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Messaggi - doxa

#46
Attualità / Re: Quattro bambini rom
15 Agosto 2025, 14:02:18 PM
Non basta dare ai rom la casa popolare. Lo pagano l'affitto mensile ? La pagano l'acqua, la luce, ecc. ? Come possono pagare se non lavorano ? Con i sussidi che gli passa lo Stato ?

Devono essere messi incondizioni di lavorare e non vivere da parassiti della società, permettendo loro di chiedere l'elemosina come professione giornaliera, oppure compiere furti, spacciare droga, ecc..

Leggo dai giornali che molti di loro non vogliono integrarsi. Da secoli è il loro modo di vivere.

Io l'avrei un modo per redimerli: confinarli tutti su un'isola. Costringerli a lavorare e studiare. Poi ai redenti concedere la possibilità di accedere nella penisola. Fino a quel giorno, che non verrà mai, per colpa della politica, continuerò a detestarli.



#47
Riflessioni sull'Arte / Re: Allegoria dell'Italia
14 Agosto 2025, 19:24:24 PM
2 giugno 1946. Proclamazione della Repubblica Italiana, in seguito al referendum istituzionale che sancì la fine della monarchia e l'inizio della forma di governo repubblicana. In quella data, gli italiani furono chiamati a votare per scegliere tra monarchia e repubblica, e scelsero quest'ultima.

Della proclamazione della Repubblica Italiana rimane impressa nella mente l'immagine della ragazza che sorride, con in mano il Corriere della Sera che titola in prima pagina "E' nata la Repubblica Italiana",  che arriva dopo anni di dittatura ponendosi come sinonimo di democrazia.

La ragazza di cui non si conosceva il nome,  rappresentava tutte le 12.998.131 donne che per la prima volta si recarono alle urne ad esprimere il proprio voto.



Per le donne che votarono era la rivoluzione. Una svolta epocale, non  erano più escluse dalla vita politica nazionale. Consegnandole in mano una matita  per tracciare la X sulla scheda elettorale la donna poteva avere le stesse facoltà di decisione e le stesse libertà di opinione di un uomo.

Ma chi era la ragazza scelta  per simboleggiare l'immagine del referendum del 2 giugno 1946 ?
 
Nel 2016 un'indagine giornalistica condotta da Mario Tedeschini Lalli e Giorgio Lonardi, riuscì  a  dare un nome a quella ragazza, simbolo del 2 giugno 1946. Si chiamava Anna: Anna Iberti. Il fotoreporter Federico Patellani. Non uno qualsiasi, era considerato il caposcuola del fotogiornalismo italiano: collaboratore di quotidiani come La Stampa e l'Avanti. Puntò 41 volte l'obiettivo della sua Leica sul volto di Anna,  poi scelse l'immagine simbolo dell'appena nata Repubblica italiana.

La foto scattata il 6 giugno, venne pubblicata per la prima volta il 15 giugno del 1946 sulla copertina del settimanale Tempo, fondato nel 1939 da Alberto Mondadori sull'esempio dell'americano Life.

Quel bel viso sorridente divenne ed è ancora oggi l'immagine totem.

Ma come ci arrivò Patellani, morto silente nel 1977, a scegliere Anna per quello scatto.

Lui frequentava le redazioni dei quotidiani. In particolare collaborava con l'Avanti. Ed Anna era un'impiegata di amministrazione proprio del quotidiano socialista. Aveva 24 anni . Aveva completato gli studi magistrali e aveva insegnato brevemente, ma in quel periodo lavorava come impiegata.
Il padre di lei,  Alberto, era caporeparto in una fabbrica automobilistica milanese e un vecchio socialista.
Nel giugno 1949, Anna sposò Franco Nasi, giornalista. Il matrimonio fu celebrato con trafiletti augurali su tutta la stampa milanese, senza distinzioni politiche, e ebbe come testimoni alcuni dei più noti giornalisti del dopoguerra, tra cui Paolo Murialdi e Mino Monicelli.

Anna Iberti è morta nel 1997, portando con sé il segreto delle circostanze che la portarono a posare per quella fotografia.

La figlia, Gabriella Nasi,  vive ancora nell'appartamento dei genitori in un quartiere semicentrale di Milano, dove custodisce poche stampe del famoso servizio fotografico.
#48
Riflessioni sull'Arte / Allegoria dell'Italia
14 Agosto 2025, 17:48:50 PM
 

Valentin de Boulogne, Allegoria dell'Italia, olio su tela, 1628 circa, Roma, Villa Lante, Istituto culturale finlandese, sulla collina del Gianicolo.

Questo dipinto ha una storia singolare. Fu commissionato dal cardinale Francesco Barberini al pittore francese, residente a Roma, Valentin de Boulogne, seguace della scuola caravaggesca.

Per la figura dell'Italia (o di Roma? ), la ragazza  che domina la scena, Valentin utilizzò l'immagine di Minerva-Atena, armata,  mentre nasce trionfante dalla testa di Zeus-Giove, simbolo dell'unione tra la forza militare e la filosofia, intesa come dominio e amore di ogni aspetto del sapere e del creare.

Ai piedi della donna ci sono due uomini sdraiati, nudi e barbuti, simboleggiano i fiumi Tevere e Arno.

A fianco della statua del Tevere, sulla sinistra guardando il dipinto, ci sono due infanti, i leggendari Romolo e Remo, collegati alla fondazione di Roma, sul colle Palatino.

La personificazione del fiume Arno, sulla destra del quadro, fu  invece un omaggio all'origine toscana della famiglia Barberini.

Con le dita artigliose della mano sinistra la donna regge al suo fianco lo scudo con i simboli papali, con la  mano destra regge la lancia. Intorno a lei, appena visibili, volano alcune api, emblema della famiglia Barberini, ascesa ai vertici del potere.

Il maestoso mantello che avvolge la donna è gonfiato dal vento. L'immagine non è statica. Sembra si stia muovendo. La statua del Tevere  osserva intimorita la Minerva che avanza verso di loro, camminando sopra i frutti fuoriusciti dalla cornucopia. L'altro fiume, invece, è quasi nell'ombra.

Valentin si ispirò alle statue fluviali che si possono ammirare a Roma sulla piazza del Campidoglio.


Questa fontana fu  progettata  da Michelangelo Buonarroti, addossata  al Palazzo Senatorio. Completata nel 1593, presenta Minerva, successivamente interpretata come la Dea Roma, affiancata da due statue marmoree raffiguranti il Nilo e il Tevere.

Una curiosità. Nel 1886 lo scultore francese Frédéric-Auguste Bartholdi progetto e costruì, con la collaborazione dell'ingegnere Gustave Eiffel (autore dell'omonima Torre Eiffel, a Parigi) la Statua  della Libertà, che è a New York, nella baia di Manhattan.

Si dice che per la statua Bartholdi propose il modello del connazionale Valentin, "Allegoria dell'Italia", di cui sopra.

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#49
Fabriba ha scritto
CitazioneVolevo dire che intitolare un libro "La famiglia naturale non esiste", purtroppo significa mancare il bersaglio e riferirsi a un pubblico che è d'accordo prima ancora di leggere.
Ciao Fabriba.

Io invece penso che il titolo sia confacente. La maggior parte delle persone pensa che la famiglia "naturale" sia quella "tradizionale", questa, invece, è una "costruzione" culturale, elaborata nel tempo, sia nella sua forma normativa, istituzionale, sia nel mondo in cui viene praticata. E' una costruzione storico-sociale e giuridica le cui forme e contenuti differiscono nello spazio e nel tempo.

Ci può apparire "naturale" perché siamo cresciuti in famiglie costituite secondo la "tradizione" e di solito unite dal matrimonio in chiesa.

Chi sostiene che la famiglia tradizionale è, o dovrebbe essere, naturale, pensa che pur nelle diverse varianti di famiglia rintracciabili nelle differenti culture nel mondo, o epoche storiche, ci sia un nucleo comune a tutte, perché corrispondente ad una struttura antropologica umana universale. Invece non esiste !

Proprio gli "antropologi culturali" dagli anni '70 dello scorso secolo hanno dovuto accettare che questo nucleo originario comune non esiste.

la storia umana presenta un ampio repertorio di modi di organizzare e attribuire significato alla famiglia.

Anche quando la forma famiglia è simile, il significato attribuito ai rapporti che la costituiscono può differire.

La cultura, in senso antropologico, è un prodotto dell'uomo e della società all'interno della quale vive. Si apprende inconsapevolmente durante lo sviluppo; la si tramanda ai propri figli; si viene influenzati e la si influenza allo stesso tempo, a volte deliberatamente, altre volte senza neppure accorgersene. Anche in questo caso sono norme legate all'esistenza all'interno di un gruppo sociale (chi non rispetta le tradizioni del gruppo viene spesso emarginato), ma sono modificabili, destinate a mutare all'interno di un processo inarrestabile che è proprio della natura umana.



#50
Presentazione nuovi iscritti / Re: toc-toc
13 Agosto 2025, 22:18:43 PM
Benvenuto tra noi Agilulfo, cavaliere dalla bianca armatura, dedito all'ordine e al rispetto delle regole nell'epoca di Carlo Magno, secondo Italo Calvino  ;D

#51
Nel primo post c'è un refuso: John Keats morì nel 1821, non nel 1891  ::) 
#52
Ciao Iano.

Da quanto ho letto quell'antica urna cineraria greca dipinta con motivi classici  ispirò i versi al poeta Keats.  

Quel vaso non so se esiste, ma da come descrive le immagini fa desumere un oggetto reale.  ;D

#53
"Ode on a Grecian urn"  (= "Ode su un'urna greca"),  di John Keats; poesia in 5 strofe,  pubblicata nel 1819.

Prima strofa

"Tu, ancora inviolata sposa della quiete,
Figlia adottiva del tempo lento e del silenzio,
Narratrice silvana, tu che una favola fiorita
Racconti, più dolce dei miei versi,
Quale intarsiata leggenda di foglie pervade
La tua forma, sono dei o mortali,
O entrambi, insieme, a Tempo o in Arcadia?
E che uomini sono? Che dei? E le fanciulle ritrose?
Qual è la folle ricerca? E la fuga tentata?
E i flauti, e i cembali? Quale estasi selvaggia?

Seconda strofa

Sì, le melodie ascoltate sono dolci; ma più dolci
Ancora sono quelle inascoltate. Su, flauti lievi,
Continuate, ma non per l'udito; preziosamente
Suonate per lo spirito arie senza suono.
E tu, giovane, bello, non potrai mai finire
Il tuo canto sotto quegli alberi che mai saranno spogli;
E tu, amante audace, non potrai mai baciare
Lei che ti è così vicino; ma non lamentarti
Se la gioia ti sfugge: lei non potrà mai fuggire,
E tu l'amerai per sempre, per sempre così bella.

Terza strofa

Ah, rami felici! Non saranno mai sparse
Le vostre foglie, e mai diranno addio alla primavera;
E felice anche te, musico mai stanco,
Che sempre e sempre nuovi canti avrai;
Ma più felice te, amore più felice,
Per sempre caldo e ancora da godere,
Per sempre ansimante, giovane in eterno,
Superiori siete a ogni vivente passione umana
Che il cuore addolorato lascia e sazio,
La fronte in fiamme, secca la lingua.

Quarta strofa

E chi siete voi, che andate al sacrificio?
Verso quale verde altare, sacerdote misterioso,
Conduci la giovenca muggente, i fianchi
Morbidi coperti da ghirlande?
E quale paese sul mare, o sul fiume,
O inerpicato tra la pace dei monti
Hai mai lasciato questa gente in questo sacro mattino?
Silenziose, o paese, le tue strade saranno per sempre,
E mai nessuno tornerà a dire
Perché sei stato abbandonato.

Quinta strofa

Oh, forma attica! Posa leggiadra! Con un ricamo
D'uomini e fanciulle nel marmo,
Coi rami della foresta e le erbe calpestate.
Tu, forma silenziosa, come l'eternità
Tormenti e spezzi la nostra ragione. Fredda pastorale!
Quando l'età avrà devastato questa generazione,
Ancora tu ci sarai, eterna, tra nuovi dolori
Non più nostri, amica all'uomo, cui dirai
"Bellezza è verità, verità bellezza", questo solo
Sulla terra sapete, ed è quanto basta".

(le parafrasi della poesia potete leggerle tramite Internet).    eeek
#54
In ambito artistico ci sono due diversi modi per studiare e interpretare le immagini e i simboli nelle opere d'arte: l'iconografia e l'iconologia.
 
L'iconografia studia e descrive le immagini e i simboli rappresentati. Identifica e cataloga ciò che è raffigurato: personaggi, oggetti, gesti, colori.
 
L'iconologia, invece, cerca di capire il significato storico e simbolico di un'opera d'arte; si chiede perché questi elementi o simboli sono presenti in quel contesto, quali erano  le intenzioni dell'artista e i messaggi reconditi.
 
Nell'ambito della retorica anziché "iconografia"  si usa la parola "ècfrasi" per descrivere un'opera d'arte, al fine di coinvolgere emotivamente l'osservatore tramite la descrizione dei particolari.
 
Il sostantivo femminile ècfrasi: deriva dal greco èkphrasis, e questa dal verbo èkphrazo, parola composta da "ek-" (= fuori) + "phràzo" (=  parlo, descrivo, indico).
 
L'ècfrasi allude  alla  descrizione di un'opera d'arte: un dipinto, una scultura, un'opera architettonica.
 
In epoca romana se una scultura originale veniva distrutta o perduta,  ma esisteva la sua descrizione, l'ekphrasis, permetteva all'artista di riprodurla.
 
In  letteratura ci sono famose poesie che sono esempi di ecfrasi, una  é: "Ode on a Grecian urn"  (= "Ode su un'urna greca"),  del poeta inglese John Keats, morto a Roma il 23 febbraio 1891.
 
Questa  poesia, in  cinque strofe,  fu pubblicata nel 1819.
 
L'autore esplora temi riguardanti la bellezza, la  verità e l'immortalità, utilizzando le immagini dipinte su un' antica urna cineraria greca.

 

L'urna di Keats, oggetto della famosa ode,  in un disegno del 1819.
 
Il poeta nella sua ode  utilizza tale urna dipinta come simbolo dell'arte e della sua capacità di immortalare momenti, contrapponendoli alla fugacità della vita.
 
L'urna cineraria, nel contesto della poesia di Keats, non è soltanto un oggetto di uso pratico, ma diventa un simbolo di eternità e bellezza.
 
Le scene raffigurate su di essa, come il giovane innamorato che insegue la ragazza o la processione verso il sacrificio, vengono interpretate dal poeta come momenti fissati nel tempo, che nel contesto dell'ode, assume un significato più ampio come simbolo dell'arte e della sua capacità di superare la morte e il tempo.
 
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#55
Stamane ho preso un libro dalla mia biblioteca ed è caduto un foglio, la fotocopia di un articolo di giornale, Il Sole 24 Ore, del 30 – 12 – 2012. Come passano veloci gli anni !

L'articolo, titolato "Je t'aime", pezzo da museo", lo scrisse Andrea Kerbaker.


Serge Gainsbourg e Jane Birkin

Questo il testo dell'articolo:

"C'era una volta il 1968 francese: Parigi in fiamme, manifestazioni di massa, Jean-Paul Sartre che incita i ragazzi, lo sciopero delle fabbriche Renault di Billancourt... E, nella generale atmosfera di eccitazione anche sessuale, ecco una coppia che pensa bene di partire per Londra, dove chiudersi per giorni  in uno studio di registrazione.

Lui si chiama Serge Gainsbourg, ha una quarantina d'anni, fa il cantante con l'aria molto vissuta, come sanno avere solo certi francesi; lei, Jane Birkin, nata in Gran Bretagna, 22 anni è un'attrice in erba (è già comparsa, tra l'altro, in 'Blow Up' di Michelangelo Antonioni).

Serge e Jane si sono conosciuti e amati sul set di un film oggi dimenticato da tutti, 'Slogan', di Pierre Grimblat. Lo scopo del loro viaggio a Londra è ricantare 'Je t'aime, moi non plus' , un brano che Gainsbourg ha composto l'anno precedente per Brigitte Bardot. L'attrice-mito di quegli anni lo ha inciso, ma in una versione rimasta praticamente inedita, per la reazione rabbiosa di suo marito, il miliardario Gunther Sachs.

In realtà, non è che la canzone sia chissà che: una stanca ripetizione di un ritornello con una musica altrettanto monotona. Ma, in quel clima libertario, alla coppia in sala di registrazione viene l'estro di imitare in diretta (o praticare, chissà: su questo le versioni divergono) un atto sessuale, con grande spreco di gemiti, respiri mozzati e gridolini.

Apriti cielo: scandalo internazionale, sguardi corrucciati di riprovazione da parte di tutti benpensanti del mondo, radio pudibonde che rifiutano di mandare in onda il brano (la Rai del direttore generale Ettore Bernabei in prima fila, ovviamente soprattutto dopo  che l'Osservatore Romano accusa la canzone di oscenità: ma anche la Bbc trasmette solo la versione senza parole; e così le emittenti di mezzo mondo). Conseguenza naturale della censura, un successo senza precedenti: ovunque file di ragazzi a comperare il 45 giri destinato a rimanere la maggiore hit della coppia".

Il testo della canzone "Je t'aime, moi non plus" descrive un rapporto sessuale.
La traduzione esatta del titolo è (lei): "Io ti amo", (lui): "nemmeno io".
E' un gioco di parole: la seconda frase presuppone la falsità della prima: infatti l'uomo crede il contrario di quanto dice la partner.
#56
Varie / Educazione affettiva
05 Agosto 2025, 09:12:58 AM
Luigina Mortari, docente di pedagogia  ed epistemologia genetica nell'università di Verona, ha pubblicato un altro suo libro, titolato: "Emozioni e virtù. Educazione affettiva, educazione etica" ( edit. Raffaello Cortina). 

L'autrice evidenzia che l'esperienza affettiva assume spesso contorni problematici e rivela il disagio di vivere con l'altro/a  e con  sé stessi.

Si sperimenta ogni giorno la crisi dell'eticità, evidente nella frequente chiusura autoreferenziale correlata alla scarsa considerazione dell'altro/a. Si fatica a riconoscere i suoi diritti e bisogni essenziali.

Inoltre, i problemi economici possono influire nel rapporto di coppia, con l'aumento di aggressività e violenza nella relazione, forse riconducibile all'incapacità di gestire le emozioni.

Senza un'educazione etica e affettiva siamo in balia di reazioni emotive, anche violente.

Nel suo saggio la professoressa Mortari spiega come risolvere l'incapacità di gestire le emozioni, con reazioni impulsive e possibili conseguenze negative.

L'autrice consiglia un metodo di ragionamento per comprendere le proprie emozioni fin dall'infanzia, nel contesto  di una educazione etica e affettiva, che si realizza  con l'offerta di esperienze che facilitino l'acquisizione di un metodo per l'autocomprensione dell'esperienza affettiva. L'obiettivo è arrivare a comprendere quello che sentiamo e come ciò influenzi e si faccia a sua volta influenzare da quello che pensiamo. Serve interpretare correttamente questo intreccio di emozione e cognizione, avendo consapevolezza, al fine anche di scongiurare il rischio di inutili reazioni impulsive, che spesso divampano da una parola sbagliata, come insegna Sofocle quando fa dire a Edipo: "Ci sono parole che scatenerebbero un'ira furibonda anche in una pietra". Tale auto-osservazione e conoscenza di sé ci aiutano a evolvere verso il meglio.

La Mortari dà anche alcuni consigli, tratti da Plutarco, su come raggiungere la tranquillità psicologica:  dedicare attenzione a ciò che è essenziale;  disattivare la tensione emotiva; saper accettare la realtà; essere capaci di gratitudine; cercare la giusta misura; l'abitudine a sottoporre ad analisi l'esperienza e il dare il giusto peso all'agire. Solo a questo punto, si potrà passare a considerare la prospettiva etica, che è "la ricerca di un orizzonte di idee alla luce del quale prendere decisioni sulle questioni rilevanti per l'esserci" e, quindi, "decidere cosa è bene cercare e cosa è bene evitare per fare della vita un tempo buono".

Non c'è un decalogo o un insieme di norme o di insegnamenti preconfezionati, ma solo un costante esercizio della facoltà cognitiva. Sono importanti i metodi di riflessioni e analisi per realizzare una buona qualità della vita.
#57
Varie / Re: La fama e la serendipity
04 Agosto 2025, 09:56:56 AM
La fama è considerata un dono che  Dio elargisce a coloro che lo  amano, come alcuni personaggi dell'Antico Testamento: Abramo, Mosè, Davide e Salomone, furono  considerati famosi. La loro fama non derivava dall'ambizione personale, ma dalla loro fedeltà a Dio e dal loro servizio in favore del popolo. 

Dal secondo libro di Samuele si apprende che la fama favorì Davide, re di Giuda e di Israele:

"Vennero allora tutte le tribù d'Israele da Davide a Ebron, e gli dissero: "Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: "Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d'Israele"". Vennero dunque tutti gli anziani d'Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un'alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d'Israele. Davide aveva trent'anni quando fu fatto re e regnò quarant'anni. A Ebron regnò su Giuda sette anni e sei mesi e a Gerusalemme regnò trentatré anni su tutto Israele e su Giuda" (2 Sam. 5, 1 – 5).

"Davide fece come Dio gli aveva comandato. Sbaragliò l'esercito dei Filistei da Gàbaon fino a Ghezer. La fama di Davide si diffuse ovunque; il Signore gli permise di incutere timore a tutte le genti" (1 Cronache 14, 16 – 17).

Nell'ambito religioso cristiano la fama si raggiunge con l'adesione al Vangelo, con la  diffusione della parola di Dio, guadagnando l'ammirazione e il rispetto della gente.

Nella seconda lettera di Paolo ai Corinzi l'apostolo si difende dall'accusa di ambizione e  fra l'altro dice: "Certo, noi non abbiamo l'audacia di uguagliarci o paragonarci ad alcuni di quelli che si raccomandano da sé, ma, mentre si misurano su sé stessi e si paragonano con se stessi, mancano di intelligenza. Noi invece non ci vanteremo oltre misura, ma secondo la misura della norma che Dio ci ha assegnato, quella di arrivare anche fino a voi. Non ci arroghiamo un'autorità indebita, come se non fossimo arrivati fino a voi, perché anche a voi siamo giunti col vangelo di Cristo. Né ci vantiamo indebitamente di fatiche altrui, ma abbiamo la speranza, col crescere della vostra fede, di crescere ancor più nella vostra considerazione, secondo la nostra misura, per evangelizzare le regioni più lontane della vostra, senza vantarci, alla maniera degli altri, delle cose già fatte da altri.
Perciò chi si vanta, si vanti nel Signore; infatti non colui che si raccomanda da sé viene approvato, ma colui che il Signore raccomanda" (II Cor. 10, 12 – 18).

Nel Vangelo di Marco, riguardo a Gesù si dice che  "La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea" (1, 28).
#58
Varie / Re: La fama e la serendipity
04 Agosto 2025, 09:53:55 AM
Nella mitologia di epoca romana la "Fama"  (dal latino "fari",  = parlare) era una divinità annunciatrice e messaggera di Giove. Immaginata come la  personificazione della parola alata. Aveva le ali cosparse di occhi, di bocche e di lingue, raffigurata nell'atto di suonare una tromba, oppure due:  una per la verità, l'altra per la menzogna.

Fama incarna il potere che ha la parola umana di propagare  una versione della realtà, passando anche all'infamia.

Rappresenta allegoricamente le dicerie che nascono, si diffondono, acquistano credibilità, non fanno distinzione tra vero e falso, amplificano e distorcono i fatti.

La fama è citata da Virgilio  nell'Eneide (libro IV,  173-190); ampliata da Ovidio nelle "Metamorfosi" (12, 39-63).

E' una storia d'amore tragica che  si svolge a Cartagine, dove Enea approda dopo una tempesta.

La regina Didone accoglie Enea e i suoi compagni troiani, offrendo loro rifugio e ospitalità.

Tra i due nasce un rapporto amoroso, alimentato da Venere e Giunone per motivi diversi: la prima per proteggere il figlio, la seconda per distrarlo dalla sua missione.

Didone dimentica il voto di fedeltà al marito defunto Sicheo e trascura i suoi doveri di regina.

I due "brindano ad Eros" in una grotta è presente Cupido tra i due.



La Fama, personificazione della Diceria, racconta in maniera distorta ai Cartaginesi  la relazione amorosa della loro regina, relazione che poi  si trasforma in tragedia quando Enea per adempiere al suo destino, è costretto ad  abbandonare Didone.

La partenza di Enea, annunciata da Mercurio,  fa disperare la donna, che si suicida. 

Nella mitologia e nella letteratura di epoca romana la Fama rappresenta il potere della comunicazione. Può indurre la gloria facendo sapere le gesta eroiche degli individui, oppure può  diffondere pettegolezzi e menzogne, danneggiando la reputazione degli individui.
#59
Varie / Re: La fama e la serendipity
03 Agosto 2025, 16:09:21 PM
Nell'antica Grecia per definire la fama usavano le parole  "kléos" e "pheme".

"kléos" deriva dal verbo greco "kaléo", che significa "chiamo" o "dico", ma allude  anche alla fama che si diffonde nel tempo e nello spazio tramite la poesia epica o i poemi epici (es. Iliade, l'Odissea).  In questi il Kleos è uno status  a cui ambisce il guerriero per essere ricordato dopo la morte.

La parola Kléos era collegata ad un'altra: Klyo (= ascoltare), il cui significato implicito è nell'espressione: "ciò che gli altri odono di te".



Dall'antico verbo greco "phemi" (che significa parlare)  deriva phēmē: "colei che inizia la comunicazione". Indica  la connessione tra l'atto del parlare e la fama o reputazione che ne deriva. Ciò che si dice influenza la percezione dell'ascoltatore e il modo in cui le storie vengono condivise.

Nell'arte la fama era di solito raffigurata con le ali e la tromba.


Robert de Henze, Pheme, scultura bronzea sul tetto dell'Università delle Arti Visive, Dresda (Germania)
#60
Varie / La fama e la serendipity
02 Agosto 2025, 20:05:55 PM
Lo scrittore e critico letterario inglese Samuel J. Johnson (1709 – 1784), diceva che la fama duratura è una cosa complicata. Per definirla usava il sostantivo "bolla", parola molto diffusa oggi nell'ambito economico-finanziario. Johnson metteva in guardia contro le "bolle di fama artificiale", che vengono tenute in vita per un po' da un soffio di moda, da un'ondata di entusiasmo collettivo, e poi scoppiano di colpo e sono ridotte a nulla".

E' vero, la fama viene nutrita da grandi entusiasmi, da "cascate informative"  che si alimentano a vicenda, però, se alla base c'è un'opera di scarsa qualità, le bolle possono scoppiare.

Con "cascata informativa"  s'intende l'amplificazione di messaggi, di comunicati  da parte dei network sociali (anche reti di familiari, parenti e amici) che, per esempio,  ci inducono a leggere un libro o a vedere un film sulla base di informazioni o azioni di altri.

Comunque, la  fama a lungo termine deve moltissimo ai convinti sostenitori di un talento, dalle dinamiche sociali e culturali che rendono noto un individuo.

La fama ha molto a che fare con la "serendipity": questo termine inglese indica le scoperte casuali, trovare una cosa non cercata.

La parola "serendipity" fu coniata dal nobile e scrittore inglese  Horace Walpole nel XVIII secolo. La usò in una lettera scritta il 28 gennaio 1754 a Horace Mann, un suo amico inglese che viveva a Firenze, per significare una fortunata scoperta non pianificata.

Lo scrittore Horace Walpole, IV conte di Orford (1717 – 1797) è considerato il fondatore della letteratura gotica: storie d'amore e di terrore ambientate nel Medioevo.

La natura dell'effetto rete, se riesce, amplifica il numero di quelli che aderiscono e così si arriva alla fama, che non sempre nasce da un talento particolare.
 
La differenza tra fama e successo. I social media sono molto importanti per suscitare negli altri la sensazione che intorno a un romanzo o a una canzone ci sia tanto entusiasmo, suscitando un effetto "cascata". Si chiama "accelerazione di fama". Non siamo consapevoli di partecipare all'amplificazione della celebrità di un individuo. Spesso non sappiamo se stiamo seguendo un effetto "cascata", cioè se le persone che prima di noi hanno dimostrato entusiasmo per un libro o un film e che noi stiamo seguendo, siano a loro volta dentro un effetto "cascata" e non, invece, saldi in un giudizio di valore  indipendente. Il messaggio, o l'entusiasmo, si rafforza con il coinvolgimento di altre persone.
E se alla fine ci ritroviamo con un libro acquistato sull'onda dell'entusiasmo collettivo, ma che poi ci delude nella lettura, la "bolla" può scoppiare.

Un conto è acquistare un libro o ascoltare un brano, un altro è amare quel libro o quella canzone. E' una incognita. Potremmo amarlo, ma anche cambiare opinione e disprezzarlo.

Una ricerca italiana condotta da Michela Ponzo e Vincenzo Scoppa ha rilevato che nel periodo successivo alla scomparsa di un autore la probabilità che i suoi libri diventino bestseller aumenta molto, dipende dal battage pubblicitario.  
Se ci chiediamo perché alcuni personaggi hanno raggiunto il successo, senza avere talenti particolari, bisogna ricordare che anche noi stessi siamo parte  di questo "effetto-popolarità", più o meno consapevolmente.

Per chi vuol saperne di più c'è  il libro di Cass R. Sunstein, titolato:  "Come diventare famosi. La scienza segreta del successo" (edit. Raffaello Cortina, pagine 264, euro 22)