Dio crea il mondo, nel mondo c'è il male, come mai? Dalla semplice domanda all'interrogativo filosofico il passo è breve.
I neoplatonici cristiani non erano di fronte a decisive perplessità e bastava loro notare che bene e male sono come luce e assenza di luce, il male cioè è privazione.
Durante la modernità la questione si era fatta dura e Leibniz affermò che il male, a causa dell'intervento di Dio, finisce per concorrere al bene.
Kant rigettò con forza questa concezione, indicando la vanità di rispondere a una domanda sul perché di Dio e il male, dato che quest'ultimo possiede una propria radicalità.
Recuperando i contesti particolari di queste riflessioni, si potrebbe ritenerle tutte vere; invece ponendole in una sequenza ideale, esse conducono a un vicolo cieco.
Durante il Secolo Ventesimo Nikolaj A. Berdjaev trovò una via alternativa. Si tratta di riconoscere la creatività quale fondamento della vita del mondo stesso. Questo non è uno sviluppo continuo che inizia con Dio ma dipende anche dalla nostra creazione. L'atto creativo di Dio include in sé tutti gli altri ma non li relativizza del tutto.
Dunque non esiste alcun legame oggettivo tra Dio, il mondo e il male. Dovere dell'uomo è, in un appressamento sempre maggiore, di creare con Dio.
Certo che questa conclusione non resta senza possibili dubbi.
Curiosamente la riflessione di un poeta capace anche di incursioni nella filosofia, E. A. Poe, proponeva provocatoriamente la visione di un Dio unico vero creatore, e di noi quali personaggi del suo lavoro creativo. Ma ciò non vale quando si valuta la qualità di sommo artefice di Dio e la corrispondente funzione dell'uomo, bensì quando si pensa genericamente l'atto dell'artista, attribuendolo anche a Dio stesso. Se il mondo creato fosse un grande teatro inventato da Dio, noi saremmo soltanto i suoi personaggi; e in un certo senso lo siamo, nel teatro del mondo; che però non è tutto di ciò che esiste nel mondo. Penso che Poe usasse la sua dimostrazione per fare la caricatura di una società che rendeva la propria esistenza una finzione.
Mauro Pastore
I neoplatonici cristiani non erano di fronte a decisive perplessità e bastava loro notare che bene e male sono come luce e assenza di luce, il male cioè è privazione.
Durante la modernità la questione si era fatta dura e Leibniz affermò che il male, a causa dell'intervento di Dio, finisce per concorrere al bene.
Kant rigettò con forza questa concezione, indicando la vanità di rispondere a una domanda sul perché di Dio e il male, dato che quest'ultimo possiede una propria radicalità.
Recuperando i contesti particolari di queste riflessioni, si potrebbe ritenerle tutte vere; invece ponendole in una sequenza ideale, esse conducono a un vicolo cieco.
Durante il Secolo Ventesimo Nikolaj A. Berdjaev trovò una via alternativa. Si tratta di riconoscere la creatività quale fondamento della vita del mondo stesso. Questo non è uno sviluppo continuo che inizia con Dio ma dipende anche dalla nostra creazione. L'atto creativo di Dio include in sé tutti gli altri ma non li relativizza del tutto.
Dunque non esiste alcun legame oggettivo tra Dio, il mondo e il male. Dovere dell'uomo è, in un appressamento sempre maggiore, di creare con Dio.
Certo che questa conclusione non resta senza possibili dubbi.
Curiosamente la riflessione di un poeta capace anche di incursioni nella filosofia, E. A. Poe, proponeva provocatoriamente la visione di un Dio unico vero creatore, e di noi quali personaggi del suo lavoro creativo. Ma ciò non vale quando si valuta la qualità di sommo artefice di Dio e la corrispondente funzione dell'uomo, bensì quando si pensa genericamente l'atto dell'artista, attribuendolo anche a Dio stesso. Se il mondo creato fosse un grande teatro inventato da Dio, noi saremmo soltanto i suoi personaggi; e in un certo senso lo siamo, nel teatro del mondo; che però non è tutto di ciò che esiste nel mondo. Penso che Poe usasse la sua dimostrazione per fare la caricatura di una società che rendeva la propria esistenza una finzione.
Mauro Pastore