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Messaggi - maral

#46
Citazione di: Jacopus il 25 Luglio 2017, 22:16:34 PM
Una breve considerazione. Mentre in alto i capitalisti esercitano il più tollerante multiculturalismo, basti pensare agli accordi fra gli yankee liberal e la dinastia saudita o fra i francesi e i capitalcomunisti cinesi, si esasperano in basso i conflitti e i contrasti ritenendo che le diversità culturali porteranno a disastri veri o immaginari. Ottima strategia che tra l'altro sta riuscendo alla perfezione.
E' esattamente questo il punto. Il dominio tecnico capitalistico è da tempo che ha del tutto superato ogni divisione, è uno per tutto il mondo, a confliggere divisi sono solo i poveracci, gettati gli uni contro gli altri per strapparsi di bocca le poche briciole ancora a disposizione, ma che devono diventare sempre di meno, perché costituiscono uno spreco e  la competizione va sempre stimolata al massimo, secondo la visione economica vigente del massimo profitto. Il conflitto tra i poveri divisi che si odiano tra loro risulta così essere un'ottima soluzione per deviare l'attenzione da un sistema che ha già dimostrato da tempo la sua tragica fallacia.
I migranti sono allora il capro espiatorio perfetto, sembrano loro quelli che vengono qui a rubarci la casa, il lavoro, il pane, le nostre buone usanze e tradizioni, ce li troviamo davanti agli occhi ovunque con la loro infastidente differenza, mentre chi ci deruba davvero, sia noi che i migranti stessi, se ne sta nascosto, non fa chiasso né differenza, è unito nel segno del potere di cui gode e può continuare a rapinare del tutto tranquillamente.
Ci raccontano che abbiamo un debito eterno da pagare (noi e l'Africa ancora più a dismisura) e dicono che i debiti vanno comunque saldati, in schiavitù o in libbre di carne umana. Chi è questo creditore eterno? Lì sta il nocciolo del problema.
#47
CitazioneTemo, ed è anche a questo che volevo arrivare, che i migranti economici siano "attirati dal desiderio" stesso tipico della nostra cultura, il voler e potere avere in ricchezza per potere essere(nel senso di ammirazione ,di invidia, di potere, ecc)
Allora ciò convaliderebbe la tesi che le società e tradizioni che sono "colluse" con il mercato capitalistico tendono all'individuaismo come competizione sociale, il tentare  quella mobilità sociale di voler arrivare in "alto".
Puoi considerarlo sicuro, dato che siamo stati noi europei i primi migranti economici per "poter essere". Resta da chiarire perché a loro dovrebbe venire vietato "il poter essere". In ragione di cosa? In ragione che se desiderano questo il mondo va in malora? Dopo essere stati depredati di tutto, e prima di tutto della loro dignità umana e culturale, devono pure patire i saggi consigli dei rapinatori: statevene buoni a casa vostra, non imitateci, salvate il mondo che noi abbiamo rovinato e continuiamo a rovinare a spese vostre. Se mi metto nei loro panni c'è da rabbrividire a tanta tracotanza.
La soluzione, lo ribadisco ancora, è solo una, mettersi finalmente a lavorare insieme, imparando gli uni dagli altri, dalle proprie diversità, non da sopprimere o tenere separate, ma da comprendere e rendere condivisibili, perché meritano tutta la nostra ammirazione. Non c'è programma più anticapitalistico di questo.
#48
Citazione di: paul11 il 24 Luglio 2017, 14:45:53 PM
Fammi capire Maral, a tuo parere l'energia ,se riduciamo ai minimi termini il concetto di ecologia, non è la stessa cosa d risorse, di catene alimentari, di habitat, di ambiente?
E' appunto questa riduzione ai minimi termini che contesto. L'ecologia che coinvolge il fattore umano non è riducibile a un bilancio di energia o di materia, quella è economia e se la riduci così ne fai una questione puramente economica.

Citazionee com'è che la natura trova un suo ordine , i suoi equilibri energetici e noi no,  o pensiamo che il capitalismo sia un "ordine naturale", perchè è da quì che nascono  i paradigmi ideologici su cui i pensatori capitalisti sostengono la sua funzionalità.
La natura trova comunque i suoi equilibri energetici e noi non siamo fuori dalla natura. Il pianeta risolverà comunque la questione umana e troverà un nuovo equilibrio con l'uomo o senza l'uomo (e prima o poi inevitabilmente senza l'uomo, perché l'uomo si estinguerà come tutti i suoi parenti più prossimi). Nemmeno il capitalismo in questo senso è "contro natura" come non è contro natura opporsi ad esso in nome di un modo di vivere pensato più naturale. Non si può essere contro natura. Si può invece essere umani e lavorare contro gli esseri umani, si può essere "contro umani" e la cosa, in quanto esseri umani, ci riguarda profondamente.

Citazionebene, Maral. adesso dimmi tu con chi sto interloquendo, con il Maral che crede che la cultura filosofica ha costruito una contraddizione con la tecnica , oppure con il Maral di questo forum di attualità che ritene che le contraddizioni siano sanabili dentro la contraddizione culturale stessa? Prova a metterti d'accordo fra teoria e prassi?
Quello che ho cercato di rilevare è che nell'essere umano, proprio in virtù del suo essere cosciente, c'è sempre una contraddizione che si ripresenta a ogni tentativo di risolverla, non ci sono soluzioni definitive- L'arte, la religione, la filosofia, la tecnica sono modi a volte contrastanti, altre complementari di ridurre questa contraddizione che gioca tra la conoscenza e l'esistenza (la vita, il bios, chiamala come vuoi). Questo intendo quando dico che l'uomo è un animale continuamente decentrato. L'errore attuale non sta nella tecnica in quanto tale (come sarebbe concepibile un essere umano senza tecnica, anche i riti, anche le forme di linguaggio più primitive sono mezzi tecnici per l'uomo), ma nella dimensione completamente autoreferenziale e onnipervasiva che è venuto ad assumere il pensiero tecnico in cui il pensiero economico è l'aspetto divenuto sempre più dominante e senza alternative. Ma qui andremmo ben oltre al tema in questione.
Aggiungo solo che la natura nel suo complesso non ha fini, i fini esistono solo nella nostra concezione umana, sono sempre e solo nostri i fini, siamo quella parte di natura che si crea dei fini e continuamente progetta. Non possiamo non porceli, poiché questa è la nostra natura, la netura di un essere che gode e patisce del suo essere, per natura, cosciente. E, proprio perché i fini non sono un dato di natura, risulteranno sempre contraddetti, da essi stessi sorge inevitabilmente ciò che li contraddice, come fine ulteriore.

CitazioneChe cos'ha l'uomo di "tarato"?
La scissione tra l'esistenza e la conoscenza dell'esistenza e tra il sé che vive e il sapere del proprio vivere. Ma non è una tara, perché è anche ciò che restituisce all'universo la meraviglia dell'universo. La conoscenza è il tentativo di appropriarsi (sempre parzialmente e quindi sempre andato fallito) di ciò che solo la nostra dislocazione ci mostra.

CitazioneLe circonlocuzioni elucubrative le lascio ai  "perdi tempo": io cerco di essere  diretto e  chiaro
Fai benissimo e cerco di farlo anch'io. Mi pare che le considerazioni che ho espresso sull'immigrazione siano  quanto mai dirette e chiare. E spero risulti chiaro anche il discorso sulla dimensione assunta dalla tecnologia. Il punto è che non si può pensare di costruirsi un piccolo mondo arcadico tra mura ben difese e loro che se ne stiano a casa loro, il più lontano possibile con tutti i doni che madre natura gli ha dato e che noi continuiamo a sottrarre per goderci la nostra vita racchiusa. Penso che sia un discorso completamente assurdo, un discorso cimiteriale. E se vogliamo "aiutarli a casa loro", è semplice, non occorre mandare aiuti o elemosine (che peggiorano la situazione), smettiamo solo di depredarli con ogni meccanismo possibile, proprietà culturale compresa (perché non esiste un diritto di proprietà culturale, la conoscenza non è faccenda privata e privativa). Soprattutto smettiamola di costruire e vendere armi, già questo aiuterebbe a ridurre il numero dei profughi, ben più dei piantonamenti navali, delle frontiere sorvegliate da mercenari e via dicendo.
Poi come consumatori teniamo conto del profilo sociale anche indiretto delle imprese che ci forniscono e pubblicizzano beni e servizi, obbligandole a dichiarare pubblicamente come e dove svolgono la loro attività produttiva. Ogni impresa è pubblica, perché vive di rapporti pubblici e agisce su di essi con la sua stessa esistenza, dunque ne deve dare pubblicamente conto.

CitazioneIl vostro errore è di non  avere un vostro giudizio critico sui sistemi sociali organizzativi umani e un vostro modello e di cadere nella contraddizione che l'ultimo modello creato dal pensiero fuoriuscito dal progresso sia sicuramente il migliore nella storia dell'umanità  e giustificata da una tecnica sempre più affinata .
Mi pare invece di avere enunciato un modello ben chiaro e nessuna idea mi è più estranea di un progresso nella storia dell'umanità, sostenerlo significa fraintendere completamente il mio pensiero.
CitazioneIo reclamo semplicemente una organizzazione umana che sia umana il più possibile non costruita su alienazioni ed egoismi o mistificazioni culturali., dove la tecnica e la tecnologia siano al servizio della società,  e non preda della speculazione economica e monopolizzata da chi detiene i mezzi di produzione.
Perfettamente d'accordo

Citazionemaral sottolinei quello che ti fa comodo, hai saltato che loro hanno più risorse di noi e non giochiamo alla demagogia del siamo "tutti uguali",  perchè ognuno ha i suoi livelli di consapevolezza e responsabilità, e io rispondo per i miei ,gli altri rispondano a se stessi se sono all'altezza..Io le mie prese di posizione e scelte di vita le ho fatte
Non ho saltato per nulla il fatto che loro abbiano più risorse. Ho detto e lo ribadisco, che l'avere più risorse significa per loro solo il poter essere più depredati, perché questo è l'ordine globale vigente e attualmente senza alternative attraverso il quale l'Occidente ha sempre imposto la sua forza e continua a farlo ancora più di prima. Si tratta di crearle queste alternative e conviene pure a noi.

CitazionePiuttosto cerca tu di raccordare la tua morale  con l'analisi della struttura economica e organizzativa umana se vuoi trovare una linea di coerenza
Non ho fatto altro.
#49
Citazione di: Ingordigia il 22 Luglio 2017, 18:18:14 PM
Citazione di: maral il 21 Luglio 2017, 10:52:14 AM
[...]di un mondo che si riflette nel sotto e viceversa

In che senso ?
Grazie :)
Scusa, quel "sotto" intendeva essere "ente stesso":
"l'ente prende ad apparire come coscienza di un mondo che si riflette nell'ente stesso e viceversa"
Ciao
#50
Citazione di: paul11 il 24 Luglio 2017, 01:19:50 AM
1) come fa ad autoregolarsi la vita nel dominio naturale?
Dire autoregolazione in funzione delle risorse e dire ecologia armonica è la stessa cosa, perchè la vita è in funzione anche delle risorse che non sono infinite e sono localizzate  e infatti l'adattabilità è un fattore decisivo.
A mio avviso no, non è la stessa cosa. Giustamente tu dici anche della (quantità di) risorse, ma non solo. E la differenza tra un modo di pensare ecologico e un modo di pensare economico sta proprio qui, poiché altrimenti si riduce l'ecologia a un caso dell'economia e, in conseguenza di questo, la vita stessa (a livello sia individuale che sociale) viene ridotta a una risultante di rapporti economici.
l'uso della tecnica altera o migliora il dominio della natura?
CitazioneUn formicaio, un termitaio, un alveare sono forse più intelligenti delel organizzazioni umane?
Il paragone non è ecologicamente fattibile, non si possono considerare le organizzazioni umane come formicai o termitai o alveari se non in ragione di un pensiero estremamente semplificante. Nelle organizzazioni sociali umane entrano in gioco fattori diversi, la stessa tecnica ad esempio che è fattore di pertinenza della natura umana, non di formiche o termiti, formiche e termiti non hanno bisogno di protesi, l'uomo sì, sempre. E questo crea il problema di un'assunzione della protesi rispetto a se stessi. La tecnica è un continuo tentativo dell'uomo di ridurre la resistenza della natura al suo progetto di esistenza a mezzo della natura, la tecnica non è qualcosa che si trova fuori dalla natura e per questo nell'uso della tecnica il problema di fondo, la contraddizione originaria, si ripresenta sempre a ogni passo della conoscenza umana cosicché nel progredire tecnico l'uomo non fa altro che ripetere la propria dislocazione che è la matrice stessa della sua forma di coscienza. Né un formicaio né un termitaio hanno questo problema: quando si raggiunge un certo livello limite di popolazione, parte delle formiche, delle termiti o delle api partono per stabilire una nuova colonia, potremmo dire che "migrano" per un puro automatismo che può riuscire o fallire, ma in cui la coscienza degli insetti non entra minimamente in gioco, mentre negli esseri umani entra sempre in gioco a interferire senza che si possa toglierla di mezzo.
In tal senso per l'economia non occorre pensare, solo determinare automatismi sulla base di rapporti quantitativi misurabili, mentre l'ecologia richiede continuamente di pensare, apre al dover pensare e ripensare.

Citazione3)Il metodo del " oggi è così complesso che non è possibile semplificare", è tipico dei demagogisti ( non è il tuo caso e non è riferito a te e a nessuno del forum),cioè di chi espande le variabili e le dinamiche dicendo che il problema è insolubile, così da non trovare mai le dinamiche strutturali e le responsabilità di queste.
Non vedo la complessità come un trucco fatto ad arte per giustificare una totale passività, al contrario, è uno stimolo continuo a pensare e agire senza cadere in semplificazioni forzose e forzanti che non risolvono nulla, ma che sempre peggiorano le situazioni. Non è che il problema è insolubile; c'è sempre una soluzione, altrimenti l'essere umano si sarebbe estinto da un pezzo, ma ogni soluzione è temporanea e nel momento in cui la si applica apre a nuove problematiche che chiedono di riconsiderarla. E se nella preistoria umana queste tempistiche erano dell'ordine di centinaia di migliaia di anni, oggi si sono ristrette all'ordine del alcune decine. E' questo che determina quel senso di angoscia e di spaesamento che spesso si risolve in un'alienazione che può trovare conforto in un pensiero magico impositivo (che non è più quello delle origini), o nei rimpianti di passati tanto più tranquilli.

CitazioneMa ora tornando ai migranti economici.Gli africani, prima che gli occidentali gli dessero "specchietti per allodole" ,,prima che li colonizzassero, vivevano esattamente in equilibrio dinamico ecologico con il loro ambiente, subendo crisi di siccità, alluvioni, ecc come di abbondanze:ma vivevano e non c'era sovrappopolazione. quest'ultimo fenomeno è emerso laddove gli africani si sono "spiantati" dalle loro  radici contaminati dalla cultura coloniale occidentale.
E' emerso ovunque sono entrati in contatto con la nostra cultura e, come ho detto, non poteva essere altrimenti, poiché la tecnica occidentale è forza e potenza allo stato puro (con tutte le illusioni e delusioni di funzionamento che da questo derivano), le cui suggestioni sono irresistibili, è forza in primo luogo in quanto capacità di suggestione.
E' dalla tua posizione di occidentale, che ha indirettamente goduto dello sfruttamento che la tecnica occidentale ha consentito, che oggi puoi dire che:
CitazioneSe la loro scelta è rischiare la vita per diventare occidentalizzati è una loro fesseria .
Non loro, perché per loro non è una fesseria, rischiano la vita mille volte per arrivare e non è per nulla una fesseria.
Il fatto che in quei territori ci siano le risorse, non li salva dal saccheggio di chi ha la tecnica per compierlo ed esercitare, sulla base di un ordine mondiale stabilito da quella stessa forza, il diritto allo sfruttamento. Non è semplicemente che "loro non sanno valorizzarle", ma che il disegno economico vigente si basa sul fatto che non devono essere loro a poterle valorizzare, che i profitti dell'uso tecnologico non devono in alcun modo tornare dove sta la risorsa. E' una legge generale che vale ovunque questa.
Su questa posizione la loro lotta (che dovrebbe essere in realtà la lotta di tutta la popolazione mondiale se la smettessimo una buona volta di farci la guerra tra chi è un po' meno povero e chi lo è un po' di più, convinti di tutelare il proprio privilegio residuale di consumatori, che peraltro va sempre più riducendosi) non può restare nell'ambito dei confini di uno stato nazionale, semplicemente perché non c'è nessuno stato nazionale che può oggi efficacemente opporsi a regole che da tempo sono del tutto sovrannazionali.
In primo luogo sicuramente bisognerebbe, come dice Inverno, cancellare i diritti di proprietà intellettuale, almeno nella misura in cui costringono a subire il ricatto dello sfruttamento intere popolazioni, bisognerebbe cessare di procedere alle privatizzazione di risorse come l'acqua, riaffermando l'esistenza di beni pubblici, perché pubblico è l'impatto della loro quantità e qualità e non può essere in alcun modo gestito su basi privatistiche. Non c'è da fare "ipocritamente carità", ma lavorare insieme a loro, unire la nostra forza alla loro e fare della diversità che sa convivere il fattore che ci rende più forti.
Questo significa ricominciare a pensare, questo significa ecologia non riducibile all'economia, questo significa anche ricominciare a fare filosofia in opposizione a un pensiero tecnico che è fondamentalmente incapace di pensare, dove la filosofia si traduce nel vissuto quotidiano, la si vede nella realtà irriducibilmente complessa delle cose e di ogni essere umano, dunque del mondo. 


#51
Citazione di: epicurus il 19 Luglio 2017, 11:44:32 AM
Ok, poniamo "Esiste il dio della religione x", "Esiste il dio della religione y", "Esiste il dio della religione z"..... hanno tutte singolarmente proprietà del 50%? Se sì, allora che esista almeno un dio di una qualsiasi religione ha probabilità praticamente certa. Altrimenti, che probabilità avrebbero le singole?
L'errore è quello di valutare probabilità di affermazioni di ordine diverso.
"Esiste Dio" presa in generale va valutata rispetto all'affermazione "non esiste Dio" presa in generale e non nei termini particolare di ogni Dio pensabile come esistente rispetto al generale "non esiste Dio" pensato come caso unico avente la stessa probabilità infinitesima di ogni caso particolare di presunta esistenza. Se si intende il generale come somma dei casi particolari, questa assunzione va fatta per entrambe le affermazioni, non solo per quella di esistenza. In altre parole la fallacia sta nel rendere l'affermazione dell'esistenza una somma di tutte le esistenze possibili, senza considerare la non esistenza come una somma di tutte le non esistenze possibili, ma come se avesse la stessa incidenza probabilistica di un singolo caso particolare della prima.
La fallacia del ragionamento è proprio nel calcolo di probabilità di eventi considerati del tutto casuali, a cui si può aggiungere ovviamente la considerazione che l'esistenza o meno di Dio può non essere (al 50% ? :)) un fattore casuale e in tal caso non sarà a priori probabilisticamente valutabile.
#52
Citazione di: paul11 il 22 Luglio 2017, 11:14:37 AM
Una comunità, un popolo, una nazione , deve comunque imparare ad autogestirsi in funzione delle risorse economiche
e questo lo sanno fare benissimo ancora le comunità tribali incontaminate dalla nostra cultura.
La mia netta impressione è che i migranti sono figli della contraddizione di non essere più comunità, popolo con  una loro tradizione  ed il non essere ancora Paesi sviluppati. Sempre per fare l'esempio della Nigeria ha avuto tassi di sviluppi simili al Sud Africa nel continente.
Non credo che ci si impari ad autogestirsi in funzione delle risorse economiche, ma piuttosto che si realizzi un equilibrio ecologico che non è mai permanente (e la storia delle estinzioni dei popoli e delle culture, anche nel passato lo insegna). L'attaccamento alle tradizioni, ossia alle prassi consolidate, funziona in tempi di stasi, non in tempi di cambiamento dove può risultare anche distruttivo.
Un esempio sta proprio in quella natalità intesa secondo il detto biblico del crescete e moltiplicatevi, citata da Jacopus, che favorisce l'equilibrio ecologico in tempi in cui la mortalità infantile è alta, ma che diventa un fattore profondamente disequilibrante una volta che, a mezzo della tecnica, la mortalità infantile viene abbattuta e a quel punto anche la pianificazione economicamente programmata introduce ulteriori problemi.
Certamente le forme economiche che le tecnologie attualmente realizzano portano alla commistione etnica. Non è in generale rifiutabile la tecnologia in nome della propria tradizione, non lo è in virtù dell'enorme potenza che essa mette a disposizione dell'immaginario umano. Il fatto di aver subito la potenza tecnologica dell'Occidente mette inevitabilmente quei popoli nella posizione di desiderarla e perseguirla appropriandosene. Il problema è che quella tecnologia diventa essa stessa un nuovo fattore a livello di ecologia sociale, da aspetto culturale diventa una sorta di fattore naturale di base a cui le vecchie tradizioni non riescono più a offrire alcuna risposta, anzi, la pretesa di conservarle come sono, peggiora le situazioni di equilibrio locale spingendo ancora le popolazioni a spostarsi.
Il problema è che siamo stati abituati, nel nostro modo analitico di ragionare economicamente, a tenere separati i gli elementi di complessità dei problemi una volta che si presentano senza considerarne le profonde interazioni a ogni livello, sperando così di trovare soluzioni semplici che valgano una volta per tutte e che ci permettano di stabilire, uno per volta, dei progressi ordinativi. Purtroppo non è così, purtroppo così ogni soluzione non fa che riproporre lo stesso problema passando da un piano diverso.
Chissà, magari proprio quella commistione culturale tanto temuta ci aiuterà a trovare un modo migliore e più ecologico di pensare.     


#53
Citazione di: acquario69 il 22 Luglio 2017, 06:12:29 AM
cominciamo col dire che se un tale sistema induce da una parte gli autoctoni ad emigrare all'estero e dall'altra ce ne sono altrettanti non autoctoni che entrano...già questo dovrebbe far notare tutta la follia e l'assurdita.
Che ne so facciamo un esempio banale che vuole solo dare l'idea di quanto voglio dire...un giovane cerca lavoro lontano da casa e gli anziani rimangono soli...chi li accudisce? non saranno i loro figli che non ci sono più ma altri che anche loro sono stati costretti a fare altrettanto...non sarebbe questa un palese contraddizione? O vogliamo ridurre tutto come al solito solo a una questione di numeri e calcoli?
a quel punto non era più logico che per fare la stessa cosa ognuno sarebbe rimasto,a casa loro?
E' indubbio che c'è un "meccanismo" che spinge a cercare altrove le risposte alle proprie aspettative e bisogni e che questo meccanismo è un aspetto dei contesti di prassi vigenti nel mondo in cui esistiamo, un mondo che ha superato quello agricolo da cui proviene, fondato sul senso di appartenenza alla terra.
I miei genitori, oggi ultraottantenni, hanno passato la vita ad accudire i loro vecchi (8 parenti anziani tra genitori e zii), perché questo era quanto si attendeva che si facesse nel mondo contadino che li aveva preceduti e delle cui usanze erano ancora culturalmente impregnati, ma già per la mia generazione e quelle successive, nate e vissute nell'epoca dello sviluppo industriale e post industriale, queste usanze sarebbero parse assurde, praticamente nessuno avrebbe stabilito il senso della propria esistenza nell'accudire agli anziani. Gli strumenti che usiamo, le tecnologie che adoperiamo determinano i nostri rapporti sociali e il nostro senso del mondo e non il contrario. Si può rimpiangere con malinconia la civiltà agricola, partendo dalla situazione esistenziale attuale, ma non recuperarla e men che meno imporla, non si può semplicemente tornare indietro, questo sarebbe il vero paradosso.
Non è il sistema di per sé a essere profondamente malato, esso è solo il prodotto di modi di interagire e di fare che sono diventati quelli che dettano il nostro modo di vivere, compreso anche il fatto che siamo qui a parlarci a mezzo di un computer, anziché andare a zappare la terra per mangiare e alla sera incontrarsi all'osteria del paese e il disagio dipende dalla continua repentinità di cambiamento che questo sistema impone facendoci sentire tutto il peso della nostra inadeguatezza e alienazione, per reggere alla quale continuamente occorre spostarsi. Non c'è però un progetto perverso che ha determinato questo, perverse saranno le sue conseguenze, se non troveremo il modo di sentirci a casa nel mondo che siamo destinati a percorrere e di ritrovarci in questo percorrerlo, al passo che le nostre esistenze consentono, aiutandoci gli uni con gli altri, perché oggi siamo inevitabilmente chiamati a essere tutti migranti per tentare di restare ciò che siamo.  

Citazionema allora perché ad esempio fino credo a un centinaio di anni fa non esisteva questo fenomeno nel continente africano e la loro popolazione poteva perciò vivere tranquillamente del suo in sostanziale equilibrio?
Lo stesso credo si potrebbe anche dire di noi...allora cosa e' stato che ha spezzato via un tale equilibrio?
Lo hai detto tu stesso, sono passati cent'anni e le prassi tecnologiche sono radicalmente cambiate e questo ha determinato cambiamenti sociali di portata enorme e in questo cambiamento il mondo occidentale è stato il principale autore e protagonista, raccogliendone i vantaggi senza pagarne il prezzo, noi siamo stati i primi a sradicare dalle campagne e dall'Africa milioni di schiavi in ragione del profitto che consentiva alle nostre metropoli e al nostro benessere di crescere a dismisura. Ora che il conto da pagare si presenta vorremmo erigere muri che ce ne mettano al riparo.
Loro verranno spinti dal loro immane bisogno che noi abbiamo determinato per costruire sulla loro niseria la nostra ricchezza, verranno chiedendoci di saldare il conto e, che lo si voglia o meno, il conto verrà saldato. Dovremo allora lavorare insieme per evitare che il saldo non includa enormi tributi di sangue e di odio da entrambe le parti, in nome di quei fantasmi di un'etnicità che di fatto non sussiste più, né tra noi, né tra loro che già si mischiano migrando, ma che è sempre pronta a tornare con tutta la ferocia dei suoi spettri ancestrali affamati di morte.
Poi le cose cambieranno ancora, stanno già cambiando.
#54
In realtà la cosa è molto semplice: uno e molti sono perfettamente complementari, non si escludono, ma sono l'uno in conseguenza degli altri e viceversa. L'uno è l'unità a cui i molti ontologicamente tendono, i molti sono il modo di apparire dell'uno significando - l'aveva già detto Aristotele nel primo libro della metafisica: l'essere (uno) si dice in molti modi e non c'è altro modo di dirlo. Se non aprisse ai molti, l'uno non esisterebbe, equivarrebbe al nulla. Ma l'uno e il nulla sono peraltro già due.
#55
Attualità / Africa: come aiutarli a casa loro?
21 Luglio 2017, 22:53:09 PM
Riporto sotto la lettera che Alex Zanotelli ha inviato in questi giorni ai giornalisti italiani chiedendo di non continuare  l'assordante silenzio dei mass media sulla terribile condizione che si vive in molti paesi africani devastati dalle guerre, dalla fame, dalle malattie, dal terrore, a cui si vanno ad aggiungersi gli effetti del cambiamento climatico che renderà inabitabili sempre più vaste aree del continente. Di non tacere per farci capire il motivo dell'emigrazione a rischio della vita da quel continente così martoriato, situazione di cui è strutturalmente responsabile il sistema economico finanziario vigente e che viene continuamente alimentata con la vendita delle armi e il foraggiamento interessato alle peggiori tirannie e bande di potere locali.
"Aiutiamoli a casa loro" è uno slogan che, detto da chi per secoli a casa loro li ha sempre saccheggiati e continua a farlo a beneficio della finanza e di imprese come ENI e Finmeccanica, suona di un'ipocrisia nefanda. "Aiutiamoli a casa loro" sembra voler dire "aiutiamoli a crepare a casa loro", magari sovvenzionando gente come Erdogan o peggio ad allestire gli appropriati campi di concentramento, a fare quel lavoro sporco che noi non possiamo fare direttamente.
Certamente aiutarli significa non tacere per permetterci di capire, aiutarli significa aiutare noi a non vedere la storia della conquista dei diritti sociali e civili in cui la civiltà nata dalla storia europea trova il suo riferimento ideale, affondare con i profughi nel Mediterraneo.
Ma questo potrà davvero risvegliare le nostre coscienze dal profondo intorpidimento morale preludio della nostra stessa rovina? Basterà la verità o non preferiremo invece continuare a credere alle balle degli interessati imprenditori della paura che recitano la parte dei difensori dell'etnicità?

La lettera è questa e spero vogliate leggerla e commentarla
http://www.fnsi.it/appello-di-padre-alex-zanotelli-ai-giornalisti-rompiamo-il-silenzio-sullafrica
#56
Bene, allora vedo di riassumerti i punti fondamentali, sperando di essere più chiaro:

1- in merito alla questione della doppia emigrazione attuale ho sostenuto: A) che le due cose non sono collegate tra loro da un rapporto di causa effetto (non è a causa dell'immigrazione che i giovani italiani non trovano lavori confacenti ed emigrano per cercarli all'estero), semmai da una serie complessa di concause politiche ed economiche; B) che sarebbe auspicabile che nessuno fosse costretto a emigrare per sopravvivere, ma sarebbe altrettanto auspicabile che chiunque potesse farlo in ragione delle sue scelte e progetti.

2- in merito al numero di immigrati mi sono già fin troppo dilungato e ripetuto. Aggiungo, dato il titolo della discussione, alcuni altri dati dell'inps (presentati da Boeri ieri alla Camera): il saldo netto dell'attuale contributo degli immigrati regolarizzati è oggi di 5 miliardi di euro (8 di contributi versati meno 3 per prestazioni sociali ricevute). Attualmente il deficit dell'inps è di 6,1 miliardi, chiudendo le frontiere salirebbe nei prossimi 22 anni di 38 miliardi di euro se le condizioni attuali di bassa crescita e bassa natalità persistono nel nostro paese. Inoltre, per quanto riguarda le pensioni va detto che gli immigrati tendono a rientrare nel proprio paese prima di aver raggiunto l'età per maturare la pensione e questo comporta un ulteriore introito per le casse dell'inps di 300 milioni di euro l'anno (grazie a questi contributi a fondo perduto fino a oggi si sono risparmiati 17 miliardi, circa un punto di pil). Il problema non è il numero di migranti, ma il numero di clandestini, sfruttati e costretti a lavori irregolari. Purtroppo l'attuale legislazione sull'immigrazione favorisce enormemente la clandestinità.  

3- In merito alle emigrazioni nostre del secolo scorso ci sono dei punti di divergenza (sicuramente la situazione mondiale), ma anche dei punti di affinità, ad esempio la miseria e la fame da un lato e la speranza di costruirsi altrove una vita migliore dall'altro e nonostante tutte le enormi difficoltà a cui si va incontro per farlo. Speranza che nasce dalla disperazione.

Se questi poi secondo te sono solo punti secondari e marginali (peraltro da te introdotti e a cui ho tentato di rispondere dal mio punto di vista) dimmi quale consideri invece il punto fondamentale.
#57
Citazione di: Lou il 20 Luglio 2017, 21:56:24 PM
L'interrogazione di quale essere è modo?
Riformulerei in questi termini.
Direi che l'interrogazione è il modo in cui nell'essere l'ente prende ad apparire come coscienza di un mondo che si riflette nel sotto e viceversa. La domanda è "chi?"
#58
Certamente si possono percorrere migliaia di chilometri senza che questo significhi "viaggio".
Il solo vero viaggio è quello che ci porta almeno un poco oltre il limite della nostra prospettiva quotidiana. Può capitare anche sotto casa nostra, o anche solo guardando dalla finestra, persino con le finestre chiuse. Se il viaggio davvero accade si rivela certamente entusiasmante, anche se per partire ci vuole sempre un po' di coraggio e poi bisogna sempre anche saper tornare. Altrimenti non è stato un viaggio, ma ... una migrazione.  ;) 
#59
Citazione di: paul11 il 20 Luglio 2017, 11:16:33 AM
Maral in politica ,giusto   o sbagliato, cavalcano la "percezione"  più che i dati reali.
Paul, questo è perché non c'è più una politica ove per politica si intenda tentare di il bene di una comunità (che poi è mantenere lo spirito connettivo senza lasciarlo disintegrare), anziché cercare in tutti i modi possibili di illudere mentendo per ottenere il consenso a breve termine. Non 'è più una politica perché nell'epoca attuale, che vive solo in ragione dell'economia sociale e non dell'ecologia sociale, il termine "politica" ha perso ogni senso.
CitazioneQuella "percezione" e "relativa" sensazione che noi non stiamo molto bene e si percepisce un decadimento anche in termini reali (perchè è vero che non stiamo molto bene economicamente) di ricchezza, la politica ci "gioca" in  tutto questo.
Ma è a questo punto che credo sia più che mai necessario riflettere sul vero motivo per cui non stiamo molto bene. Siamo sicuri che la causa siano le migrazioni? Siamo sicuri che la questione dipenda dai migranti, tanti o pochi che siano e anche se le loro richieste ci pesano e ci infastidiscono, già con tutti gli altri pesi e fastidi che andiamo a sopportare? O non è che se ci si riflette si scopre che le migrazioni e il nostro non stare molto bene hanno lo stesso motivo di fondo e che è questo motivo che andrebbe affrontato non solo per sentirci un po' meglio, ma anche per ridurre la sensazione di una migrazione che con terrore ci si immagina (e ci si fa immaginare) stia riversando tutta l'Africa in casa nostra?

CitazioneIl governante oggi dovrebbe razionalizzare quell'emotività, ma i giochi elettoralistici, e ci sono già, vanno verso la convenieneza elettorale e non verso soluzioni razionali.
Eppure credo ancora che ci sia rimasto qualche politico, qualcuno anche in parlamento ancora capace di pensare in termini di bene comune. Ma purtroppo non fa immagine, purtroppo è sempre più condannato a rimanere in secondo piano.
Credo comunque che dovremmo cominciare a lavorare su noi stessi, a stimolare il nostro senso critico, del tutto indipendentemente dall'area politica di riferimento, se ancora ha un senso che vada oltre il nostalgico parlare di aree politiche di riferimento.



#60
Citazione di: acquario69 il 20 Luglio 2017, 08:27:19 AM
maral..un paio di appunti su quanto da te detto sopra:

..Per quale motivo dovrebbe ritenersi normale il fatto che se da una parte ci sono gli italiani che emigrano poi va bene lo stesso perche questi sarebbero comunque rimpiazzati da altri migranti non autoctoni?
come principio non sarebbe più sensato,piu sano,piu giusto fare in modo che gli italiani (giovani) rimanessero nel loro paese nativo e altrettanto facessero gli altri (altrettanto giovani)?
per quale (secondo me assurdo) motivo deve esistere questa "schizofrenia" ?
Credo che il discorso non sia semplificabile in questi termini, in realtà  bisognerebbe anche interrogarsi sui diversi bisogni e le diverse aspettative che guidano l'immigrazione, E' indubbio ad esempio (e lo so per esperienza diretta) che in Italia è molto difficile trovare giovani italiani disponibili a fare certi tipi di lavori. E' altrettanto indubbio che ci sono molti migranti che vedono l'Italia solo come un paese di passaggio, ma preferirebbero dirigersi altrove, dove hanno già conoscenti o parenti. Inoltre da questo paese vi è una emigrazione piuttosto consistente di persone con un elevato livello di istruzione che aspira a farsi una posizione all'estero da cui poi assai difficilmente ritorna.
Peraltro non è detto che gli spostamenti all'estero non siano una cosa positiva per fare esperienze. Nel campo della tecnologia e della ricerca possono essere addirittura necessari. In un centro di ricerca nessuno si sognerebbe di assumere in base alla nazionalità, ma solo in ragione delle competenze, e sono questi luoghi ove la mescolanza etnica si verifica sempre in grado elevato. Si potrebbe dire che le migrazioni interessano sia i lavori di alto o altissimo profilo che quelli di basso profilo, mentre quelli di medio profilo diventano sempre meno.
Per quanto mi riguarda credo che nessuno dovrebbe trovarsi costretto a emigrare (e certamente occorre lavorare per questo), in fondo più o meno tutti siamo legati alla terra natia, ma è altrettanto necessario garantire che chiunque lo vuole fare possa farlo.
 

CitazioneDici che non ce' invasione,ma una media di 200000 persone ogni anno, non sono mica bruscolini!
A quanto pare poi la tendenza sembrerebbe sensibilmente crescere di anno in anno, sapendo pure che la popolazione africana e' in continua crescita e conta ad oggi 1,2 miliardi (!) - con un trend di crescita che lo darebbero al raddoppio nel secolo in corso- ovvio non sto dicendo che poi si sposterebbe tutta l'africa ma la differenza di proporzioni e' davvero notevole e non credo non possa non avere comunque i suoi effetti in tal senso
Ripeto, le proiezioni numeriche secondo le quali la popolazione sarebbe rimasta stabile in questo paese, con un incremento molto lieve, peraltro necessario per garantire il welfare attuali, si basavano su previsioni di arrivo non di 200000, ma di 300000 unità all'anno. Finora gli arrivi sono sempre stati inferiori ed è da un paio di decenni che la popolazione, soprattutto quella attiva, diminuisce. Non è un problema di numeri. Inoltre, se possono e le condizioni lo permettono, i migranti tendono a stabilirsi ovviamente nei paesi limitrofi. Purtroppo la politica economica globale ha sempre più destabilizzato sempre più vaste parti dell'Africa e del medio oriente. Ai tempi della guerra in Iraq la Siria ad esempio era uno dei maggiori ricettori di profughi, ora ne è il maggiore fautore. Vedremo quanto reggerà la situazione in Turchia o in Marocco che attualmente bloccano le vie di migrazione a est e a ovest del Mediterraneo, risparmiando Grecia e Spagna.
CitazioneNon si può secondo me mettere in relazione l'immigrazione di cento anni fa con quella attuale.
Il mondo nel frattempo e' cambiato all'inverosimile, oggi siamo 7,5 miliardi di persone, cento anni fa...(appena nel 1950 era solo 2,5!)
cosi come le risorse eccetera..
Sicuramente il fenomeno è diverso, ma il problema dell'aumento di popolazione mondiale e di sfruttamento delle risorse sussiste enorme anche senza migrazione. Semmai le migrazioni sono un effetto che non vale a nulla tamponare se non si affrontano in primo luogo le cause, per quanto sia tutt'altro che facile farlo.
Per quanto riguarda l'emigrazione italiana è sempre stata molto forte verso l'estero nella prima metà del secolo scorso ed è stata fortissima quella interna dal dopoguerra fino alla fine degli anni sessanta. Certamente è stata conseguenza dell'industrializzazione del Nord, ma quelle masse sarebbero migrate comunque e la cosa non è stata solo negativa dal punto di vista della formazione di una nazione. Con tutti i limiti che ha ancora la nostra nazione. L'appellativo "marocchino" ai migranti del Meridione in Nord Italia (con i cartelli "non si affitta ai meridionali") non è poi così lontano nel tempo, a testimoniare delle profondissime divisioni che si sentivano in questo paese. In ogni caso i fenomeni di contesto e le tecnologie determinano inevitabilmente dei sommovimenti sociali profondi e irreversibili, dei cambiamenti di prospettiva nelle vite dei singoli che diventano di per se stessi coercitivi. La migrazione verso le metropoli nei paesi del terzo e quarto mondo ad esempio è sicuramente tragica, ma è anch'essa un fenomeno complesso, inscritto nel tipo di mondo in cui viviamo, nelle condizioni che si producono nelle campagne, a partire dalla loro desertificazione.
Ce infatti anche da sottolineare che corrisponde pure all'inizio del consumismo..quindi non solo operai (all'epoca) ma sopratutto consumatori

Citazionela migrazione attuale (che non centra niente con le migrazioni antiche) rispecchia lo stesso modello e lo stesso filone da cui sarebbe partito tutto quanto (globalizzazione-consumismo eccetera)
Ma purtroppo ci siamo dentro alla globalizzazione, pure nel nostro modo di sentirci contro di essa, anzi, siamo contro di essa proprio in quanto ci siamo dentro, il rimpianto del mondo arcadico è possibile solo in un mondo industrializzato, tra cittadini del mondo industrializzato. Gli altri, nella stragrande maggioranza, sperano solo di industrializzarsi.
Le migrazioni attuali sono diverse, d'accordo, ma c'è sempre un fattore di base comune che collega tutte le migrazioni, lo stesso fondamentale bisogno e desiderio, fin dai primordi, fin da quando i primi Sapiens e anche prima cominciarono a popolare la terra, partendo sempre dall'Africa (e il punto di partenza principale è tornato a essere lo stesso). Certo, allora il mondo era quasi spopolato di esseri umani, ma non è che la cosa non abbia creato anche allora problemi agli altri esseri viventi. E noi comunque discendiamo da quei migranti e solo l'agricoltura ci ha reso sempre più stanziali a partire da alcune regioni del mondo (proprio in quel Medio Oriente), attaccandoci alla terra che avevamo imparato a coltivare e alle prime città che divennero sinonimi di civiltà. Ma anche questa trasformazione agricola comportò degli impatti enormi sugli ecosistemi e sulle società umane. Finita la civiltà agricola con i suoi usi, le sue credenze e il suo legame alla terra madre inevitabilmente si prospetta un nuovo modo di stare al mondo con tutte le angosce che questo genera.