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Messaggi - Carlo Pierini

#451
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:53:58 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 10:42:44 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:23:55 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 10:19:10 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:13:45 AMPer approfondire ulteriormente la concezione del mondo come mia rappresentazione posto questo link ad un commento di Diego Fusaro sul tema,..
CARLO Vuoi dire che anche Diego Fusaro è "una tua rappresentazione"?
Ovviamente!... ;D Nota però che non si sta negando l'esistenza del 'materiale' , ma solamente si sostiene che di questo non può darsi che una nostra rappresentazione...
CARLO Certo, quando trasferiamo il "materiale" nel nostro linguaggio, non diventa altro che una nostra rappresentazione. Ma se la mia rappresentazione contraddice la tua, è sicuro che almeno una delle due è falsa (se non entrambe). Quindi non è sufficiente dire che <>, ma dobbiamo chiarire che <>. Per questo la scienza ha scoperto il metodo sperimentale: per scartare le false rappresentazioni ed ammettere solo quelle corrette. ...E, a giudicare dall'enorme successo che essa ha riscosso (nel dominio che le compete), è molto più probabile che abbia ragione lei e non Schopenhauer.

SARIPUTRA
E' sempre "corretta" o "falsa" in rapporto alla rappresentazione che se ne fa la mente del "metodo sperimentale". E cos'è questo 'metodo' se non anch'esso una rappresentazione che nasce e si sviluppa sulla base delle percezioni?

CARLO
Appunto: esiste il mondo ed esiste quella "giusta rappresentazione" del mondo che noi chiamiamo "verità". Ma se diciamo che <<il mondo è rappresentazione>>, occultiamo questa distinzione di soggetto e oggetto  con-fondendo indebitamente i DUE enti nel solo concetto nebuloso di "rappresentazione" (o "percezione") e rendendo nebuloso e confuso anche il concetto di "verità", per la gioia dei relativisti.
Per cui, come ho ripetuto più volte, dobbiamo correggere il motto di Hume da <<esse est percipi>> a <<esse est iusta interpretatio perceptionis>>.
#452
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:23:55 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 10:19:10 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:13:45 AMPer approfondire ulteriormente la concezione del mondo come mia rappresentazione posto questo link ad un commento di Diego Fusaro sul tema,..
CARLO Vuoi dire che anche Diego Fusaro è "una tua rappresentazione"?

Ovviamente!... ;D

Nota però che non si sta negando l'esistenza del 'materiale' , ma solamente si sostiene che di questo non può darsi che una nostra rappresentazione...
CARLO
Certo, quando trasferiamo il "materiale" nel nostro linguaggio, non diventa altro che una nostra rappresentazione. Ma se la mia rappresentazione contraddice la tua, è sicuro che almeno una delle due è falsa (se non entrambe). Quindi non è sufficiente dire che <<il mondo è rappresentazione (o percezione)>>, ma dobbiamo chiarire che <<il mondo non è qualunque rappresentazione, ma solo la corretta rappresentazione>>. Per questo la scienza ha scoperto il metodo sperimentale: per scartare le false rappresentazioni ed ammettere solo quelle corrette. ...E, a giudicare dall'enorme successo che essa ha riscosso (nel dominio che le compete), è molto più probabile che abbia ragione lei e non Schopenhauer.
#453
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:13:45 AM
Per approfondire ulteriormente la concezione del mondo come mia rappresentazione posto questo link ad un commento di Diego Fusaro sul tema,..
CARLO
Vuoi dire che anche Diego Fusaro è "una tua rappresentazione"?
#454
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 09:01:47 AM
Citazione di: sgiombo il 15 Ottobre 2018, 08:40:31 AM
Citazione di: Ipazia il 14 Ottobre 2018, 23:57:51 PM
Citazione di: sgiombo il 14 Ottobre 2018, 11:16:06 AMPer ontologia intendo lo studio, la ricerca della conoscenza della realtà nei termini più generali astratti in cui essa possa essere considerata; realtà in generale che secondo me eccede la particolare realtà fenomenica materiale scientificamemnte conoscibile. Dunque per me, contrariamente ai monisti materialisti, l' ontologia non sarà mai inglobata nei confini della scienza, sarà sempre materia di studio filosofica.
Vi è un'ontologia degli enti reali che conviene lasciare alla scienza, compreso dio quando lo si spaccia per ente reale (e con ciò rispondo a Pierini) e un'ontologia dei concetti e degli enti immateriali che appartiene alla filosofia, inclusa la filosofia della scienza o epistemologia. Quindi il confine c'è, ma non è del tutto invalicabile da parte di filosofi-scienziati che hanno una preparazione sufficiente per non confondere i due "regni", ma che ne permettono la reciproca comunicazione e collaborazione.
SGIOMBO
Naturalmente a nessun scienziato é vietato occuparsi di filosofia (anzi, sarebbe raccomandabile secondo me) come a nessun filosofo é vietato occuparsi di scienze (idem). Ma quando affermo che la realtà in toto eccede il mondo materiale, intendo non (non solo) che esistono i concetti concreti ed astratti con i rispettivi significati, ma che secondo me esistono (anche) enti ed eventi mentali (reali non come contenuti di pensiero ma come "cose") fenomenici non identificabili con, né riducibili a, né sopravvenienti a enti ed eventi (pure fenomenici: reali altrettanto, né più né meno) materiali.

SARI PUTRA
Concordo  e, personalmente, mi spingerei ancora più in là: ogni fenomeno (sia mentale che materiale) non è altro che una "rappresentazione" che la mente si costruisce partendo dalla percezione di 'qualcosa' (indefinito). Il 'mondo' non è che una rappresentazione mentale (spesso assai dolorosa...).

Che, tuttavia, questa considerazione, nonostante la sua verità sia arbitraria, risulta evidente a ciascuno in virtú dell'intima riluttanza che egli prova a concepire il mondo soltanto come sua mera rappresentazione; anche se a questo concetto egli non può certo mai sottrarsi. (Schopenhauer).
Pertanto, in modo roboante, simile al ruggito del leone ( quando privato di leonesse...) io proclamo la dipendenza del 'materiale' dal 'mentale'.


CARLO
A quanto pare, in questo NG è presente l'intera rappresentanza della ...Trinità: c'è chi (come SamuelSilver, Phil, ecc.) identifica il fondamento dell'essere nella materia, c'è chi (come te e Sgiombo) lo identifica nel "mentale", e c'è chi (come me) lo identifica nell'Uno superiore che abbraccia in sé materia e mente.
Ma credo che se il leone-yang ritrovasse la sua leonessa-yin, ruggirebbe la pari dignità di yin e yang, di "materiale" e "mentale" nell'unità superiore del Tao.! :)
#455
Citazione di: Apeiron il 14 Ottobre 2018, 19:44:19 PM
Citazione
Cit. CARLO
Il linguaggio può rispecchiare il Divino solo mediante paradossi, ossimori, cioè, mediante coppie di significati opposti che però non si elidono reciprocamente, ma che sono complementari e non-separabili.

Cosicché, il Tao, come Deus absconditus, come Trascendenza massima, è Assenza, Silenzio, Non-Pensiero, Non-Essere, Nulla. Ma come Principio del creato, è Tutto, è Onnipresenza, è Clamore festoso, è Pensiero pieno e fondamentale.

Ciò non viola il principio di non contraddizione ("è impossibile che una stessa cosa sia e non sia nello stesso tempo e sotto il medesimo rispetto") poiché il Tao è Assenza e Onnipresenza sotto rispetti diversi.
Per questo nella dialettica (o nell'applicazione del Principio di Complementarità) è fondamentale la distinzione tra opposizioni dialettiche e contraddizioni.

"Il simbolo sacro richiede due interpretazioni diametralmente opposte, poiché né l'una né l'altra - da sola - può dimostrarsi valida. Il simbolo le significa entrambe ed è quindi un paradosso".  [JUNG: Psicologia e religione -pg.186]

"Ho trovato un luogo in cui Tu sarai scoperto in maniera rivelata, luogo cinto dalla coincidenza degli opposti. Ed è questo il muro del paradiso nel quale tu abiti, la cui porta è custodita dallo spirito più alto della ragione, che bisogna vincere se si vuole che l'ingresso si apra. Ti si potrà vedere al di là della coincidenza degli opposti, ma mai al di qua".  [N. CUSANO: De visione Dei]

APEIRON
In linea di massima, concorderei però farei attenzione.
Per il "taoismo", la "relazione" tra gli opposti è abbastanza "asimmetrica". Nel Tao Te Ching, qualità come la "passività", l'"apertura", l'"umiltà", la moderazione ecc sono qualità che vengono viste "migliori" (per mancanza di parola migliore) rispetto alle loro opposte. Tuttavia, chi persevera in queste qualità è più vicino al Tao  e "vive meglio" (e quindi, paradossalmente, "il sottomesso domina"...). Voglio dire, c'è una preferenza abbastanza esplicita per certe qualità "passive". Potremmo dire che chi "pospone sé stesso" si "svuota" e quindi "somiglia più al Tao". Ergo, è come se chi tramite lo "yin" (passività, umiltà ecc) riduce le proprie aspirazioni ad "affermarsi" (che derivano dallo seguire lo "yang") e quindi "riduce" la propria identità e diventa "più simile" a ciò che è vuoto, come il Tao. Ergo, nella coppia dei complementari (almeno a livello etico) l'uomo dovrebbe "abbracciare" le qualità dello "yin" e come l'acqua "stare nel posto che gli uomini disdegnano".
Dunque, per "elevarsi" al Tao, il Tao Te Ching, in pratica, dice di "abbassarsi". D'altro canto, però, condanna il contrario: coloro che cercano di "elevarsi" con la forza e l'auto-affermazione vengono visti come coloro che più si allontanano dal Tao. Ergo, si capisce l'importanza dell'enfasi sulle qualità come "la vacuità", "la passività", il ritornare come un "legno non scolpito" ecc. Quindi, in ultima analisi il "culmine" è svuotarsi (cap. 16) e cercare di somigliare all'"indistinto","informe" ecc (ovvero il Tao).

Per questo motivo, nell'ambito del Taoismo (o più precisamente "Tao Te Ching" e "Zhuangzi" - e un po' di Liezi) ritengo che è più opportuno pensare al Tao come trascendenza che "va oltre" agli opposti svuotandosi anche di essi (nel capitolo 6 dello Zhuangzi (o "Chuang-tzu"), c'è un accenno ad una pratica di nome "zuowang", il "sedersi e dimenticare" ;D ...). Per certi versi puoi ancora vedere la "complementarietà": chi segue questa via si "eleva" ecc ma se pratichi lo "svuotamento" con il chiaro desiderio di elevarti (di "affermarti") rischi di cadere nell'altra "via" (ovvero in quella dell'affermazione, dell'inflazione dell'ego ecc) :( . Non so se mi segui... "ad afferrarlo non lo prendi" (cap. 14) ::) ...e, ahimè voler "capirlo" è un modo per "afferrarlo" :( (come hai ben capito io ho un fortissimo desiderio di capire...e, allo stesso tempo, so che, per così dire, devo "stare attento"   ;) sono il primo che scambia il dito per la Luna;D , per citare la metafora del Buddhismo Zen (d'altronde il Taoismo e il Buddhismo si somigliano sul Silenzio). Per questo motivo, quindi, ritengo che qualsiasi definizione che si da al Tao non "va bene". Anche quella che risulta, magari, più verosimile. Per arrivare al Silenzio, si deve "andare oltre" - usando un'altra metafora buddhista, lasciare la zattera dopo che si è attraversato il fiume...)

In questa prospettiva, puoi capire perché l'Oriente, in generale, preferisce il Silenzio (non a caso Niccolò Cusano è uno degli esponenti dell'apofatismo e non mi sorprende che sia accomunato al Taoismo...).

Ma forse rischiamo di andare avanti a discutere sull'interpretazione "giusta" di questi testi ad oltranza (quindi ci tocca "concordare sul dissenso"  ;) ).


CARLO
Infatti concordiamo sul fatto che io ritengo la filosofia Taoista, come pure quella buddhista, squilibratamente sbilanciate a favore del Silenzio, del Non-Pensiero, del Vuoto, dell'Umiltà e, quindi, illegittimamente svalutative dell'Intelletto, del Verbo, della Conoscenza e - sul piano etico - della Forza attiva, del Valore "guerriero", della dignità individuale. Infatti, scrivevo nel thread "La Virtù è una complementarità di qualità opposte":
<<L'ideale della virtù, a mio avviso, non è rappresentato dal modello cristiano del "santo" che, in nome di un perentorio "porgi l'altra guancia", rinuncia alle proprie prerogative di coraggio, di nobiltà e di dignità personale, scivolando spesso nella passività (ignavia) e nel martirio. E' invece molto più prossimo all'ideale del Samurai, cioè, del sacerdote-guerriero che coltiva, sì, le virtù dell'umiltà e della mitezza, ma anche le virtù opposte-complementari del coraggio, del valore, della forza attiva. ...Che è devoto al Primo degli esseri, ma anche all'ultimo dei fratelli, il debole, il perseguitato; ...che obbedisce alla giustizia, ma che ha l'ardire di disobbedire e di opporsi con la massima fermezza all'ingiusto e al prevaricatore, invece di lasciarsene martirizzare ignobilmente; ...che coltiva la fede, ma che non sacrifica ad essa la ragione e la conoscenza.
In sintesi, l'umiltà che non è bilanciata dal senso della dignità e della sacralità della propria persona sconfina nel martirio; l'orgoglio e l'amore di sé non temperati dall'umiltà e dall'amore per il prossimo sconfinano nell'egocentrismo e nella prevaricazione; la fede senza la ragione e la conoscenza si degrada in superstizione, mentre la ragione e la conoscenza prive del senso della grandezza della "Sapientia Dei" sfociano nella saccenteria e nella presunzione intellettuale. ...In parole povere, anche la santità (o la virtù) è una Complementarità di opposti>>.

CitazioneCARLO
Come già accennato, dire che l'Uno è "oltre l'essere" è solo uno dei due poli del paradosso; l'altro polo dice che l'Uno E' l'essere, il suo fondamento onnipresente.
Il Tao, cioè, - come ogni Dio che si rispetti - è uni-trinitario: due attributi opposti più il "tertium", la loro unità.

APEIRON
Nel neo-platonismo penso che entrambe le descrizioni vadano bene. Però, c'è l'opposizione tra gli "esseri" e l'Essere. Dunque, l'Uno è "oltre l'essere degli esseri" (spero di farmi capire), per così dire (se la cosa viene posta così, invece, onestamente, non vedo la Complementarità. Vedo, invece, che l'Uno non è né "l'essere degli esseri" né il loro non-essere...).

CARLO
Dimentichi che gli "esseri" sono "fatti a immagine e somiglianza" dell'Essere, che l'Essere è il Padre e gli esseri sono i Figli amati, che il Brahman può manifestarsi nell'intimità dell''"atman" individuale (il Sé), che la nostra anima è consustanziale  all'Intelletto Divino, che l'Essere si incarna simbolicamente in un essere. Pertanto, quel tuo "oltre" non può essere un "oltre assoluto", e l'opposizione tra "Essere" e "esseri" non può essere una separazione, ma una opposizione di complementari.


CitazioneCit. CARLO
Il Tao è stato contemplato non-concettualmente per 2.500 anni. Quindi sarebbe anche ora che si incarni, com'è nelle corde di ogni buon Dio che si rispetti:

<<Tornerò a Sion e siederò in mezzo a Gerusalemme; e Gerusalemme sarà chiamata 'la città di verità'>>.  (Zaccaria: 8,3)

<<Poiché da me uscirà la Legge stessa, e farò sì che il mio giudizio riposi anche come una luce per i popoli>>.  (Isaia, 51: 4)

<<Il trono di Dio e dell'Agnello sarà nella città; i suoi servi lo serviranno; essi vedranno il suo volto e il suo nome sarà sulle loro fronti>>. [Apocalisse, 22, 3-5]

<<...E vidi un nuovo cielo e una nuova terra. ...E vidi la nuova Gerusalemme scendere dal cielo vestita come una sposa ornata per il suo amato. "Ecco, la tenda del Signore è col genere umano ed Egli risiederà con loro, ed essi saranno suoi popoli. E Dio stesso sarà con loro ed asciugherà ogni lacrima dai loro occhi>>. (Apocalisse, 21:1- 6)

APEIRON
Forse il nostro dissenso sul Tao dei "Taoisti" nasce proprio da qui. Tu vedi un'evoluzione nel "concetto" e, quindi, può esserci stato un equivoco tra noi due. infatti, tu hai già detto che vedi il "Taoismo" come una espressione del Principio di Complementarità e quindi probabilmente sei consapevole della differenza tra il tuo punto di vista e quello "Taoista". Dimmi se sbaglio... In pratica, secondo te, i "Taoisti" si sono sbilanciati troppo sul "Silenzio" e quindi hanno preso una posizione "estrema" dando troppo poca importanza alla Parola (e quindi all'Affermazione) ?  


CARLO
Esattamente! Come ho detto sopra, quella dei Taoisti-Buddhisti è una filosofia squilibrata, poiché considera l'intelletto come un inutile orpello, invece che come lo yang contrapposto allo yin del cuore.

APEIRON
Per certi versi, la teologia negativa, in Occidente, può essere vista come il "movimento complementare" ( ): ovvero il movimento che cerca di dare valore al Silenzio dove c'è troppa Parola   ti comprendo nel modo giusto?

CARLO
Esattamente. Può essere vista come una sorta di compensazione tendente a ristabilire l'equilibrio. Ma il problema è che spesso questa compensazione si trasforma nell'estremismo opposto a quello che si vorrebbe equilibrare. Questo fenomeno si chiama "enantiodromia", cioè "passaggio da un opposto all'altro".
Per esempio, alla tirannia dello spiritualismo cattolico del primo millennio è seguita la tirannia del materialismo nel secondo millennio. Non ci resta che sperare in una complementarizzazione di spiritualismo e materialismo nel terzo millennio, come più o meno profetizzava Gioachino da Fiore. Ma ciò potrà avvenire soltanto quando scopriremo l'esistenza di un Principio unificante, cioè, valido in entrambi i domini.
...Non si tratterà, per caso, del Principio di Complementarità degli opposti?   ;)
#456
Citazione di: sgiombo il 13 Ottobre 2018, 09:06:31 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 12 Ottobre 2018, 21:31:08 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Ottobre 2018, 20:16:07 PM

SGIOMBO
Ma in che mondo vivi?
Di quale "filosofia" (stra-)parli?
Ti informo che esistono molteplici filosofie, non solo irrazionalistiche.

CARLO
Come dicevo tempo fa a Oxdeadbeef, si può intendere la filosofia secondo due immagini diverse e contrapposte:

1) come un gran calderone di idee dissonanti che dicono tutto e il contrario di tutto;
2) come una UNICA visione del mondo costruita su una grande molteplicità di idee complementari tra loro che si confermano reciprocamente, così come sono complementari tutte le verità più autentiche e profonde.

Ecco, la filosofia reale, la storia della filosofia dalle sue origini fino ad oggi, corrisponde con l'immagine 1). Ed è evidente allora che, se la metà delle filosofie che la costituiscono afferma ciò che l'altra metà nega, almeno una delle due metà afferma il falso, e quindi un giorno le false filosofie dovranno essere sfanculate e mandate al museo delle idee sballate.
Ma prima che ciò accada, chi si accinge allo studio della filosofia per meglio comprendere il mondo, non fa altro che entrare in una Torre di Babele, in un labirinto infernale sul cui ingresso è scritto: <<lasciate ogni speranza o voi che entrate>>, dal quale uscirà (se uscirà sano di mente) molto più confuso di quanto lo era prima di entrare.

Io invece vedo la filosofia secondo l'immagine 2). La intendo cioè come un processo che inizia con la "torre di Babele" attuale, ma che culminerà in una unica visione del mondo retta da un unico Principio di verità. Una grande orchestra di idee - rigorosamente accordate tra loro come lo sono gli strumenti musicali - che eseguirà tante ed uniche grandi sinfonie: tante quante saranno le grandi verità che dovranno essere rappresentate.

Ci sarà bisogno di una "Santa Inquisizione" per mandare al rogo le filosofie false ed ammettere quelle vere? Beh, non più di quanto un maestro d'orchestra mandi a casa dei musicisti incapaci per accogliere i più valenti!

SGIOMBO
Ho capito: vivi in un mondo immaginario frutto dell' ideologia (falsa coscienza) scientista.

CARLO
Se non ti sei ancora accorto che la metà delle idee della filosofia contraddice l'altra metà, e che dunque un giorno sarà necessario cacciare via almeno la metà dei ...mercanti dal tempio, allora vuol dire che in un mondo di fantasia ci vivi tu. E il tuo distribuire false etichette di "scientista" non ti aiuta certo a scendere da ...lassù!



FATS DOMINO - Blueberry Hill
https://youtu.be/bQQCPrwKzdo
#457
Citazione di: sgiombo il 14 Ottobre 2018, 11:16:06 AM
Dunque per me, contrariamente ai monisti materialisti, l' ontologia non sarà mai inglobata nei confini della scienza, sarà sempre materia di studio filosofica.

CARLO
Tu insisti nella tua illusione di considerarti un dualista. Non l'hai ancora capito che una mente che non è causa di alcun evento oggettivo è una non-mente, proprio come quella dei monisti?
Il tuo è un monismo mascherato da dualismo, grazie all'uso di un non-concetto come il "noumeno" kantiano.
#458
Citazione di: viator il 13 Ottobre 2018, 22:20:59 PM
Salve Carlo. Grazie per averci illuminato attraverso lo spostamento della casualità dalla ignoranza delle sue origini all'imprevedibilità dei suoi effetti. Spero che i materassi che hanno accolto il tuo atterraggio dopo un simile salto mortale siano risultati idonei all'acrobazia.

CARLO
Più che "spostare" io intendevo "allargare" il contesto della nostra ignoranza, per cui, la definizione più precisa può essere:

DICESI CASUALE QUELL'EVENTO DEL QUALE, O NON SI CONOSCONO LE CAUSE, O PUR CONOSCENDO LE CAUSE E LE LEGGI CHE LO DETERMINANO, NON SIAMO IN GRADO DI PREVEDERE L'EPILOGO O GLI STATI FUTURI.

VIATOR
E poi, scusa la pedanteria, ma io stavo parlando di emisferi (mezze sfere), le quali risultano sempre dalla divisione di una sfera intera.

CARLO
E io parlavo di due emisferi che compongono l'unità in quanto ontologicamente complementari, come lo sono corpo e mente. Si potrebbe invece parlare di divisione (dualismo) solo se regnasse una alterità assoluta tra i due.
#459
Cit. IPAZIA
Le pretese ontologiche della religione sono state, con errore sperimentale trascurabile, falsificate.

Cit. CARLO
<<Falsificate>> da cosa?

IPAZIA
Dalla Scienza che non moltiplica gli enti senza necessità e fin dai tempi napoleonici affermò che si può spiegare l'universo senza l'ipotesi Dio. Hybris imperdonabile, ma la scienza è fatta così e malgrado i salti quantistici continua a considerare altamente improbabile che due enti, e le rispettive narrazioni, possano coesistere nello stesso spazio nello stesso tempo.

CARLO
Hai detto bene: hybris! Stai infatti contrabbandando un'asserzione puramente ipotetica - quella di Laplace - per verità scientifica e un buon criterio epistemologico - quello di Occam - come qualcosa che vanifica "l'ipotesi di Dio". Hybris allo stato puro.

IPAZIA
La scienza non è democratica, disse qualcuno.

CARLO
Ed è un bene. Ma l'ipotesi di Laplace non è scienza.

IPAZIA
Non lo è sicuramente la scienza medica: o le cure o le preghiere. Pare che tra gli umani evoluti anche i teisti propendano per le cure. Eventualmente supportandole, in seconda istanza, con le preghiere.

CARLO
La necessità dell'"ipotesi di Dio" deriva da ben altro che dall'efficacia terapeutica delle preghiere nella cura delle malattie organiche.

Cit. CARLO
<<Scartati>> da chi? Chi ha <<scartato>> la possibilità che la realtà del "sacro" si manifesti all'uomo sotto forma di sogni, visioni, ispirazioni mitico-poetiche o esperienze estatiche? E' proprio questa la "dimensione psicologica" a cui allude Jung:

IPAZIA
...
E constato che anche Jung se la passa male con la comunità psicologica ed è semplicemente impresentabile in ambito neuroscientifico. Per quel che vale ovviamente. Perchè non è compito delle neuroscienze parlare di anima. E gli archetipi appartengono più all'anima (di Jung) che all'evidenza scientifica. Nel cui ambito epistemico, suppongo, gli psicologi desiderino rimanere.

CARLO
Brava. ...Date il cervello alla neurobiologia scientifica e l'anima a Jung. :-)
Jung è impresentabile in ambito neuroscientifico? Certo, nello stesso modo i cui Galilei era impresentabile in ambito teologico.

IPAZIA
Quanto al "sacro", mi rifaccio a ciò che lo rende: il sacrificio. La religione era partita alla grande, con sacrifici umani, ma poi si è, meritoriamente, accontentata di sacrifici metaforici, finiti in liturgie sempre più stanche. Il sacrificio è rimasto appannaggio reale di chi riproduce la specie umana col parto e di chi la conserva col lavoro. Il sacro sta lì. Tralascio la guerra che dalle Termopili ne ha fatta di strada ed oggi il "guerriero" si limita a premere un bottone che produce opera più di macelleria umana, prevalentemente non combattente, che di sacrale sacrificio di se', per qualche causa, solitamente sbagliata.

CARLO
Il "sacro" non si esaurisce nei riti sacrificali, ma si estende ben al di là di essi.
#460
Citazione di: viator il 13 Ottobre 2018, 17:53:45 PM
Salve. Interminabile disputa sulla casualità. Superflua sino a che qualcuno riuscirà a confutare la seguente definizione :

DICESI CASUALE QUELL'EVENTO DEL QUALE NON CONOSCIAMO LA/LE CAUSE".
...
Attendo nuova e più efficace definizione di "casualità".

CARLO
DICESI CASUALE QUELL'EVENTO DEL QUALE, PUR CONOSCENDO LE CAUSE E LE LEGGI CHE LO DETERMINANO, NON SIAMO IN GRADO DI PREVEDERE L'EPILOGO O GLI STATI FUTURI.

VIATOR
Occorre solamente qualcuno che affermi che il mondo è diviso in due emisferi : quello in cui gli eventi sono soggetti a delle cause note od ignote e quello in cui gli si producono eventi privi di causa.

CARLO
Infatti il mondo è composto (non "diviso") da due emisferi: quello deterministico e non-finalistico della materia-energia, e quello - capace di libere decisioni intenzionali e finalistiche - della mente umana. Nè l'uno né l'altro emisfero hanno a che vedere con la casualità, la quale è solo un nome che diamo alla nostra ignoranza contingente.
#461
Citazione di: Kobayashi il 13 Ottobre 2018, 10:30:22 AM
Volevo porre un interrogativo riguardo la parte "positiva" dell'inconscio.
In termini rudimentali il ragionamento di Jung consiste nel pensare che attraverso gli archetipi l'uomo possa collegarsi ai contenuti dell'inconscio collettivo. Questo lavoro conduce ad un arricchimento dell'individuo. Guarigione e completezza.
Questo ragionamento mi sembra che segua sempre lo stesso schema di tutto il pensiero moderno per cui alla crisi del presente si risponde con la ricerca di una dimensione originaria che nei secoli è andata smarrita e che nella sua riattivazione è in grado di mostrare quale sia la condizione vera e universale dell'umanità.

CARLO
Non è esattamente così. E' l'inconscio che si manifesta all'uomo attraverso dei simboli archetipici il cui contenuto, se compreso, mostra una profonda saggezza e una conoscenza intima della vita del soggetto a cui essi si manifestano. Scrive Jung:

"Il confronto con l'inconscio ha perlopiù inizio nell'ambito dell'inconscio personale, basato sui contenuti acquisiti personalmente, e prosegue poi attraverso i simboli archetipici, che rappresentano l'inconscio collettivo. Il confronto ha lo scopo di superare la dissociazione. Per giungere a questa meta terapeutica, la natura o l'intervento esterno del medico inducono la collisione e il conflitto tra gli opposti, senza il quale non è possibile alcuna riunificazione. Ciò comporta non solo prender coscienza del conflitto, ma anche vivere una esperienza eccezionale: il riconoscimento di un'entità estranea al proprio interno, ovvero di una volontà autonoma obiettivamente esistente. Gli alchimisti, con sorprendente lungimiranza, chiamarono Mercurio quest'entità dalla natura difficilmente afferrabile. E' egli stesso la fonte di tutte le opposizioni, poiché è duplex e utriusque capax. Quest'entità elusiva rappresenta in ogni particolare l'inconscio, al confronto col quale conduce ogni corretta interpretazione dei simboli. Il confronto con l'inconscio è sia un'esperienza irrazionale sia un processo conoscitivo".    [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.367]

"Il fatto che dall'oscuro regno della psiche si faccia incontro al malato qualcosa di estraneo, che non è "io" e si trova perciò al di là del suo arbitrio personale, agisce a volte come una grande illuminazione. Ritrovato l'accesso alle fonti della vita psichica [la psiche sana e incorrotta], il malato comincia a guarire. [...]
Spesso è semplicemente la profonda impressione che un paziente riceve dal modo autonomo in cui i sogni trattano i suoi problemi. Altre volte dal modo in cui la fantasia vira inaspettatamente. Altre ancora, questa azione personale della psiche si eleva fino alla percezione di una voce interiore, o di visioni, fino a raggiungere una vera esperienza primigenia dello spirito. Tale esperienza compensa sempre le sofferenze di un cammino sbagliato".  [JUNG:Psicologia e religione -pg.327]

"La numinosità dell'archetipo ha spesso una qualità mistica e un'effetto analogo sull'animo. Esso mobilita concezioni filosofiche e religiose proprio in persone che si credono mille miglia lontane da simili "attacchi di debolezza".  [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.223]

"All'origine delle grandi confessioni religiose, come pure dei movimenti mistici di minore portata, troviamo singole personalità storiche la cui vita fu contrassegnata da esperienze numinose. Numerose indagini condotte su eventi di questo genere mi hanno convinto che in tal caso si presentano alla coscienza contenuti inconsci che le si impongono nella medesima maniera in cui essa viene sopraffatta dalle irruzioni dell'inconscio nei casi patologici osservabili in campo psichiatrico. Gesù stesso apparve ai suoi discepoli sotto questa luce, secondo le parole di Marco 3.21 ("Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo, poiché dicevano: "È fuori di sé."). I cosiddetti "ispirati" presentano però una differenza significativa rispetto ai casi meramente patologici: presto o tardi trovano un seguito più o meno ampio, ed estendono perciò la loro influenza durante i secoli. Il fatto che poi quest'effetto a lungo termine esercitato dai fondatori di una religione si basi anche sulla loro straordinaria personalità spirituale, sulla vita esemplare e suI carattere etico del loro apporto non ha alcuna importanza nel contesto di cui ci stiamo occupando. La personalità è soltanto una radice del successo, e in passato ci furono - e ancora ne nascono continuamente - autentiche personalità religiose che non hanno trovato consenso. Si pensi solo a Eckhart. Ma se esse ottengono successo, questo criterio dimostra che la "verità" da loro espressa incontra il consenso generale, ossia che esse esprimono qualcosa che "è già nell'aria" e che perciò hanno "parlato col cuore" agli altri individui. E ciò capita, come sappiamo sin troppo bene, tanto nel bene quanto nel male, nella verità e nella falsità.
Il saggio che non è ascoltato passa per folIe, e il folle che si fa primo e più eloquente araldo della follia generale è considerato un profeta e un Führer. Per fortuna talvolta succede anche il contrario, altrimenti l'umanità sarebbe già perita da gran tempo a causa della sua stoltezza".         [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.548]
#462
APEIRON
Credo che i testi semplicemente dicano che il Tao non è "afferrabile" concettualmente. Non a caso, il Taoismo (così come il Buddhismo, per esempio) mette al primo posto, secondo me, il Silenzio.

CARLO
Il linguaggio può rispecchiare il Divino solo mediante paradossi, ossimori, cioè, mediante coppie di significati opposti che però non si elidono reciprocamente, ma che sono complementari e non-separabili.
Cosicché, il Tao, come Deus absconditus, come Trascendenza massima, è Assenza, Silenzio, Non-Pensiero, Non-Essere, Nulla. Ma come Principio del creato, è Tutto, è Onnipresenza, è Clamore festoso, è Pensiero pieno e fondamentale.

Ciò non viola il principio di non contraddizione ("è impossibile che una stessa cosa sia e non sia nello stesso tempo e sotto il medesimo rispetto") poiché il Tao è Assenza e Onnipresenza sotto rispetti diversi.
Per questo nella dialettica (o nell'applicazione del Principio di Complementarità) è fondamentale la distinzione tra opposizioni dialettiche e contraddizioni.

"Il simbolo sacro richiede due interpretazioni diametralmente opposte, poiché né l'una né l'altra - da sola - può dimostrarsi valida. Il simbolo le significa entrambe ed è quindi un paradosso".  [JUNG: Psicologia e religione -pg.186]

"Ho trovato un luogo in cui Tu sarai scoperto in maniera rivelata, luogo cinto dalla coincidenza degli opposti. Ed è questo il muro del paradiso nel quale tu abiti, la cui porta è custodita dallo spirito più alto della ragione, che bisogna vincere se si vuole che l'ingresso si apra. Ti si potrà vedere al di là della coincidenza degli opposti, ma mai al di qua".  [N. CUSANO: De visione Dei]

APEIRON
Se, il Tao è l'universale di tutte le cose, esso parteciperà in tutte le cose.
Qual è la "caratteristica universale" presente in tutte le cose?  ::) ::) ::)

CARLO
Vuoi sapere tutto e subito?  :)
Ci vorranno forse secoli di ricerca e centinaia di menti brillanti per comprendere, gradualmente, in quanti diversi modi la realtà è un'espressione della Complementarità degli opposti. Per il momento io mi accontento di aver scoperto che la scienza, l'etica, la storia, la logica, la psicologia, la neurobiologia, la simbolica, la filosofia, ecc. presentano aspetti essenziali inscrivibili nel modello del Tao (o Principio di Complementarità) e che dunque l'archetipo omonimo - presente in ogni tempo e presso molte importanti tradizioni di pensiero - non è il parto di una fantasia oziosa, ma una vera e propria ispirazione-rivelazione, sebbene non ancora tradotta in una scienza o filosofia rigorosa.
Se vuoi avere un'idea di quali sono alcune varianti storiche di questo archetipo, puoi leggere il thread:
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/l'archetipo-della-complementarita-l'archetipo-piu-diffuso-nella-storia-della-cu/

APEIRON
...Non a caso, l'Uno neo-platonico è "superiore" alle altre due ipostasi (compresa la Nous). E, non a caso, è completamente ineffabile, addirittura "oltre l'essere" (e il non-essere).

CARLO
Come già accennato, dire che l'Uno è "oltre l'essere" è solo uno dei due poli del paradosso; l'altro polo dice che l'Uno E' l'essere, il suo fondamento onnipresente.
Il Tao, cioè, - come ogni Dio che si rispetti - è uni-trinitario: due attributi opposti più il "tertium", la loro unità.

APEIRON
Ah, a proposito di "archetipi". Faccio notare che "miriade" deriva dal greco e, anche se letteralmente è "diecimila", significa "numero incalcolabile". Ergo, per gli antichi sia cinesi che greci, 10000 aveva questo significato di "totalità", o più precisamente di "numero estremamente grande". ;)

CARLO
Naturalmente. Per noi è "un milione". <<Ti ho detto un milione di volte di...!>>.

Cit. CARLO
La "Pura Contemplazione non-concettuale" è l'ALTRA via del Tao, la via soggettiva-interiore, la quale tuttavia non esclude la modalità oggettiva-esteriore, ma, anzi ne è l'aspetto complementare.
Insomma, l'Incolore, l'Insonoro, l'Informe, il Vuoto, non corrisponde al Nulla, ma all'unità del Tutto, cioè, al fondamento ultimo trascendente di ciò che, sul piano immanente, è colore, suono, forma, pienezza dei sensi. E' l'equivalente del Verbo-Logos occidentale <<...per mezzo del quale Tutto è stato fatto>> o dello sfuggente "Mercurius duplex et versipellis" degli alchimisti, dalla natura paradossale.

APEIRON
Mai detto che l'Incolore, l'Insonoro, il Vuoto ecc corrisponde al Nulla (semmai, giocando con l'inglese "nothing", è "no-thing", l'assenza di "cose", proprio come dice quel passo del capitolo 2  ;) ). Però è talmente "indescrivibile", "informe" ecc.

CARLO
Se fosse informe, non sarebbe mai stato rappresentato come equilibrio-alternanza dei due principi yin e yang.

APEIRON
In pratica, la via della "contemplazione non-concettuale" per il Taoismo, secondo me, è la "via più alta", il culmine della ricerca taoista. Ovviamente, non sto dicendo che tu devi essere d'accordo.

CARLO
Il Tao è stato contemplato non-concettualmente per 2.500 anni. Quindi sarebbe anche ora che si incarni, com'è nelle corde di ogni buon Dio che si rispetti:

<<Tornerò a Sion e siederò in mezzo a Gerusalemme; e Gerusalemme sarà chiamata 'la città di verità'>>.  (Zaccaria: 8,3)

<<Poiché da me uscirà la Legge stessa, e farò sì che il mio giudizio riposi anche come una luce per i popoli>>.  (Isaia, 51: 4)

<<Il trono di Dio e dell'Agnello sarà nella città; i suoi servi lo serviranno; essi vedranno il suo volto e il suo nome sarà sulle loro fronti>>. [Apocalisse, 22, 3-5]

<<...E vidi un nuovo cielo e una nuova terra. ...E vidi la nuova Gerusalemme scendere dal cielo vestita come una sposa ornata per il suo amato. "Ecco, la tenda del Signore è col genere umano ed Egli risiederà con loro, ed essi saranno suoi popoli. E Dio stesso sarà con loro ed asciugherà ogni lacrima dai loro occhi>>. (Apocalisse, 21:1- 6)

APEIRON
Curiosamente, il Logos occidentale ha proprio un'accezione simile a quello di "Regolarità"/"Legge". Ma se da una parte (in Occidente) si cerca di evidenziare il "dicibile" (la "Parola" di Dio ecc), in oriente, secondo me, si esalta molto di più l'"ineffabile". Potranno essere, usando il tuo modello, complementari. Ma, secondo me, è innegabile che mentre in oriente si evidenza di più il Silenzio, in occidente si evidenzia di più la Parola.

CARLO
Infatti, in Occidente il Verbo-Logos del Cielo si è (simbolicamente) incarnato in un uomo terreno: Cristo.
Scrive Jung:

"Nella scissione del mondo originario in natura e spirito, l'Occidente tenne per sé la natura, in cui esso crede per temperamento, e in cui è rimasto sempre più impigliato, nonostante i suoi dolorosi e disperati sforzi di spiritualizzazione. L'Oriente ha invece scelto per sé lo spirito, spiegando la materia come illusione (maya) per vivere la sua vita di sogno nella miseria e nell'indigenza asiatiche. Ma come non vi è che una sola terra, Oriente e Occidente non possono spezzare l'umanità in due metà distinte, così la realtà psichica ancora consiste di una fondamentale unità, e attende che la coscienza umana [...] riconosca entrambe come elementi costitutivi dell'anima una". [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.380]

APEIRON
Ma forse hai ragione... forse il Tao è proprio visto come il principio di complementarietà di cui parli. Onestamente, però, vista l'enfasi sul Silenzio, mi parrebbe un po' strano. Secondo me, invece, vedere la complementarietà degli opposti porta alla loro dissoluzione. Leggendo, per esempio, il capitolo 2 (lo dovrei aver già citato in parte), dove sono citate varie coppie, si ha l'impressione che si debba, per così dire, "trascendere" il piano degli "opposti".

CARLO
Ricordati della necessaria paradossalità del Tao: esso trascende il mondo, ma la sua "imago" è onnipresente, cioè è presente nelle fibre più profonde del mondo come suo Principio. Non a caso si chiama anche "Principio di unità dei contrari". Per rappresentarlo, dunque, non puoi farlo che attraverso una unità di contrari. Insomma dovrai rassegnarti all'idea che il Silenzio è solo una delle sue polarità costitutive; l'altra è il Clamore della Parola. Dio è il Padre nei Cieli, ma è anche e soprattutto il Figlio incarnato in terra.

Cit. CARLO
Il monismo è un'altra cosa: è l'assolutizzazione di uno dei due opposti a scapito dell'ontologia dell'altro. Invece, l'unità del Tao non fagocita la dualità ontologica di yin e yang poiché esso appartiene ad un piano superiore, trascende la dualità. E' l'analogia-complementarità costitutiva-originaria di yin e yang che permettono la loro convergenza verso un'unità superiore senza tuttavia perdere la propria sovranità-alterità-ontologia individuale. Nello stesso modo in cui gli amanti, pur essendo due, trovano la loro unità in quel tertium superiore (quando c'è) che chiamiamo "amore". L'amore non annulla rispettivamente la virilità e la femminilità degli amanti ma, anzi, paradossalmente, li esalta, li porta al loro massimo compimento nell'unità. Per questo l'amore innalza fino al ...Tao, o al Cielo, o all'Infinito (o ci sprofonda all'inferno la sua perdita), ed è ancora per questo che il rito del matrimonio si celebra in presenza di un sacerdote che lo "consacra" non come semplice unione, ma come "unione in Dio (o in Cristo)". ...E torniamo, così, al concetto di uni-trinità del Principio.

APEIRON
Però, per farti un esempio, la tua filosofia mi sembra più vicina ad Hegel che al Taoismo. Anche se il tema della "complementarietà degli opposti" c'è anche nel Taoismo, è in Hegel che viene definita come il "Massimo", il "punto più alto". E, secondo Hegel, la Realtà non è che il processo Dialettico che l'Assoluto fa con se stesso. Ma in Hegel, appunto, non viene evidenziato il "Silenzio", che invece sembra essere "esplicitamente" più importante nel Taoismo.  

CARLO
Hegel ha commesso due errori (od omissioni) che hanno condannato la Dialettica alla sterilità filosofica:
1 - ha con-fuso opposizione dialettica e contraddizione;
2 - ha posto quel tertium che ha chiamato sintesi sullo stesso piano (immanente) degli opposti tesi e antitesi.
Ciò ha indotto molti logici a vedere nella Dialettica una palese violazione del principio di non contraddizione e quindi a rifiutarla. Si veda, per esempio, Popper:
https://digilander.libero.it/moses/poppol1.html

Cit. CARLO
Avendo a che fare con un "noumeno" inosservabile, inconoscibile e assolutamente separato dalla cosa fenomenica, e con un Dio assolutamente trascendente e separato da ogni esperienza, non si può che sfociare nel relativismo e nell'agnosticismo.

APEIRON
Non concordo. Per passare al relativismo bisogna anche abbandonare l'etica. Come cercavo di dirti, Kant praticamente riteneva che l'etica fosse una "porta" per ciò che la ragione non riusciva ad "afferrare" (perciò, concordo, strettamente parlando con l'agnosticismo. Finché ci si limita alla "ragion pura"...quando si passa alla "ragion pratica", no).

CARLO
Con un "mondo in sé" e un Dio inconoscibili, il famoso "imperativo morale" fa presto a dissolversi in un flatus vocis non appena si osservi l'esistenza fosse anche di un solo individuo privo di qualunque scrupolo etico; e nel mondo ce n'è più di uno.

APEIRON
P. S. Hegel, per fare un esempio, riteneva che Essere e Non-Essere fossero complementari e che la loro dialettica "producesse" il Divenire. E che tale Divenire fosse l'evoluzione del Tutto (che era interconnesso... Non a caso a Bohm, da quanto mi ricordo, la metafisica Hegeliana piaceva molto). Il Divenire era quindi l'espressione "primaria", per così dire della Dialettica.
Così Hegel "spiegava" perché "si osserva" il divenire e non l'essere.

CARLO
La soluzione del dualismo apparente Essere/Divenire è quella di concepire non un Divenire caotico, ma un Divenire ordinato, soggetto cioè alle medesime regole del Principio "eterno" che regge l'Essere non-diveniente. Solo in questo modo il Divenire rientra nei ranghi dell'Essere.
E questo è esattamente ciò che osserva Jung in quei processi di trasformazione spirituale che egli chiama "processi di individuazione". La dinamica di tali processi non è sintetizzabile in poche righe, ma possono essere indicative delle affermazioni come queste:

"Il problema dei contrari inteso come principio inerente alla natura umana rappresenta un altro passo avanti nel nostro graduale processo conoscitivo. Questo problema è un problema dell'età matura".  [C.G.JUNG: Psicologia dell'inconscio - pg.107]

"La polarità della struttura della psiche è in comune con tutti i processi naturali. Questi ultimi sono fenomeni energetici che scaturiscono sempre da uno stato "meno probabile" di tensione tra gli opposti. Questa formula si rivela di particolare importanza per la psicologia, nella misura in cui la coscienza esita di solito a riconoscere o ad ammettere il carattere di polarità del suo sfondo, anche se proprio da quest'ultimo trae la sua energia".  [JUNG: Mysterium coniunctionis  - pg. 8]

"Il processo naturale dell'unificazione tra contrari è diventato per me un modello e il fondamento di un metodo che consiste essenzialmente in questo: far emergere intenzionalmente ciò che per sua natura si verifica inconsciamente e spontaneamente, e integrarlo nella coscienza e nel suo modo di vedere proprio". [JUNG: Psicologia dell'inconscio - pg.135]

"I simboli usciti dall'inconscio, che appaiono nei sogni, indicano la necessità di porre a confronto i contrari, mentre le immagini della meta rappresentano la loro armonizzazione ben riuscita". [JUNG:Psicologia e religione - pg.441]

"La natura non si limita a contenere un processo di trasformazione: essa è la trasformazione stessa. Non tende all'isolamento, bensì alla "coniunctio oppositorum", alla festa nuziale, cui fanno seguito morte e rinascita. [...] Qui avviene il ricongiungimento degli opposti, che la luce proveniente dall'alto aveva bruscamente separato".  [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.199]
#463
"Presso l'uomo delle società arcaiche; per lui le cose si ripetono all'infinito e, in realtà, non avviene nulla di nuovo sotto il sole. Ma questa ripetizione ha un signilicato: essa sola conferisce una realtà agli avvenimenti. Gli avvenimenti si ripetono poiché imitano un archetipo: l'avvenimento esemplare". [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.119/20]

"È probabile che il desiderio, che prova l'uomo delle società tradizionali, di rifiutare la «storia» e di limitarsi a una imitazione indefinita degli archetipi, tradisca la sua sete del reale e il suo terrore di «perdersi», lasciandosi invadere dal carattere insignificante dell'esistenza profana. Poco importa se la formula e le immagini con le quali il «primitivo» esprime la realtà ci appaiono infantili e anche ridicole; il senso profondo del comportamento primitivo è però rivelatore: questo comportamento è retto dalla credenza in una realtà assoluta che si oppone al mondo profano delle «irrealtà»; in ultima analisi, quest'ultimo non costituisce a rigore un «mondo», è l'«irreale» per eccellenza, il non creato, il non esistente: il nulla.
Si ha quindi il diritto di parlare di un'ontologia arcaica, e soltanto tenendo conto di questa ontologia si giunge a comprendere - e dunque a non disprezzare - il comportamento, anche il più stravagante, del «mondo primitivo»; infatti questo comportamento corrisponde a uno sforzo disperato per non perdere il contatto con l'essere".  [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.121]

"Che cosa significa «vivere» per un uomo appartenente alle culture tradizionali? Prima di tutto, vivere secondo modelli extraumani, in conformità agli archetipi. Di conseguenza, vivere al centro del reale, poiché [...] di veramente reale vi sono soltanto gli archetipi. Vivere conformemente agli archetipi significava rispettare la «legge», poiché la legge era soltanto una ierofania primordiale, la rivelazione in illo tempore delle norme dell'esistenza, fatta da una divinità o da un essere mitico. E se per mezzo della ripetizione dei gesti paradigmatici e delle cerimonie periodiche, l'uomo arcaico riusciva, come abbiamo visto, ad annullare il tempo, viveva però in concordanza con i ritmi cosmici; potremmo anche dire che si integrava a questi ritmi (ricordiamo soltanto come sono «reali» per lui il giorno e la notte, le stagioni, i cicli lunari, i solstizi, ecc.)".  [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.126]

"I gesti archetipici, ulteriormente riprodotti senza interruzione dagli uomini, erano anche delle ierofanie e delle teofanie. La prima danza, il primo duello, la prima spedizione di pesca, proprio come la prima cerimonia nuziale o il primo rituale, diventavano esempi per l'umanità, poiché rivelavano un modo di esistenza della divinità, dell'uomo primordiale, dell'eroe civilizzatore, ecc.. Ma queste rivelazioni erano avvenute nel Tempo mitico, nell'istante extra-temporale dell'inizio; così tutto coincideva in un certo senso con l'inizio del mondo, con la cosmogonia. Tutto è avvenuto ed è stato rivelato in quel momento, in illo tempore. [...]
Invece tutto è diverso nel caso della rivelazione monoteistica. Questa è avvenuta nel tempo, nella durata storica: Mosè riceve la « legge » in un certo luogo, una determinata «data». Ovviamente intervengono anche qui degli archetipi, nel senso che questi avvenimenti, elevati a esemplari, saranno ripetuti, ma lo saranno solamente quando i tempi saranno compiuti, cioè in un nuovo illud tempus. Per esempio, come profetizza Isaia (11,15-16), i miracoli del passaggio del Mar Rosso e del Giordano si ripeteranno «quel giorno». Ma il momento della rivelazione fatta a Mosè da Dio resta nondimeno un momento limitato e ben determinato nel tempo. E come rappresenta nello stesso tempo una teofania, acquista anche una nuova dimensione: diventa prezioso nella misura in cui non è più reversibile, è un avvenimento storico.
Tuttavia a fatica il messianismo giunge a perfezionare la valorizzazione escatologica del tempo: il futuro rigenererà il tempo, cioè gli restituirà la sua purezza e sua integrità originaria. In illo tempore si situa in questo modo non soltanto agli inizi, ma anche alla fìne del tempo".                [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pp.138]

"È lecito considerare Orfeo uno «sciamano» e paragonare la discesa di Cristo agli Inferni alle analoghe discese degli sciamani in estasi? Tutto vi si oppone: nelle diverse culture e religioni - siberiana o nord americana, greca, giudeo-cristiana - queste discese sono valorizzate in modo molto diverso. Un elemento, comunque, rimane immutabile e non deve essere perso di vista: il persistere del motivo archetipico della discesa agli Inferi compiuto per la salvezza di an'anima, l'anima di un malato qualsiasi (sciamanismo stricto sensu), della sposa (miti greci, nord americani, polinesiani, centro asiatici) o dell'umanità tutta intera, poco importa per il momento. La discesa, questa volta, non è più soltanto iniziatica e intrapresa per un vantaggio personale, ma ha uno scopo «salvifico»: si «muore» e si «resuscita» non più per completare un'iniziazione già acquisita, bensì per salvare un'anima. Una nuova nota caratterizza l'archetipo dell'iniziazione: la morte simbolica non serve unicamente alla propria perfezione spirituale (in definitiva, la conquista dell'immortalità), ma si realizza per la salvezza degli altri. Non abbiamo affatto la pretesa di indicare nello sciamano primitivo o nell'Orfeo nord americano o polinesiano la prefigurazione di Cristo. Ci limitiamo a constatare che l'archetipo dell'iniziazione contiene anche questa valenza della «morte» (= discesa agli Inferi) a vantaggio di un altro. (Osserviamo al passaggio che la seduta sciamanica, nel corso della quale si verifica la «discesa agli Inferi» equivale ad un'esperienza mistica; lo sciamano è «fuori di sé», la sua anima ha abbandonato il suo corpo).          
Un'altra esperienza sciamanica fondamentale è l'ascensione celeste: tramite l'albero cosmico, piantato nel «Centro del mondo», lo sciamano penetra nel cielo e vi incontra il dio supremo. È noto che tutti i mistici utilizzano il simbolismo dell'ascensione per raffigurare l'elevazione dell'anima umana e l'unione con Dio. Nulla permette di dichiarare identiche l'ascensione celeste dello sciamano, quella di Buddha, di Maometto o di Cristo. Questo non toglie, tuttavia, che la nozione di trascendenza si esprime universalmente attraverso una immagine di elevazione e che l'esperienza mistica, qualunque sia la religione che la vede nascere, implica sempre un'ascensione al cielo". [M.ELIADE: Immagini e simboli - pp.147-48]

"Il valore magico-farmaceutico di certe erbe è dovuto a un prototipo celeste della pianta [...]. Nessuna pianta è preziosa di per sé, ma soltanto grazie alla sua partecipazione a un archetipo".     [M. ELIADE: Trattato di storia delle religioni - pg.307]

"La psicologia del profondo, attirando l'attenzione sulla sopravvivenza dei simboli e dei temi mitici nella psiche dell'uomo moderno, mostrando che la riscoperta spontanea degli archetipi del simbolismo arcaico è cosa comune a umani, senza differenze di razza e di ambiente storico, ha fatto crollare le ultime esitazioni dello storico delle religioni. (...)
Nel prospettare lo studio dell'uomo non solo quale essere storico, ma altresí quale simbolo vivente, la storia delle religioni potrebbe diventare, ci si passi il termine, una metapsicoanalisi. Essa condurrebbe, infatti, ad un risveglio e ad una nuova presa di coscienza dei simboli e degli archetipi arcaici, viventi o fossilizzati nelle tradizioni religiose dell'intera umanità. Ci siamo arrischiati ad usare il termine di metapsicoanalisi poiché si tratta di una tecnica più spirituale, tesa piuttosto a chiarire il contenuto teorico dei simboli e degli archetipi, a rendere trasparente e coerente ciò che è «allusivo», criptico o frammentario. Si potrebbe anche parlare di una nuova maieutica".   [M.ELIADE: Immagini e simboli - pg.35-36]

"La storia di un simbolismo è un argomento di studio appassionante e del resto assolutamente giustificato, in quanto costituisce la migliore introduzione a ciò che è stata chiamata la filosofia della cultura. Le immagini, gli archetipi, i simboli sono vissuti e valorizzati in modi diversi: il prodotto di queste attualizzazioni è ciò che in gran parte costituisce lo «stile culturale» di una determinata regione. A Ceram, nelle isole molucche, e ad Eleusi ritroviamo le avventure mitiche di una fanciulla primordiale: Hainuwele e Kore Persefone. Dal punto di vista strutturale i loro miti si assomigliano, eppure, che differenza tra la cultura greca e quella di Ceram! [...]
Se queste culture, in quanto formazioni storiche, non sono più intercambiabili essendo già costituite nei loro proprii stili rispettivi, sono però reciprocamente paragonabili al livello delle immagini e dei simboli archetipici. Proprio questa perennità e questa universalità degli archetipi è ciò che «salva» in ultima istanza le culture, rendendo al tempo stesso possibile una filosofia della cultura che sia più di una morfologia o di una storia degli stili".   [M.ELIADE: Immagini e simboli - pg.153]

Sullo stesso tema si vedano anche i seguenti threads:
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/alcune-varianti-dell'archetipo-del-'diluvio-universale'/

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/l'archetipo-della-complementarita-l'archetipo-piu-diffuso-nella-storia-della-cu/

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/le-varianti-simboliche-della-'trinita'/

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/le-varianti-mitiche-del-'salvatore'-volti-diversi-di-uno-stesso-archetipo/



A. BRANDUARDI - I santi
https://youtu.be/g_JNj-7EHe0?t=22
#464
"Ognuno degli esempi citati in questo capitolo ci rivelerà la medesima concezione ontologica «primitiva»: un oggetto o un atto diventa reale soltanto nella misura in cui imita o ripete un archetipo. Così, la realtà si acquista esclusivamente in virtù di ripetizione o di partecipazione; tutto quello che non ha un modello esemplare è «privo di senso», cioè manca di realtà. Gli uomini avrebbero quindi tendenza a divenire archetipici e paradigmatici".    [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.54]
 
"Per il pensiero arcaico il mondo che ci circonda, civilizzato dalla mano dell'uomo, ha, come unica validità, quella dovuta al prototipo extraterrestre che gli è servito di modello. L'uomo costruisce secondo un archetipo; non soltanto la sua città o il suo tempio hanno modelli celesti, ma anche tutta la regione che abita, con i fiumi che la bagnano, i campi che gli dànno il nutrimento, ecc.".   [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.23]

"Secondo le credenze mesopotamiche, il Tigri ha il suo modello archetipo nella stella Anunit, e l'Eufrate nella stella della Rondine. Un testo sumerico parla della «dimora delle forme degli dèi », in cui si trovano «[gli dèi] dei greggi e quelle dei cereali». Anche per i popoli altaici le montagne hanno un prototipo ideale nel cielo. I nomi dei luoghi e dei nomi egiziani erano dati secondo i «campi celesti»: si cominciava con il conoscere i «campi celesti », poi li si identifìcava nella geografia terrestre.
Nella cosmologia iranica di tradizione zervanita «ogni fenomeno terrestre, astratto o concreto, corrisponde a un termine celeste, trascendente, invisibile, a un"' idea" nel senso platonico. Ogni cosa, ogni nozione si presenta sotto un duplice aspetto: quello di mênôk e quello di gêtîk. Vi è un cielo visibile: vi è quindi anche un cielo mênôk che è invisibile (Bundahishn, c. 1). La nostra terra corrisponde a una terra celeste. Ogni virtù praticata quaggiù, nel gêtâh, possiede una controparte celeste che rappresenta la vera realtà".  [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.19]
 
"La santità del Tempio si trova al riparo da ogni corruzione terrestre, e ciò per il fatto che il progetto architettonico del Tempio è opera divina, quindi si trova vicino agli dèi, in Cielo. I modelli archetipici trascendenti dei Templi beneficiano di un'esistenza spirituale, incorruttibile, celeste. Per grazia divina, l'uomo è ammesso alla visione folgorante di questi modelli, sforzandosi poi di riprodurli sulla Terra".  [M. ELIADE: Il sacro e il profano - pg.43]
 
"Sul monte Sinai, Jahvè mostra a Mosè la «forma» del santuario che dovrà costruirgli: «Costruirete il tabernacolo con tutti gli arredi, esattamente secondo il modello che ti mostrerò» (Es. 25,8-9). «Guarda e costruisci tutti questi oggetti secondo il modello che ti ho mostrato sulla montagna» (25,40]. E quando Davide dà a suo fìglio Salomone la pianta delle fondamenta dei tempio, del tabernacolo e di tutti gli arredi lo assicura che «tutto ciò... si trova esposto in uno scritto opera della mano dell'Eterno, che me ne ha dato la comprensione» (Cron. 1,28,19). Di conseguenza ha visto il modello celeste".   [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.20]
 
"Il più antico documento concernente l'archetipo di un santuario è l'iscrizione di Gudéa che si riferisce al tempio innalzato da lui a Lagash. Il re vede in sogno la dea Nidaba, che gli mostra un pannello su cui sono elencate le stelle benefiche, e un dio, che gli rivela la pianta del tempio.
Anche le città hanno il loro prototipo divino. Tutte le città babilonesi avevano i loro archetipi in costellazioni: Sippar nel Cancro, Ninive nell'Orsa Maggiore, Assur in Arturo, ecc.. Sennacherib fa costruire Ninive secondo «il progetto stabilito da tempi remotissimi nella configurazione del cielo». Non soltanto un modello precede l'architettura terrestre, ma si trova anche in una « regione» ideale (celeste) dell'eternità. Lo proclama Salomone: «Tu mi hai ordinato di costruire il tempio nel tuo santissimo Nome, e anche un altare nella città in cui tu abiti, secondo il modello della tenda santissima, che tu avevi preparato fin dall'inizio! »
(Sapienza, 9:8)". [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg. 20-21]
 
"Una Gerusalemme celeste è stata creata da Dio prima che la città di Gerusalemme fosse costruita dalla mano dell'uomo: a quella si riferisce il profeta nell'Apocalisse Siriaca di Baruch, 2,42, 2-7: « Credi che sia là la città di cui ho detto: "Nella palma delle mie mani ti ho fondata"? La costruzione che si trova attualmente in mezzo a voi non è quella che è stata rivelata in me, quella che era preparata dal tempo in cui mi sono deciso a creare il paradiso, e che ho mostrato ad Adamo prima della sua colpa...». (...)
Ma la più bella descrizione della Gerusalemme celeste si trova nell'Apocalisse (21,2 ss.): «E io, Giovanni, ho visto la città santa, la nuova Gerusalemme, che discendeva dal cielo, da presso Dio, pronta come una sposa che si è adornata per il suo sposo ».
Ritroviamo la stessa teoria in India: tutte le città regali indiane, anche moderne, sono costruite sul modello mitico della città celeste in cui abitava nell'età dell'oro (in illo tempore) il sovrano universale. E, proprio come quello, il re si sforza di far rivivere l'età dell'oro, di rendere attuale un regno perfetto, idea che ritroveremo nel corso del presente studio. Così, per esempio, il palazzo-fortezza di Sîhagiri, a Ceylon, è costruito sul modello della città celeste Alakamanda, ed è «di difficile accesso per gli esseri umani» (Mahâvastu, 39,2). Anche la città ideale di Platone ha un archetipo celeste (Rep. 592b, cfr. ibid., 500e). Le «forme» platoniche non sono astrali, ma la loro regione mitica si situa tuttavla su piani sopra-terreni (Fedro, 247, 250)".     [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pp. 21-22]
 
"Così, il mondo che ci circonda, in cui si sente la presenza e l'opera dell'uomo — le montagne sulle quali vive, le regioni popolate e coltivate, i fiumi navigabili, le città, i santuari — hanno un archetipo extraterreno, concepito sia come una «pianta», come una «forma», sia semplicemente come un «doppio» esistente precisamente a un livello cosmico superiore. Ma non tutto, nel «mondo che ci circonda», ha un prototipo di questa specie. Per esempio, le regioni desertiche abitate da mostri, i territori incolti, i mari sconosciuti su cui nessun navigatore ha osato avventurarsi ecc. non dividono con la città di Babilonia o con il nomo egiziano il privilegio di un prototipo differenziato. Essi corrispondono a un modello mitico ma di un'altra natura: tutte queste regioni selvagge, incolte, ecc. sono assimilate al caos; esse partecipano ancora della modalità indifferenziata, informe, precedente la creazione. Per questo, quando si prende possesso di un determinato territorio, cioè quando si comincia ad esplorarlo, si compiono riti che ripetono simbolicamente l'atto della creazione; la zona incolta
è prima di tutto « cosmizzata », poi abitata". [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pp. 22-23]
 
"La carta di Babilonia mostra la città al centro di un vasto territorio circolare circondato dal fiume Amer, esattamente come i sumeri si raffiguravano il paradiso: questa partecipazione delle culture urbane a un modello archetipico conferisce loro la realtà e la validità".  [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pp. 23/25]
 
"Il ricordo di un avvenimento storico o di un personaggio autentico non sussiste più di due o tre secoli nella memoria popolare. Questo è dovuto al fatto che la memoria popolare trattiene difficilmente avvenimenti «individuali» e figure «autentiche». Essa funziona per mezzo di strutture diverse: categorie al posto di avvenimenti, archetipi al posto di personaggi storici. Il personaggio storico viene assimilato al suo modello mitico (eroe, ecc.), mentre l'avvenimento viene integrato nella categoria delle azioni mitiche. (...)
Questa riduzione degli avvenimenti a categorie e degli individui ad archetipi, realizzata dalla coscienza degli strati popolari europei quasi fino ai nostri giorni, avviene in conformità all'ontologia arcaica. Si potrebbe dire che la memoria popolare restituisce al personaggio storico dei tempi moderni il suo significato di imitatore dell'archetipo e di riproduttore dei gesti archetipici - significato di cui i membri delle società arcaiche sono stati e continuano ad essere coscienti".   [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.65-66]
 
"La trasformazione del defunto in «antenato» corrisponde alla fusione dell'individuo in una categoria d'archetipo. In numerose tradizioni (in Grecia, per esempio), le anime dei morti comuni non hanno più «memoria», cioè perdono quella che si può chiamare la loro individualità storica. La trasformazione dei morti in larve, ecc., significa in un certo senso la loro reintegrazione nell'archetipo impersonale dell'«antenato». Il fatto che, nella tradizione greca, soltanto gli eroi conservino la loro personalità (cioè la loro memoria) dopo la morte, è di facile comprensione: avendo realizzato nella sua vita terrena soltanto azioni esemplari, l'eroe ne conserva iI ricordo, poiché da un certo punto di vista, queste azioni sono state impersonali".      [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.69]   
 
"L'uomo ha sentito il bisogno di riprodurre la cosmogonia nelle sue costruzioni, di qualsiasi specie esse siano; questa riproduzione infatti lo rendeva contemporaneo del momento mitico-archetipico dell'inizio del mondo e provava il suo bisogno di ritornare più spesso che poteva a quel momento mitico per rigenerarsi".  [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.105]
pg.115]
 
Continua...
#465
Citazione di: Lou il 12 Ottobre 2018, 18:26:18 PM
Citazione di: Kobayashi il 12 Ottobre 2018, 08:55:21 AM
Anche se l'inconscio collettivo fosse reale, mi pare che la tendenza sia sempre quella di pensarlo come qualcosa di positivo. E se invece fosse un ricettacolo di tendenze irrazionali, magiche etc., che alla fine rappresentano solo un ostacolo alla propria consapevolezza e che infatti vengono oggettivate nei simboli della religione?
Perché non fare come con il cosiddetto inconscio individuale che deve essere "lavorato" solo quando contiene forze che ci impediscono di vivere liberi?
Nostalgia di credenze antiche irrecuperabili così come l'inconscio individuale prende forza dall'incapacità di staccarsi dal mondo potente e vivido (ma pieno di trappole) dell'infanzia...

LOU
L'inconscio collettivo è anche, ma non solo, un ricettacolo di tendenze irrazionali, non ritengo che Jung abbia mai esistato ad affermarlo e lasciato dubbi su questo aspetto.

CARLO
Il termine "irrazionale" ha due significati distinti:
1 - ciò che non proviene dall'attività razionale;
2 - ciò che contraddice le regole della ragione
Se intendiamo i contenuti provenienti dall'inconscio secondo il significato 1), essi sono squisitamente irrazionali; se invece li intendiamo secondo il significato 2) essi sono quanto di più razionale si possa concepire, come sono razionali tutti gli eventi della natura.
Altra cosa è, invece, stabilire con certezza che il soggetto che ha a che fare con quei contenuti sia all'altezza di comprenderne il significato, cioè di coglierne fino in fondo la razionalità.
Scrive Jung:

"Come si sa per esperienza, la psiche oggettiva (l'inconscio) ha una indipendenza estrema. Se non l'avesse, non potrebbe esercitare la sua funzione peculiare: la compensazione della coscienza. La coscienza è ammaestrabile come un pappagallo, non così l'inconscio. Per questa ragione Sant'Agostino ringraziò il Signore di non averlo reso responsabile dei propri sogni. L'inconscio è e rimane una parte della natura che non può venir né corretta né corrotta; i suoi segreti possono soltanto essere intravisti, non manipolati".  [JUNG: Psicologia e alchimia - pg.52]

"Se i sogni producono compensazioni così essenziali, perché allora non sono comprensibili? La risposta è che il sogno è un fatto naturale, e la natura non manifesta la minima tendenza a mettere a disposizione i suoi frutti per così dire gratis e in conformità con le aspettative dell'uomo. Si obietta spesso che la compensazione è inefficace se il sogno non è stato capito. La cosa però non è così sicura, perché sono molte le cose che operano efficacemente senza essere pienamente comprese. Senza dubbio però la nostra comprensione può accrescere considerevolmente l'efficacia, cosa questa spesso necessaria, poiché l'inconscio non può essere sentito. "Quod natura relinquit imperfectum, ars perficit" (ciò che la natura lascia imperfetto, lo compie l'arte), dice un proverbio alchimistico".   [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.316]