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Messaggi - Adalberto

#46
Percorsi ed Esperienze / Re: Desiderate la Vita Eterna?
08 Febbraio 2025, 15:44:30 PM
 Translator
 
 
Ciao Morpheus, grazie. Ogni tanto ti leggo, sempre con piacere. Anche adesso.
Però non so se la morte sia noiosa, forse semplicemnte neutra. L'importante che la vita non sia nè l'una cosa nè l'altra.
Alla prossima!
#47
 Translator
 
 

Il titolo è semplificatorio e assolutista, come va di moda ora.
L'articolo non contestualizza storicamente il testo della Weil e questo mi sembra un secondo difetto. Ma io non so e quindi mi sono cercato e il breve scritto della Weil, con tanto di prefazione di Breton.

Ecco il link per chi desiderasse approfondire.

https://ia904502.us.archive.org/32/items/SimoneWeilManifestoPerLaSoppressioneDeiPartitiPolitici/Simone%20Weil%20-%20Manifesto%20per%20la%20soppressione%20dei%20partiti%20politici.pdf
#48
Scienza e Tecnologia / Re: Homo sapiens è un animale
08 Febbraio 2025, 13:12:44 PM
 Translator


Citazione di: Morpheus il 08 Febbraio 2025, 12:39:18 PM
Uomini siamo e uomini restiamo.

Spero che per noi l'evoluzione non si sia ancora completata.
Scherzosamente penso che non sia conveniente restare Uomini, bensì sforzarsi di diventare Umani.
#49
Percorsi ed Esperienze / Desiderate la Vita Eterna?
08 Febbraio 2025, 13:06:11 PM
 Translator
 
 
Altri vi chiederebbero se "credete" nella vita eterna. Io vi domando solo se questo è il vostro desiderio, in quanto trovo che la vita sia prima sensazione e poi pensiero.
Non mi sfiora la domanda filosofica (poco o nulla so) o spirituale (non percepisco), ma solo quella esistenziale.

La mia risposta è no, non desidero alcuna vita eterna.
Impressa nella mia memoria è l'immagine di un'antica vignetta di Linus: un tipo chiede al ragazzotto stranito che lecca un gelato: "Ti offro la vita eterna, la vuoi?" Scuotendosi dal torpore del caldo estivo, il ragazzo cerca in giro una qualche ispirazione. Incurante del  gelato che si squaglia riflette e poi  risponde: "No grazie, in TV passano sempre i soliti film."
E' passato mezzo secolo e mi riconosco tutt'ora in quella scema (non è un lapsus).
L'idea di ripercorrere la mia stessa vita, non speciale ma nemmeno banale, non mi attrae.
A parità di condizioni di partenza, mi troverei a rifare la stessa vita e mi risulterebbe noiosetto ripercorrere le stesse svolte, cogliere o perdere le medesime opportunità, apprezzare lo sforzo per liberarsi da, rinunciare a qualche libertà di.

C'è poi l'opzione B: il ciclo delle rinascite. Trovo affascinante lo stupore arcaico: animali che in primavera risorgono dalla morte letargica, informi tuberi che rifioriscono o semi costretti a morire per dar vita a nuove piante.
Certo  che mi piacerebbe rinascere gatto (il mio animale totemico) oppure polipo, che sembra abbia una elevata coscienza di sé a dispetto del suo apparire.
Però dove lo trovo un biglietto per vincere alla lotteria delle rinascite? Non provo particolari sensi di colpa, ma se mi confrontassi con la morale canonica... mi andrebbe di lusso rinascere lombrico.

Per l'opzione C bisogna essere decisamente Credenti. Non mi riferisco all'alternativa  Inferno o Paradiso, o all'emozione di fondersi in una qualche forma di spirito. Non è questo il punto. Bensì credere all'infinito.
Desiderate davvero vivere..  per l'eternità?
#50
Le cose spontanee sono le migliori. si fanno senza pensare, ma mostrano comunque il cervello.
Io sono senza arte ne' parte. in fisica sottozero.
'Notte.
#51
 Translator
 
 
Ma perchè mi esce 'sto Traslator in cima al testo, che mi fa sembrare un alieno che scrive ostrogoto e si fa tradurre da google...Vabbè, ci starò più attento.scusa.
#52
 Translator
 
 
 Un giorno mi piacerebbe continuare il discorso sulla sequenza suono-emozione-parola-linguaggio-pensiero alla quale aggiungerei come presupposto l'acquisizione della statura eretta. Ma appiccico tale concausa solo per darmi  l'impressione  di dire qualcosa di intelligente anch'io.
 Quell'evoluzione mi incuriosice perché ha partorito sia miti che concetti.  Chissà se prima l'uno o l'altro: presumibilmente si  condizionarono fra loro  se mal ricordo il libretto di Cassirer in  proposito. Forse da lì m'è uscita la semplificazione  del gap fra parola e cosa.
 In realtà sono un dispersivo e rileggendo la tua ultima frase prima di cena e  proprio dopo un'intensa piacevole giornata di lavoro, mi viene da scrivere quanto segue.
 Se non faccio nulla penso e sento di essere, se invece faccio... mi dimentico di me stesso, ma lo vivo.
 Vabbè, mi piaccono entrambe le cose. Quanto alla paura della morte è stata molto, molto costruita.
Buona serata.

#53
 Translator
 
 
ok, gentile, grazie, ma non è uguale a quello di prima?
#54
 Translator
 
 
Grazie per avermi rivelato  la logica che spiega il paradosso del titolo che mi aveva agganciato.
 Il labirinto  delle rappresentazioni è davvero esteso. Anche la parola nasconde il suo gap con la cosa a cui si riferisce.
 Ma, se hai pazienza, non è che anche  i sentimenti e le emozioni – grazie all'ambiguità che li caratterizza - fanno parte di questa stessa partita dello scrivere e del leggere?
 Mi viene da pensare che i sensori del riconoscimento e dell'identificazione anche in questo caso scattino prima a livello emotivo e poi intellettivo. E' proprio lì che mi sembra venga percepita la stranezza, a volte la sorpresa, talvolta la meraviglia. Non vorrei divagare  troppo, ma il fatto di scrivere e leggere hanno dato alla nostra specie una bella scossa  (solo cognitiva o anche emozionale?) e tuttora la cerchiamo, ne siamo attratti.
 In sintesi,  se anche  riuscissi nell'impossibile tentativo  di scrivere esattamente quello che penso, suppongo che l'atto di rileggere in riga  le mie stesse parole e di reinterpretarle  mi farebbe scatta ugualmente  una sensazione di alterità, di non riconoscimento di me stesso.
 Probabilmente si tratta del risuono delle diverse aree cerebrali  interessate alla questione 
 Più certamente rientra nel gioco delle rappresentazioni che hai ben illustrato e che forse  il sentire aiuta a rivelare per primo. Ma alla fine capisco  che ci tocca sempre navigare in acque incerte cercando di  galleggiare o - come megli spieghi  tu - mediare.

Forse forse dovrei farmi una pipatina con Magritte.
#55
 Translator
 
 
Mutazione etnica?
Ma ci si rende conto di cosa insinua questo concetto? Ovvero che possa esistere una "normalità" etnica, che "sventuratamente" viene modificata, divendendo "ahimé" permanente.
Mutazione etnica è solo un atteggiamento culturale che esprime l'idea di una identità a rischio di perdita, quando quest'ultima è percepita fragile, in momenti di crisi.
E' sicuramente interessante indagare la pluralità delle cause dei flussi umani, in questo (nostro?) Mediterraneo e ringrazio per quanto ho letto, ma trovo inesistente il concetto di partenza. Vabbè, sono solo opinioni...

Secondo quesito. Ma qual'era la "normalità etnica" all'epoca di Roma?
Già dalla sua fondazione mi pare che sia stato lo stesso  Romolo a sfregiare la normalità etnica della stirpe latina, invitando "criminali, schiavi fuggiti, esiliati e altri reietti a unirsi a lui con la promessa del diritto d'asilo "(Wikipedia) ma anche attraverso il non onorevole ratto delle Sabine.
Quello strupro produsse meticciato. O no?
Se poi pensiamo che Roma ebbe tre re etruschi diventa palese il sospetto che la civiltà romana abbia creato le sue fondamenta proprio sull'aggregazione di popolazioni, culti e culture diverse.  
Forse che sette secoli dopo il mitraismo dei legionari (e non solo) era un culto autoctono della città di Roma? No, tutta roba di importazione...
E allora di che stiamo parlando, se non del fatto che il genere umano può trovare la sua vitalità proprio grazie ai cambiamenti che crea e che subisce, compresi quelli poco onorevoli che la storia e i miti di fondazione  ci ricordano.
 E' proprio la disponibilità al  cambiamento  la  "normalità etnica" della nostra specie  homo sapiens.
#56
I due fatti sono diversi.
Il primo può sorprendere, il secondo può solo sembrare strano. E le due sensazioni sono diverse.
Comunque dimmi, che sono sinceramente curioso...
#57
 Translator
 
 
E' sempre interessante osservare come la capacità di astrazione umana si sia evoluta nel tempo e sicuramente le pitture parietali hanno rappresentato un salto di qualità per le menti della nostra specie. Istruttivo il libro di Silvia Ferrara ( il Salto, Feltrinelli) dedicato a segni figure e parole all'origine della nostra immaginazione.
Di quel testo ricordo in particolare la descrizione dello sforzo cognitivo necessario per passare dalla rappresentazione in  3D delle statuette preistoriche (che risalgono anche  a 200.000 anni fa ed forse oltre) al disegno su una superficie a due dimensioni: si tratta di  richiede un processo mentale ben più complesso, dovendo  non solo delineare  i contorni di quanto rappresentato ma anche immaginarli prima di farli.  
Intendo dire che non si tratta solo dello sforzo materiale di coordinare il cervello con gli arti e con selezionati materiali pittorici. Lo sforzo principale è stato  quello psichico, cioè quello di sentirsi  maturare l'impellenza di lasciare dei  segni in ambienti (le caverne) che non erano certo residenziali,  ma rappresentavano luoghi carichi di simbolismi e dotati di un primitiva sacralità, luoghi oscuri in cui ci si inseriva nei meandri della terra per poi fuoriuscirne, magari sentendosi rinati o rinforzati dopo qualche rito iniziatico, o dopo aver cercato e prodotto l'alterazione rituale dei propri  stati mentali, che si ottenevano anche senza sostanze psicotrope.
Questa divagazioni per cercare  di immaginare un mondo mentale diverso dal nostro, in cui le raffigurazioni – nel ventre della terra - non avevano uno scopo naturalistico, ma seguivano direzioni prettamente  simboliche,  correlate a  culture basate su irripetibili sistemi di interpretazioni magico religiose della realtà. Una realtà ben diversa dalla nostra che tendiamo ad osservare con gli occhi dell'oggi le opere dell'altro ieri.
PS Aggiungerei anche lo stimolamnte il libro "La nascita della figura umana" con le sue numerosi illustrazioni di opere arcaiche.
#58
 Translator
 
 
Ciao, vivendo una analoga sensazione  ora mi sono iscritto qui, per capire meglio quale sia per te il punto. Non sono certo di coglierlo, anche perchè  ogni parola non ha un solo significato. E il pensiero non è fatto di sole parole.
La senzazione di scollamento fra quello che dico, scrivo, penso e/o sono è una costante. Mi sembra anche normale che lo sia. Forse perchè parlando o scrivendo ci si relaziona con altro da sé.
Il proprio baricentro mentale si sposta quando dal semplice elaborare interiore  si entra nell'ambito di una qualche relazione, anche solo con un pezzo di carta. Questo sforzo produce risultati e quindi sorprese.
Il tuo termine "sorprendente" però è più vivido e quando leggo "non sono io quello che scrive" immagino la sensazione di coloro che agli albori della scrittura attribuivano alla Musa (o ad altro) la scelta del  testo da vergare, lasciando a se stessi il mero ruolo di scrivano. Ma tu ti riferisci a tutt'altro, suppongo.
Sull'identificazione con il proprio pensiero invece non so dirti, se non che l'idea stessa mi fa sentire un po' in gabbia. Mi chiedo sempre se il  pronome io non sia un po' una convenzione, riconoscendomi meglio in quella pluralità di cellule (neuroni pochi), sentimenti, esperienze e bla bla, il cui insieme trovo vivificante proprio per la contraddittorietà che esprime.
PS Confermo quanto sia straniante rileggersi dopo aver scritto qualcosa.
Quando ho iniziato a  farlo... pensavo a tutt'altro!