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Messaggi - Eutidemo

#4546
Per essere diuturnamente al corrente di come _"veramente"_ vanno le cose riguardo al contagio del CONVID 19 (coronavirus), occorre lasciar perdere il resto e guardare i dati ufficiali  accertati dall'OMS; per verificare su grafico la situazione italiana, giorno per giorno, occorre aprire il "label" "Country plots", deselezionare tutte le altre nazioni dalla lista a tendina, e poi selezionare solo l'Italia (e le altre poche nazioni che interessa confrontare).
https://vac-lshtm.shinyapps.io/ncov_tracker/
Ad oggi direi che le cose vanno _molto_ male, visto che, in Italia, il tasso di espansione del contagio si _"impennato"_ a fine febbraio, e adesso è diventato addirittura _"esponenziale"_ (f (x) = 2 x).
Speriamo di bloccare il trend il prima possibile, con i nuovi provvedimenti, altrimenti è un vero disastro: il grafico parla da sè.

#4547
Ciao  Baylham
Non è affatto vero che il sostantivo e il predicato nominale (oppure il nome e l'aggettivo) siano determinati soltanto dalla loro relazione sintattica nel contesto della frase;  ed infatti essi lo sono anche, e soprattutto, dalla loro specifica funzione semantica e grammaticale, in quanto un sostantivo non può mai diventare un aggettivo, nè viceversa, a meno che non si tratti di un aggettivo "sostantivabile" (e non tutti lo sono).
Ad esempio, poichè "ricco" è un aggettivo sostantivabile, posso benissimo utilizzarlo come sostantivo e scrivere: "Il ricco non è mai soddisfatto!".
Poichè, invece, "polisillabico" non è un aggettivo sostantivabile, non posso in nessun caso utilizzarlo come sostantivo e scrivere: "Il polisillabico è polisillabico!".
Semmai, dovrei scrivere: "Il termine 'polisillabico' è 'polisillabico'", ma, in tal modo, il meccanismo del paradosso non funzionerebbe più, perchè non saremmo più in presenza di un aggettivo che descrive se stesso.
Per inciso, anche voler forzatamente trasformare l'aggettivo "polisillabico" in un sostantivo, il paradosso non funzionerebbe comunque, poichè, una volta trasformato in sostantivo, non potrebbe più descrivere niente (quindi, neanche se stesso); ed infatti, un sostantivo non può descrivere niente, essendo questo compito degli aggettivi...i quali, però, possono descrivere solo i sostantivi.
E' un serpente che si morde la coda; per cui, secondo me, sotto il profilo linguistico il paradosso non può reggere!

Un saluto!
#4548
Ciao Sariputra
Tu dimentichi che oltre al "Brahman  Saguna", e, cioè, "con attributi", c'è il "Brahman  Nirguna", cioè privo di attributi ("gunas"); è il "Brahman Supremo" indicato da Sankara che è impersonale, come il Dio Apofatico di San Dionigi l'Aeropagita...ovvero l'ESSERE assoluto!
L' ESSERE senza alcuna determinazione, infatti,  è il minimo comun denominatore di tutte le cose; in quanto, se avesse una sua determinazione, non potrebbe ovviamente essere il minimo comun denominatore di tutte le cose.
Quello che dici tu, invece, è valido per le singole cose (rectius, "fenomeni"), in quanto, ovviamente, non possiamo  affermare l'"essere" di un cane senza le caratteristiche del cane; ed infatti, le singole cose "esistenti" si identificano per "genere prossimo" e differenza "specifica".
L'ESSERE, invece, ovviamente no, altrimenti non potrebbe essere il fondamento univoco del TUTTO.

***
Se l'"essere" è lo 'schermo' su cui appaiono i fenomeni, in effetti sembra davvero che non ci sia 'separazione' fra schermo e ciò che vi appare sopra, in quanto è su tale schermo immobile che si svolgono le manifestazioni fenomeniche.
Ma è solo una illusione "ottica", o meglio, restando all'analogia, "cinematografica"!
Ed infatti, anche senza fenomeni sopra lo schermo resta lì dov'è,  nè perde la sua 'qualità' di "essere" schermo solo per il fatto che, in quel momento, sopra non ci si agitano immagini.
Non hai mai visto uno schermo cinematrografico prima che cominci il film (o dopo) ?

***
Quanto al "Purusha",  corrisponde all'essenza astratta del Sé, che è eterno, indistruttibile e senza forma;  è vero che, privato dei 'gunas', il purusha non si manifesta, ma non è mica il suo solo modo d'ESSERE!

***
Quanto al Brahman, come ho scritto in premessa, tu dimentichi che oltre al "Brahman  Saguna", e, cioè, con attributi, c'è il "Brahman  Nirguna", cioè privo di attributi ("gunas") e, quindi, privo di 'qualità'.
Secondo Sankara (o Shankara) che è il massimo filosofo dell'Advaita Vedanta, il Brahman Nirguna è totalmente impersonale, mentre la forma di divinità personale o Brahman Saguna (con Guna o attributi) si manifesta soltanto attraverso l'associazione con la Maya.
Ovviamente, un po' come per la nostra TRINITA', Saguna e Nirguna non sono però due distinte DIVINITA', ma sono lo stesso Nirguna che appare come Saguna per la devozione dei fedeli; cioè, si tratta della stessa Realtà osservata da due punti di vista differenti:
- Nirguna Brahman è il Brahman Supremo, dal punto di vista trascendente del PURO ESSERE (Paramarthika);
- Saguna Brahman, invece, è il Brahman non-supremo, ovvero dal punto di vista del relativo (Vyavaharika).

***
Quanto al termine "Satchitananda" è una parola sanscrita che può essere tradotta con diverse sfumature interpretative:
a)
SAT

Il termine "sat" letteralmente, vorrebbe dire "seduto" ; come, in effetti suona un po' in tutte le lingue indoeuropee (Sitzung, Sitten ecc.), di cui il sanscrito è un "archetipo"; ed infatti, forse, in origine, si riferiva alla postura del Dio negli idoli, ma, in seguito, è stato reso nei modi più diversi:
"essente"
"esistente",
"vivente" "
"duraturo"
"reale"
"vero"
ecc.
Nel vedanta attuale, che io sappia, si interpreta come "ESSERE ASSOLUTO, cioè "solutum" dalle sue manifestazioni esistenziali e fenomeniche.
b)
CIT

Che, letteralmente, significa "percepire, fissare la mente su", "per capire e comprendere", "per farsi un'idea nella mente, essere consapevoli di, pensare, riflettere ecc." Loctefeld e la maggioranza degli attuali studiosi lo traducono come "COSCIENZA" (o consapevolezza)
c)
ANANDA

Che, letteralmente, significa "beatitudine, felicità, gioia, godimento, piacere dei sensi".
Si tratta dei tre attributi del "Brahman  Saguna", mentre l'ESSERE non è tecnicamente un attributo, ma il modo di essere (appunto) del "Brahman  Nirguna".

***
Un saluto
#4549
Ciao Paul
Hai ragione circa i dialoghi platonico-socratici; ma io, nel dire che, essi, in genere, mi sembrano più "essoterici" che "esoterici", mi basavo, ovviamente sui testi scritti comunemente attribuiti a Platone.
Quanto, invece, a quello che Socrate e Platone, poi, dicevano oralmente ai propri discepoli, in effetti, nessuno è in grado di saperlo.

***
Grazie per i suggerimenti riguardo al "LOGOS", circa il quale sto pensando di aprire un apposito TOPIC; però, prima, mi devo informare meglio al riguardo, e poi devo riflettere un po' sulle informazioni assunte.

***
Grazie anche per il passo di Eraclito, che è bellissimo!
"Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo lógos". (Eraclito, fr. 45 Diels-Kranz)
E' un passo che fa riflettere!
Se mi è consentito azzardarne qui  una mia interpretazione personale, sarei propenso a pensare che, secondo Eraclito:
- il "lógos" dell'anima non va cercato in senso "orizzontale", peregrinando dialetticamente in ogni dove;
- il "lógos" dell'anima va invece cercato in senso "verticale", scavando semplicemente entro se stessi.
Ed infatti, come diceva Agostino d'Ippona: "Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas" (De vera religione, XXXIX, 72).
Quanto al "lógos dell'anima", di cui parla Eraclito, "forse" potrebbe essere identificato con il "fundus animae" ("Grund der Seele") dei mistici, laddove Dio e l'anima sono una cosa sola.


***
Quanto a Parmenide, a me sembra che a definirlo "venerando e terribile" fu Platone, e non Aristotele; anche se non posso escludere che anche quest'ultimo lo abbia definito così.

***
Se è vero, come tu dici, che lo stesso Hegel, a posteriori, ammise che la "Fenomenologia dello spirito" era stata "scritta male", allora, solo per tale ammissione (di cui ero all'oscuro) Hegel riacquista gran parte della mia stima.
Per emendarmi, perciò, qui ammetterò di essere stato forse un po' troppo aspro nelle mie critiche verso di lui; anche considerando che, probabilmente, io ho scritte moltissime cose "molto più male" di lui!

***
Quanto a spiegare la metafisica in termini "logici", in effetti, non è una cosa tanto facile (ammesso che sia possibile); forse non può essere spiegata, ma solo compresa in termini "mistici".

***
Quanto al fatto che, dall'empirismo a noi, in genere i filosofi tendono a ridurre la conoscenza filosofica alla percezione ed al mentale, esaltando la gnoseologia (o  moderna epistemologia scientifica) a scapito dell'ontologia, tutto questo è indubbiamente vero.
Però è anche vero che uno dei massimo empiristi inglesi, Berkeley, arrivò a sostenere che l'intero mondo è un "sogno di Dio"; assunto, questo, che non può non ricordarci il "misticismo" indiano (e non solo quello).
Ed infatti, a ben vedere, il "misticismo" non è altro che una forma estrema di "empirismo" interiore!

***
E' anche vero che la "relazione" moderna diventa correttezza sintattica e semantica fra soggettività e oggettività, dentro il dominio sensibile, naturale, materico; ma non direi che questo sia sempre un male, se non si esagera.
Galileo, Newton e Darwin, infatti, avevano, ed hanno, fondamentalmente ragione; sebbene ci sia ancora qualche "ignorantiota" che contesta quest'ultimo. Ovviamente, la teoria di Darwin ha subito varie correzioni, ma la sua sostanza è ormai fuori discussione.

***
Quanto alla psicanalisi di Freud, la psicologia analitica di Jung, ecc. non dobbiamo dimenticare che esse nascono fondamentalmente con "finalità terapeutiche"; per cui risultano valide o meno, solo nella misura in cui riescono effettivamente a curare i pazienti (circostanza oggi rilevabile anche a livello statistico).

***
Quanto alla tua affermazione per la quale: "...non essendoci principi universali che uniscano , ognuno si fa forte dei propri principi", essendo io un "Freigeist", la cosa non mi dispiace poi troppo.
Ed infatti, poichè nessuno ha mai potuto leggere scolpiti in cielo detti "principi universali", in genere essi sono stati "universalmente" condivisi dagli uomini, solo grazie ai roghi, alle ghigliottine, e, più modernamente, grazie al lavaggio mentale della propaganda totalitaria.
Secondo me, invece, è molto meglio che ognuno si faccia forte dei propri principi; senza però diventare tanto forte da pretendere di imporli anche agli altri, come se solo quelli in cui crede lui siano universali.

***
Per cui io direi che, "...essendo in tempo di accelerazioni e di trasformazioni", nonchè di libertà di opinione e di ricerca, ciò che si credeva ieri, oggi PER FORTUNA è già messo in discussione.
Altrimenti saremmo ancora oggi costretti "per legge" a credere al dogma della terra ferma al centro dell'Universo!
In realtà, secondo me, siamo SEMPRE in un tempo di transizione culturale; salvo che qualcuno voglia impedire con la forza il cambiamento!

***
Io ho letto (un po') sia Schopenhauer che Kierkegaard, e mi sono piaciuti molto entrambi; sia pure, ovviamente, per diversi motivi.
Nietzsche l'ho letto di meno, e mi è piaciuto solo in parte; sebbene alcune sue affermazioni siano strepitose ed anche molto attuali.
Ad esempio : "L'uomo di partito è necessariamente un impostore!" ("L'anticristo")
Ovviamente, non si riferiva solo ai partiti politici...ma anche a loro.

***
Quanto al fatto che la "nientità" è il nulla iniziale e finale delle apparenze del "divenire", e, quindi, non dell'"essere", sono perfettamente d'accordo con te.
Ed infatti sono anche d'accordo con te che la singola identità umana viene una volta sola e poi sparisce; come scriveva Catullo "Soles occidere et redire possunt; nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda." (Il sole può tramontare e poi risorgere; noi, invece, quando si spegnerà la nostra flebile fiammella, dovremo dormire per un'unica notte eterna.)
Ma l'"essere" che è in noi, non nasce e non muore.

***
Quanto al fatto che l'identità "individuale" nell'essere umano permanga senza memoria, e, soprattutto, senza coscienza (ad esempio, nel coma o sotto anestesia), ho fortissimi dubbi; non c'è più nessuno, se il suo encefalogramma è diventato "piatto".

***
Sono perfettamente d'accordo con te sul fatto che l'<<essere>> (che possiamo anche chiamare "spirito") sia un "immutabile"  che ci accompagna nel divenire dell'<<esistenza>> in un corpo fisico; cioè che l'essere è immutabile dentro un corpo fisico mutabile.
Non sono invece d'accordo con te quando scrivi che noi viviamo la contraddizione fra essere e non essere: ed infatti, trattandosi di due diversi livelli di realtà, secondo me non c'è contraddizione tra l'<<essere invariabile>> ed il <<mutevole esistere>>.
Un conto è l'attore ed un altro conto è la maschera.

***
Un saluto
#4550
Ciao Paul11
Trovo molto interessante il tuo discorso sui filosofi fino a Platone; il quale, però (salvo qualche eccezione), non lo trovo poi così "ermetico", ma, anzi, mi sembra desideroso di farsi capire "lippis et tonsoribus".
Non a caso, il suo maestro Socrate propugnava l'arte "maieutica"  (che Platone spiega nel Teeteto); la quale, a mio avviso, ha una finalità molto più "essoterica" che non "esoterica".

***
Interessante è anche quanto dici sul Logos, che può essere:
- l'archè,
- il discorso,
- il legame,
e, quindi la "relazione", come diremmo oggi.
Non ne avevo mai sentito parlare in tal modo; hai da indicarmi qualche libro o link al riguardo?
Grazie :)

***
Quanto a Parmenide, per la sua affermazione: "L'essere è, e il non essere non è!", io gli conferirei l'OSCAR PER LA CHIAREZZA; virtù così rara nei filosofi, i quali, per lo più (a cominciare da Hegel), si attengono strettamente al suggerimento di Trilussa: "Se voi il rispetto de l'amichi, nun faje mai capì quello che dichi!"
Però anche Parmenide, qualche frasetta "criptica", ogni tanto la tira fuori pure lui.

***
I più chiari di tutti sono i filosofi inglesi:  Locke, Hume, Berkeley...e, soprattutto, Bertrand Russel!
Ma anche alcuni filosofi tedeschi come Nietzsche e Schopenaeur!

***
Quanto a leggere la "Fenomenologia dello spirito" di Hegel, ammetto di averci provato varie volte, ma poi ci ho sempre rinunciato... finendo per scagliare il libro contro il muro (con invettive irrepetibili).
Un tempo pensavo di essere io a non capire; poi, invece, alla fine ho capito che io non capivo perchè non c'era NIENTE da capire; ed infatti, facendo un'accurata analisi logica e grammaticale del testo (anche in tedesco), mi sono reso conto che certe proposizioni erano "intrinsecamente" prive di senso compiuto.
Tu mi dirai che è il discorso della volpe e dell'uva!
E' sicuramente possibile; ma allora come mai che Kant (per quanto anche lui molto complesso), invece, l'ho sempre letto e capito benissimo, sin dal Liceo?
Il fatto è che Kant  segue una logica sintattica che comprendo, mentre Hegel, molto spesso, NO!
Praticando un po' lo ZEN, forse adesso qualche passo di Hegel riesco ad apprezzarlo come se fosse un KOAN; ed invero, in questo, Hegel è davvero un Maestro.

***
Quanto a Schopenhauer, mi è sempre piaciuto moltissimo, non solo perchè è anti-hegeliano, ma, soprattutto, perchè la sua filosofia, almeno per certi aspetti, e molto simile a quella indiana, che io apprezzo moltissimo; e poi, viva la faccia, almeno si capisce quello che dice!

***
Ho letto attentamente ciò che mi hai postato, riferito allo scritto di Hegel, il quale sostiene  che l'essere e il non-essere sono uniti dal referente, e che il non-essere comprende l'essere e il nulla.

***
Questo lo avevo compreso, però, come già ti avevo ampiamente argomentato, la considero una castroneria da "Guiness dei Primati"; ed infatti, penso che anche Gorgia da Leontini si sarebbe vergognato di un sofisma come: "Il non-essere comprende l'essere e il nulla (cioè, appunto, il non-essere)".
Sarebbe come dire che la locuzione: "Il <<non-cane>> comprende sia il <<cane>> che il <<non-cane>>", perchè entrambe le cose vengono enunciate assieme.
Ma che Hegel mi facesse il piacere!
https://www.youtube.com/watch?v=fa3a50pLmu8

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Quanto alla TRIADE "essere, niente, non essere" secondo me è un'UNIADE, perchè  il "niente" ed il "non essere", per definizione, mancano all'appello.
A parte il fatto che non mi è chiara  neanche la differenza tra "niente e non essere"; ammesso che abbia senso distinguere due cose che non ci sono.

***
Quanto al fatto che il "nulla" è nel divenire delle apparenze, questo l'avevo detto anche io, sin dal principio; ed infatti è una cosa ovvia e sotto gli occhi di tutti!
Però si tratta del  "nulla"  relativo, cioè il "non essere" più fiore, per "essere" diventato frutto, non certo il "nulla"  assoluto, che implicherebbe in entrambi la mancanza dell'"essere privo di predicati".
Ed invero:
- un conto è non essere questo ed essere quello, ovvero essere quello e non essere questo;
- un altro conto, invece, è avere il requisito dell'essere o non avercelo...a prescindere da questo o da quello.
Non riesco a capire come si possano confondere le due cose!

***
Quanto al fatto che la coscienza è la mediatrice fra il dato sensibile, che è "contraddittorio" in quanto ciò che è non può anche non essere, secondo me, tale presunta contraddizione scaturisce proprio dall'errore logico di cui sopra, poichè:
- indubbiamente ciò che è non può anche non essere;
- però, altrettanto indubbiamente, possono benissimo alternarsi tra di loro differenti "manifestazioni" (o "modalità esistenziali") dell'essere, così come il fiore che cessa di esistere come fiore per diventare frutto...senza che per questo  l'essere cessi di essere <<ESSERE>>!
In questo, il dato sensibile non risulta affatto "contraddittorio", in quanto l'<<essere>> "noumenico" permane inalterato in quanto <<essere>>; ciò che muta è solo l'apparenza "fenomenica" delle sue diverse manifestazioni".

***
Ciò che appare dal nulla e scompare nel nulla, è solo l'esistente, cioè l'ombra dell'essere, proiettata sul fondo della caverna!

***
Quanto al fatto che esista il termine "nulla" e noi lo utilizziamo magari paradossisticamente, magari contraddittoriamente, magari irrazionalmente, ma che ha comunque un significato che se fosse anche solo linguistico evoca  a sua volta "un' immagine relazionata ad un concetto mentale o ad una realtà fisica", non sono affatto d'accordo; ed infatti, benchè indubbiamente esista anche il termine "cerchio quadrato" e noi lo utilizziamo magari paradossisticamente, magari contraddittoriamente, magari irrazionalmente, ciò però non ci consente in alcun caso di evocare "un' immagine relazionata ad un concetto mentale o ad una realtà fisica di cerchio quadrato".
E' impossibile immaginare un cerchio quadrato, così come è impossibile immaginare il nulla!

***
Quanto al fatto che "l'essere è" sia in contrasto con il "divenire", questo non è affatto vero, se si considera che a "divenire" è solo l'apparenza dell'essere, ma non l'essere in sè.
Sarebbe come considerare contraddittoria la circostanza che su uno schermo cinematografico si alternino vari eventi, ed oggetti che mutano in continuazione, mentre, invece, in realtà, tutto avviene su uno sfondo  immobile che rimane sempre eguale a se stesso!
Ed infatti, ci sono diversi livelli di REALTA' (persino a livello fenomenico); ed il contrasto può ipotizzarsi  solo nell'ambito di uno stesso livello di REALTA', non tra diversi livelli .
Sarebbe come se il Rieti volesse scendere in campo contro la Juve :D

***
Un saluto!
#4551
Ciao Green.
Innanzitutto ti ringrazio per il complimento, che ricambio sentitamente, perchè, in tutta sincerità, il tuo scritto non ha nulla da invidiare al mio.
Semmai, viceversa! ;)

***
Quanto alla tematica del "tempo", in effetti, nel mio TOPIC l'ho solo sfiorata;  però affascina molto anche me.

***
Rammento che il problema mi colpì per la prima volta leggendo il famoso passo delle "Confessioni", in cui Agostino si chiede che cosa sia il tempo e così si risponde: «Se nessuno me lo chiede, lo so; se, invece, cerco di spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so».
Però, poi, argomenta: "...senza nulla che passi, non esisterebbe un tempo passato; senza nulla che venga, non esisterebbe un tempo futuro; senza nulla che esista, non esisterebbe un tempo presente".
Ragionamento che, quando lo lessi, non mi convinse molto, in parte per le stesse ragioni da lui esposte subito dopo, laddove egli stesso lo mette in dubbio, in quanto, in effetti:
- come farebbero ad esistere il passato e il futuro "dal momento che il primo non è più, il secondo non è ancora?"
- ed anche lo stesso presente,  se fosse sempre presente, senza tradursi in passato, non sarebbe più tempo, ma eternità
E ne conclude: "Se dunque il presente, per essere tempo, deve tradursi in passato, come possiamo dire anche di esso che esiste, se la ragione per cui esiste è che non esisterà? Quindi non possiamo parlare con verità di esistenza del tempo, se non in quanto tende a non esistere".

***
A mio avviso, invece, i casi sono due:
a)
O il tempo è un "continuum", che esiste contestualmente in tutti i suoi istanti, ed è solo la nostra coscienza che ci corre sopra a senso unico, come un treno su binari senza fine...ma sempre in avanti.
b)
Oppure il tempo è solo una "illusione", perchè, come dice giustamente Agostino, se non è un "continuum", allora, allora il futuro ed il passato non esistono, in quanto privi del requisito dell'"essere"; a mio avviso, però, in tal caso non esisterebbe neanche il presente, in quanto pura astrazione, poichè l'istante è come il punto...non ha dimensioni.
Poi ci si mette di mezzo pure Einstein...per cui, sinceramente, non saprei più davvero che pesci prendere al riguardo!:(

***
Quanto al fatto che il me giovane non ha alcun legame biologico con il me vecchio, invece, non sono molto d'accordo; ed infatti, nave di Teseo" a parte, il mio complesso biologico neuronale mantiene la sua memoria identitaria almeno a partire dai tre anni.
Il che, ovviamente, non significa affatto che io non abbia  un anima; ma a ricordarsi qualcosa prima dei tre anni non ce la fa neanche lei!

***
Incidentalmente, comunque, io credo all'anima, come in un rapporto "bilivellare" Jiva-Atman; il che, almeno stando a San Paolo, non è  poi molto differente dalla concezione cristiana.

***
Ed infatti credo che, forse, almeno in parte, le nostre due concezioni possano collimare, in quanto, dal mio punto di vista:
- il primo livello (fenomenico) è quello del soggetto idividuale (jiva), che continua a illudersi di essere identità unica ed assoluta, identificata da ruoli contingenti più o meno fittizi (io sono il mio codice fiscale, io sono un avvocato, un magistrato, un panettiere etc...).
- il secondo livello (noumenico), invece, è quello che riguarda il "SE'" reale, cioè l'uomo interiore il cui spirito, come dice San Paolo, è destinato a scoprirsi UNO con Dio.

***
Quanto al "SOGGETTO", infatti, come diceva Shakespeare, gli uomini sono "vermi che strisciano tra la terra ed il cielo", poichè occorre distinguere:
- tra un soggetto-fenomeno (che esiste)
- ed un soggetto-noumeno (che è)
Oppure, si può dire benissimo, come fai tu: ESSERE, ESSERE che è DIO. (è ovvio).

***
Quando al mondo dei soli aggettivi, io preferisco dire dei soli predicati; ma non credo che ci sia molta differenza.

***
Quanto al fatto che l'uomo sia il medium della funzione di scontro tra gli opposti, in realtà, secondo me, NON ESISTONO OPPOSTI, NE' SCONTRI REALI, PERCHE' SIAMO TUTTI UNO.
Quello della BHAGAVAD GITA, infatti, come Krisna spiega ad Arjuna, è un FINTO scontro, di un unico DIO (non di tanti dei), che frantumandosi nel molteplice, inscena una battaglia priva di realtà sostanziale.

***
Quanto ad Hegel, di cui tu riporti molto appropriatamente alcuni passi, sinceramente io non lo capisco molto; lui costruisce molte argomentazioni che, per me, sono prive di senso compiuto.

***
Ed infatti, che vuol dire che il movimento NEGATIVO viene ancora prima, in quello che lui chiama lo SPIRITO?
Per me è solo nei fenomeni che c'è movimento (che non conta nulla), non nel noumeno.

***
Da qui in poi, sebbene non sia colpa tua, ma di Hegel, non riesco più a seguire il filo del discorso.

***
Condivido, invece, la tua critica della eccessiva preponderanza della tecnica, sulla scorta di Severino.

***
Un saluto!

#4552
Citazione di: viator il 03 Marzo 2020, 12:52:06 PM
Salve Eutidemo. Poichè spazio e tempo sono unicamente dimensioni immateriali legate alla loro "percezione psichica=concepimento" da parte di un soggetto......impossibile per una qualsiasi psiche (quindi poi, mente concettuale) immaginarne l'inesistenza.

E' questa la ragione per la quale scienza e fisica risultano dei sistemi (delle visioni del mondo) al cui interno DEVONO esistere lo spazio ed il tempo (cioè il soggettivo) destinati ad entrare in relazione con materia ed energia (che sono le due dimensioni oggettive ed extraumane del mondo).

Alla fine il problema resta sempre il medesimo : l'impossibilità - da parte di chiunque - di riuscire a concepire un mondo privo di un sè stessi. Saluti.

Non a caso quando Kant parla di "intuizioni sensibili", per essere sicuro che siano "pure", cioè universali e necessarie, ne trova soltanto due: quelle del tempo e dello spazio.
Ed infatti, a lui non interessava tanto esaminare il fenomeno in sé, quanto, piuttosto, definire le forme astratte e oggettive in cui esso può essere conosciuto.
#4553
Ciao Bob
Questa volta condivido pienamente tutte le tue osservazioni!

***
Ed infatti anche secondo me, che il "vuoto" non sia il "nulla" dovrebbe essere di tutta evidenza; ed infatti, come giustamente scrivi tu, il "pieno" e il "vuoto" sono solo le modalità con cui lo "spazio" ci appare.

***
Sono anche d'accordo con te che, semmai, potrebbe essere l'"assenza dello spazio" una considerazione interessante riguardo al "nulla".
Però, al riguardo non mi pronuncio, perchè è un tema su cui non ho mai riflettuto.
L'unica cosa che potrei azzardare, a botta calda, è che non è possibile raffigurarsi mentalmente nè l'"assenza dello spazio" nè il "nulla"; il che, forse, potrebbe lasciar pensare che si tratti sostanzialmente della stessa (non) cosa.
Che ne pensi?

***
Un saluto!
#4554
Ciao Paul 11
Salto i punti su cui dici che siamo d'accordo; essendo, peraltro, molto confortato dal tuo consenso su di essi.

***
Quanto ad Eraclito ed Hegel, invece, ammetto di essere stato un po' troppo semplicistico e sommario; anche perchè ormai mi stava bollendo un po' il cervello.

Al riguardo:

1)
Non senza motivo Eraclito era detto l'"OSCURO", perchè, in effetti, molte sue affermazioni suonano alquanto "criptiche"; come anche alcune affermazioni di Parmenide, a dire il vero.
Al riguardo, ho il sospetto che in entrambi i casi, l'"ermeticità" fosse un espediente "iniziatico" per indurre chi li leggeva ad "intuire" da sè il senso delle loro parole; questo, però solo una volta che avesse raggiunta una sufficiente consapevolezza interiore.
Ciò premesso, poichè lui stesso precisa che il "divenire" riguarda le "sostanze mortali", ma non l' "essere" che ne costituisce il sostrato "reale", penso che per "sostanze mortali" egli intendesse le "sostanze accidentali", così come denominate da "Pier Giovanni Fabbri nel suo "Desiderio d'infinito"; e, cioè, il "fenomeni"; mentre Parmenide, invece, contempla l'immutabilità dell'"essere".
Secondo me, quindi, il suo contrasto con Parmenide era solo apparente!
Ed infatti il primo rivolgeva la sua attenzione al "fenomeno" (le scene convulse proiettate sullo schermo), mentre il secondo rivolgeva la sua attenzione al "noumeno" (l'immobile schermo su cui scorrono le scene cinematografiche).

2)
Quanto ad Hegel, in molti casi, era più criptico lui di Parmenide e di Eraclito messi insieme;  però non credo che lo facesse per motivi "iniziatici", ma solo perchè era un Professore tedesco!

***
In ogni caso, ammesso (e non concesso) che io abbia capito sul serio quello che vuole dire, non lo condivido affatto; ed invero, secondo me "pensare nulla" non ha alcun  significato.
A mio avviso, "pensare nulla"  significa non "pensare affatto", in quanto ci si trova sotto anestesia!
Si può, sì, <<dire>> a voce "penso il nulla", però non lo si può <<fare>>; provateci, se ne siete capaci!
Chi lo afferma, secondo me, mente per la gola!

***
Ha invece un senso, sebbene ingannevole, dire, come Hegel, che: "I due si distinguono; dunque il nulla è (esiste)"
In questo caso, se non mi sbaglio, lui si rifà, sebbene in questa ipotesi impropriamente, alla nota ""Teoria della definizione" di Aristotile, in base alla quale ogni cosa è definibile per "genere prossimo" e per "distinzione specifica".
Cioè:
a)
Il "genere" cui dobbiamo far riferimento per produrre una buona definizione è il genere prossimo, cioè quello più vicino possibile al termine da definire e quindi meno generale e generico. Ad esempio, dovendo dare una definizione del termine "uomo", il genere che indicheremo sarà quello prossimo di "animale" e non quello troppo ampio di "vivente".
b)
La "distinzione specifica", ossia le caratteristiche che distinguono la specie del termine definito da altre specie dello stesso genere. Cioè, ad esempio, per dare un'appropriata definizione di "uomo", oltre al genere prossimo (animale), dovremo indicare la differenza principale in ragione della quale la specie "uomo" si distingue dagli altri animali, per cui la più comune, per quanto opinabile, definizione di uomo sarà "animale" (genere prossimo) "razionale" (differenza specifica)".

Il che evidenzia subito come il ragionamento di Hegel sia fallace, in quanto:
-  dire che "I due si distinguono" a causa della "ragione" va bene per l'uomo e l'animale;
-  ma dire che "I due si distinguono" non ha invece alcun senso per l'"essere" ed in "non essere", perchè il secondo non è certo il "genere prossimo" del primo; ed infatti, non si può certo dire che la definizione di "essere" sarà dunque "non essere" senza il "non" davanti (e viceversa).
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Solo un Professore tedesco può sostenere una cosa del genere!
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In realtà l'"essere" non è definibile per "distinzione" da niente altro, perchè non è una "cosa", bensì è il sostrato, ovvero il "minimo comun denominatore" di "tutte" le cose; quindi non ha alcun senso contrapporlo al "non essere", allo stesso modo di come si può contrapporre il "giorno" alla "notte", che sono due cose.

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Al riguardo, invero, in NOTA Hegel scrive: "Quando si volesse riguardar come più esatto di contrapporre all'essere il non essere, invece che il nulla, non vi sarebbe niente da dire in contrario, quanto al risultato, poiché nel non essere è contenuto il riferimento all'essere; il non essere è tutti e due, l'essere e la sua negazione, espressi in uno, il nulla, com'è nel divenire."
Ammetto che si tratta di un ragionamento molto "sottile", che, però, non mi convince per niente.
Ed invero, a mio avviso (a parte che "con le chiacchiere"), non si può in alcun modo contrapporre "razionalmente"  il "non essere" all'"essere"; e, questo,  per il semplice fatto che il "non essere" -per definizione- <<NON E'>>; e, quindi, ciò che <<NON E'>> non "è" contrapponibile a niente, proprio perchè non sta da nessuna parte!

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Quanto al fatto che:"Il non essere è tutti e due, l'essere e la sua negazione, espressi in uno", anche in questo caso, secondo me, si è sempre in presenza di un mero artifizio verbale; perchè il "non" azzera ciò che segue nel resto della proposizione.
Sarebbe come dire che :"Il non essere vivo, è tutti e due, l'essere vivo e la sua negazione, espressi in uno"; cioè, "essere vivo ed essere morto allo stesso tempo!".
Il che, a mio avviso, costituisce palesemente un controsenso.

***
In conclusione, in questo caso, secondo me la "dialettica degli opposti" di Hegel non funziona, perchè, in via di principio, essa presuppone l'"essere" in entrambi gli "opposti" (in atto o, quantomeno, in potenza); se uno dei due,invece, è radicalmente privo di '"essere", non può essere opposto a nient'altro, per il semplice fatto che non c'è.

***
Un saluto!







#4555
Ciao Bob
Non condivido nessuna delle tue tre iniziali premesse.
Ed infatti:

1)
Dire che l'universo non si espande nel "vuoto", in quanto crea esso stesso lo "spazio", non ha molto senso; ed infatti anche quello "vuoto" è indubbiamente anch'esso uno "spazio".

2)
Dire che l'universo l'universo è "finito", e, nello stesso tempo, "illimitato", nello stesso tempo è:
- falso, perchè "sembra" che questo universo abbia un limite perimetrale 4,6508 × 10^10 anni luce, per cui non è affatto "illimitato";
- contraddittorio, perchè, ovviamente, se davvero esso fosse "illimitato" sarebbe anche "infinito".

3)
Dire che con il Big Bang "nasce" il "tempo", è anch'esso un controsenso; ed infatti, se il tempo avesse avuto un "inizio" con il Big Bang , è ovvio che il tempo sarebbe dovuto necessariamente esistere sin da "prima" di tale inizio.
In caso contrario, non sarebbe potuto certo "cominciare" in un determinato istante di 13,7 miliardi di anni fa, alle ore 14,15 di pomeriggio!

***
Le altre tue conseguenti considerazioni perdono di validità logica, in quanto fondate su premesse che, almeno a mio parere, sono fallaci.

***
In ogni caso, talvolta tu trai delle conseguenze che sono in contrasto anche con le tue premesse; ed infatti noi saremmo  nel centro di questo universo, solo se esso fosse "infinito", mentre invece tu parti dal presupposto che esso sia "finito", sebbene "illimitato".
In ogni caso, a prescindere da questo aspetto, ne potremmo essere al "centro" solo se esso fosse "rotondo"; cosa non contemplata dalle tue premesse (anche se pare che sia così, sebbene la cosa sia ancora alquanto controversa).

***
Sono invece d'accordo con te, come già avevo scritto, sul fatto che Eraclito e Parmenide, in fondo, non erano in contrapposizione; in quanto Eraclito guardava il divenire, Parmenide l'essere.
Per usare una metafora, il primo rivolgeva la sua attenzione al "fenomeno" (le scene convulse proiettate su uno schermo cinematografico), mentre il secondo rivolgeva la sua attenzione al "noumeno" (l'immobile schermo su cui scorrono le scene cinematografiche).

***
Quanto al fatto che l'Uno coincida con il Nulla, ed al dubbio che Essere e Nulla siano il medesimo, non è mia intenzione riprendere la nostra futile discussione, essendo per me evidente che "L'essere è, e il non essere non è".


***

Un saluto!




Severino si era fissato sull'essere, e così ha tirato fuori gli immutabili. Combatteva l'erronea fede nel divenire perché origine del nichilismo.
Ma, come ho avuto più volte modo di contestargli direttamente, pure la fede nell'essere molteplice alimenta il nichilismo.
Perché per noi "essere" altro non è che ciò che resiste al divenire e il "divenire" l'annichilimento di questo essere.
Ma entrambi necessitano uno dell'altro, in un gioco senza fine.
Di per se stessi infatti non sussistono. L'essere ha senso solo in confronto al divenire: se nulla divenisse non vi sarebbe alcun essere.
E il divenire ha significato solo ipotizzando un essere: senza essere sarebbe divenire di che?

Se viceversa vogliamo intendere con Essere l'Uno, allora non è più questione del gioco "essere" – "divenire". L'Uno infatti coincide con il Nulla.

Considerazioni queste, tra le tante possibili, che dovrebbero, a mio parere, far insinuare il dubbio che Essere e Nulla siano il medesimo.
Ma tant'é...
#4556
Citazione di: Jacopus il 02 Marzo 2020, 16:34:23 PM
La continuità dell'essere nel suo divenire irrefrenabile è semplicemente la conseguenza di un principio organico.
Mentre le cellule dell'occhio o del fegato o del dito mignolo muoiono e si rigenerano migliaia di  volte nel corso di una vita umana, le cellule del nostro sistema nervoso possono soltanto morire, ma ne conserviamo comunque a sufficienza anche di quelle che avevamo in dotazione appena nati. Questo ci permette di rappresentarci come un singolo individuo, per quanto sottoposto alle tensioni inevitabili del divenire. Solo la malattia mentale e/o quelle degenerative della terza età possono spezzare il senso di unità dell'individuo.
Capisco che si tratta di un discorso poco filosofico, ma la filosofia dovrebbe confrontarsi anche con queste semplici constatazioni organiche.

E' vero: solo la malattia mentale e/o quelle degenerative della terza età possono spezzare il senso di unità dell'individuo...cosa che, purtroppo, accade sempre più di frequente.
Però io credo che l'individuo sia solo un attore che, in genere inconsapevolmente, recita una parte non sua; dietro la sua maschera teatrale, c'è un Altro!
#4557
Citazione di: baylham il 01 Marzo 2020, 18:04:15 PM
Non penso che la contraddizione sia risolvibile come un errore di logica grammaticale: l'aggettivo sostantivato è normale nel linguaggio. Infatti le premesse da cui sorge la contraddizione sono perfettamente comprensibili, hanno un senso compiuto. Anche l'autoreferenzialità fa parte del linguaggio.
Nel paradosso in questione si utilizza un "normale aggettivo", e NON un "aggettivo sostantivato"; altrimenti, se fosse "un aggettivo sostantivato",  non potrebbe descrivere o non descrivere se stesso, e, quindi, il meccanismo non funzionerebbe. 
Un esempio di "aggettivo sostantivato", invece, è questo: "Il ricco non è mai soddisfatto."
#4558
Citazione di: Phil il 01 Marzo 2020, 18:17:10 PM
Il paradosso citato mi ha ricordato il paradosso del bibliotecario, forse l'unico paradosso logico che non sia mero gioco di pensiero (come quello del sorite, del barbiere, del mentitore, etc.) ma che possa essere "realizzato" concretamente producendo uno stallo (o addirittura un autolicenziamento...).
Esatto, ed infatti anche il paradosso del bibliotecario è un'altra versione del paradosso di Russell; che lui stesso risolse matematicamente.
#4559
Si tratta di una questione molto antica, che, di solito, si fa risalire al duplice postulato di Parmenide, per il quale "L'essere è, e il non essere non è"; con il conseguente corollario "Non si potrà mai fare che siano le cose che non sono", e viceversa "Non si potrà mai fare che non siano le cose che sono", (passi da me  tratti, un po' liberamente dal suo "Poema della natura").
Concezione a cui, da alcuni, si imputa la scaturigine del "Principio di non contraddizione" di matrice "occidentale".
Sebbene, in effetti, una concezione del genere appare anche nella "BHAGAVAD GITA" HINDU, laddove, in SANSCRITO, si trova scritto: "Ciò che non è  non può venire all'essere, mentre dell'essere non può mai esservi cessazione!" (BHAGAVAD GITA CANTO.2 SLOKA.16)

***
Quando, al Liceo, ascoltai per la prima volta il Professore di Filosofia enunciare la frase di Parmenide sopra citata, non potei fare a meno di sorridere: ed infatti, dentro di me, dissi "Bella scoperta!"
Non immaginavo, allora, quanti filosofi si sarebbero affannati a discutere di tale affermazione; che a me, invece, sembrava così ovvia.

***
Poi, ragionandoci sopra, mi resi conto che la faccenda non era poi così banale come sembrava a prima vista; almeno sotto il profilo linguistico.
Ed infatti, finita la scuola, dovetti prendere atto di <<NON essere>> più uno scolaro, bensì di <<essere>> ormai uno studente universitario; così come, adesso, guardandomi allo specchio, mi accorgo di <<NON essere>> più un giovanotto, bensì di <<essere>> un vecchio.
Ragionando in questi termini, l'<<essere>> ed il <<NON essere>> sono intrinsecamente legati da un rapporto reciproco di <<divenire>>; giacchè ogni cosa cessa di <<essere>> quello che era prima (precipitando nel <<NON essere>>), per cominciare ad  <<essere>> un'altra cosa...una cosa diversa!
Cioè, appunto, <<diviene>>.

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Ragionandoci ancora meglio, però, mi resi conto che si tratta comunque di un ragionamento un po' ambiguo, perchè è valido solo "in senso relativo"; cioè, al fatto di "essere una cosa o un'altra", cioè all'<<esistere>>ma non all'<<essere>> o al <<NON essere>>  in senso assoluto.
Ed invero, un conto è l''<<essere>>, ed un altro conto è la "modalità" con la quale si <<è>> in un determinato momento e in un determinato luogo!

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A mio parere, infatti, l'<<essere una cosa o un'altra>> riguarda le varie manifestazioni <<esistenziali>> di un essere, che, però, continua ad <<essere>> , in quanto tale, sempre lo stesso (almeno per un certo periodo di tempo).
Ad esempio, anche se il mio <<essere>> giovane è ormai divenuto un <<NON essere>>  più giovane, ma è diventato un <<essere>> vecchio, tuttavia il mio "codice fiscale", che definisce il mio <<essere>> in termini "civilisticamente" "assoluti" (cioè non condizionato e "sciolto" dal mio divenire contingente ed <<esistenziale>>) , non è cambiato di una virgola.
Ovviamente si tratta soltanto di un esempio, in quanto  anche il mio corpo è transeunte; prima che io nascessi, era nel mondo del "<<NON essere>> (o meglio, come meglio preciserò dopo, del <<NON esistere>>), laddove tornerà dopo che io sarò morto.
O meglio,  tornerà nel <<NON esistere>> quella particolare "forma" che si era "esistenzialmente" organizzata con il mio nome e cognome; ma la sua <<realtà>>, sia pure ormai "disorganizzata" rispetto a quella specifica forma individuale, sopravviverà imperitura a durare come <<essere>>.
Quantomeno come <<essere>>."atomi" (ma non solo)!

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A questo punto, credo sia opportuno disambiguizzare ancor meglio il significato del termine "essere", che, finora, per farmi capire meglio, io ho usato spesso distinguendolo con gli aggettivi "assoluto" e "relativo"; mentre invece, più correttamente, solo il primo andrebbe definito <<essere>>, mentre il secondo, più semplicemente,  <<esistere>> (dal lat. exsĭstĕre, da "ex"- "fuori da" e "sistĕre" "stare").
Al riguardo, se non rammento male, Friedrich Schelling distinse l'<<essenza>>, che riguarda l'Essere da un punto di vista puramente logico-formale, dall'<<esistenza>>, che attiene invece all'aspetto storico e concreto del singolo essere individuale; cioè, più o meno, è quasi la stessa differenza che c'è tra l'<<atman>> ed il <<jiva>> nei Vedanta.
Ma, al riguardo, mi fermo qui, perchè non vorrei allontanarmi troppo dal tema principale del mio TOPIC.

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Beninteso, l'<<essere>> ed il <<non essere>> dei fenomeni <<esistenti>, non si alternano solo temporalmente in relazione ad uno stesso fenomeno (il fiore che diventa frutto), ma anche in relazione a fenomeni diversi; per "genere prossimo" e "differenza specifica".
Ad esempio, un gatto ha l'<<essere>> di un gatto, e, "relativamente", il <<non essere>> di una tigre; per cui, dialogicamente, diciamo che un gatto <<non è una tigre>>.
Però, comunque, il gatto in senso assoluto <<è>>, avendo in comune con la Tigre (ed anche con una pentola) il minimo comun denominatore dell'<<essere>>.
Ogni cosa che "esiste", in "termini assoluti"  ha il requisito dell'<<essere>>, e MAI quello del <<NON essere>>; perchè il <<NON essere>> non è!

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Portando il discorso all'estremo, con riguardo al "Dio Apofatico cristiano" di San Dionigi l'Aeropagita (che, sostanzialmente, equivale al "Brahmam Nirguna hindu"), alcuni mistici dicono che Esso è <<NULLA>>; ma non nel senso che non esiste, bensì che non è <<niente>> di tutte le altre cose e di qualsiasi attributo.
Ma questo è un altro discorso, che non c'entra molto col tema in esame; per cui eviterò di approfondirlo.

***
In sintesi, tutto ciò che vediamo (dai monti alle valli, dalle stelle ai pianeti, fino al vicino di casa), ed anche tutto ciò che "non vediamo", è come la PLASTILINA; un materiale polimorfico che assume i più diversi aspetti "esistenziali", molto diversi gli uni dagli altri, restando, però, sempre lo stesso.
L'<<essere>>!

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E il <<NON essere>>?
Come diceva giustamente Parmenide (e la Gita), il <<NON essere>> non è!

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Al riguardo, invero, entrando più specificamente in tema, occorre fugare alcuni equivoci riguardo alla differenza tra il <<VUOTO>> ed il <<NIENTE>>:

1)
Il <<NON essere>>, ovvero il <<NIENTE>>, non ha niente a che vedere con il <<VUOTO>>.
Ed infatti, se diciamo che <<NIENTE>> separa una cosa dall'altra, non vuol dire che in mezzo a loro ci sia uno spazio vuoto, bensì, al contrario, che sono attaccate l'una all'altra; o meglio, che sono "la stessa acqua", come quella del mare adriatico e del  mare Jonio.
Come, infatti, diceva Aristotele: "Se due cose si toccano, allora vuol dire che <<NIENTE>>  c'è in mezzo;  se, invece, due cose non si toccano ci deve essere per forza <<QUALCOSA>> a separarle"

2)
All'interno del nostro universo non è possibile ottenere il <<VUOTO ASSOLUTO>>; ad esempio nello spazio cosmico c'è uno stato di vuoto, ma non  c'è il nulla.

3)
Il <<VUOTO>> e' uno spazio senza materia ed energia, mentre  il <<NULLA>> è l'assenza di spazio; che è una cosa diversa.

4)
Nello "spazio cosiddetto vuoto", peraltro, esiste comunque lo spazio-tempo, altrimenti arriveremmo in un lampo su Sirio".

5)
Ed invero, il cosiddetto "vuoto cosmico" non è poi affatto così vuoto; per esempio, può alterare le caratteristiche di un raggio di luce che lo attraversi, comportandosi più o meno come un "prisma".
E' quella che i fisici chiamano "birifrangenza del vuoto", un fenomeno previsto ottant'anni fa ma mai osservato sperimentalmente; adesso, invece, sì.
Ed infatti, un team di ricercatori ha studiato lo spazio vuoto intorno alla stella di neutroni RX J1856.5-3754, rilevando questo fenomeno quantistico;  tale scoperta, descritta in un articolo pubblicato dal Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, aiuta a far luce sulle proprietà quantistiche del vuoto e a capire a un livello più profondo le leggi fondamentali della fisica.
Il «nulla» pertanto, a mio modesto avviso, si circoscrive alla filosofia, mentre il «vuoto» alla fisica; per la fisica delle particelle elementari, infatti, il 'vuoto' quantistico è sede di una miriade di processi 'spontanei' e casuali di creazione e annichilazione di particelle, che in nessun caso può equivalere al  «nulla» filosofico.

***
Chiarite le differenze tra il <<VUOTO>> ed il <<NIENTE>>, questo ci aiuta anche a capire che "prima" del <<BIG BANG>> c'era il <<VUOTO>>,  ma, di sicuro, non c'era il <<NIENTE>>; e, se non ci fosse stato un "prima" (come alcuni sostengono), non ci sarebbe potuto essere neanche un "dopo", che, invece, è sotto i nostri occhi.
Al riguardo:

1)
Il <<BIG BANG>>, sebbene sia ancora un processo in buona parte misterioso, ha dato il via a questo <<UNIVERSO>>, ma non certo alla <<REALTA'>> dell'<<ESSERE>>; che, ovviamente, già c'era prima, altrimenti il <<BIG BANG>> non avrebbe potuto in alcun modo essere <<ESSERE>>...per la contraddizione che nol consente ("ex nihilo nihil")!

2)
Nella fisica contemporanea, infatti, ormai si è affermata la teoria della nascita dell'Universo dal <<vuoto>> per mezzo del "Principio di Indeterminazione" di Heisenberg, e comunque 'per caso' tramite il processo chiamato, appunto,  Big Bang; ma, anche se lo avesse creato Dio, le cose non cambierebbero poi di molto.

3)
Questo <<vuoto>> originario da cui sarebbe nato l'Universo,  infatti, non potrebbe essere stato in nessun caso il <<nulla>>; ed  infatti il dire "prima esisteva solo il nulla"  sarebbe  quanto meno una contraddizione in termini in quanto il <<nulla>> dotato della caratteristica dell'esistenza non è più se stesso,  ma è già <<qualcosa>>.

4)
E, in ogni caso, il <<nulla>>  non può essere nè "prima", nè "durante", nè "dopo", essendo "atemporale"; o meglio, "non essendo nulla" per postulato.

5)
Perciò potremmo dire che, secondo i  sostenitori della teoria del Big Bang, all'inizio esisteva un 'qualcosa' che si potrebbe chiamare 'vuoto primordiale', un 'quid' (forse, ma non necessariamente) privo di materia ed energia ma dotato come minimo della proprietà dell'esistenza; se no di esso non si potrebbe neanche parlare.
Il Big Bang, infatti, fu una "esplosione" con relativa "espansione", che si può sicuramente verificare nel "vuoto", ma non certo nel "nulla"; perchè non ci sarebbe "nulla" in cui espandersi:
Cioè:
- si sarebbe espansa all'infinito sin dall'istante iniziale, perchè NIENTE l'avrebbe limitata.
- e, se è vero che "fu", lo fu necessariamente nel tempo (che, quindi, già c'era).

6)
Per la fisica delle particelle elementari, infatti, come detto, il 'vuoto' quantistico è sede di una miriade di processi 'spontanei' e casuali di creazione e annichilazione di particelle che "sembrano" provenire dal 'nulla' e che "sembrano" sparire nel 'nulla', mentre, invece, vengono semplicemente dal vuoto.

7)
Il nostro Universo, dopo il <<BIG BANG>>, si espande nel <<vuoto>>, ma non certo nel <<nulla>>; ed infatti, se a limitarlo fosse il <<nulla>>, sarebbe, ovviamente, INFINITO.
Mentre, invece, non lo è, in quanto è circondato dal <<vuoto>>!

***
Una volta esaurita la disamina circa la differenza tra il <<vuoto>> e il <<nulla>>, (anche con riferimento al <<BIG BANG>>), che è questione di carattere eminentemente "fisico", resta però da esaminare la famosa <<APORIA, DEL NULLA>>, che è una questione di carattere eminentemente "filosofico"; la quale consiste nel fatto che, nel dire o pensare che il nulla non è, lo si investirebbe di una realtà che gli si nega.
Al riguardo, osservo quanto segue:

1)
Il fatto di pensare ad un cosa, non significa conferirgli alcuna realtà, che non sia di carattere meramente "immaginativo"; ed infatti, se io penso ad un unicorno, nella mia mente si configura effettivamente l'immagine di un unicorno, ma la cosa finisce lì.

2)
Alcune cose, invece, così come un "cerchio quadrato", si possono, sì, "enunciarle" verbalmente, ma, di sicuro, non si possono nè "pensare" nè "immaginare"; per cui, a mio parere, anche il <<nulla>> può essere enunciato (come stiamo facendo qui), ma, certamente non può essere "pensato" da nessuno.
Al massimo, ammesso che ci si riesca, si può cercare di immaginare il <<vuoto>>; ma, come sopra detto, è una cosa del tutto diversa dal <<nulla>>.

3)
A ben vedere, peraltro, affermare, come giustamente fa Parmenide, che "il nulla non è", significa escluderlo dalla totalità di ciò che è in quanto non essere; cioè  significa l'esclusione della possibilità stessa che il nulla rientri nel campo del reale, dell'oggettivo, dello scibile, e dell'intelligibile.

4)
Il nulla non è, e quindi è impredicabile; è "una semplice parola", ovvero, come diceva Bergson, è "una pseudo-idea".

5)
Sempre restando a Bergson, è solo un problema di linguaggio, in quanto il nulla è un concetto "autocontraddittorio" ed "auto-distruttivo".

6)
Ed invero, in analisi logica:
- formalmente il concetto di <<nulla>> esiste, in quanto viene affermato ed enunciato a livello linguistico;
- però, dal punto di vista oggettivo e fisico, nulla corrisponde a questo essere puramente formale.
Come se dicessi "BIBBO"!

7)
Il nulla è:
- l'assoluta negatività, l'impensabile, l'assolutamente niente che non può essere il predicato di nulla;
-il minimo semantico, il grado zero del concetto, la privazione di ogni realtà determinata;
- qualcosa che toglie se stesso nel momento stesso in cui è posto.

***
A questo punto, dovrei esaminare e controbattere, ad una ad una, tutte le varie "concezioni filosofiche" contrarie alla mia; cioè, a parte quella di Parmenide e, più recentemente, quella di Emanuele Severino, praticamente quasi tutte.
Compito, questo, superiore alle mie forze ed anche, ad essere onesto, alle mie limitate (o quantomeno "insufficienti") conoscenze filosofiche.
Per cui, qui, accennerò solo a:

1)
ERACLITO

Il quale, giustamente, affermava: "Non si può entrare due volte nello stesso fiume".
O meglio, più esattamente "Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una <<sostanza mortale nel medesimo stato>>, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e se ne va."( frammento 91 D.-K. del trattato Sulla natura).
Sul che sono perfettamente d'accordo, così come mi sono dilungato a spiegare in premessa; però, ciò che lui dice, non c'entra niente con l'<<essere>> noumenico, bensì con l'<<esistere>> fenomenico.
Ed invero, lui stesso parla del transenunte stato di "sostanza mortale", ma non dell'<<essere>> che ne costituisce il sostrato "reale".

2)
HEGEL

Hegel all'inizio della sua Scienza della logica, scrive: "Il puro essere e il puro nulla son dunque lo stesso. Il vero non è né l'essere né il nulla, ma che l'essere, – non passa, – ma è passato, nel nulla, e il nulla nell'essere".
Nel dire questo, con tutto il rispetto, secondo me Hegel confonde anche lui:
- l'<<esistere>> fenomenico che passa dal <<non essere vaso>> (la terracotta prima del vaso) all'<<essere vaso>> (la terracotta assemblata nel vaso);
- con l'<<essere terracotta>> che rimane sostanzialmente invariato.
Ovviamente, per l'<<essere terracotta>> del mio esempio, intendo  l'<<essere assoluto>> (cioè, "sciolto" da "specifici predicati", come "l'essere gatto" ecc.); che costituisce il comun denominatore di tutte le cose "esistenti", a prescindere dai loro mutamenti e dalle loro specifiche differenze.
Il fraintendimento di Hegel, almeno secondo il mio sommesso parere, sta nel considerare <<essere>> e <<nulla>>, due totali astrazioni, pura indeterminatezza e puro vuoto, poichè, nel momento in cui vengono pensate sono già dissolte ciascuna nel proprio opposto; il che è verissimo riguardo all'<<esistente>> perchè ogni momento presente viene dissolto nel nulla dal momento successivo, che, sostituendolo, lo "sopprime".
"Jedes in seinem Gegenteil verschwindet!"
Però non vero per l'<<essere>>, che permane sempre eguale a se stesso (se è senza predicati), sebbene le sue "manifestazioni" si dissolvano l'una nell'altra; ed infatti, solo riguardo alle quali ultime, a mio parere, ha senso la sua "dialettica degli opposti".

***
#4560
Ciao Green
Esatto: non bisogna mai confondere il segno che indica, con l'oggetto indicato, nè il simbolo con il simboleggiato.
E' come se un tiratore collimasse il tiro sul mirino invece che sul bersaglio.

Un saluto!