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Messaggi - paul11

#451
Tematiche Filosofiche / Re:Filosofia politica
12 Novembre 2019, 00:26:31 AM
Citazione di: viator il 11 Novembre 2019, 21:56:17 PM
Salve Paul11: Tutto sommato, io la vedo come questione legata all'esistenza (o meno) del libero arbitrio.

Se il libero arbitrio non esiste, qualsiasi differenza tra gli umani per come essi individualmente nascono e diventano deve essere accettata come in sè fatale e non potrà nè colpevolizzare nè assolvere alcuno, qualsiasi scelta costui operi (in realtà quindi : qualsiasi scelta egli creda di compiere autonomamente).

Se invece esiste, sarà assurdo e vano chiedere a tutti coloro che risultano avvantaggiati per un qualsiasi motivo (origine, fortuna, merito) di rinunciare a qualche aspetto della loro fortuna per favorire - a scopo di astratta giustizia - la condivisione dei loro vantaggi innati od acquisiti con altri i quali magari non sarebbero neppure in grado di sfruttarli.

L'intraprendenza dell'imprenditore (avvantaggiato dalle proprie doti) comporta per i suoi operai sia il vantaggio che lo sfruttamento.

In quale misura il rinunciare allo sfruttamento da parte dell'imprenditore (condividendo le risorse) genera la riduzione o l'eliminazioe del vantaggio retributivo di cui godono i dipendenti ?.
(Non sfruttare non significa solo accontentarsi di giusti utili ma anche dover spendere di più per il benessere dei dipendenti).

In realtà qualsiasi imprenditore (gli imprenditori sono tutti convinti di possedere il libero arbitrio) mai delegherà ad altri l'uso degli strumenti e dei benefici che egli possiede convinto (giustamente, da libero imprenditore) che nessun altro abbia il diritto e la capacità di condurre le cose come egli sa fare. Se non fosse così, mai si sarebbe sognato di fare l'imprenditore. Avrebbe fatto il dipendente il quale si sarebbe rassegnato al non saper inseguire successo ed utilità sociale (l'imprenditore considera sinonimi tali due termini). Saluti.
ciao Viator,
Se il libero arbitrio non esiste siamo nel naturalismo puro. E come ho scritto a Davintro basta fino ad un certo punto, poichè lascia la porta aperta ai meno fortunati di poter sovvertire i privilegiati.
E' la legge del branco, del più forte in natura, che per mimesi diventa nelle organizzazioni umane, astuzia, intelligenza. Quindi è debole come concetto. Diventa forte se oltre alla natura si relaziona a Dio e questo c'è nel protestantesimo che infatti nega il libero arbitrio e accetta la grazia divina.
E' la mimesi dell'imperatore incoronato dal Papa che diventa autoinvestitura per nascita nei nostri tempi.Ma questo vale grazie al diritto privato sulla proprietà, sulle rendite, sui patrimoni, sull'ereditarietà che passa di generazione. Allora vediamo una sorta di sincretismo laico, in un Stato che si dichiara laico, dove si accettano le differenze "perchè è sempre stato così..........."
I dispositivi storici sono numerosi e potenti e sono stati mantenuti ,ma riempiendoli di nuovi contenuti e modalità per far accettare lo status quo come invincibile ,al di fuori delle volontà umane, appunto come un dominio naturale potente.
Ma non è proprio così, perché lo Stato è un'invenzione umana non una creazione della natura.

Se passiamo all'ipotesi invece dove c'è l libertà, quest'ultima è volutamente esaltata, proprio perché esalta il ruolo di chi è arrivato ai ruoli di privilegio. Ma la libertà è un valore difficilmente coniugabile con l' eguaglianza e quindi la giustizia è impraticabile.

Ci sono allora due aspetti da tener presente: l'imprenditore può reggere ne lsuo ruolo economico sociale se il subordinato lo accetta, ma c'è anche il terzo , lo Stato. Che ruolo ha lo Stato nell'ordinamento giuridico fra il rapporto imprenditore e subordinato? Lo Stato ,non dimentichiamolo, ha il monopolio della violenza, ha la legittimazione, ha l' autorità e la sovranità del popolo con i suoi eletti.
Tutti gli ordinamenti di tutti gli Stati sono con il privilegiato. Quindi il potere contrattuale che è un negozio giuridico e contrattuale fra imprenditore e subordinato è a lui favorevole (se chiude l'attività lascia sulla strada il lavoratore). Tutti gli Stati salvaguardano la libertà d'impresa. Questa è la vera libertà tanto decantata in Occidente .Può chiudere un''attività produttiva e aprirne altre semplicemente con un piano industriale e senza che sia in perdita. Non c'è bisogno di crisi e fallimenti. E l'ordinamento giuridico fa prevalere l'esercizio dell' attività imprenditoriale sui diritti della persona subordinato/lavoratore. Quindi a chi serve lo Stato? Persegue che tipo di giustizia?
Saluti
#452
Tematiche Filosofiche / Re:Filosofia politica
12 Novembre 2019, 00:00:05 AM
Citazione di: Ipazia il 09 Novembre 2019, 16:03:02 PM
Filosofia politica é mimesis di etica. Trattarla al singolare é punto d'arrivo (provvisorio), non di partenza. Altrimenti si cade nella (vituperata) tecnocrazia. Nel pensiero unico. Anthonyi l'ha correttamente fatto rilevare.
non proprio. E' vero che  la filosofia morale è diventata filosofia poltica.
Ma dal Principe di Machiavelli c'è la distinzione fra attività  politica e  morale...................
#453
Tematiche Filosofiche / Re:Filosofia politica
11 Novembre 2019, 23:41:34 PM
Citazione di: anthonyi il 09 Novembre 2019, 07:59:16 AM
Citazione di: paul11 il 09 Novembre 2019, 00:46:12 AM


C'è una diseguaglianza in origine: c'è chi comanda e chi obbedisce. Per Hegel il vincolo fra Stato e cittadino è permanete e inderogabile. Per questo criticò fortemente il contrattualismo giusnaturalista,secondo cui in origine vi è un contratto fra individui per costituire una società.

Come tu dici, paul, c'è chi obbedisce. Obbedendo, di fatto, attua i termini del Contratto sociale. Certo il Contratto sociale originario è una figura ideale, ma la parte importante dei contratti è la loro esecuzione da parte dei contraenti (Caso Arcelor-Mittal-ILVA docet).
il contratto sociale nasce nel concetto di Stato da parte del giusnaturalismo, il diritto di natura.
Il concetto di autorità e sovranità è tipico di chi regge lo Stato e costruisce il rapporto di comando e obbedienza nella legittimità.
Il caso dell' Ilva rientra ne l negozio giuridico che è privato e non pubblico.
#454
Tematiche Filosofiche / Re:Filosofia politica
11 Novembre 2019, 12:42:29 PM
Citazione di: davintro il 08 Novembre 2019, 18:21:15 PM
Al di là della distinzione tra giustizia commutativa e distributiva, vorrei evidenziare come in entrambi i modelli emerga il valore, assunto a criterio normativo, del merito. L'idea che la politica dovrebbe attivarsi perché il possesso dei beni da parte dei cittadini segua logiche di "merito" (in fondo anche il principio dell'associare retribuzione e quantità di lavoro, segue un principio meritocratico, se ti impegni allora vuol dire che "meriti" una ricompensa). Ma, come già colto da Anthony, la definizione del "merito" porta con sé una certo carattere di soggettività e arbitrarietà, e dunque uno stato che intervenga sulla base del principio del merito finirebbe col sovrapporre un'ideale etico di valore ("merito" implica sempre un giudizio di valore, quella persona merita il possesso di un bene, perché il suo agire è riconosciuto come "virtuoso", utilizzando un modello di virtù posto come oggettivamente l'unico possibile), elaborato dai governanti, che viene imposto socialmente, discriminando modelli etici alternativi e alternative corrispondenti definizioni di merito. In questo senso andrebbe fatta una fondamentale distinzione tra i campi entro cui seguire un principio genericamente meritocratico avrebbe o meno legittimità nel contesto di uno stato di diritto, che non voglia porsi come totalitario. Tale principio resta legittimo a livello puramente strumentale, utilitaristico: è necessario che l'efficienza dei servizi che lo stato offre ai suoi individui sia garantita dalla selezione dei più meritevoli, o meglio, competenti, ai posti di responsabilità, in questo contesto la meritocrazia è funzionale a che lo stato svolga nel migliore dei modi possibili la funzione per cui storicamente sorge, cioè garantire servizi che in una condizione di anarchia non sarebbero garantiti, prima di tutto la sicurezza personale. La meritocrazia perde legittimità nel momento in cui, oltre al limitarsi a essere criterio selettivo dei ruoli lavorativi, diviene anche criterio di distribuzione di beni o diritti. In quest'ottica, lo stato non si limiterebbe più ad essere una semplice funzione al servizio degli individui, dalla cui volontà dipende il suo esistere, ma si pone come autorità etica, che come un genitore o un Dio biblico interviene per distribuire premi e punizioni, in nome di un'ideale di merito e giustizia, che inevitabilmente coinciderà con quello dei governanti. Ecco perché personalmente sono molto critico verso certe frange di "liberali" che identificano così strettamente meritocrazia e liberalismo: oltre i limiti del carattere strumentale del termine, meritocrazia implica l'idea di uno stato etico giustizialista che pretende di sapere più dei singoli individui cosa è meritevole e cosa no, cosa sarebbe giusto e cosa no, cosa virtuoso e cosa no, interferendo nella loro libertà di agire sulla base della loro soggettiva idea di merito e giustizia (riservandosi di intervenire, solo nel caso la libertà di qualcuno danneggiasse in termini oggettivamente riconoscibili quella altrui). Considerando, però come un concetto di giustizia, molto difficilmente, molto astrattamente, potrebbe privarsi di un determinato contenuto come una certa definizione di "merito" in senso valoriale e non solo utilitaristico, appare come il valore fondamentale di uno stato di diritto non totalitario, non dovrebbe essere tanto la "giustizia", ma la "libertà".

Al contrario, per quanto riguarda, cito dal post di apertura, "tutti devono avere un minimo vitale che gli consenta di avere una casa, non necessariamente di proprietà, e i beni e servizi necessari al sostentamento.", direi che questo è una norma fortemente legittimabile a livello teorico nel contesto del modello di stato di diritto, cioè un modello che si limiti a concepire lo stato come funzione e servizio nei confronti dei cittadini, e non come loro arbitro morale. Anche qua, coerentemente con l'erronea identificazione tra meritocrazia genericamente intesa e liberalismo, ci troviamo costantemente di fronte a un altro equivoco, cioè l'idea che lo stato liberale non dovrebbe offrire alcuna assistenza minima economica a persone non in grado di ripagare la società tramite il lavoro, considerando "immorali"misure come redditi di cittadinanza o simili. In realtà una concezione di questo genere, che vincola la dignità dell'uomo al lavoro,  cioè al porsi come strumento, ruota dell'ingranaggio sociale, è ciò che vi sarebbe di più opposto alla mentalità liberale, in quanto tale concezione considererebbe la società non come mezzo subordinato al benessere degli individui, ma come autonomo soggetto di valore, la cui erogazione dei servizi è vincolata a un do ut des (servizi in cambio di lavoro), che presuppone l'associare qualcosa di astratto come la "società" allo stesso livello di valore dell'insieme concreto, in carne e ossa, dei singoli individui, in uno scambio alla pari tra pari, come se un livello minimo di benessere degli individui non fosse un diritto naturale incondizionato, ma condizionato all'adeguatezza delle richieste lavorative di una determinata società, pronta a esaltare come "meritevole" il self made man che partendo da zero si arricchisce tramite il lavoro, e ad abbandonare al destino che meriterebbero "parassiti oziosi", uomini di cultura, che dedicano la vita a produrre opere di grande spessore spirituale, ma impossibilitati a conseguire successo economico in una società troppo interiormente povera per riconoscere il loro valore. Cioè un determinato modello antropologico-morale di "merito" di stampo economicista, calvinista che si impone su quello umanistico e giusnaturalistico dell' "otium letterario, che pretende di essere l'unico oggettivamente valido perché dominante in un certo contesto sociale, collettivo, a scapito degli individui che non rientrano in tale modello.Cosa ci sarebbe di davvero liberale e individualistico in tale impostazione?
ciao Davintro,
Rispondendo, spero più puntualmente , la giustizia è più un criterio di eguaglianza ,fra i valori morali.
C'è chi nasce con problemi fisici, psichici, e chi ha talenti.Oltre a problemi di origine economica, c'è chi nasce da famiglia agiata, chi da povera, ecc.,la giustizia, attraverso la legge, dovrebbe costruire l'artificio  per compensare i problemi di natura e di ceto originari e di cui l'individuo non ha colpe se non il fatto di essere nato.

Ma c'è un problema storico ed atavico a mio parere e sottovalutato. L'Antico Testamento biblico, e non il cristianesimo da cui si differenzia, relaziona la natura con Dio, in modo tale che chi nasce ricco e ha talenti è perché Dio ha voluto che fosse così,viceversa per chi nasce meno fortunato.
Anche altre culture di diverse tradizioni hanno questo incipit originario.
Vi sono altre tradizioni ,come il cristianesimo, che invece trovano nel sociale, quel "ama il prossimo tuo come te stesso" , la compassione, la fratellanza, la solidarietà, una "parola" diversa, più di giustizia almeno compensativa.
Il protestantesimo , a differenza del cattolicesimo, ma direi tutta la cultura anglo sassone oggi imperante, focalizza ancora di più nelle opere, nel pragmatismo; per cui il lavoro, i ruoli sociali, diventano auto giustificativi di status sociali.
Per dirla chiaramente il concetto di giustizia seppur nello Stato laico, si porta internamente l'antica cultura di sintesi fra l'ebraico e il protestante che sono fondamentalmente più materialiste che spirituali, così come il diritto romano focalizzò più la giustizia negli istituti personali: proprietà, eredità.
Ed ecco la nostra società.
Sostengo da tempo che l'edonismo economico non poteva che nascere dagli empiristi scozzesi , e il fondatore delle scienze economiche Adam Smith, viene da quella cultura.

Gli influssi culturali portarono a dire nella cultura anglofona che grazie all'intraprendenza dell'imprenditore gli operai trovano il loro sostentamento. E qui si aprono tute le interpretazioni diverse delle dottrine politiche,ma questo dettame è ancora oggi fondamento della diseguaglianze
#455
Tematiche Filosofiche / Re:Fisica e Tempo
09 Novembre 2019, 17:30:27 PM
Citazione di: bobmax il 09 Novembre 2019, 16:01:32 PM
Ciao Paul11, mi è davvero difficile seguirti.
Come ad esempio in questi tuoi passaggi:

Citazione di: paul11
Il giudizio è interno alla morale e in quanto tale non è soggetta al divenire, in quanto, se lo fosse l'etica dei comportamenti è completamente contraddittoria all'origine morale che è essa stessa originaria nell'Essere.
...
Quindi, l'etica intesa come comportamento mondano quotidiano è relazionata ad un principio morale che necessariamente è "ferma" e non opinabile dai tempi storici e mode culturali.

Probabilmente la difficoltà è dovuta anche alla mia non comprensione del significato che dai ai termini che utilizzi.

Ho tuttavia l'impressione che nel tuo discorso l'Essere sia considerato comunque come un "qualcosa". Certamente lo consideri eterno, incontrovertibile e "fermo", ma pur sempre un qualcosa.

Ecco, vorrei segnalare che questo tuo "essere" non risolve per niente la questione Etica.
E con Etica intendo la stessa Etica di Spinoza, tanto per essere chiari.

L'Essere, nel nostro esserci mondano, equivale al Nulla. E perciò non ha alcun senso caratterizzarlo da alcunché. Né di eternità, né di incontrovertibilità, né di non divenire.

Ed è proprio questo essere Nulla, l'unica possibile risposta all'angoscia esistenziale nichilista.
Perché niente ha valore, sino a quando noi, in perfetta solitudine e senza alcun appiglio a cui aggrapparci, affermiamo: "Il Bene è!"

E questa è l'Etica.
Ciao Bobmax,
L'Essere è pura forma, immutabile ed eterno.
L'essere non è definibile ad esempio come infinito, personalmente lo dichiarere i come inde-finito. Con quale parametro umano noi potremmo dichiarare finito e infinito se non a grandezze materiali?
L'universo quanto è vasto, quanto è grande?

Spinoza,che non conosco così approfonditamente, a me pare materialista-naturale (seppure passi per razionalista nel pensiero filosofico) e la sua etica ne è inficiata. Esiste prima la morale dell'etica, perché l'etica umana riflette a sua natura: corpo fisico naturale e mente che trascendentalmente trascende. La morale contrasta la natura ambigua umana, indirizzando l'etica, i comportamenti.

L'Essere nel nostro esserci nel mondo è aletheia, nascondimento/svelamento. La mente può accedervi fino ad un certo punto con a razionalità logica, in quanto lo determina ontologicamente come necessità, ma non basta. E' l'intuizione e l'intenzionalità che ci spingono verso lo svelamento.
Per questo abbiamo un intelletto.

Se l'Essere fosse Nulla, come puoi dire del Bene? Se è Nulla potrei dire è Male.
Manca la relazione fra il Nulla e la necessità del Bene? E solo la morale può dartela se si accetta ontologicamente l'Essere. Un ateo relativista ha il grande "buco" di dover dimostrare che una etica giusta, buona, che sia bene, sia una verità.
L'etica di Spinoza è debole se non costruisce paradigmi inalienabili e infatti dopo il razionalismo viene l'empirismo dove l'etica è sentimento e utilità per l'uomo. Come se la morale fosse umorale in funzione di cosa mangiamo.

Da come scrivi ho l'impressione che per te il Bene è, è un'intuizione: e va bene. Come ho scritto precedentemente non basta la logica razionale per svelare l'Essere, ma ci vogliono entrambi per costruire un punto fermo, perché non basta da sola neppure l'intuizione.

Sostengo che fra Essere che è eterno ed è forma e il divenire esiste una contraddizione che fa sì che la stessa esistenza sia una contraddizione. La relazione fra l'Essere e il non-essere essendo contraddittoria necessita della logica negativa e in questo hanno ragione nella modernità Hegel e Severino, con tutti i distinguo.Il movimento che loro dichiarano è un punto di riferimento per cui l'Essere per noi che siamo esistenza è impossibile conoscerlo interamente essendo noi nel divenire, nel non-essere delle apparenze. Ma L'essere essendo pura forma è pura essenza, e nelle sostanze del mondo, negli enti ontologici, esiste oltre la sostanza anche la forma ,l'essenza.
Quindi l'universo ci dice dell'Essere, ma in quanto non-essere, poichè l'uno è eterno e l'esistenza si esplica in divenire sono due domini contraddittori fra loro. L'essere non può che dichiarare una verità incontrovertibile, come principio originario, quindi noi siamo nella contraddizione dell'esistenza e quest'ultima ha senso nel tentativo che l'intuito spinge a svelare e la mente razionalmente cerca ontologicamente di affermare. L'esistenza è quindi conoscenza e l'essere per noi è "negativo" contraddittorio. La morale stessa è solo esplicabile ontologicamente come interpretazione conoscitiva dell'armonia e degli equilibri esistenti fra cielo, terra ,uomo.
Vale a dire la suprema armonia che come ruote si incastrano fra loro i cili universali, della natura, dell'uomo. Quando l'uomo non capisce il suo limite e delira la sua potenza esce dall'armonia e cessa la morale, e rimane l'etica muta di una morale, dove ogni comportamento è autogiustificativo non essendoci una ontologia della morale. L'uomo è libero , in quanto mente, in quanto coscienza di potere errare senza mete o ponendosi mete materiali, naturali ,dimentico delle armonie e degli equilibri che dettano le regole e le condizioni al dominio fisico e a quello mentale e della coscienza.
Quando diciamo che stiamo bene, significa che c'è armonia psico fisica
#456
Tematiche Filosofiche / Re:Filosofia politica
09 Novembre 2019, 11:57:55 AM
Citazione di: anthonyi il 09 Novembre 2019, 07:37:46 AM
Citazione di: paul11 il 08 Novembre 2019, 23:44:05 PM


Ciao Anthonyi,
quante vite deve lavorare l'operaio per poter avere il reddito di Bill Gates?
Il tempo di lavoro è tempo di vita. Nella regola del mercato è del tutto razionale che il proprietario dei mezzi di produzione abbia un plusvalore che è superiore ai redditi che commina ai suoi subordinati. Gli altri lavorano per lui e lui potrebbe liberarsi dal lavoro, mentre l'operaio è costretto a rientrare al lavoro in quanto il reddito percepito non potrà mai liberarlo. Questa è un servitù economica che altera il concetto di giustizia.

Nella giustizia commutativa che ripeto è fra due persone e non più, il mercato diventa terzo incomodo perché salta il valore d'uso tipico dello scambio merce per merce senza denaro .Quando la moneta diventa il parametro nasce immediatamente il mercato che parametra le merci e le diverse monete geografiche. Quindi semino un ettaro di terreno a grano a novembre e il grano ha un prezzo, in primavera quando raccoglierò avrà un altro prezzo ,più basso o più alto: ha senso in termini di natura il mercato? Non c'entra nulla la finzione fra domanda e offerta perchè al mercato se non trovo una merce acquisto altro Siamo riusciti a dare un prezzo alle aspettative, a prescindere dal ciclo biologico di un seme che diventa pianta e poi farina.
Il ciclo del mercato è insensato rispetto al ciclo naturale. E sappiamo benissimo che domanda ed offerta sono speculative. O il consumatore prenota al produttore, in questo caso all'agricoltore, o tutto ciò che sta fra produttore e consumatore è pura speculazione economica parassitaria.

Le analisi che indichi sono tipiche del marketing, del ramo commerciale dell'azienda.
L'etica collettiva sta spingendo i produttori verso l'ecosostenibilità e il salutismo, allora si producono motori elettrici e alimentari doc, dop, ecc. tracciabilità dell'origine produttiva, date di scadenza, numeri verdi per reclami,ecc. Ma questo è il rapporto commercio/etica che a mio parere ha poco a che fare con la giustizia.
Lo sai quanto guadagnano le aziende di acqua? L'acqua è un bene demaniale..........

Stiamo accelerando troppo sull'economico perdendo di vista la giustizia come percorso storico.L'economicismo viene con la modernità e dentro una determinata cultura e struttura economico sociale che muta continuamente il concetto di giustizia.

Ciao paul, mi sembra singolare che tu abbia definito un concetto generico di "giustizia commutativa", che applichi alla filosofia politica (Cioè a una dottrina che si applica tipicamente a comunità di individui assai numerose), per poi limitarlo solo a relazioni a due. Oltretutto in questo modo lasci un vuoto, perché sono tanti gli aspetti della realtà sociale che potresti spiegare con una giustizia commutativa allargata (Ad esempio il mercato, ma anche il rapporto tra rappresentanti politici e rappresentati) e che con la tua autolimitazione non puoi spiegare.
Le analisi che indico certamente usano metodi equivalenti a quelli del marketing ma applicati anche a ricerche di maggiore spessore teorico, in linea con quella visione dell'economia (Ma anche della società) che si è affermata dopo il tramonto dell'illusione classica di trovare un fondamento all'economia. Per questo il concetto di valore di cui parlo è un concetto relativo, che comunque non è necessario in una visione commutativa, allargata o meno.
Comunque il problema nodale di questi discorsi non è il ruolo dell'economia, ma quello dell'etica, dietro le due visioni della giustizia che hai rappresentato ci sono due etiche differenti, e poi magari, nella società, di etiche ce ne sono altre tra le quali anche quell'etica collettiva ecologica alla quale mi sembra tu ti riferisca.
Io condivido il fatto che il "principio ecologico" possa rappresentare un fondamento di giustizia, ancora di più di quanto condivida l'idea che il principio distributivo sia fondamentale (Secondo me il principio distributivo è rappresentabile nei termini del principio commutativo allargato quando agenti della commutazione diventano le comunità politiche, ed è poi quello che cerco di spiegare nei paper economici che scrivo).
Un saluto
ciao Anthonyi,
La giustizia commutativa regola i rapporti fra i singoli in una comunità.
I nostri rapporti possono essere con molteplici persone ed enti, ma è sempre un rapporto uno a uno, con la banca, con il giornalaio, con il panettiere, con l'assicurazione, con le singole aziende di servizi, con il supermercato, ecc. Quando noi costruiamo ogni singolo rapporto che implica una transazione ci chiediamo se è giusta per noi o se ci stanno gabbando. Tant'è se possiamo scegliamo banca, assicurazione, aziende erogatrici di servizi.

Sono concetti generici la giustizia commutativa e la giustizia distributiva, infatti ho dovuto aggiungere argomentazioni al post iniziale per indicare anche contraddizioni.
Sappiamo benissimo che le intenzioni teoretiche devono confrontarsi con le pratiche di una società oggi molto complessa e che si muove spesso disordinatamente e mina la giustizia.

Quindi va benissimo se tu , ma anche ognuno del forum, vuol approfondire le argomentazioni, anzi direi che è desiderabile e necessario.

Sono altrettanto d'accordo che dietro il concetto di giustizia si muovono etiche individuali e di gruppo, sociali. Se le aziende oltre alle mission costruiscono codici etici interni, se gli enti dei consumatori possono formare delle class action contro speculazioni di aziende che hanno gabbato investitori, se esiste ormai la privacy, tant'è che l'authority ha avvisato la finanza, che ormai ha enormi poteri di controllo e guardando ogni nostra singola transazione soprattutto in funzione delle carte di credito, bancomat, ecc, può sapere di ognuno i comportamenti, desideri, necessità,ecc.
Insomma siamo controllati come non mai dall'elettronica dei net,sia dai cookie, sia dallo Stato, sia dalle banche che vedono le nostre transazioni sul conti correnti.
E' evidentissimo che c'è un etica prima ancora dell'economia e ci sentiamo schiacciati.

Quindi ti pregherei di scriverci pure quel che pensi, ho creato appositamente questa discussione appunto per argomentarla.
Ben vengano i contributi di tutti, sia pratici che teorici.

un saluto
#457
Tematiche Filosofiche / Re:Fisica e Tempo
09 Novembre 2019, 01:38:53 AM
Citazione di: bobmax il 08 Novembre 2019, 23:04:48 PM
Citazione di: paul11 il 08 Novembre 2019, 01:08:23 AM
La nostra vita quindi si correla su due parametri: il divenire spazio temporale che ci sostenta come corpo fisico naturale e la conoscenza che da una parte legge il fenomeno in sé e per sé, e dall'altra potendo estranearsi lo concettualizza nelle forme.
La scelta fra asservire i fenomeni in divenire e ritenere verità ciò che ai sensi dichiara il mondo, oppure interpretarlo nelle forme ,essenze e pensare nella verità come incontrovertibile, in quanto eterna e non contraddittoria: poiché ciò che è non può sembrare.
La scelta metafisica è necessaria culturalmente poiché è l'unica che può dare una morale, è l'unica che può correlare tutti i domini rispettandoli, limitandosi.

La scelta metafisica non riguarda l'essere o il divenire. Perché essere e divenire sono solo funzionali alla rappresentazione che viviamo.
Dove non esiste essere che non divenga, come non può esservi divenire senza essere.

L'essere e il divenire donano senso uno all'altro in un gioco senza fine, ma di per sé stessi non esistono.

E neppure l'incontrovertibilità è tema di scelta, perché anche la contraddizione fa parte della rappresentazione.

L'unica scelta metafisica riguarda l'Etica e prescinde da qualunque altra considerazione.

È infatti l'Etica il Fondamento.

E la scelta riguarda il Bene.
ciao Bobmax
Se L'Essere diviene altro da sé non è più essere, è altro.
Se l'unità diviene moltitudine allora questa moltitudine ha parte dell'unità, ma pur mantenendo le proprie proprietà identificative.

Necessariamente Essere e divenire esistono, l'Essere dà senso e il divenire diventa esistenza nella conoscenza. Se non esistessero non avrebbe senso nemmeno la nostra esistenza.

La contraddizione è infatti tutto ciò che diviene, è dialettica negativa in quanto non-essere e proprio per questo è necessaria la conoscenza e l'Essere è aletheia.

L'etica, continuerò a ripetere all'infinito, è il comportamento, non il giudizio.
Il giudizio è interno alla morale e in quanto tale non è soggetta al divenire, in quanto, se lo fosse l'etica dei comportamenti è completamente contraddittoria all'origine morale che è essa stessa originaria nell'Essere.
Se la morale non fosse verità e la verità necessariamente non può essere moda culturale, ma è inalienabile allo spazio tempo, qualunque comportamento, qualunque etica è autogiustificativa, dal martire al serial killer.

Quindi, l'etica intesa come comportamento mondano quotidiano è relazionata ad un principio morale che necessariamente è "ferma" e non opinabile dai tempi storici e mode culturali.
Essendo la morale "ferma" deve essere verità quanto lo è l'Essere, perché a sua volta la morale deve essere relazionata al principio originario.
Allora direi: così come la fisica e natura hanno regole e condizioni che determinano i comportamenti di energia ,materia, vita, così i comportamenti etici umani sono regolati da una morale ed i domini sono universali nell'Essere.
Il bene è la giusta relazione nella morale che si origina dall'Essere.
#458
Tematiche Filosofiche / Re:Filosofia politica
09 Novembre 2019, 00:46:12 AM
Ciao Davintro,
credo molto poco al concetto etico moderno e infatti non c'è giustizia ,c'è la legge sanzionatrice sui comportamenti, ci sono obblighi.
La tua argomentazione implica altri istituti e storia.
Devo indicare alcune premesse.
La distinzione pubblico/privato si duplica in quello fra politica ed economia,cioè sull'ordine diretto dall'alto sull'ordine spontaneo, sull'organizzazione verticale su quella orizzontale.
In filosofia politica si ritine, o si riteneva, che lo storicismo di Hegel avesse superato il giusnaturalismo.
C'è una diseguaglianza in origine: c'è chi comanda e chi obbedisce. Per Hegel il vincolo fra Stato e cittadino è permanete e inderogabile. Per questo criticò fortemente il contrattualismo giusnaturalista,secondo cui in origine vi è un contratto fra individui per costituire una società.
Il primato del pubblico ha sconfitto,anche se non definitivamente essendoci rigurgiti ciclici, il concetto di Stato minimo privato. L'irriducibilità del bene comune alla somma dei beni individuali è una critica all'utilitarismo elementare.
Hegekl non aveva previsto il ritorno del contrattualismo ad un ordine superiore come le organizzazioni sindacali nel contratto nazionale di lavoro o nei partiti nella contrattazione per una coalizione di governo e la società civile è composta da gruppi organizzati, le associazioni, sempre più forti con conflitti di gruppo continui,per cui lo Stato svolge un ruolo di mediazione e di garante, più che di un detentore del potere. I due processi di pubblicizzazione del privato e di privatizzazione del pubblico si sono dimostrati non incompatibili e di fatto si compenetrano l'uno nell'altro. Tutto questo ricrea nella contemporaneo il contratto sociale: il neocontrattualismo o a volte neocorporitarismo. Un esempio sono i partiti che hanno un piede nella società civile e uno nelle istituzioni, di fatto apparterebbero alla società politica che non è società civile e neppure Stato.
Negli Stati totalitari la società civile viene completamente assorbita dallo Stato.
I due processi di uno Stato che si fa società e della società che si fa Stato sono contraddittori.perchè il primo processo porta allo Stato totalitario mentre il secondo processo alla società senza Stato.
Questa rappresentazione è tipica in ogni cittadino che da una parte è un partecipante e dall'altro chiede protezione: questo processo è altrettanto una contraddizione; perché come partecipante vorrebbe impadronirsi dello Stato , ma se chiede protezione aumenta la forza dello Stato che diventa padrone.
Ho messo parecchia altra farina......e spero di essere stato chiaro. Vi sono processi fortemente contraddittori e quindi dialettici.

Adesso devo inserire la tecnocrazia come ruolo sociale, come ruolo ideologico in relazione meritocrazia.Ha un ruolo teoretico e pratico. Ha sostituito la teoria delle èlites.
Devo prenderlo un po' alla lontana l'argomento, per poterlo introdurre
La critica al modello tecnocratico poggia su tre capisaldi:
1) sottovalutazione del ruolo politico,
2)sopravvalutazione del ruolo delle scienze e della sua funzione di orientamento delle prassi;
3)sopravvalutazione di conseguenza delle capacità di governo dei ruoli intellettuali.

La tecnocrazia è un'aristocrazia che si rinnova per cooptazione ed è una meritocrazia..
Se la democrazia poggia sul consenso e la partecipazione, la tecnocrazia sulla competenza ed efficienza. Citando Robert Dhal sui sistemi politici complessi, vi è una sorta di ibrido, nel quale la selezione e i controlli democratici funzionano più o meno in alcuni ambiti della politica, mentre altri sono governati da èlites meritocratiche o da guardiani liberi da ogni controllo democratico.
Un antesignano fu Fracis Bacon in New Atlantis in cui delinea l'ideale di una società interamente fondata sulla scienza e sulla tecnica.
Con la democrazia liberale diventa sinonimo di principio di governo meritocratico.
Storicamente è la rivoluzione industriale ad aprire la riflessione sul declino della politica e dello Stato e a fornire le basi per lo sviluppo dell'ideologia tecnocratica.
In Platone chi usa deve avere un sapere superiore al produttore, in Saint- Simon e Comte è ai produttori che vengono attribuite capacità positive e il possesso del sapere strategico in vista del benessere collettivo, i lche consente loro di assurgere a classe dominante.
#459
Tematiche Filosofiche / Re:Filosofia politica
08 Novembre 2019, 23:44:05 PM
Ciao Ipazia
sei in contraddizione come lo è il comunismo per certi versi , se pensi che istituti come proprietà, eredità che significa trasmettere in maniera privata i propri beni mantenendo le posizioni di prestigio dei ruoli sociali e perpetuando la sperequazione sia da parte del diritto romano una conquista rispetto al mondo greco; se poi pensi e a mio parere giustamente, che la meritocrazia non è egualitaria, in quanto la partenza è già camuffata falsamente , in quanto il ricco ha dei privilegi che il povero non ha, anche se quest'ultimo avesse più talento.

I tre criteri, ma possono essere di più, della giustizia distributiva, non li utilizza solo il marxismo, lo utilizzano tutte le dottrine in maniera ognuna a lei confacente. Il liberismo ovviamente ribalta il
rapporto bisogni e merito.
Forse pensi alla cultura come naturale evoluzione storica, personalmente ritengo no. Storicamente ci sono stati degli snodi che non necessariamente dovevano andare in certi modi...ma tant'è.

Ciao Anthonyi,
quante vite deve lavorare l'operaio per poter avere il reddito di Bill Gates?
Il tempo di lavoro è tempo di vita. Nella regola del mercato è del tutto razionale che il proprietario dei mezzi di produzione abbia un plusvalore che è superiore ai redditi che commina ai suoi subordinati. Gli altri lavorano per lui e lui potrebbe liberarsi dal lavoro, mentre l'operaio è costretto a rientrare al lavoro in quanto il reddito percepito non potrà mai liberarlo. Questa è un servitù economica che altera il concetto di giustizia.

Nella giustizia commutativa che ripeto è fra due persone e non più, il mercato diventa terzo incomodo perché salta il valore d'uso tipico dello scambio merce per merce senza denaro .Quando la moneta diventa il parametro nasce immediatamente il mercato che parametra le merci e le diverse monete geografiche. Quindi semino un ettaro di terreno a grano a novembre e il grano ha un prezzo, in primavera quando raccoglierò avrà un altro prezzo ,più basso o più alto: ha senso in termini di natura il mercato? Non c'entra nulla la finzione fra domanda e offerta perchè al mercato se non trovo una merce acquisto altro Siamo riusciti a dare un prezzo alle aspettative, a prescindere dal ciclo biologico di un seme che diventa pianta e poi farina.
Il ciclo del mercato è insensato rispetto al ciclo naturale. E sappiamo benissimo che domanda ed offerta sono speculative. O il consumatore prenota al produttore, in questo caso all'agricoltore, o tutto ciò che sta fra produttore e consumatore è pura speculazione economica parassitaria.

Le analisi che indichi sono tipiche del marketing, del ramo commerciale dell'azienda.
L'etica collettiva sta spingendo i produttori verso l'ecosostenibilità e il salutismo, allora si producono motori elettrici e alimentari doc, dop, ecc. tracciabilità dell'origine produttiva, date di scadenza, numeri verdi per reclami,ecc. Ma questo è il rapporto commercio/etica che a mio parere ha poco a che fare con la giustizia.
Lo sai quanto guadagnano le aziende di acqua? L'acqua è un bene demaniale..........

Stiamo accelerando troppo sull'economico perdendo di vista la giustizia come percorso storico.L'economicismo viene con la modernità e dentro una determinata cultura e struttura economico sociale che muta continuamente il concetto di giustizia.
#460
Tematiche Filosofiche / Re:Fisica e Tempo
08 Novembre 2019, 21:53:23 PM
Citazione di: viator il 08 Novembre 2019, 21:31:18 PM
Salve a tutti. Sapeste con quale frequenza mi sovviene una certa barzelletta in cui abbiamo il contadino che chiede al professorone se a lui risulti che sia nato prima l'uovo oppure la gallina...............e il Prof. non sa rispondergli !.

Dico ciò perchè noto fare molto spesso capolino il problema della "causa prima".
Ma come mai tutto questo tifo per la causa...............nessuno che si preoccupi dell'"effetto primo" e del disquisire se esso abbia preceduto (e magari generato !!) - oppure seguito - la causa prima ?.

Ma secondo voi causa ed effetto sarebbero eventi distinguibili ? più ancora.....discatenabili ? O si tratta di nomi diversi di un medesimo evento (sapete, per noi umani la monodimensionalità non può esistere, siamo condannati ad avere eternamente a che fare con medaglie, fogli e monetine a due facce.....).

L'Essere è la moneta, causa ed effetto le due facce.

Chi afferma l'esistenza di una causa o di un effetto primo sostiene che l'Essere un giorno stava fermo, poi il Dito di Dio scattò facendolo roteare ed inaugurando il Divenire. Sarà come vi piace credere. Saluti.
Seguendo la tua boutade....è nato prima il gallo.

Non c'entra nulla Dio, c'è proprio un anticristianesimo galoppante: e infatti i tempi mostrano i segni.
L'Essere filosoficamente non è necessariamente relazionato a Dio, e adatto che siamo nel forum di filosofia.......

A tuo parere la monetina resta perfettamente in bilico fra causa ed effetto?

E se aristotelicamente dicessi "motore primo" al posto di causa prima? Tu diresti biella e manovella? O magari chiamiamo l 'addetto alle pompe di benzina?
#461
Tematiche Filosofiche / Re:Filosofia politica
08 Novembre 2019, 14:36:31 PM
Ciao Ipazia,
penso che ci fosse invece una giustizia a priori, come ci indica Pindaro con il nomos.
Il passaggio dalla cultura greca a quella romana sposta il nomos, come giustizia che declina in l'autorità sovrana ad immagine e somiglianza dei domini degli universali e della natura dentro i comportamenti della società umana, quindi la società rispecchiava gli equilibri del cielo e della terra in metafora, alla cultura romano latina ,il cui focus fu la domus. Quì inizia il primato del diritto privato dove gli istituti principali sono: famiglia, proprietà, testamento, contratto.
Da qui in poi storicamente vi sarà la dialettica fra diritto pubblico e privato.
La proprietà è la persistenza del diritto privato sul diritto pubblico.
Nell'età feudale non c'è un vero e proprio stato, i rapporti sono basati sul privato.

I tre criteri non sono necessariamente marxisti, sono all'interno in tutte le dottrine politiche.
E la priorità dell'una sull'altra (ad es. chi sceglie il merito, subordina il bisogno, ecc.) che determina
e identifica le diverse dottrine. Le due fonti principali della teoria dello Stato sono: la storia delle istituzioni pubbliche e la storia delle dottrine politiche.


Ciao Anthonyi,
certo che è complessa la giustizia distributiva, ma anche quella commutativa. Ho solo eseguito una sintesi nel post iniziale.
Sono d'accordo con la tua definizione sulla giustizia commutativa.
La giustizia commutativa ha perso sostanza storicamente, in quanto il mercato, come costruttore del valore di scambio sostituisce il valore d'uso. La commutativa è basata sul rapporto,come ho scritto 1 a 1. Io e te scambiamo merci in funzione delle nostre personali necessità. A me manca il sale che diventa bene prezioso, a te le patate. Lo scambio 1 a 1 non tiene conto di un valore costruito dal mercato che è dato da terzi parti, da altri che non siamo noi o solo noi.
Rimane un concetto di equità teorico difficile da declinare nel pratico, ma paradossalmente forse più sincero, più vero , in quanto determinato dalle nostre reali necessità.

La misura del merito ,ma anche dei salari ecc. lo determina ormai il mercato, come terzo incomodo.
Allora possiamo dire che entra prepotentemente storicamente il concetto economico su quello politico, come misura altra? La filosofia politica discende da quella propriamente morale: si possono dare valori monetari ai paradigmi morali? Quante vale la solidarietà, la fratellanza, la libertà, l'eguaglianza? L'economia ha sostituito il ruolo nella filosofia politica ,che prima era morale, dando un prezzo di mercato a ciascu istituto di diritto: dalla proprietà, al rapporto di lavoro, da un testamento ai contratti. Quindi potremmo dire che una giustizia commutativa oggi è equa se i valori di scambio, intesi come prezzi, nelle transazioni sono uguali e questo lo determinano i prezzi vigenti di mercato all'atto della transizione.

Stiamo correndo troppo, perché si dovrebbero introdurre i nuovi attori sociali: sindacati, partiti....
Sono i contratti collettivi nazionali che decidono in funzioni dei ruoli di un gruppo di mestieri, ma sarebbe meglio dire di attività produttive divise attraverso i numeri e i poteri contrattuali delle parti, quanto stipendio debba percepire un assaggiatore di cioccolato o un operatore in fonderia.
Non necessariamente è uguale un identico ruolo in attività di imprese diverse.
Il portinaio di un'industria chimica, ammesso che sia alle dirette dipendenze dell'imprenditore ,ha uno stipendio diverso dal portinaio in banca, in  un albergo, o  al Ministero del Tesoro.

E qui sorge la problematica di come il contrattualismo nato dal giusnaturalismo sia ridiventato forte nel neocontrattualismo o neocorporitarismo. E' uguaglianza questa? E' giustizia?

A mio parere bisogna prima fare attenzione ai paradigmi, non agli effetti, poi in un secondo tempo a quest'ultimi.
E forse capiremmo, se ve ne è ancora bisogno, di come gli istituti orignari sono modifcati tanto da tenere l ostesso nome, come giustizia, ma diventare ben altro.La mimesi è adattare un istituto alle prassi ,quando invece bisogna tenere ben  fermi gli istituti e semmai adattare le nuove prassi che le complessità sociali ed economiche nuove determinano. Così pr la giustizia, per lo Stato, per la democrazia, ecc.
Se il concetto si adatta, signifca che diventa qualcosa di ben altro fino a svuotare il suo signifcato originario.
#462
Tematiche Filosofiche / Re:Fisica e Tempo
08 Novembre 2019, 01:08:23 AM
ciao Aperion

Premetto che non ho un maestro filosofico in particolare che seguo.
Ritengo che ontologicamente la verità incontrovertibile sia l' Essere ,come archè, come paradigma originario.
Il divenire è gnoseologico poiché contraddice l'Essere, archè. Quello che in filosofia viene definito aletheia. Ritengo che il senso della vita umana sia teso alla ricerca della verità attraverso la conoscenza, e l'essere si vela(il nascondimento) e si disvela nelle forme , nelle essenze delle apparenze (dei fenomeni, degli enti filosofici).
Il divenire diviene dialetticamente negazione contraddittoria dell'essere originario, essendo quest'ultimo eterno.
Il fenomeno è un evento, quindi apparenza che ha con sé anche la forma, l'essenza che come verità lo relaziona all'Essere. Se noi diamo importanza all'apparenza, perdiamo la forma, se diamo importanza al divenire perdiamo l'Essere.
Il creato, l'universo che si muove nello spazio tempo ha un'intensione formale ed una estensione fenomenica. La mente umana ha questa capacità analogica al mondo e allo stesso tempo di estraneazione, nel senso che la mente ferma lo spazio e tempo , può qui ed adesso muoversi nel passato, presente ,futuro, congiungendo le linee temporali per poter leggere sia il divenire che l'eterno, lo concettualizza nel pensiero.
L'ontologia è la filosofia dell'essere,di ciò che è. Se la verità è nell'essere, l'essere non può mutare, muterebbe la verità. Allora non è più verità. Ma se l'universo ha regole paradigmatiche fisicamente
o è una autopoiesi a regressione infinita e non è possibile che la verità sia spostata continuamente a regressione verso un' origine inesistente e inconsistente, o ha un'origine che si nasconde alla nostra mente, perché la vita deve esperire la sua conoscenza sul mondo e nel mondo, in questo è il significato dell'esistenza.

Ritengo impossibile per la sola mente umana arrivare all'essere ,come causa prima, come forme fra le apparenze. Per questo la conoscenza umana, penso e non sono certo, non potrà mai arrivare all'origine nella dimensione spazio temporale del divenire. Il divenire serve a conoscere a relazionare, a categorizzare, a parametrare.
Se l'esistenza gnoseologicamente non può arrivare all'essere, la tensione verso la verità ha la ricaduta nei comportamenti umani della mondanità ,del quotidiano vivere.
Non possono essere i soli domini dell'universo fisico e della natura vitale a dichiararci la verità, questo è il problema culturale attuale contemporaneo. Sono importantissimi in quanto dichiarano il limite dell'esistenza umana che in essi si muove, si declina, si designa come destino, ma i loro fenomeni apparendo e scomparendo nei grandi e piccoli cicli, dai movimenti dell'universo alle stagioni della natura fino al nostro nascere per poi morire, non dichiarano la verità che non può divenire come i fenomeni, ma in essi è relazionato come essenza, come forma.

Quindi:
L'essere è immutabile ed eterno ed è "causa prima".
La moltitudine dei fenomeni è trasformazione nei movimenti spazio temporali ed essendo parti dell'origine in essi vi sono le forme e le essenze, indispensabili al conoscere la verità che non può essere dipendente dalle apparenze fenomeniche.
Noi umani, ci sostentiamo nel mondano quotidiano e questo è il parametro dell'esistenzanaturale e fisica. Ma la conocenza richiede ben altro, sopra la natura, in quanto la mente rompe lo spazio tempo concettualizzando le forme meta-fisiche e le leggi fisiche e naturali.

La nostra vita quindi si correla su due parametri: il divenire spazio temporale che ci sostenta come corpo fisico naturale e la conoscenza che da una parte legge il fenomeno in sé e per sé, e dall'altra potendo estranearsi lo concettualizza nelle forme.
La scelta fra asservire i fenomeni in divenire e ritenere verità ciò che ai sensi dichiara il mondo, oppure interpretarlo nelle forme ,essenze e pensare nella verità come incontrovertibile, in quanto eterna e non contraddittoria: poiché ciò che è non può sembrare.
La scelta metafisica è necessaria culturalmente poiché è l'unica che può dare una morale, è l'unica che può correlare tutti i domini rispettandoli, limitandosi.

Aperion grazie della discussione ,non preoccuparti la vita ci chiama alle faccende....cogli le essenze.
#463
Tematiche Filosofiche / Filosofia politica
08 Novembre 2019, 00:14:24 AM
La giustizia

Inizierei dalla giustizia.

Ci sono due forme classiche di giustizia: quella commutativa e quella distributiva.
La commutativa è definita giusta quando lo scambio è di uguale valore. Regola i rapporti dei singoli fra di loro.
La distributiva si ispira all'autorità pubblica dove oneri ed onori sono gli oggetti; ma a ciascuno viene dato a seconda dei criteri che possono cambiare la situazione oggettiva,oppure dei punti di vista, in cui i criteri più comuni sono sono:
- a ciascuno secondo il merito,
- a ciascuno secondo il bisogno,
- a ciascuno secondo il lavoro.

La giustizia commutativa avviene fra due parti: la giustizia distributiva avviene fra tutte le parti.


Non voglio, almeno per ora, scrivere di più.
In funzione dei post che ci saranno, si vedrà.

Nella giustizia distributiva i criteri personalmente li deciderei in questo modo:
1) tutti devono avere un minimo vitale che gli consenta di avere una casa, non necessariamente di proprietà, e i beni e servizi necessari al sostentamento.
2) il criterio del lavoro e del merito sono relazionati. Si dovrebbe decidere che dal più basso salario/stipendio/ rendita, al più alto vi sia un moltiplicatore che non superi una certa cifra remunerativa.
Se ad es. il più basso fosse 1.000 euro netti al mese (per 40 ore di lavoro settimanale), il più alto
non può superare i 5.000 euro. Il moltiplicatore è quindi 5 volte. E' solo un esempio.

Cosa ne pensate? Come concetto di giustizia. Come commutazione e distribuzione.
Il ruolo dei singoli e il ruolo dello stato.
Come si è storicamente, giuridicamente, politicamente e filosoficamente mutato il concetto
nelle forme e dottrine sociali.
#464
Tematiche Filosofiche / Re:Fisica e Tempo
07 Novembre 2019, 00:04:17 AM
Ciao Ipazia
...mah, a me non sembra che si utilizzi molto la ragione..... semmai in malo modo.

Gli eventi sono sempre interpretati dalla mente.
E quale è mai il mistero della vita? Ogni evento naturale è interpretato-
Vengono congiunti,  i sentimenti e non sempre. Le ragioni sono disperse negli individui di questo tempo.
Se non c'è il falso non c'è neppure la verità in queste dispersioni di eventi.

La vita è sempre uguale nei suoi cicli naturali, ma ognuno di noi li interpreta a suo modo, con diversità accese o sfumate dipingendo il proprio destino.



Ciao Viator,
è l'attributo ossessione che trovo, per quanto mi riguarda, alterato.
Certo ci sono gli ossessionati, per limiti razionali.

Il vero mistero,più che dove andremo , è da dove veniamo.
E non c'è fisica che tenga, è una domanda senza tempo.
Certo, i gameti, i cromosomi, il dna, ecc. e prima del prima? Anche qui a regresso infinito?
Non abbiamo coscienza del prima, ma prima c'era natura, prima c'era l'universo, e altri uomini e altre storie e dopo edopo il dopo,.....puff, appariamo, viviamo e scompariamo in un altro puff.
Perchè mai perderci in sofferenze, ansie, paure,anche gioie, felicità , in questa vita tra due ....puff?

Ma che senso ha? Ed è la ragione che lo chiede, non l'ossessione, o un ego. Non è il bisogno di una immortalità a porci l domanda. E' il senso della vita a chiedercelo che non ha un tempo.

saluti
#465
Tematiche Filosofiche / Re:Transumanesimo e Sini
05 Novembre 2019, 22:22:30 PM
Ciao Green e al forum

Se come dice Sini, nella modernità(Nietzsche, Husserl, Heidegger) si fa esperienza con un'altra verità, perché la verità si articola nella molteplicità dei corpi e dei discorsi, in maniera che non è traducibile in una unica verità.
E ancora: la verità non è giudizio, non è un principio di non contraddizione.
E infine: l'umano è quello da fare, non quello che è.

Questo è ciò che dice Sini da poco più del minuto 50 fino alla fine del video.
Si deduce che:
1) non c'è mai stata la verità, per cui:
a) le culture si sono fondate sulla finzione, sulla menzogna
b) e su quale verità potrebbe fondarsi?
2) se non c'è una verità, come è possibile costruire un giudizio di falsità sulla cultura passata e presente?
3) se la verità si articola per persone e linguaggi e non vi è alcuna verità in quanto non è assoggettabile agli umori intestinali dei singoli individui, forse sarebbe corretto dire che non esiste la verità: sarebbe meglio non nominare la verità
4) se la verità non è un giudizio, per cui non è possibile relazionarla per sapere nemmeno la falsità, non è nemmeno un principio di non contraddizione e quindi non è razionalmente logico , di cosa parla Sini ? Non certo di verità
5) se l'umano è da fare significa che ogni umano vissuto finora è vissuto invano.

Adatto che non è il primo video o lettura che ho di Sini,..........probabilmente ha ragione Bobmax, ma è un accademico.........ed è un aggravante,

Dopo il post umano e il transumanesimo sono in attesa del cripto umanesimo.
Se questa è filosofia è giusto che agonizzi.

Se qualcuno mi indica dove Nietzsche presenta una verità senza licenze poetiche, ma razionale e logica, tale da potere costruire una demistificazione sui fondamenti delle culture e giungere alla fenomenologia della menzogna?.................(postatela però sulla discussione Nietzsche)
Non basta picconare una cultura secondo i propri umori.

Citaz di Green per Bobmax
Bobmax si ho capito quello che intendi dire, ma addirittura corrompere le giovani menti come fosse un Socrate qualsiasi (che invece il lato politico ce l'aveva bene in mente)!

E' vero la verità in Sini non è mai contemplata fino in fondo.
Ma infatti lo dice a metà lezione "attenzione ora quello che vi dirò non dovrei dirvelo, proprio rispetto a quanto detto prima" ossia che la verità è dento i discorsi.

Ma lui non sta facendo un discorso dialogico, la sua è una lezione.
E così sarebbe una lezione in solitudine.

Mentre la filosofia è quel nesso tra discorsi che si trasmettono un sapere concordato.

Non è che la verità non esista, è che la verità filosofica è sempre quella verità all'interno di una comunità che decide che quella verità sia tale.
Ma il vero passaggio importante che non ha riportato in questa lezione, è che questa verità è solo una soglia a cui la storia deciderà se aderire o meno.

Perciò la verità è un transito
tra una generazione ed un altra.

Sta alla bravura dell'una e dell'altra stare dentro il presente a cavallo tra passato e futuro.

E' una filosofia che perciò fa i conti col nostro morire, e con la traccia che lasciamo di noi stessi.

Non è una verità facilmento afferrabile, se non addirittura inafferabile.
Ma questa tua ( e non solo tua, molti ex-studenti se ne lamentano) visione di un Sini approssimativo o poco incisivo a livello filosofico, è a mio modo di vedere eccessiva.

Certo forse nel transito non riusciamo più a vedere la verità.
Ma perchè questa verità sia tale è necessario ritornare a questionare quella verità.

La verità è sempre presunta. Financo quella deduttiva (dal meccanicismo al quantismo).

Bisogna sempre ridefinire le coordinate di riferimento.

Io non credo che Sini sia soltanto il transito, credo si sopratutto la traccia.

Certo in periodi di cambio degli assetti umani, o di crisi economiche come la nostra, tu vorresti una filosofia più sicura. Lo capisco, ma non è che Sini ogni tanto non provi a essere realista, come quando recentemente è stato messo nelle classe dei saggi da parte del sindaco di Milano.
Per poi tornare al pubblico con la coda tra le gambe.

E' ovvio! il politico e il filosofico non sembrano proprio competergli.
Vogliamo fargliene una colpa?

Io continuo a vederelo come il massimo filosofo Italiano.


......E ti contraddici anche tu se segui il "massimo filosofo italiano"
Lo storicismo evolutivo e progressista è finito.
La verità non è un patto commerciale o un equilibrio contrattuale politico,questa sì che è
menzogna.
Noi umani di generazione in generazione passiamo la verità e le contraddizioni e non c'è nessun uomo futuro fideistico fondato più sullo strumento tecnico che sul discorso(linguaggi),diversamente non si capisce come la modernità consegni un umano progredito tecnicamente e progredito nell'ignoranza, con istituti culturali che non sono certo nati prima della modernità, ma che questa ha riprodotto a sua immagine come mimesi per tenere insieme un briciolo di società, affinché non arrivi la legge del tutti contro tutti. In altri termini sono ancora gli istituti millenari che tengono in piedi questa società, poiché diversamente sarebbe già affondata nel cripto-umanesimo, altro che post umano e transumanesimo. Sono le cause che nessun filosofo moderno e contemporaneo è riuscito a demistificare, anzi lo hanno interpretato all'inverso.
Illudendosi di uccidere Dio e gli istituti fondativi antichi, hanno pensato di dispiegare una umanità libera..........ma di che?????Siamo prigionieri delle nostre stesse libertà illuse.
Una cultura si abbatte ,prima conoscendola bene nei suoi fondativi culturali che sono sempre meta-fisici e non storie interpretate, reinterpretate così come passano le stagioni e gli astri nel cielo.
Quale è la verità reinterpretata che può fondere una nuova umanità?
Ma quando impareremo a capire che è la mente e non gli occhi che legge il mondo?
E' il come noi interpretiamo razionalmente i domini che si trovano i fondativi dagli aborigeni australiani, ai boscimani, ai tagliatori di teste, fino alla cultura occidentale.
Non è la tecnica che decide il progresso, ma di come si interpreta la relazione ragione/strumento fino a diventare la mente strumentale allo strumento, alla tecnica,tanto da non più accorgersene, come un dolore anestetizzato.