Parimenti (meglio evidenziare, cerco di scongiurare i tuoi eccessivi fraintendimenti) e di contro, io sostengo che post mortem resta esclusivamente quel che hai saputo tessere in vita, ma non c'è metafisica in questo permanere, solo biochimica della memoria ed educazione sentimentale, per chi ovviamente ce l'ha. Per essere più chiari: dopo la morte resta esclusivamente un corpo che si decompone rilasciando gli elementi chimici che lo hanno costituito in vita e, cosa di unica vera rilevanza, il permanere negli affetti in Foggia di ricordo di quel che si è stati, oltre alla mirabilia delle opere d'ingegno, se ci sono. Tutto qui. Dicevo parimenti  perché neppure io posso addurre prove di quel che tenacemente sostengo, se non un'evidenza non contrastata da mirabolanti altri accadimenti di segno contrario. Né io né tu possediamo le prove a sostegno di quanto affermiamo in merito al post mortem, ma ritengo assai più verosimile la mia tesi piuttosto che la tua, fondata com'è su argomentazioni teologiche radicate in una narrazione già di per sé assai dubbia e, ancora una volta, intrisa di fede. Se non altro quel che affermo io non ha necessità di piegare le ginocchia di fronte ad enti supposti reali, si accontenta semplicemente di osservare i dati forniti da scienza ed esperienza diretta: mai nessuno è tornato dall'aldilà per raccontarci cosa ci aspetta, e quall'unico a cui certa tradizione (non tutta, riconoscerai) attribuisce questa rinascita/resurrezione è anch'esso inserito in una narrazione resa dubbia dagli eccessivi interventi apologetici postumi. Avrai nozione, immagino, delle molteplici interpolazioni, errori e correzioni apportate nel corso dei secoli a quei testi da voi immersi nella fede ritenete sacri. Singolare concetto di sacertà, me ne darai atto. Mi dispiace che tu abbia ancora una volta sorvolato sul particolarissimo flusso dialettico che si genera al cospetto della morte. Potrei scriverti mille parole per farti capire, ma sarebbero vane. Mi affido, invece, al sentimento, alla poesia e rinuncio alla complessità per riportarti uno stralcio di una poesia che son certo sia ben nota anche a te. Lo faccio solo per semplificarti la comprensione, anche se non ci conto troppo:

       
           Ei fu. Siccome immobile,

           dato il mortal sospiro,
           stette la spoglia immemore
           orba di tanto spiro,
           così percossa, attonita
           la terra al nunzio sta,
           muta pensando all'ultima
           ora dell'uom fatale;
           né sa quando una simile     

         
           orma di piè mortale

           la sua cruenta polvere
           a calpestar verrà.


Solo un breve stralcio, quel tanto che basta per trasmetterti in maniera forse più intelligibile che ciò che della Morte parla alla Vita, non è la mera contemplazione del corpo esamine, come hai inteso tu, ma la storia e la vita stessa di quel corpo oramai privo di vita. Ti lascio alla tua profonda - spero - meditazione al cospetto del corpo esamine di Napoleone.

Per quanto riguarda il Signore degli eserciti è un epiteto attribuito allo stesso Dio al quale tributi onore e nei cui confronti professi la tua fede, adesione interamente compresa in quel famoso credo istituito e compitato da mente e mano umana, pensavo fosse chiaro il riferimento al troppo cruento affermarsi della tua religione e confessione nel mondo, tanto da doverti suggerire di rinunciare al pulpito inadeguato al sermone pronunciato in ordine al tanto sangue versato dall'ateismo, perché quel pulpito su cui ti sei assiso galleggia sul sangue che l'affermazione nel pianeta della tua religione e confessione hanno preteso nei secoli. In poche parole: da quale pulpito arriva la predica. Tu, ignorando del tutto il mio richiamo, hai estrapolato l'epiteto per imbastirci intorno un non so che di stucchevole ed insignificante. Fede individuale o collettiva, sempre a quel Dio promosso nel mondo sotto la cruenta insegna  della rosseggiante croce in campo bianco fai riferimento, e davanti a Lui chini il capo in una professione di fede che ti riporto integralmente:


Credo in un solo Dio,
 Padre onnipotente,
 Creatore del cielo e della terra,
 di tutte le cose visibili e invisibili.

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,
 unigenito Figlio di Dio,
 nato dal Padre prima di tutti i secoli:
 Dio da Dio, Luce da Luce,
 Dio vero da Dio vero,
 generato, non creato,
 della stessa sostanza del Padre;
 per mezzo di lui tutte le cose sono state create.
 Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo,
 e per opera dello Spirito Santo
 si è incarnato nel seno della Vergine Maria
 e si è fatto uomo.
 Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,
 morì e fu sepolto.
 Il terzo giorno è risuscitato,
 secondo le Scritture, è salito al cielo,
 siede alla destra del Padre.

E di nuovo verrà, nella gloria,
 per giudicare i vivi e i morti,
 e il suo regno non avrà fine.

Credo nello Spirito Santo,
 che è Signore e dà la vita,
 e procede dal Padre e dal Figlio.
 Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,
 e ha parlato per mezzo dei profeti.

Credo la Chiesa,
 una santa cattolica e apostolica.
 Professo un solo Battesimo
 per il perdono dei peccati.
 Aspetto la risurrezione dei morti
 e la vita del mondo che verrà.
 Amen.


Te l'ho riportato nella sua interezza ed ho rinunciato ad evidenziare i passaggi più controversi perché, essendo una professione di fede e come tale creduta vera a prescindere da ogni evidenza razionale (cui nell'ultimo post fai riferimento), è totalmente infarcita di assurdità, le quali fecero pronunciare ad un apologeta/esegeta la formula del Credo quia absurdum (adesso ti prego di evitarmi la notazione che Tertulliano visse ben prima della formulazione completa del credo Micene-costantinopolitano. Spero abbia compreso cosa intendo dire). Ti invito a leggerlo ed esaminarlo con estrema attenzione, evitando di salmodiarlo burocraticamente (impiegatiziamente mi piace di più, rende meglio il concetto) come solito nelle vostre cattedrali.


Prima di chiudere mi preme sottolineare ancora una volta la forte sensazione che tu di Nietzsche ne abbia compreso assai poco, sempre che ne abbia letto qualche stralcio. Anche su questo tema cercherò di agevolare la tua scarsa gnosi e mi produrrò – forse – in uno sforzo teso a chiarirti quel che della filosofia nicciana mi pare abbia totalmente frainteso... tanto per cambiare.


Per quanto riguarda la conclusione del tuo ultimo commento, mi pare tu straparli, forse in preda proprio a quella possessione demoniaca cui fai cenno. Ho deciso di non replicare per lasciarti crogiolare in quel fango che scalda la cotenna dei maiali.
#59
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
08 Gennaio 2025, 18:03:38 PM
Citazione di: Pio il 08 Gennaio 2025, 14:57:00 PMDostoevskij  fa il percorso inverso:  diventa credente, lui ateo anarcosocialista, proprio per l' esperienza del male e della sofferenza. Se il creatore non avesse dato possibilità al male ( che è sempre un manifestarsi della sofferenza) , l'uomo avrebbe cercato una relazione con Lui? La preghiera è infatti una invocazione d'aiuto, un lamento che sale dalla creatura al creatore, una lotta che crea relazione. E la preghiera nasce dalla sofferenza e dalla consapevolezza di una finitudine che invoca pienezza di relazione. Anche nelle famiglie dove si instaura una relazione di amore tra i propri membri, c'è sempre qualcosa che crea distacco, difficoltà a capirsi, pena . Allora chiediamo all'altro, cerchiamo di intuirne gli umori o i dolori. Così si crea relazione. La preghiera è cercare in definitiva l'avvicinamento al creatore. In un mondo perfetto si cercherebbe Dio? Quale bisogno ce ne sarebbe? Turoldo mi sembra abbia scritto "Anche Dio si sente solo". La creazione non era una necessità, ma una possibilità che Lui ha scelto, secondo il racconto biblico.
Sammy Basso nella sua lettera testamento scrive: "Quello che spetta a noi non è nel trovarci qualcosa di positivo (in un evento negativo), quanto piuttosto di agire sulla retta via e... trasformare un evento negativo in uno positivo. Non si tratta di trovare i lati positivi quanto piuttosto di crearli, ed è questa a mio parere, la facoltà più importante che ci è stata data da Dio, la facoltà che più di tutte ci rende umani".
Dostoevskij da fervente credente in Dio e profondo conoscitore dell'animo umano muove una sferzante accusa alla Chiesa cattolica, la quale avrebbe conculcato la libertà dell'uomo in cambio di una promessa di felicità. Leggi l'episodio del Grande Inquisitore per averne scienza. Fu anche colui che mosse quell'indelebile atto di accusa nei confronti di Dio stesso proprio per l'insensatezza dell'inutile sofferenza cagionata all'innocenza, che seppur fosse iscritta in un ineffabile disegno divino e tesa al conseguimento dell'equilibrio armonico del cosmo, deve essere rifiutata proprio perché l'armonia del cosmo e il disegno di Dio non possono in alcun caso contemplare l'offesa all'innocenza che l'handicap comporta. In questo caso rileggiti l'episodio della Ribellione di Ivan, molto istruttivo.

Parlare del Male, me ne rendo conto, è sempre assai complesso, difficile e talvolta anche scorretto, soprattutto quando ci si pone in una prospettiva atea rispetto a chi, invece, ha una fede cui poggiare le proprie certezze. Mi rendo conto che si rischia di assumere il ruolo dell'elefante dentro una cristalleria e si potrebbero ferire delle sensibilità anestetizzate dalla fede. Nondimeno, non è neppure giusto e corretto pretendere che ci si sottragga al dovere di affermare un angolo visuale diverso da quello che per secoli ha propinato la Chiesa, unica depositaria della verità.
 
Il Male non è uno psicopompo che, inducendo alla preghiera il povero peccatore, incanala la ricerca di Dio sulla giusta via. Con il dolore e nel dolore sovente si maledice proprio la fonte del patire. Dio non offre "possibilità al male" ma è invece proprio colui che lo scaglia come un sasso per ottundere e colpire la creatura, come in illo tempore colpì Giobbe. La gratuità del Male espone Dio alla giusta maledizione dell'uomo. Oppure, più prosaicamente, colpisce il sentimento fino ad indurre la certezza della sua effettiva inesistenza. Ed è appunto questa inesistenza a salvare Dio dalla grave responsabilità di aver creato il Male.

Ciò che scrive Sammy Basso, così ferocemente colpito da sì tanta vituperante violenza... divina, dovreste ammettere, è giustappunto l'etica e la strada che l'ateismo traccia per il proprio percorso di vita. È infatti l'ateismo che ha il sentimento della percezione tragica della vita, la quale percezione, una volta abbandonata definitivamente l'errata convinzione di far parte di un progetto divino, può virilmente concedersi all'accettazione del dolore e del Male come ombra del Bene e della vita, come suo alter ego.

La sapienza dei Greci sapeva cogliere la tragicità della vita.
Eraclito l'oscuro, qualche secolo prima di Cristo, scriveva (Frammento 8 nella versione di G. Colli): <<Dell'arco, invero, il nome è vita, ma l'opera è morte>> 
Assolutamente incomprensibile; eppure, in esso v'è tanta saggezza e racconta con quale sagacia la sapienza antica intuisse e percepisse la crudeltà della vita. Arco e vita in greco antico avevano il medesimo suono, sono termini omofonici. L'arco è l'attributo principale del dio Apollo. Il frammento ci dice che la Vita è violenza, e il risultato di questa violenza è l'annientamento, il disfacimento, la Morte. Ci racconta anche che la violenza della vita scaturisce dall'azione di scoccare la freccia da parte del dio Apollo. La violenza della vita che genera la morte è dunque determinazione della divinità, se a un Dio vuoi per forza credere..  
La vita e la morte sono dunque consanguinee, collaterali, si compenetrano vicendevolmente. Per perpetuare sé stessa, la vita ha necessità di generare la morte, la quale a sua volta è fattrice di vita. Il mezzo attraverso il quale entrambe si nutrono a vicenda è appunto la violenza, che è innocente fintanto che non interseca l'esistenza dell'uomo, fatalmente (da Fato) colpevole allorquando s'insinua nella vita degli uomini.
Nell'Iliade, Agamennone per giustificare il sopruso perpetrato a danno di Achille per avergli sottratto Briselide, l'amata preda di guerra, a lui si rivolge attribuendo la colpa alla divinità che gli ottuse la mente. L'uomo non ha colpa alcuna: Agamennone non fu cagione diretta dell'ira di Achille.
Sempre Eraclito, frammento [53 Diels-Kranz] <<Pólemos è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi.>>

Pòlemos, è dunque Padre e re. Da questa percezione nasce la visione tragica della vita, la dialettica inesausta che si quieta nella morte. La vita non è stasi, non è quiete, la Natura smentisce quest'insipida visione. Ove è rilevabile lo splendore della natura, colà può cogliersi anche il germe della dissoluzione, così pure nel medesimo istante in cui è percepita la meraviglia della Creazione, la dissoluzione, il disfacimento, la putredine bussano alla porta della coscienza per irrompere e scompaginare il tenue acquerello che i sensi e il desiderio hanno creato. Quando un occhio coglie la meraviglia e la bellezza della vita, l'altro indugia sull'orrore e lo sfacelo della morte incipiente. Anche un semplice fiore al culmine dell'infiorescenza suggerisce che in quella meraviglia è instillata la morte. La vita di ciascuno di noi dovrebbe avvertire circa l'incontestabile fatto che vivere significa approssimarsi alla morte, tanto da far dire a qualcuno che vivere è rotolare fra le braccia della morte.
L'esistenza è dunque disputa, dissidio, dia-logo, Polemos. La morte non è più un semplice, naturale e ineluttabile accadere, ma è un'entità ontologica che s'intreccia alla vita, che con essa procede e da essa è evocata.
 
Perché la Bibbia? Perché in essa, più che in ogni altro libro, è reso manifesto questo conflitto. L'uomo, come Dio – in ciò è possibile recuperare il significato d'immagine e somiglianza che si riflettono nell'uomo -, è dissidio interiore, lacerazione, frattura, scissione. È Polemos. Per averne conferma basta solo guardarsi intorno, guardarsi dentro, osservare e leggere la letteratura d'ogni tempo e d'ogni latitudine. Dukkha, la Trimurti induista, ove Shiva assume il ruolo del distruttore, Zoroastro, l'Islam, il giudaismo, la poesia maledetta, la letteratura dell'Ottocento, quella contemporanea, la stessa Gita è una lunga descrizione allegorica di un evento cruento: Pòlemos.
Insomma, è possibile svariare fra e su mille diverse coloriture. Di questo stato di cose, non v'è colpa d'attribuire all'uomo, né alla Creazione; perlomeno non v'è colpa tale da meritare una sofferenza che originariamente non pertiene loro, essendo voluta e pretesa dal Creatore (chiunque Egli sia), nella Creazione instillata e lasciata prosperare.

Perché la Bibbia? Dicevo poco sopra che la Bibbia è disseminata delle tracce della germinazione del Male, soprattutto se letta alla luce della passione di Cristo. Qui si tratta d'aver cognizione di racconti ritenuti storici, non di mitologia. Il Padre che sulla croce abbandona il Figlio, patendo di quest'abbandono e soffrendo in sé, nell'anima, le trafitture inflitte alla carne del Figlio, è lo stesso Padre che ad Auschwitz abbandona gli altri suoi figli, patendo e soffrendo di questo storico abbandono, intuendo (dall'etimo sentire o guardare dentro, nell'intimo, nel profondo) le trafitture che avviliscono carne ed anima degli innocenti – gli agnelli della storia –, epigoni dell'unigenito in croce, immolati ad onorare funestamente una Creazione monca, difettata, viziata dal Male originario che in Dio non può che essere costitutivo. Solo così si può spiegare lo scandalo del Dio in croce: sofferente, morente. Il Padre abbandona il Figlio sofferente sulla croce, ma ad essere abbandonato è il Padre stesso; il Figlio è abbandonato, al tempo stesso è colui che abbandona. Sulla croce si consuma la dilaniante tragedia di Dio, il Pòlemos divino: Egli vive nel presente storico della crocifissione il proprio eterno inferno a-temporale, sempre presente, sempre vivo; allo stesso modo, noi, nella nostra finitudine, nel corso della nostra limitata e finita esistenza, viviamo l'eco di quel dilaniante eterno inferno: viviamo il nostro limitato e finito inferno. Dio entra nella storia dell'uomo.

La teologia della croce insegna che il Dio sofferente sulla croce è lo stesso che patisce il dolore dei tanti altri suoi figli abbandonati nei lager, nelle camere di tortura, per le strade di San Paolo, nelle più oscure pieghe di una Creazione che geme e soffre. Sulla croce si consuma il tragico paradosso dell'ateismo di Dio: Egli si allontana e separa da sé stesso, abbracciando il male mondano. Lo scandalo del Dio crocifisso è anche lo scandalo dell'aporia di un Dio ateo: quanto di più inconcepibile ed incomprensibile per il giudaismo e per l'islamismo, e quanto di più alieno dalla filosofia orientale del 'Tutto' che lambisce il panteismo. In questo scandalo, come giustamente lo definì Paolo di Tarso, espresso nel doloroso urlo di scoramento del Figlio, si raggruma il Male del mondo; il Male ontologico e metafisico di Dio si fa ontico, divenendo un tutt'uno con quello reale, concreto, visibile, palpabile, innegabile della creazione, della natura, del mondo, dell'uomo sofferenti. Il Dio crocifisso si contrappone all'atarassico Dio di Tommaso, Agostino e a quello anodino propinatoci dalla Chiesa di Roma. Egli soffrì e soffre sulla croce eretta quotidianamente dalla storia. Da qui il nascondimento, se non addirittura la "morte di Dio". Evento, quest'ultimo, resosi manifesto nel crogiuolo di urla, dolore e gemiti eruttati dalla Shoah, che espone nuda e cruda la banalità del male nella sua essenzialità più diafana e pura: senza infingimenti, senza incrostazioni.

Con buona pace per le pie pretese dell'uomo del settecento o di chi attende di essere condotto in alto.
 
#60
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
08 Gennaio 2025, 12:24:20 PM
Citazione di: InVerno il 08 Gennaio 2025, 10:03:26 AMA me sembra, sottolineato, perché se l'ho letto non ricordo dove e la passo come farina del mio sacco, che la Bibbia non offra un unica risposta all'origine del male, e costringerla a farlo sia quasi rovinare il suo contenuto prezioso. Mi sembra invece che testimoni lo sviluppo filosofico di un popolo di fronte a questa domanda imposta dalle condizioni iniziali monoteistiche, come una traccia sulla sabbia, fino a giungere alla possibilità, tragica, di un mondo governato da un demiurgo malvagio che va estirpato attraverso la venuta di un nuovo regno, che in Gesù non è mai esplicita come negli gnostici, ma è praticamente una condizione logica dell'aspirazione verso una apocalisse redentrice. Intestardirsi sull'ordine degli eventi di Genesi come se quella risposta fosse poi necessariamente coerente con il resto, cede all'idea teologica di un unico autore divino infinitamente coerente. Tolta la premessa teologica, spesso involontariamente accettata anche degli atei "in cerca di contraddizioni" , è chiaro che è un testo storico a più mani, che evolve le proprie risposte nel tempo e testimonia il dolore inconciliabile del pensarsi popolo eletto...ma apparentemente eletto ad essere conquistato e malmenato da tutti, infatti gli ebrei hanno evoluto anche questo concetto. Genesi è un mito a molti sensi, basta poco per ribaltarlo. L'esempio più blasfemo e provocatorio di queste possibilità, una setta di cristiani convinta che il serpente...era in realtà Gesù.
Ricorda sempre che, seppur scritto da mano umana (tante mani), la tradizione vuole che quei testi siano ispirati direttamente da Dio. Per cui non è ammissibile che chi si fa promotore, difensore e portatore del messaggio ivi contenuto, possa al tempo stesso insinuare il sospetto che siano testi in qualche modo e misura superati.

Se Genesi reca indelebilmente incise le tracce della scaturigine del Male, Giobbe, altro libro meraviglioso e più recente rispetto al Pentateuco, accusa direttamente ed esplicitamente Dio per il male cagionato con arbitrio assoluto. Basta leggerlo.

Se il Male è Dio stesso, come affermato in Genesi, in Esodo, in Giobbe, ci si deve domandare il perché il Creatore abbia voluto esporre la sua eccelsa opera all'ingiuriosa violenza di questa sua ineffabile ipostasi.

Il Male non è una creazione umana, o un qualcosa che si determini per effetto dell'agire dell'uomo, il quale lo rende solo manifesto, ma è presente sulla terra per precisa volontà del Creatore stesso.

Vi è tutta una lunghissima e straordinaria speculazione filosofica che indaga sulle ragioni di questa volontà che ha generato oltre al bene anche il male. Impresa davvero votata al fallimento. È certamente assai più semplice sospendere, anche solo per un attimo, ogni velleitaria ricerca del senso e del significato di questa ineffabile volontà suprema, per  ammettere con arrendevolezza che il male e il bene si sono generati per effetto di un misterioso ed inesplorabile complesso di eventi che ha determinato la comparsa dell'uomo sulla terra. Ma il richiamo del male è ben presente nel profondo di ciascuno di noi; la sua voce è ben viva, udibile e ravvisabile nel concreto in tantissime manifestazioni della cultura e della storia dell'uomo. Nonostante la vanità d'ogni nostro interrogare, val sempre la pena formulare il quesito del perché Dio si determinò a favore di una Creazione non perfetta. Su quest'argomento mancano elementi precisi che possano dipanare e dissolvere i dubbi. La Bibbia non risponde, non fornisce le delucidazioni che l'uomo ha il diritto di richiedere. È così inevitabile procedere per congetture e inferire che Egli riversasse in essa la propria agonia ante origine (dissidio interiore – agon intradivino di cui parla tanta teologia, soprattutto riformata). L'atto creativo sarebbe il risultato della sua precisa volontà di riprodurre il dramma che dall'eternità dilania il Creatore: "Il dramma è Dio", così canta nella sua ultima opera spirituale Padre Turoldo. Componimento che è un interrogarsi circa il dramma della Sua infinita solitudine e che ripercorre e recupera l'atavica traccia del dolore primigenio. Esiste una scintilla di vita; quando scoccò ad essa si congiunse anche la scintilla omologa e contraria, quella del dolore, della morte e del disfacimento. Noi siamo creati ad immagine e somiglianza non della luce divina, ma del suo tormento, della sua agonia, della sua pre-originaria lacerazione. Siamo perennemente sottoposti alle divergenti forze che la Natura esercita sul nostro intimo profondo; oscilliamo fra ansia e quiete, fra gioia e dolore, fra luce e tenebre. È la nostra anima ctonia che riluce di quest'essenza ineffabile, impregnata di senso e non sense. Questo riflettersi dal profondo di ciascuno di noi è reminiscenza della pre-storica lacerazione, del pre-storico dramma intra-divino. E la Creazione stessa si trascina appresso quest'ineluttabile ed irredimibile agon(ia), ad essa pre-esistente. Se noi siamo creati ad immagine divina, la pre-storia di Dio deve essere caratterizzata da questo conflitto interiore – supporrei che sia anche perdurante... pre-esistente e coestensivo -. Noi, frutto della Sua (volontà?) creatrice, non possiamo esimerci, perché mai esentati fin dall'Origine, dall'avvertire e percepire come un'eco agghiacciante questo baluginare dell'ineffabile luce e dell'enigmatica e terrifica Ombra del Numinoso, perché entrambe, in un groviglio inestricabile, si espandono nella Creazione (il Libro di Giobbe ci istruisce sapientemente su questo stato di cose). È l'arbitrio assoluto di Dio ad irrorare della sua ineffabile essenza la Creazione tutta, la quale non è esentata da tutto ciò. Tale condizione è rilevabile nel fatto che la Creazione si appalesa in un ansito di vita: nel suo espandersi e contrarsi, è evocazione, annuncio e presagio di Morte, così come quest'ultima, nel perenne gioco dell'esistenza, è, a sua volta, incipit e genesi della Vita. Così pure il Male rispetto al Bene: ciascuno è testimonianza dell'alterità che lo compone, divenendone annuncio, e ciascuno dei due opposti poli è premessa e conseguenza, incipit ed epilogo del proprio omologo contrario. Dio trasmise alla Creazione quest'agon(ia) ante Origine, cioè quel che caratterizzava la Sua pre-storia. Ve la infuse ab Origine, ed in ciò non è rilevabile alcun "peccato d'Origine" (con buona pace per i cristiani e gli ebrei) ascrivibile alla creatura, e non emergono neppure le ragioni della maledizione e degli strali divini nei confronti della Creatura e della terra che la ospita narrata nel Libro della Genesi. Il 'peccato d'Origine' è infuso nella Creazione proprio per effetto ed in conseguenza della Creazione stessa. In ciò, nel rilevare l'originaria presenza del Male nella Creazione, mi conformo all'amara constatazione di Nietzsche: <<a quel tempo, ebbene, com'è logico, resi l'onore a Dio e feci di lui il padre del male>> (Genealogia della morale).
Il Male, in una concezione teologica che tenda a preservarne il mistero, è percepito come parte essenziale del disegno divino. La crudeltà della Natura, o della Creazione nell'ambito di una proiezione creazionistica, è priva di colpa. La Natura e la Creazione sono innocenti. Il Male nel suo accadere assume le connotazioni negative che noi gli attribuiamo solo quando interseca la nostra esistenza, la nostra vita, ammorbandola e piegandola fra spasmi e gemiti. Il Male è dunque colpevole solo quando entra in relazione con l'uomo. La caduta di un fulmine in un territorio disabitato non è causa di dolore, di sofferenza; diversamente se dovesse colpire e uccidere un bambino, noi ravviseremmo in questo accadere, in questa manifestazione della Natura, gli estremi per dolerci, per individuare una colpa, ancorché astratta e da collocare entro una dimensione non definibile.  Il Male è dunque 'relatio'! E se il Male è relatio, è anche corretto porsi il perché del suo manifestarsi in forme così crudeli e dolorose. Una concezione atea imputerebbe questo accadere alla consequenzialità del verificarsi d'eventi casuali, senza rinvenire colpe da parte di alcuno. Viceversa, quando il Male si abbatte con forza e durezza con inondazioni, terremoti, fulmini, un credente, cioè una persona che poggi la propria fede sull'azione di un Dio Creatore, non può che rivolgere a Lui, e solo a Lui, le proprie domande e suppliche; può così piegarsi di fronte alla percezione di un ineffabile disegno superiore (Giobbe docet), oppure rifiutare di far parte di un disegno che preveda lo scatenarsi della furia di Dio a suo danno o a danno dell'umanità cui appartiene, e restituire al Creatore il biglietto d'ingresso, come racconta Dostoevskij. Per quel che mi riguarda, credo che non sia possibile accettare che il disegno di Dio, per quanto misterioso, possa implicare il patire e il dolore dell'innocente. Quando il Male si accanisce nei confronti dell'innocenza, assume le coloriture fosche di una forza inutile, gratuita, totalmente ed insensatamente crudele, che non è possibile accettare in forza di un misterioso progetto divino, che, pertanto, è da rifiutare. 
Con il Male si rifiuta Dio stesso, si diventa atei.