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Messaggi - Mario Barbella

#46
Tematiche Filosofiche / Re: Dove c'è l'IO c'è Dio
10 Settembre 2017, 16:49:08 PM
Chiarisco quanto ho già appena scritto nel post ne quale faccio riferimento alla macchina ideale di computazione di Turing "Dove c'è l'IO c'è Dio, per ribadire il fatto che quando la macchina si arresta è proprio quando l'Osservatore (cioè l'IO Cosciente) può accedere alla soluzione del problema. Ma se la macchina tarda ad arrestarsi (e magari non si fermerà più) chi la fermerà per controllarla e valutarne se non l'Osservartore? Ecco quando subentra ed irrompe un Ente al disopra di tutto per decidere. Questo problema, del resto, non è altro che la conclusione del teorema di incompletezza di Godel, ;)
#47
Tematiche Filosofiche / Dove c'è l'IO c'è Dio
10 Settembre 2017, 12:34:32 PM
Per comprendere il significato di questa particolare credenza e della sua fondatezza o meno potremmo richiamarci a molte riflessioni scientifico-matematiche, qui sceglieremo quella suggerita dal computer ideale immaginato da Turing (niente a che vedere con la famosa macchina che decriptava le comunicazioni militari tedesche nella seconda guerra mondiale). Ci riferiamo, invece, al suo astratto computer ideale pensato, sempre idealmente,per teorizzare e gestire,almeno in via di principio, calcoli aritmetici di qualunque complessità mediante sistemi combinati di computer elementari di quel tipo; accenneremo al funzionamento di questo computer elementare ideale evidenziandone i dettagli per questa discussione:

a)E' una scatola-computer capace di contenere ed interpretare dati di input grazie ad un programma di calcolo che l'Osservatore vi ha inserito, programma applicabile a sequenze di dati in entrata nel computer mediante un nastro di lunghezza infinita che la stessa scatola computer muove, in avanti e indietro a scatti in funzione sia dei dati stessi che del programma pensato ed inserito dall'Osservatore. I dati in sequenza del nastro, che transitano nella scatola, verrebbero così trasformati in nuove sequenze destinate all'uscita dalla scatola stessa e registrate sul nastro.
b)I dati in uscita consistono di sequenze che tenderebbero a quella risolutiva del problema e attesa dell'Osservatore.
c)Il nastro dei dati si muove, in avanti e/o indietro, per scatti interi, secondo le esigenze del programma ed in funzione di quanto si svolge nella scatola-computer, il tutto per le necessità del calcolo imposte dal programma dell'Osservatore.
d)Una volta terminato il calcolo, il nastro si arresterebbe secondo il programma, segnalando così all'Osservatore la disponibilità della soluzione rappresentata dall'ultima sequenza, quella risolutiva.  

        L'arresto del computer ideale di Turing è, dunque, il segnale conclusivo del programma di calcolo atteso dall'Osservatore che ha pensato e realizzato il programma che, appunto, dovrebbe fermarsi solo quando sono soddisfatte le condizioni di soluzione volute, programmate e trasferite sul nastro.

        Con l'ateso arresto del computer e del suo nastro, cessa la descrizione tecnica del computer ideale di Turing, ma ora è da analizzare il conseguente importante approccio dell'Osservatore cioè di chi ha voluto e gestito un qualcosa del Suo universo come questo computer attendendo un risultato conoscitivo.
        Nel significato ordinario del termine si pensa all'Osservatore come ad un tale che guarda, pensa ed agisce su qualcosa, quindi, un intelligenza che agisce nel Suo ed unico universo, ma è anche molto di più: è proprio l'Universo stesso che si auto-osserva. Supponiamo che l'Osservatore abbia avviato e sia in attesa dell'arresto del computer di Turing da lui programmato ed avviato. Si può verificare il caso fortunato che dopo pochi scatti il computer si arresti e contenga l'attesa soluzione del calcolo programmato. Ma, escludendo il caso di errori verificabili e riparabili, può verificarsi anche che il computer non si arresti o tardi ancora a lungo a farlo, cosa fare? Qui è il problema: come può, l'Osservatore capire se trattasi di ritardo nel completamento del ciclo risolutivo o che la voluta soluzione non ci sia? Non dimentichiamo, infatti, che il teorema di incompletezza di Gödel non assicura l'esistenza di una soluzione per ogni problema matematico. L'Osservatore può ricorrere all'arresto forzato della macchina perché potrebbe essere almeno utile  per escludere eventuali errori di programma o guasti della macchia stessa onde ripararli e riavviare il calcolo; in mancanza di arresto dovrà comunque decidere se attendere ancor a lungo l'arresto risolutivo o lasciar perdere tutto.

Così si evidenzia che la "macchina computer" o intelligenza artificiale è incompleta perché non garantisce tutte le soluzioni in tempi finiti, ciò ripete e concorda col teorema di incompletezza di Gödel. La incompletezza della macchina ha una travolgente importanza filosofica che ci lancia fuori dalla stupidissima idea che l'intelligenza artificiale possa prevalere su quella dell'IO cosciente (ovvero: l'Osservatore), ma soprattutto ci dice che l'Osservatore e la vera ed unica macchina intelligente e conclusiva dell'Universo, anzi, se ci si sforza a pensare, l'Osservatore è proprio l'Universo in sé e, se ci si sforza a pensare ancora meglio, è molto di più! A questo punto, però, e giusto che si lasci la palla di questa riflessione proprio a chi si sente di pensarci.
#48
COME VA LETTA E  CONCEPITA LA PAROLA DI DIO?

           Al titolo aggiungeremmo anche: "chi ha scritto la parola di Dio..." dandone particolare rilievo in questa riflessione e facendone, anzi, il tema principale, perché la  Parola "di Dio", ritenuta già da tempo scritta, continua, invece, ad essere tuttora in lenta elaborazione e ancora sotto scrittura da mani umane ancorché sotto ispirazione più o meno divina; sta proprio in questa ispirazione una delle chiavi importanti da sottolineare, per quanto possibile, in questo non semplice argomento.
        Innanzi tutto diciamo che chi deve "leggere, comprendere e concepire la Parola di Dio " è, come per ogni altra cosa dell'universo, l'"Osservatore", anzi, l'Osservatore universale unico ovvero l'IO cosciente. Per capirci: l'Osservatore non è questo o quel tale, così come è inteso dal senso comune, ma, diciamo, una rappresentazione concettuale di una specie di mente o coscienza media di tutte le menti dell'universo; si può anche dire, per esempio, che il legislatore non è chi materialmente scrive le leggi di uno stato, bensì la rappresentazione di un parlamento che le elabora politicamente; mentre un comune "io", qui scritto in minuscolo, è il funzionario incaricato di redigerle sulla gazzetta ufficiale.
        Qui sosterremo che la Parola di Dio è materialmente scritta da mano umana ma, è bene ribadirlo, soprattutto scritta grazie alla fusione o gli scontri complessi di menti, idee, coscienze e di tante manipolazioni umane, il tutto generando un flusso super complesso e assolutamente impersonale di idee e di fatti che scorre come un fiume disordinato o turbolento con tutte le relative influenze, anzi, auto-influenze, che operano nell'ambito del fluido medesimo ed in funzione delle situazioni ambientali, locali e temporali autodeterminantesi in esso. Questo fluido evidenzia, in qualche modo, la natura nella sua estrema complessità. Il dettagliare analiticamente questo flusso è difficile per la presenza dell'Osservatore che ne è immerso in tutto e per tutto essendone auto-integrante. Questo è proprio lo stesso problema che incontrò la fisica quantistica ai primi del '900, con quei suoi aspetti apparsi subito strani o contraddittori e, almeno all'inizio, inspiegabilmente legati all'Osservatore che, secondo la posizione "classica" della fisica di allora, avrebbe dovuto essere semplicemente la persona fisica dello sperimentatore, che, si badi bene, mai sarebbe considerato parte integrante dell'evento scientifico in sé stesso!
        Ma, allora, cosa può fare l'Osservatore per captare ed esporre la parola di Dio barcamenandosi nella turbolenza della storia delle idee, con le connesse esigenze della ragione, per tentare di autodefinire, fidando nell'adattabilità di un linguaggio che fosse accettabilmente concreto, il senso profondo della parola di Dio? E' qui il problema.
        Un'idea di questo problema, cioè la risposta alla domanda "chi ha scritto la parola di Dio", la cerchiamo nel fatto che essa non è semplicemente "stata scritta" ma è da sempre in corso di elaborazione, di critica, di riflessione e, quindi, di scrittura, ad opera non solo di specialisti coscienti di farlo, ma di tutti: credenti, miscredenti, asceti, promotori, avversatori, negazionisti, scettici, non importa di quale religione, se mai ne avessero avuto o ne abbiano avuto una, e, ancora,  apatici di qualsiasi ideologia o gruppo che mai si sarebbe pensato esservi compartecipi attivi della scrittura sacra. Un esempio concreto di questo "continuare a scrivere la Parola" ce la dà, molto semplicemente, la mera omelia di un sacerdote che, con la sua personale interpretazione di quanto già è scritto e inteso come "Parola di Dio", vi lascia pur sempre una sua traccia, il tempo e la storia faranno il resto.
        Concluderemmo, se così ci è lecito dire, che è l'IO, cioè l'Osservatore universale, che, meditando e studiando, seppure nei limiti spesso minimi e controversi delle sue disponibilità intellettuali e materiali ed altro (essendo l'Osservatore una sintesi del mondo di osservatori), contribuisce  a dar senso alla Parola di Dio già scritta o ancora da scrivere. Ma non sarà proprio l'IO l'obiettivo, la "singolarità"  universale, portata a termine dal Cristo, il Figlio dell'Uomo?


        ::)  
#49
Non penso che il problema (di cui alla domanda) sia risolvibile semplicemente giocando sul significato dei termini di esistenza e nulla, cosa che in altri casi ha funzionato. Ritengo, invece, che se teniamo conto del fattore "Osservatore", fattore onnipresente ed universale, si potrebbe, per questa via, trovare una risposta adeguata al quesito. Per esempio potrei dire che se esiste l'Osservatore (in altre parole: l'IO cosciente)  allora il nulla non ha senso (perché, appunto, ci sono IO).    ::)
#50
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 30 Gennaio 2017, 19:09:10 PM
«[...] affinché il nulla non esista deve negarsi all'esistenza implicando così l'esistenza stessa. Una logica negativa per cui è necessario che esista l'esistenza per la non esistenza del nulla [...].

#51
IL RUOLO DOMINANTE E DECISIVO  DELL'OSSERVATORE NELL'UNIVERSO
Chi è l'Osservatore e chi, invece, l'osservatore (quest'ultimo nel senso comunemente inteso del termine)?
            Mentre l'osservatore, ovvero proprio ciò che comunemente s'intente con questo termine, è semplicemente colui o colei che osserva, discute, manipola, pensa, in una parola, osserva in senso pratico e quotidiano le molteplici evoluzioni delle cose del mondo, la notazione di Osservatore, invece, vuole alludere ad un'entità più astratta intesa come una specialissima sintesi dell'insieme di ciò che comunemente s'intende col termine al plurale di osservatori (cioè l'insieme degli oggetti comunemente noti, appunto, come tali e facenti inevitabilmente parte dell'universo). Con una metafora aritmetica si direbbe che: "l'Osservatore sta all'osservatore come il Legislatore sta al gruppo di funzionari addetto a redigere i testi delle leggi decise da un organo legislativo ufficiale". Da questo tentativo metaforico di definizione deriva, prima di ogni altra cosa, l'unicità dell'Osservatore col e nel suo Universo, inteso, questo, in tutta la sua complessità, totalità e, appunto, unicità, talché il solo ipotizzare la possibilità, non dico di un altro universo, ma di qualsiasi cosa ideale o reale che non sia inclusa nell'unico Universo,è semplicemente una banale contradizione logica anche perché il fatto stesso che l'Osservatore accenni o pensi ad una tale possibilità subito include, quanto pensato o immaginato, nell'unico Suo Universo facendone un oggetto di questo, non importa se classificabile come immaginario, reale oppure semplice errore.
            Per quanto detto, l'Osservatore è necessariamente ente interno del Suo universo e non esterno, come si è indotti a pensare per ovvie motivazioni pratiche, infatti è più facile per l'Osservatore supporre di poter gestire (osservare) un sistema standone al di fuori, cioè senza coinvolgersi nelle involuzioni del sistema che osserva e che proprio l'osservazione (intesa, in senso lato, come azione attiva su qualcosa)modifica. Se si fa attenzione al senso fondamentale di ciò che stiamo dicendo, l'Osservatore non solo è parte, ma, è proprio l'Universo stesso e non lo si potrebbe pensare diversamente.
Quando dice "sistema" l'Osservatore allude automaticamente ad una qualche struttura logicamente intrecciata di "sentiti" percepiti ovvero "principi", questi, intesi come anelli di catene logiche di cause ed effetti. Se si pensa al sistema Universo, i sentiti non sono che i normali principi di base o di riferimento scelti in modo che la logica del sistema sia soddisfacente per l'Osservatore, giudice unico del suo universo ancorché consapevole della debolezza della sua Conoscenza, cioè del suo dominio sull'Universo. Qui si potrebbe addurre la facile obiezione classica che bandisce tassativamente, nel parlar di cose con qualche riguardo scientifico, concetti non matematizzabili come soddisfazione, gradimento, bellezza, semplicità, facilità e così via. Ciò poteva valere prima dei tempi –non remoti- di Planck, W. Pauli, di W. Heisenberg ed altri notevoli geni del primo ventennio del '900, cioè dell'avvento e lo sviluppo storico del "quantum" energetico; oggi bisognerebbe fare attenzione su questo punto per evitare gaffe prima impensabili. Per convincersi di questo problema bisogna soprattutto abituarsi ad accettare l'inevitabile centralità ed onnipresenza dell'Osservatore in ogni passo della vita dell'Universo, il ché implica il ripensamento della storica e sacrale certezza attribuita alla "prova sperimentale", detta pure "prova oggettiva" quale conferma estrema della verità di qualsivoglia affermazione.
Chi potrebbe mettere in discussione tale prova? Ebbene, la sua validità sussiste solo se convince appieno l'Osservatore, ma è limitata alla durata ed alla forza di questo convincimento (si noti, per inciso, l'uso, appena fatto, di termini come durata e forza, che sono i sentiti difficilmente definibili in senso generale e che perciò indebolirebbero le certezze formali di cui discutiamo). L'Osservatore è, dunque, consapevole delle complesse difficoltà che minano il suo già flaccido "dominio" (= Conoscenza) dell'Universo, parimenti  parziale e flaccida.Una prova, quale che sia, è tale solo dopo il convincimento dell'Osservatore universale.
A proposito del termine "flaccidità" valga questa metafora: immaginiamo un non vedente che stringa in una mano un grosso fascio di guinzagli di lunghezza da pochi centimetri a diversi chilometri, ciascuno con un cagnetto all'estremità; questi guinzagli sanciscono sicuramente l'assoluta titolarità formale del tale sui suoi cani ma pure sanciscono la incertezza del suo dominio o potere su di essi: l'incertezza ordinaria ma continua del controllo a distanza mediante guinzagli è aggravata dalla flaccidità, cioè della discontinuità del controllo stesso che s'interrompe quando i guinzagli non sono percepiti in tensione. Va meglio per il dominio sui pochi cani con brevissimo guinzaglio. La metafora simulerebbe, senza pretese di rigore, soprattutto l'idea della struttura Universo-Osservatore-Universo. Da precisare che nella metafora, la parte osservabile dell'Universo, va dal corpo del proprietario dei cani fino ai cani stessi, tramite il braccio, lo spazio, i guinzagli e i cani stessi, il tutto, però è completato e consacrato dalla mente cosciente, cioè dalla singolarità dell'IO (l'Osservatore universale unico) che è anche il centro di riferimento assoluto del sistema ma è anche l'altra faccia della moneta Universo. La flaccidità, o conoscenza debole e discontinua dell'Osservatore, potrebbe essere anche misurata dall'inverso della lunghezza media dei guinzagli, ma ciò lo diciamo qui  ai soli fini esplicativi del concetto di "Conoscenza" (ovvero: capacità di dominio dell'Osservatore), argomento su cui insistiamo.
Il problema fondamentale della lamentata debolezza complessiva dell'Universo, quindi, dell'Osservatore universale, appare evidente proprio nel linguaggio usato in questa riflessione: nessuna parola usata, infatti, risulta rigorosamente definita nei suoi significati precisi né prima né dopo l'uso stesso, ma se pure avessimo voluto farlo, a quali altri termini avremmo dovuto e potuto ricorrere se non abbondantemente agli stessi già qui usati e ad altri della stessa natura? Però qualcuno potrebbe innocentemente rispondere: "alla matematica!", altri, con maggior riflessione, farebbero invece riferimento ai più vaghi contesti circostanziali in cui le stesse parole sono state o potrebbero esserlo, anche rimescolandole con altre, in nuovi contesti di difficoltà pratiche e teoriche. Se prendessimo per buona la prima risposta, "la matematica", dichiareremmo solo di non aver approfondito l'analisi di cosa sia il linguaggio matematico, infatti, pur senza entrare nei dettagli delle sue definizioni, che pure mostrerebbero qualche punto deboluccio: definizioni e teoremi si avvalgono di termini, idee e concetti non esprimibili solo con termini rigorosamente matematici ma, anche dagli stessi termini usati in queste riflessioni (non rigorose) e in altre argomentazioni simili.
Una conclusione importante di questa parte della riflessione ci porta direttamente alla questione centrale del come considerare abbastanza correttamente il sistema, anzi, l'auto-sistema universale unico "IO-Universo". Sistema la cui caratteristica essenziale sta nell'auto-referenza e nell'autocoscienza globali, il tutto incentrato sulla singolarità di riferimento universale assoluto che è l'Osservatore universale cioè sull'IO, unico responsabile e giudice assoluto delle scelte del suo agire (osservare). Va qui evidenziato che l'Osservatore giudica "vera" qualsiasi cosa che giudica logicamente coerente col Suo sistema.  L'Osservatore è bensì cosciente della debolezza del suo potere conoscitivo sicché rimane disponibile per possibili revisioni del Suo giudizio, revisioni che potrebbero riguardare , si, una precedente accettazione, ripudiandola o adattandola mediante variazioni opportune, ma anche adattando il sistema (universo) sicché possa ospitare quell'oggetto logico che vorrebbe "vero". Insomma l'Osservatore vuole un Universo il più possibile di suo gradimento. Forse ciò è una risposta alla meraviglia di Einstein e di altri, per la inspiegabile ottima coerenza della matematica con moltissimi fatti naturali.
La centralità dell'Osservatore si evidenzia concretamente nel quadro scientifico e matematico, e non solo, se consideriamo almeno che sono sue decisioni o scelte:
·        La scelta e la decisione dell'azione e/o della ricerca in rapporto agli scopi voluti dall'Osservatore stesso
·        La definizione di una teoria dimostrativa che dovrebbe fornire dati o segni che sono, a priori, giudicati idonei perché l'Osservatore possa stabilire il grado di successo della sua teoria, ovvero della prova sperimentale, tenuto conto dei mezzi operativi disponibili
·        Il giudizio conclusivo sul grado di soddisfazione conseguito dall'Osservatore grazie all'esito della procedura sperimentale attuata e dell'efficacia dimostrativa effettiva dei fatti e dei segni che sono derivati dal ciclo sperimentale.
Bastano queste poche note per capire che anche le così dette "scienze esatte" sono tali solo se così vengono sentite ovvero percepite dal giudice assoluto ed autocritico che è l'Osservatore. E' chiaro che il valore positivo o gradimento dell'Osservatore deriva dal grado di soddisfazione delle prove stabilite e valutate sempre dall'Osservatore medesimo. L'autoreferenza circolare dell'Universo è evidente.
Va notato che il termine di "sentito", qui spesso usato, è cruciale per queste considerazioni; lo è per il fatto che, pur percezione intima e generalmente indefinibile ed indiscussa, proprio per questo il sentito viene accettato come principio o riferimento base per l'Osservatore e l'osservazione. I sentiti, quando sembrano non collegati l'un l'altro, possono essere assunti come principi di riferimento, sono convincenti agganci in tutti gli ambiti logici compreso il linguaggio matematico; basti, in proposito, menzionare la definizione di "retta" negli "Elementi" di Euclide dove si legge, pressappoco, che la linea retta è definita tale se permane immutata (all'Osservatore) quando viene ruotata su se stessa, più tardi si sono cercati criteri più rigorosi per questa parte della definizione. Si capisce, comunque, che forse sarebbe valso dire che il concetto di "retta" è semplicemente un sentito e così accettato come credibile dall'Osservatore e senza tema di contro-osservazioni.
Va, per inciso notato, lasciando tuttavia a chi legge le sue interpretazioni e le sue riflessioni, che un "sentito è pure quello di "spiritualità".
Abbiamo qui pensato l'Osservatore come l'Universo nella sua totalità ma anche come l'osservatore di Sé stesso, oppure come centro nonché sistema di riferimento assoluto che compendia e, nello stesso tempo, inquadra la struttura logica quale è, appunto, l'Universo. Potremmo dilungarci in un mare, sempre incompleto, di definizioni, ciò però rafforza la convinzione che questo mostro di autoreferenzialità, quale è l'Osservatore, cioè l'IO cioè l'Universo,non può essere definito, ma come potrebbe esserlo rigorosamente se una eventuale definizione è pur essa un oggetto facente parte dell'universo? Per uscire questo difficile impasse ecco che l'Osservatore conclude definendo l'Universo un sentito di Sé stesso, sulla base o riferimento del quale tutti gli altri tanti sentiti trovano sostegno, riferimento e giustificazione. Con questa conclusione abbiamo conferito autorevolezza all'Osservatore ma così lo abbiamo anche messo in difficoltà peggiori di quanto qui potremmo pensare. Penso immediatamente alla instabilità dell'importantissimo riferimento che è il linguaggio e segnatamente il linguaggio matematico, un emblema ideale di stabilità. L'instabilità di questo particolarissimo sistema sta nel suo essere ancorato nell'interno del sistema Universo che si modifica anche in conseguenza del linguaggio stesso, quasi come una barchetta in mare che cambia, spesso in modo incontrollabile, il suo assetto in conseguenza dei movimenti di chi, in piedi sul di essa,  cerca di guidarla verso una precisa direzione. Questo fatto fu vissuto, forse senza una precisa consapevolezza di operare in questa sorta di difficoltà, proprio da Einstein alle prese con la Relatività generale. Questo problema fu brillantemente risolto grazie, fra l'altro, alla valorizzazione del concetto di tensore. Einstein era però consapevole di operare (osservare) dal di dentro il sistema in osservazione, non dall'esterno come avveniva ed avviene secondo i canoni della fisica classica, forse qui stanno buona parte delle radici del successo delle idee di Einstein. Il tensore, lo preciso brevemente per chi non avesse nessunissima conoscenza del lavoro di Einstein, è una specie di vettore-guida che contiene in sé le informazioni necessarie per dirigere un corpo in movimento nello spazio-tempo determinandone la traiettoria di fatto. Il tensore è, dunque, un guidatore automatico di un automezzo, che percorre uno spazio aperto, senza strade tracciate, decidendo, punto per punto, l'evoluzione della traiettoria effettiva, in base ad elaborazioni delle situazioni puntuali del percorso di massima, obiettivo voluto dall'Osservatore, e secondo le informazioni che il tensore ha in sé.   
Va notato un fatto importante: l'Osservatore decide sia gli obiettivi del percorso, sia il contenuto del tensore, il tutto tenendo conto degli obbiettivi fissati. Si noti come il cerchio si chiude (sperabilmente bene) secondo il giudizio conclusivo dell'Osservatore. Questa conclusione è riassunta in questa equazione paradigmatica:
                         Rab- (1/2)Rgab = -8πGTab'.
Per semplice curiosità, In questa equazione T è il simbolo del tensore.
Qualsiasi giovane studente di fisica ben presto capisce che questa equazione è poco adatta ad un'applicazione di calcolo diretto, perché è solo una sintesi rappresentativa, seppure elegante, del complesso filo logico della relatività a cui lo studioso applicativo deve ispirarsi per poi fissare i limiti e i dettagli da studiare, sulla base dei quali scrivere poi le equazioni effettive per il calcolo applicativo.

:)  
#52
:)
COSA DOVREMMO INTENDERE CON
"REGNO DI DIO"?

Nei Vangeli Gesù promette ed invita ad attendere l'imminente avvento del "Regno di Dio"; non vi aggiunge molto di più, proprio come avviene quando un evento è molto atteso e, quindi, di condivisa necessità e di sufficiente chiarezza. Possiamo abbastanza facilmente arguire che il Cristo dei vangeli alludesse all'incombente presenza del peccato originale" sull'Umanità, con tutto il peso della irreversibilità entropica della condanna divina, ovvero della perdita assoluta della speranza di riuscire ad approssimare almeno la direzione della "Conoscenza Assoluta" cioè Dio, cioè l'eterna sussistenza in Me dell'IO cosciente. La locuzione "Conoscenza Assoluta" qui è usata per approssimare il significato del termine "Dio", con cui, ma con gravissima inappropriatezza di linguaggio, è da sempre usato in senso oggettivo, come ci induce a fare la consueta cultura dell'oggettivazione di tanti concetti. Ma l'entità divina  non è trasportabile fuori dall'IOcoscienteproprioper l'inoggettività sia del concetto di divinità sia di quello di IO cosciente". A questo riguardo va notato come il linguaggio degli stessi Vangeli porti ad oggettivare, materializzandola, la natura del Cristo per avvicinare l'umanità povera e bisognosa di amore e aiuto. Ma veniamo al concetto di "Regno di Dio", a cosa alludono esattamente i Vangeli? Potrem-mo pensare, come minimo, ad un mondo quale sarebbe dopo la cancellazione del peccato originale o, almeno, nel carattere dell'irreversibilità di questo e delle sue temute conseguenze. Ciò, penso, definirebbe in qualche modo il Regno; ma si potrebbe anche aggiungere che il Regno inizi con la morte e la resurrezione del Cristo. Tutto questo appare ragionevole, ma bisogna fare sempre attenzione al rischio di oggettivare l'inoggettivabile il che, alla lunga, porta (e, nei fatti, ha da sempre portato) all'ateismo banale e, spessissimo,
palesemente stupido. Come evitare questo? Ricorrendo all'auto-analisi dell'IO cosciente concepito come baricentro dell'Universo, in modo da puntare ogni attenzione verso la singolarità della propria autocoscienza, in altre parole, verso l'universalità,  l'unicità e la responsabilità universale dell'IO. Ciò dovrebbe essere colto come il senso profondo della preghiera. Un bel dire!..  Ma basterebbe forse a far sperare di riuscire a cogliere qualcosa del senso profondo e della complessità dell'argomento di questa discussione ed anche questo è un bel dire! Un interessantissimo libro che allude a queste argomentazioni, anzi, le include, penso a: "La grande domanda" di McGrath, edito nel 2016. :)  
#53
Citazione di: bluemax il 09 Novembre 2016, 13:05:06 PM
Ci sono libri che non andrebbero letti... e ricerche che non andrebbero fatte... superata poi la miseria del conoscere ci si sente finalmente liberi, sereni, tranquilli, il tutto è come deve essere e non ci puoi far nulla.

Mi riferisco al fatto che essendomi avvicinato negli ultimi tempi (a causa dello studio sulla mente buddista) a testi neuroscientifici...

Beh... la domanda è semplice.
E' appurato, e accettato, e consolidato, senza alcun dubbio, che il tutto avviene come semplice reazione chimica all'interno del cervello.

Non c'è spiritualità, non c'è dolore ne gioia (se non ricompense chimiche volute dall'evoluzione), non c'è mente se non processi cerebrali, ma sopratutto non vi è un Se' un io... se non come sovrapposizione di mappature tra quel che l'occhio vede e quel che il corpo prova (è il mondo a muoversi o la testa ? Per valutare questo serve la creazione di un IO illusorio).
                     
ECCO LA MIA (di Barbella) R I S P O S TA  a Bluemax


Già, di primo acchito  e senza troppo riflettere, lo scritto di Bluemax sembra un tavolo mancante almeno di una gamba; mi rendo conto che qualcuno non riesca ad immaginare di quale gamba si tratti, in effetti ciò è difficile senza un minimo di riflessione.
Ora, dico a Bluemax,: ma chi può dire che la sua sintesi  è completa (quindi, corretta) o no?  Ecco la Risposta: l'OSSERVATORE, ma chi è costui? Lo chiedo semplicemente a Bluemax. Buona fortuna amico mio! ;D

#54
DOMANDA DELLO SPIRITO
(MA QUANTO DISTA DA ME LA CONOSCENZA ASSOLUTA?)l


Quasi tutte problematiche teologiche che comportano lo studio delle Sacre Scritture, con riguardo allo specifico mondo della cristianità, paiono poggiare su pochissimi semplici passi dei Vangeli canonici. L'evidenziazione del pronome ME (nel sottotitolo di questa riflessione) per puntualizzare che il destinatario di questa riflessione è l'IO cosciente nella sua unicità e universalità, in breve, nella auto-coscienza che si vorrebbe capace di percepire l'onere della responsabilità totale del Mio(=dell'IO) Universo nonostante la chiara e perseverante sensazione di desolante debolezza (in termini di Conoscenza cioè, di capacità di dominio sull'Universo stesso il quale, poi si richiude sullo stesso IO). Si, perché il termine Conoscenza qui trascende il solito comune significato di insieme di informazioni acquisite ed organizzate ad uso dei Miei (o dei miei) archivi mentali e d'altro genere ma assume quello di sentito (leggasi percezione) di  dominio effettivo sul Mio (dell'IO) Universo, sentito al netto dell'altrettanto sentito di flaccidità (o debolezza) che marchiano tale dominio.
Veniamo ora al sottotitolo di questa riflessione "Ma quanto dista da ME la Conoscenza assoluta?" Abbiamo appena sopra accennato al fatto che il concetto  di Conoscenza è, al netto di tutta la discussione filosofica che ne giustificherebbe la conclusione la capacità, cioè, non importa in quale misura, di dominio che l'Osservatore può vantare sul Suo Universo.

L'avvento del Cristianesimo lo datiamo dalla divulgazione dei vangeli che puntano direttamente sul valore fondamentale del sentimento di carità verso il debole. Tale supremo valore ci, anzi, Mi, induce a rispondermi all'auto-domanda di questa riflessione: "Ma quanto dista da Me...", è, allora, sufficiente semplicemente pensare, per esempio, alla parabola de "Il buon samaritano" e chiedermi, se mi sentirei capace di ripetere quell'atto di carità; dovrei però tener conto che oggi dispongo di un auto e che non sarei costretto a girare in strade così pericolose, ma allora, forse, risponderei di si, (ma solo per portare il ferito al primo ospedale pubblico senza spese, o quasi, a mio carico e lì lasciarlo e andarmene). Senza disturbare quel noto personaggio evangelico, potrei sostituire la domanda con l'altra, quella se mi sentirei analogamente disponibile a sostituirmi a Teresa di Calcutta quando si dedicava in toto al soccorso di quei tanti ultra derelitti sparpagliati sui marciapiedi di quella città. Orbene –ma basterebbe molto meno- capisco subito che la "distanza" che mi separa dalla Conoscenza assoluta potrei ben misurarmela da  me.
#55
:)
DOMANDA DELLO SPIRITO
(MA QUANTO DISTA DA ME LA CONOSCENZA ASSOLUTA?)l


Quasi tutte problematiche teologiche che comportano lo studio delle Sacre Scritture, con riguardo allo specifico mondo della cristianità, paiono poggiare su pochissimi semplici passi dei Vangeli canonici, passi qui riportati con qualche breve commento. La sottolinetura del pronome ME nel sottotitolo sta  per sottolineare che il destinatario di questa riflessione è l'IO cosciente nella sua unicità e universalità, in breve, nella coscienza che si sente capace di percepire l'onere che è la responsabilità totale del Mio Universo nonostante una chiara sensazione di desolante debolezza (in termini di Conoscenza). Si, perché il termine Conoscenza qui trascende il solito comune significato di insieme di informazioni acquisite ed organizzate ad uso dei Miei archivi mentali e d'altro genere, per assumere quello di sentito (= percezione) di potenza o, se si preferisce, di dominio effettivo sul Mio Universo, al netto dell'altrettanto sentito di flaccidità (o debolezza) di tale dominio.
Veniamo ora al sottotitolo di questa riflessione "Ma quanto dista da ME la Conoscenza assoluta?" Abbiamo, appena sopra, accennato al fatto che Conoscenza è, al netto di tutta la discussione filosofica che giustificherebbe questa conclusione, la capacità, non importa in quale misura, di dominio che l'Osservatore ha sul Suo Universo. L'avvento del Cristianesimo, che qui riteniamo  datare dalla pubblicazione dei vangeli ("pubblicazione", termine da non prendere alla lettera come la pubblicazione di un libro di oggi) nei quali si sottolinea la cultura del sentimento caritatevole nei confronti del più debole. Per rispondere all'auto-domanda: "Ma quanto dista da Me..." è sufficiente il semplice caso della parabola: "Il buon samaritano", orbene sarei capace, io personalmente, di ripetere quell'atto di carità in toto, tenendo conto che oggi dispongo di un auto che non gira in ambienti non sicuri? Forse si, ma solo per portare il ferito al primo ospedale pubblico senza spese, o quasi, a mio carico. A questa domanda ho già tenuta per me la mia risposta. Ma, pure senza disturbare il personaggio evangelico, mi sentirei disponibile a sostituire Madre Teresa di Calcutta in qualcuna delle sue opere di carità. Orbene la "distanza" dalla Conoscenza assoluta posso misurarmela da me.
#56
COME VA LETTA E  CONCEPITA LA PAROLA DI DIO?

Al titolo aggiungeremmo anche: "chi ha scritto la parola di Dio..." dandone particolare rilievo in questa riflessione e facendone, anzi, il tema principale, perché la  Parola  "di Dio", ritenuta già da tempo scritta, continua, invece, ad essere tuttora in lenta elaborazione e ancora sotto scrittura da mani umane ancorché sotto ispirazione più o meno divina; sta proprio in questa ispirazione una delle chiavi importanti da sottolineare, per quanto possibile, in questo non semplice argomento. 
Innanzi tutto diciamo che chi deve "leggere, comprendere e concepire la Parola di Dio " è, come per ogni altra cosa dell'universo, l'"Osservatore", anzi, l'Osservatore universale unico ovvero l'IO cosciente. Per capirci: l'Osservatore non è questo o quel tale, così come è inteso dal senso comune, ma, diciamo, una rappresentazione concettuale di una specie di mente o coscienza media di tutte le menti dell'universo; si può anche dire, per esempio, che il legislatore non è chi materialmente scrive le leggi di uno stato, bensì la rappresentazione di un parlamento che le elabora politicamente; mentre un comune "io", qui scritto in minuscolo, è il funzionario incaricato di redigerle sulla gazzetta ufficiale.
Qui sosterremo che la Parola di Dio è materialmente scritta da mano umana ma, è bene ribadirlo, soprattutto scritta grazie alla fusione complessa di menti, coscienze e delle tante mani umane, il tutto in un flusso super complesso e assolutamente impersonale di idee e di fatti che scorre come un fiume disordinato e turbolento con tutte le relative influenze, anzi, auto-influenze che operano nell'ambito del fluido medesimo ed in funzione delle situazioni ambientali e temporali autodeterminatesi. Questo fluido evidenzia, in qualche modo, la natura nella sua estrema complessità. Il dettagliare analiticamentei questo flusso è reso difficile dalla presenza dell'Osservatore che ne è immerso in tutto e per tutto essendone parte integrante, anzi, auto-integrante. Questo è proprio lo stesso problema che incontrò la fisica quantistica ai primi del '900, con i suoi aspetti apparsi subito strani e contraddittori e, almeno all'inizio, inspiegabilmente legati all'Osservatore che, secondo la posizione di allora, era semplicemente la persona fisica dello sperimentatore, che mai sarebbe stato preso in considerazione come parte integrante del fatto scientifico in sé stesso!
Ma, allora, cosa può fare l'Osservatore per captare ed esporre la parola di Dio barcamenandosi nella turbolenza della storia delle idee, con le connesse esigenze della ragione, per tentare di autodefinire, fidando nell'adattabilità di un linguaggio che fosse accettabilmente concreto, il senso profondo della parola di Dio? E' qui il problema. 
Un'idea di questo problema, cioè la risposta alla domanda "chi ha scritto la parola di Dio", la cerchiamo nel fatto che essa non è semplicemente "stata scritta" ma è da sempre in corso di elaborazione, di critica, di riflessione e, quindi, di scrittura, ad opera non solo di specialisti coscienti di farlo, ma di tutti: credenti, miscredenti, asceti, promotori, avversatori, negazionisti, scettici non importa di quali religioni, quando e se ne avessero una, apatici di qualsiasi ideologia o gruppo che mai penserebbero di essere compartecipi attivi della scrittura sacra. Un esempio concreto di questo "continuare a scrivere la Parola" ce la dà, molto semplicemente, la mera omelia di un sacerdote che, con la sua personale interpretazione di quanto già è scritto e inteso come "Parola di Dio", vi lascia pur sempre una sua traccia, il tempo e la storia fanno il resto.
Concluderemmo, se così ci è lecito dire, che è l'IO, cioè l'Osservatore universale, che, meditando e studiando, seppure nei limiti spesso minimi e controversi delle sue disponibilità intellettuali e materiali ed altro (essendo l'Osservatore una sintesi del mondo di osservatori), contribuisce  a dar senso alla Parola di Dio già scritta o ancora da scrivere. ::)
#57
IL RUOLO DOMINANTE E DECISIVO  DELL'OSSERVATORE NELL'UNIVERSO
Chi è l'Osservatore e chi, invece, l'osservatore (quest'ultimo nel senso comunemente inteso del termine)?
            Mentre l'osservatore, quello comunemente inteso con questo termine, è semplicemente colui o colei che osserva, discute, manipola, pensa, in una parola, osserva in senso pratico e quotidiano le molteplici evoluzioni delle cose del mondo, la notazione di Osservatore, invece, allude a un'entità più astratta intesa come una specialissima sintesi dell'insieme di ciò che comunemente s'intende col termine al plurale di osservatori (cioè l'insieme degli oggetti comunemente noti, appunto, come tali e facenti inevitabilmente parte dell'universo). Con una metafora aritmetica si potrebbe dire che: "l'Osservatore sta all'osservatore come il Legislatoresta al gruppo di funzionari addetto a redigere i testi delle leggi dopo che queste vengono decise da un organo legislativo ufficiale". Da questo tentativo metaforico di definizione deriva, prima di ogni altra cosa, l'unicità dell'Osservatore col e nel suo Universo inteso, quest'ultimo, in tutta la sua complessità, totalità ed, appunto, unicità, talché il solo ipotizzare alla possibilità, non dico di un altro universo, ma di qualsiasi cosa ideale o reale che non sia inclusa nell'unico Universo,è semplicemente un banale errore logico anche perché il fatto stesso che l'Osservatore accenni o pensi ad una tale possibilità subito include quanto pensato o immaginato nell'unico Suo Universo facendone un oggetto di questo, non importa se classificabile come immaginario oppure semplice errore.
            Per quanto detto, l'Osservatore è necessariamente ente internodel Suo universo e non esterno, come si è indotti a pensare per comode motivazioni pratiche, infatti è più facile per l'Osservatore supporre di poter gestire un sistema standone il più possibile al di fuori, cioè senza coinvolgersi nei mutamenti e nelle involuzioni del sistema che osserva e che proprio l'osservazione (intesa, in senso lato, come azione attiva su qualcosa)modifica. Se si fa attenzione al senso fondamentale di ciò che stiamo dicendo, l'Osservatore non solo è parte, ma, è proprio l'Universo stesso e non si potrebbe pensarlo diversamente.
Quando dice "sistema" l'Osservatore allude automaticamente ad una qualche struttura logicamente intrecciata di "sentiti" percepiti, questi, come catene logiche di cause ed effetti. Se si pensa al sistema Universo, i sentiti non sono che i normali principi di base o di riferimento scelti in modo che la logica del sistema sia giudicata soddisfacente dall'Osservatore, giudice unico del suo universo ancorché consapevole della debolezza della sua Conoscenza, cioè del suo dominio sull'Universo. Qui qualcuno potrebbe addurre la facile obiezione classica che bandisce tassativamente, nel parlar di cose con qualche riguardo scientifico, concetti come soddisfazione, gradimento, bellezza, semplicità, facilità e così via. Ciò poteva valere prima dei tempi –non certo remoti- di Planck, W. Pauli, di W. Heisenberg ed altri notevoli geni del primo ventennio del '900, cioè dell'avvento del "quantum" energetico; oggi bisognerebbe fare attenzione su questo punto per evitare gaffe prima impensabili. Per convincersi di questo problema bisogna soprattutto abituarsi ad accettare l'inevitabile centralità ed onnipresenza dell'Osservatore in ogni passo della vita dell'Universo, il ché implica il ripensamento della storica e sacrale certezza attribuita alla "prova sperimentale" quale conferma estrema della verità di qualsiasi affermazione.
Chi potrebbe metterla in discussione? La validità di questa prova sussiste solo se convince appieno l'Osservatore, ma è limitata alla durata ed alla forza di questo convincimento (si noti, per inciso, l'uso, appena fatto, di termini come durata e forza, che sono i sentiti difficilmente definibili in senso generale e che indeboliscono le certezze formali di cui discutiamo). L'Osservatore è, dunque, consapevole delle complesse difficoltà che minano il suo già flaccido "dominio" (= Conoscenza) sull'Universo, pur parziale e flaccido.
A proposito di ciò che qui intendiamo per flaccidità valga questa metafora: immaginiamo un tale che stringe in una mano un grosso fascio di guinzagli di lunghezza da pochi centimetri a diversi chilometri, ciascuno con un cagnetto all'estremità; questi guinzagli sanciscono sicuramente l'assoluta titolarità formale del tale sui suoi cani ma pure rappresentano la incertezza del suo dominio o potere su di essi: l'incertezza ordinaria ma continua del controllo a distanza è aggravata dalla flaccidità, cioè della discontinuità del controllo stesso quando i guinzagli non vengono percepiti in tensione. Va meglio per il dominio sui pochi cani con brevissimo guinzaglio. La metafora simulerebbe, senza pretese di rigore, soprattutto l'idea della struttura Universo-Osservatore-Universo. Da precisare che nella metafora, la per la parte osservabile dell'Universo, va dal corpo del proprietario dei cani fino ai cani stessi, tramite il braccio, lo spazio, i guinzagli e i cani stessi, che però è completata e consacrato dalla mente cosciente, cioè dalla singolarità dell'IO (l'Osservatore universale unico) che è anche il centro di riferimento assoluto del sistema ma è anche come l'altra faccia della moneta Universo. La flaccidità, o conoscenza debole e discontinua dell'Osservatore, potrebbe qui anche assimilabile all'inverso della lunghezza media dei guinzagli, purché si consideri ciò ai soli fini esplicativi del concetto di "Conoscenza" (ovvero: capacità di dominio dell'Osservatore), argomento su cui insistiamo.
Il problema fondamentale della lamentata debolezza complessiva dell'Universo, quindi, dell'Osservatore universale, appare evidente proprio nel linguaggio usato in questa riflessione: nessuna parola usata, infatti, risulta rigorosamente definita nei suoi significati precisi né prima né dopo il uso stesso, ma se pure avessimo voluto farlo, a quali altri termini avremmo dovuto e potuto ricorrere se non abbondantemente agli stessi già qui usati e ad altri della stessa natura? Qualcuno potrebbe innocentemente rispondere: "alla matematica!", altri, con maggior riflessione, farebbero invece riferimento ai più vaghi contesti circostanziali in cui le stesse parole sono state o potrebbero esserlo, anche rimescolandole con altre, in nuovi contesti di difficoltà pratiche e teoriche. Se prendessimo per buona la prima risposta, "la matematica", dichiareremmo solo di non aver approfondito l'analisi di cosa sia il linguaggio matematico, infatti, pur senza entrare nei dettagli delle sue definizioni, che pure mostrerebbero qualche punto deboluccio:. definizioni e teoremi, si avvalgono di termini, idee e concetti non esprimibili solo con termini rigorosamente matematici ma, anche degli stessi termini usati in queste riflessioni (non rigorose) e in altre argomentazioni simili.
Unaconclusione importante di questa parte della riflessione ci porta direttamente alla questione centrale del come considerare abbastanza correttamente il sistema, anzi, l'auto-sistema universale unico "IO-Universo". Sistema la cui caratteristica essenziale sta nell'auto-referenza e nell'autocoscienza globali, il tutto incentrato sulla singolarità di riferimento universale assoluto che è l'Osservatore universale cioè sull'IO, unico responsabile e giudice assoluto delle scelte del suo agire (osservare). Va qui evidenziato che l'Osservatore giudica "vera" qualsiasi cosa che giudica logicamente coerente col Suo sistema.  L'Osservatore è bensì cosciente della debolezza del suo potere conoscitivo sicché rimane disponibile per possibili revisioni del Suo giudizio, revisioni che potrebbero riguardare , si, una precedente accettazione, ripudiandola o adattandola mediante variazioni opportune, ma anche adattando il sistema (universo) sicché possa ospitare quell'oggetto logico che vorrebbe "vero". Insomma l'Osservatore vuole un Universo il più possibile di suo gradimento. Forse ciò è una risposta alla meraviglia di Einstein e di altri, per la inspiegabile ottima coerenza della matematica con moltissimi fatti naturali.
La centralità dell'Osservatore si evidenzia concretamente nel quadro scientifico e matematico, e non solo, se consideriamo almeno che sono sue decisioni o scelte:
·        La scelta e la decisione dell'azione e/o della ricerca in rapporto agli scopi voluti dall'Osservatore stesso
·        La definizione di una teoria dimostrativa che dovrebbe fornire dati o segni che sono, a priori, giudicati idonei perché l'Osservatore possa stabilire il grado di successo della sua teoria, ovvero della prova sperimentale, tenuto conto dei mezzi operativi disponibili
·        Il giudizio conclusivo sul grado di soddisfazione conseguito dall'Osservatore grazie all'esito della procedura sperimentale attuata e dell'efficacia dimostrativa effettiva dei fatti e dei segni che sono derivati dal ciclo sperimentale.
Bastano queste poche note per capire che anche le così dette "scienze esatte" sono tali solo se così vengono sentite ovvero percepite dal giudice assoluto ed autocritico che è l'Osservatore. E' chiaro il valore positivo o gradimento dell'Osservatore deriva dal grado di soddisfazione delle prove stabilite e valutate sempre dall'Osservatore medesimo. L'autoreferenza circolare dell'Universo è evidente.
Va notato che il termine di "sentito", qui spesso usato, è cruciale in queste considerazioni; lo è per il fatto che, pur percezione intima e generalmente indefinibile ed indiscussa da chiunque, proprio per questo viene accettato come principio o riferimento base per l'Osservatore. I sentiti, quando sembrano non collegati l'un l'altro, possono essere assunti come principi di riferimento, sono convincenti agganci in tutti gli ambiti logici compreso il linguaggio matematico; basti, in proposito, menzionare la definizione di "retta" negli "Elementi" di Euclide dove si legge, pressappoco, che la linea retta è definita tale se permane immutata (all'Osservatore) quando viene ruotata su se stessa, anche se si sono, più tardi, cercati più "scientifici" termini per questa parte della definizione. Si capisce, comunque, che forse sarebbe valso dire che il concetto di "retta" è semplicemente un sentito e così accettato come credibile dall'Osservatore e senza tema di contro-osservazioni.
Va, per inciso notato, lasciando tuttavia a chi legge le sue interpretazioni e le sue riflessioni, che un "sentito è pure quello di "spiritualità".
Abbiamo qui pensato l'Osservatore come l'Universo nella sua totalità ma anche come l'osservatore di Sé stesso, oppure come centro nonché sistema di riferimento assoluto che compendia e, nello stesso tempo, inquadra la struttura logica quale è, appunto, l'Universo. Potremmo dilungarci in un mare, sempre incompleto, di definizioni, ciò però rafforza la convinzione che questo mostro di autoreferenzialità, che è l'Osservatore, cioè l'IO non può essere definito, ma come potrebbe esserlo se una eventuale definizione è pur essa un oggetto facente parte dell'universo? Per scrollarsi di dosso questo difficile impasse ecco che l'Osservatore conclude definendo l'Universo un sentito di Sé stesso, sulla base o riferimento del quale tutti gli altri tanti sentiti trovano sostegno, riferimento e giustificazione. Con questa conclusione abbiamo conferito autorevolezza all'Osservatore ma così lo abbiamo messo in difficoltà peggiori di quanto qui potremmo pensare. Penso immediatamente alla instabilità dell'importantissimo riferimento che è il linguaggio e segnatamente il linguaggio matematico, l'instabilità di questo particolarissimo sistema sta nel suo essere ancorato nell'interno del sistema Universo che si modifica in conseguenza del linguaggio stesso, quasi come una barchetta in mare che cambia, in modo incontrollabile, il suo assetto in conseguenza dei movimenti di chi, in piedi sul di essa,  cerca di guidarla in una precisa direzione. Questo fatto fu vissuto, forse senza una precisa consapevolezza di operare in questa sorta di difficoltà, da Einstein alle prese con la Relatività generale, problema in qualche modo brillantemente risolto grazie al concetto di tensore. Einstein era però consapevole di operare (=osservare) dal di dentro del sistema in osservazione.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
#58
Tematiche Spirituali / Re:Diavolo
28 Settembre 2016, 19:36:59 PM
Citazione di: Mariano il 15 Settembre 2016, 14:36:46 PM
Chi crede in Dio e ha fede (non è ateo) crede anche nel Diavolo, ma non ha fede in lui.
Allora avere fede non significa solo credere in Dio.
Allora anche un ateo può avere fede, anche se non riconosce un Dio (Bene) persona, ma rigetta il Diavolo (Male).
Sto andando fuori di testa o qualcuno può chiarirmi le idee?
Grazie
.
Tutte le questioni riguardanti la "fede" trovano risposta, significato e forza solo nell'IO,  sede assoluta della Coscienza e della Conoscenza voglio dire: la Sede di Dio.
Tutto ciò che riguarda il sentimento religioso, cioè, la Spiritualità, non può essere oggettivato e consegnato alla comune oggettività delle cose, dei concetti e del linguaggio ordinario (non ne abbiamo altro); con questo dico  che il linguaggio comune, entro cui siamo intrappolati -e di cui non riusciamo a fare a meno-, ci devia fuori strada; per ragionare delle cose dello spirito possiamo, si, usare il linguaggio usuale, ma dobbiamo necessariamente assegnare valori e proprietà diverse ai termini linguistici. E' MALEDETTAMENTE DIFFICILE!>:(
#59
Chi è l'Osservatore e chi, invece, l'osservatore 
(quest'ultimo nel senso comunemente inteso del termine)?
           Mentre l'osservatore, quello comunemente inteso con questo termine, è semplicemente colui o colei che osserva, discute, manipola, pensa, in una parola, osserva in senso pratico e quotidiano le molteplici evoluzioni delle cose del mondo, la notazione di Osservatore, invece, allude a un'entità più astratta intesa come una specialissima sintesi dell'insieme di ciò che comunemente s'intende col termine al plurale di osservatori (cioè l'insieme degli oggetti comunemente noti, appunto, come tali e facenti inevitabilmente parte dell'universo). Con una metafora aritmetica si potrebbe dire che: "l'Osservatore sta all'osservatore come il Legislatoresta al gruppo di funzionari addetto a redigere i testi delle leggi dopo che queste vengono decise da un organo legislativo ufficiale". Da questo tentativo metaforico di definizione deriva, prima di ogni altra cosa, l'unicità dell'Osservatore col e nel suo Universo inteso, quest'ultimo, in tutta la sua complessità, totalità ed, appunto, unicità, talché il solo ipotizzare alla possibilità, non dico di un altro universo, ma di qualsiasi cosa ideale o reale che non sia inclusa nell'unico Universo,è semplicemente un banale errore logico anche perché il fatto stesso che l'Osservatore accenni o pensi ad una tale possibilità subito include quanto pensato o immaginato nell'unico Suo Universo facendone un oggetto di questo non importa se classificabile come immaginario oppure semplice errore.
           Per quanto detto, l'Osservatore è necessariamente ente internodel Suo universo e non esterno, come si è indotti a pensare per comode motivazioni pratiche, infatti è più facile per l'Osservatore supporre di poter gestire un sistema standone il più possibile al di fuori, cioè senza coinvolgersi nei mutamenti e nelle involuzioni del sistema che osserva e che proprio l'osservazione (intesa, in senso lato, come azione attiva su qualcosa)modifica. Se si fa attenzione al senso fondamentale di ciò che stiamo dicendo, l'Osservatore non solo è parte, ma, è proprio l'Universo stesso e non si potrebbe pensarlo diversamente.
Quando dice "sistema" l'Osservatore allude automaticamente ad una qualche struttura logicamente intrecciata di "sentiti" percepiti, questi, come catene logiche di cause ed effetti. Se si pensa al sistema Universo, i sentiti non sono che i normali principi di base o di riferimento scelti in modo che la logica del sistema sia giudicata soddisfacente dall'Osservatore, giudice unico del suo universo ancorché consapevole della debolezza della sua Conoscenza, cioè del suo dominio sull'Universo. Qui qualcuno potrebbe addurre la facile obiezione classica che bandisce tassativamente, nel parlar di cose con qualche riguardo scientifico, concetti come soddisfazione, gradimento, bellezza, semplicità, facilità e così via. Ciò poteva valere prima dei tempi –non certo remoti- di Planck, W. Pauli, di W. Heisenberg ed altri notevoli geni del primo ventennio del '900, cioè dell'avvento del "quantum" energetico; oggi bisognerebbe fare attenzione su questo punto per evitare gaffe prima impensabili. Per convincersi di questo problema bisogna soprattutto abituarsi ad accettare l'inevitabile centralità ed onnipresenza dell'Osservatore in ogni passo della vita dell'Universo, il ché implica il ripensamento della storica e sacrale certezza attribuita alla "prova sperimentale" quale conferma estrema della verità di qualsiasi affermazione.
Chi potrebbe metterla in discussione? La validità di questa prova sussiste solo se convince appieno l'Osservatore, ma è limitata alla durata ed alla forza di questo convincimento (si noti, per inciso, l'uso, appena fatto, di termini come durata e forza, che sono i sentiti difficilmente definibili in senso generale e che indeboliscono le certezze formali di cui discutiamo). L'Osservatore è, dunque, consapevole delle complesse difficoltà che minano il suo già flaccido "dominio" (= Conoscenza) sull'Universo, pur parziale e flaccido.
A proposito di ciò che qui intendiamo per flaccidità valga questa metafora: immaginiamo un tale che stringe in una mano un grosso fascio di guinzagli di lunghezza da pochi centimetri a diversi chilometri, ciascuno con un cagnetto all'estremità; questi guinzagli sanciscono sicuramente l'assoluta titolarità formale del tale sui suoi cani ma pure rappresentano la incertezza del suo dominio o potere su di essi: l'incertezza ordinaria ma continua del controllo a distanza è aggravata dalla flaccidità, cioè della discontinuità del controllo stesso quando i guinzagli non vengono percepiti in tensione. Va meglio per il dominio sui pochi cani con brevissimo guinzaglio. La metafora simulerebbe, senza pretese di rigore, soprattutto l'idea della struttura Universo-Osservatore-Universo. Da precisare che nella metafora, la per la parte osservabile dell'Universo, va dal corpo del proprietario dei cani fino ai cani stessi, tramite il braccio, lo spazio, i guinzagli e i cani stessi, che però è completata e consacrato dalla mente cosciente, cioè dalla singolarità dell'IO (l'Osservatore universale unico) che è anche il centro di riferimento assoluto del sistema ma è anche come l'altra faccia della moneta Universo. La flaccidità, o conoscenza debole e discontinua dell'Osservatore, potrebbe qui anche assimilabile all'inverso della lunghezza media dei guinzagli, purché si consideri ciò ai soli fini esplicativi del concetto di "Conoscenza" (ovvero: capacità di dominio dell'Osservatore), argomento su cui insistiamo.
Il problema fondamentale della lamentata debolezza complessiva dell'Universo, quindi, dell'Osservatore universale, appare evidente proprio nel linguaggio usato in questa riflessione: nessuna parola usata, infatti, risulta rigorosamente definita nei suoi significati precisi né prima né dopo il uso stesso, ma se pure avessimo voluto farlo, a quali altri termini avremmo dovuto e potuto ricorrere se non abbondantemente agli stessi già qui usati e ad altri della stessa natura? Qualcuno potrebbe innocentemente rispondere: "alla matematica!", altri, con maggior riflessione, farebbero invece riferimento ai più vaghi contesti circostanziali in cui le stesse parole sono state o potrebbero esserlo, anche rimescolandole con altre, in nuovi contesti di difficoltà pratiche e teoriche. Se prendessimo per buona la prima risposta, "la matematica", dichiareremmo solo di non aver approfondito l'analisi di cosa sia il linguaggio matematico, infatti, pur senza entrare nei dettagli delle sue definizioni, che pure mostrerebbero qualche punto deboluccio:. definizioni e teoremi, si avvalgono di termini, idee e concetti non esprimibili solo con termini rigorosamente matematici ma, anche degli stessi termini usati in queste riflessioni (non rigorose) e in altre argomentazioni simili.
Una conclusione importante di questa parte della riflessione ci porta direttamente alla questione centrale del come considerare abbastanza correttamente il sistema, anzi, l'auto-sistema universale unico "IO-Universo". Sistema la cui caratteristica essenziale sta nell'auto-referenza e nell'autocoscienza globali, il tutto incentrato sulla singolarità di riferimento universale assoluto che è l'Osservatore universale cioè nell'IO, unico responsabile e giudice assoluto delle scelte del suo agire (osservare). Va qui evidenziato che l'Osservatore giudica "vera" qualsiasi cosa che giudica logicamente coerente col Suo sistema.  L'Osservatore è bensì cosciente della debolezza del suo potere conoscitivo sicché rimane disponibile per possibili revisioni del Suo giudizio, revisioni che potrebbero riguardare , si, una precedente accettazione, ripudiandola o adattandola mediante variazioni opportune, ma anche adattando il sistema (universo) sicché possa ospitare quell'oggetto logico che vorrebbe "vero". Insomma l'Osservatore vuole un Universo il più possibile di suo gradimento. Forse ciò è una risposta alla meraviglia di Einstein e di altri, per la inspiegabile ottima coerenza della matematica con moltissimi fatti naturali.
La centralità dell'Osservatore si evidenzia concretamente nel quadro scientifico e matematico, e non solo, se consideriamo almeno che sono sue decisioni o scelte:
·La scelta e la decisione dell'azione e/o della ricerca in rapporto agli scopi voluti dall'Osservatore stesso
·La definizione di una teoria dimostrativa che dovrebbe fornire dati o segni che sono, a priori, giudicati idonei perché l'Osservatore possa stabilire il grado di successo della sua teoria, ovvero della prova sperimentale, tenuto conto dei mezzi operativi disponibili
·Il giudizio conclusivo sul grado di soddisfazione conseguito dall'Osservatore grazie all'esito della procedura sperimentale attuata e dell'efficacia dimostrativa effettiva dei fatti e dei segni che sono derivati dal ciclo sperimentale.
Bastano queste poche note per capire che anche le così dette "scienze esatte" sono tali solo se così vengono sentite ovvero percepite dal giudice assoluto ed autocritico che è l'Osservatore. E' chiaro il valore positivo o gradimento dell'Osservatore deriva dal grado di soddisfazione delle prove stabilite e valutate sempre dall'Osservatore medesimo. L'autoreferenza circolare dell'Universo è evidente.
Va notato che il termine di "sentito", qui spesso usato, è cruciale in queste considerazioni; lo è per il fatto che, pur percezione intima e generalmente indefinibile ed indiscussa da chiunque, proprio per questo diventa principio o riferimento di base per l'Osservatore. I sentiti, quando sembrano non collegati l'un l'altro, vengono assunti come principi di riferimento, sembrano convincenti in tutti gli ambiti logici compreso il linguaggio matematico; basti, in proposito, la menzione della definizione di "retta" negli "Elementi" di Euclide dove si legge, pressappoco, che la linea retta si definisce tale se permane immutata (all'Osservatore) quando viene ruotata su se stessa, anche se si sono, più tardi, cercati più "scientifici" aggiustamenti della definizione. Si capisce, comunque, che forse sarebbe valso dire che il concetto di "retta" è semplicemente un sentito accettato e difendibile dall'Osservatore senza tema di contro-osservazioni. Va inoltre anche notato, lasciando a chi legge le sue interpretazioni, che un "sentito", non diverso dagli altri, è anche quello della "spiritualità".
#60
Tematiche Spirituali / Re:Diavolo
25 Settembre 2016, 08:10:29 AM
Citazione di: terra il 15 Settembre 2016, 15:43:25 PM
Citazione di: Mariano il 15 Settembre 2016, 14:36:46 PM
Chi crede in Dio e ha fede (non è ateo) crede anche nel Diavolo, ma non ha fede in lui.
Allora avere fede non significa solo credere in Dio.
Allora anche un ateo può avere fede, anche se non riconosce un Dio (Bene) persona, ma rigetta il Diavolo (Male).
Sto andando fuori di testa o qualcuno può chiarirmi le idee?
Grazie

Chi crede in Dio deve sapere che esiste anche il suo avversario, che è Lucifero, avere fede in Dio significa servire il piano di Dio, e dato che Lucifero non ha rispettato tutte le leggi di Dio, allora è necessario avere la fede in Dio ma non dare la fede a Lucifero, Lucifero condiziona tutti quelli che sono staccati da Dio, mentre coloro che vogliono rispettare le Leggi di Dio il diavolo non può fare nulla. Importante sapere che entrambi esistono.
.
L'errore di questo tipo di domande sta nel convincimento  di poter oggettivare l'inoggettivabile! :)  ;)