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Messaggi - Kobayashi

#466
Ciao 0xdeadbeef.
Il Regno non può costruirsi nel privato: il fatto che lo si possa pensare la dice lunga su quanto il cristianesimo sia diventato una religione spenta.
Naturalmente condivido le tue osservazioni storiche.
Quello che mi interessava far notare è che alla base della contraddizione di cui parlava Jacopus nel post iniziale, secondo me, c'è una rimozione che progressivamente si è sviluppata nei secoli, ovvero l'idea che la componente mistica della religione cristiana non può vivere senza quella socio-politica.
E il risultato appunto di questo processo è una chiesa che non fa altro che produrre liturgie più o meno solenni (la propria auto-celebrazione), con tutto ciò che ne consegue in fatto di credibilità del suo essere testimonianza della promessa evangelica.
In un contesto del genere, nella più assoluta dimenticanza di ciò che è il Vangelo, è chiaro che si possono scovare tra i devoti non solo politici spregiudicati ma anche mafiosi, narcotrafficanti, etc., tutta gente che non è sfiorata dal dubbio che il proprio lavoro sia in contraddizione con la propria fede.

Ciao Viator.
Insomma mi inviti ad una maggiore pazienza e a lasciar perdere condanne perentorie nei confronti del nostro povero mondo.
Accolgo il tuo invito, poiché è mia abitudine seguire solo i consigli di coloro che apertamente si dichiarano "fuori di testa" o mostrano stravaganza nella manutenzione della propria umanità.
#467
Viator, poiché comunque facciamo parte di quella componente trascurabile del mondo, cioè l'umanità, credo sia importante cercare di capire (o meglio, decidere) che cosa c'è nella sua parte più profonda ed essenziale, piuttosto che sviscerare il punto di vista, per esempio, delle api...

Forse c'è qualcosa che poi viene espressa nei grandi simboli della speranza di culture quali il cristianesimo (nel cuore dell'umanità, intendo, non in quello delle api).
O forse no.
Ognuno deve decidere cosa c'è lì sotto...
#468
Ritornando al post iniziale di Jacopus...

Chi sente di essere cristiano deve essere fiducioso che il Regno di Dio possa essere costruito.
Regno di Dio: ovvero un luogo dove il potere non sia usato da un uomo contro un altro uomo, ma solo per la salvezza di tutti, per una prosperità universale a partire dagli umili e dagli oppressi.
Quindi il cristiano che fa politica può fare un'unica cosa, se crede veramente nel messaggio evangelico: rovesciare le strutture del potere che costringono l'umanità nella schiavitù e nell'alienazione.
Ma il punto è questo: nessuno più crede nel grande progetto del Regno. In sostanza, nessuno è più veramente cristiano. Per cui chi finge ancora di esserlo si limita ad una spiritualità privata, mentre la propria prassi sociale è "realistica" ed idonea a muoversi nel cinismo del mondo.

Chi ancora porta con se' dei residui del grande sogno evangelico finisce spesso per decidere di concentrarsi su piccole porzioni di umanità (le comunità). Ma la fiducia che queste porzioni possano vivere il grande sogno si rivela fragile. Anche nelle comunità, per quanto composta da "eletti", finisce per essere riprodotta la stessa logica del potere da cui ci si voleva salvare.

Forse Dio continua ad avere fiducia nell'uomo, ma l'uomo non ha più fiducia nell'uomo, nell'altro e in se stesso.
Abbandonato il grande sogno rimangono solo strategie di sopravvivenza più o meno intelligenti che il singolo cerca a fatica di perseguire per sopportare due cose che vengono sentite contemporaneamente, producendo un effetto esponenziale di disperazione:
- la totale ingiustizia e insensatezza di questo mondo;
- il fatto che rovesciare questo mondo e salvare tutti è possibile, è in verità alla portata dell'uomo.
#469
Citazione di: Freedom il 05 Giugno 2018, 19:10:30 PMIn primo luogo vorrei sapere dov'è finito quel diavolo d'un Socrate78 che ha lanciato una pietra anzi un macigno nello stagno e poi si è fatto di nebbia.......
In secondo luogo vorrei sommessamente rilevare che a leggere 'sto thread c'è da uscire pazzi: teologia e filosofia da grandi teologi e grandi filosofi. Da grandi pensatori azzarderei. La domanda che tuttavia mi pongo è la seguente: il filo del vostro pensiero aiuta a rispondere alla domanda posta nell'incipit del thread? E ancora: i vostri dotti ragionamenti aiutano a risolvere il quesito che sottende questa come tante altre discussioni? Cioè Dio o meglio il Dio monoteista e/o panteista o qualunque cosa noi intendiamo con Dio (sinteticamente un Ente che governa l'Universo) esiste?
E ancora ho visto addentrarsi o quantomeno sfiorare l'abisso dei quesiti classici, peraltro insolubili: "chi ha creato Dio?" "Cosa c'era prima di Dio?" Ma allora, dico io, svisceriamo anche: "Dio può morire?" E perchè non: "Dio può sfuggire a leggi da Lui stesso create?"
La mia irrilevante opinione è che l'approccio che ho letto sin qui non sia quello corretto. Nè per comprendere se la fede in Dio è slegata dalla bontà nè per capire cos'è la fede. E, naturalmente, nemmeno per afferrare che cos'è la bontà perchè, forse, meriterebbe un piccolo ragionamento anche questa domanda.

In quel tempo Gesù disse: "Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli."


Hai ragione Freedom. Non si trattava affatto di discutere dell'esistenza di Dio o di altre ipotesi metafisiche, ma di cercare di capire se avere fede nel Dio cristiano (perché dall'intervento di Socrate sembra esserci un riferimento al cristianesimo - tra l'altro anch'io mi sono chiesto dove sia finito...) implica l'azione santa.
Dunque l'invito era quello di mettersi nei panni del credente e sviscerarne le conseguenze etiche.
In caso vi sia una necessità nel rapporto fede-azione santa bisognerebbe chiedersi ancora se questa necessità sia legata all'essenza stessa della fede, alla sua struttura originaria, o se piuttosto essa prende forma da un dovere, un accordo, un obbligo, insomma un'alleanza decisa una volta per tutte.

Insomma, a mio giudizio, per capirci qualcosa, bisogna concentrarsi sulla natura della fede.
Ma se la fede non è "dichiararsi persuasi di un certo numero di asserti" (come insegna la teologia più consapevole), che cos'è?
Perché se fosse persuasione di verità metafisiche-mitologiche, tutta la popolazione dei fedeli risulterebbe alla fine completamente plasmata dal contenuto particolare di quelle verità.
Ma non è così. Di fatto sembra ci sia in atto invece un processo di relativizzazione del dogma, non a causa dell'indebolimento della fede, ma per via della convinzione (forse ancora tutta da sviluppare) che la fede rimanda a qualcosa di più originario, che trascende ogni religione storica ed ogni sistema etico.
#470
Non solo inconsapevolmente, Viator: da parte dei veri teologi si tratta di un principio deontologico che non può essere trascurato. 
Infatti la mentalità religiosa è fatta di attaccamento a presunte verità, è volersi legare a idee e narrazioni, dogmi ed elementi mitologici.
La fede è tutt'altro.

Nel rapporto fede-ragione il dibattito sembra essere ancora impantanato nello scontro illuminismo-apologetica religiosa.
Solo un'élite tra i credenti e i non credenti sembra essersi accorto che questo rapporto va completamente ripensato, partendo non da un semplice piano di esclusione (o la ragione libera di criticare/distruggere tutto o l'irrazionalità della Rivelazione), ma da un confronto serrato con la filosofia.
Si potrebbe partire per esempio da una concezione della ragione non come puro strumento ma come processo ampio, complesso, che si muove avendo come centro il senso umano, la giustizia, la rettitudine.
Se la ragione di Cartesio usciva dall'incontro destabilizzante e folle con il genio maligno solo grazie all'idea di Dio, e così tornava a pensare al mondo, alla realtà, la ragione contemporanea potrebbe essere pensata come protetta dalle allucinazioni maligne grazie ad un luogo dove si conserva l'umano.

Sono solo spunti, naturalmente.
#471
Citazione di: paul11 il 03 Giugno 2018, 01:01:37 AMLa croce è scandalo perché un essere puro diventa impuro per salvare gli impuri. Il messianesimo cristiano irrompe e rompe la legge. Se prima nella legge vi era la promessa e il patto per un popolo eletto fra i tanti in cui il segno della circoncisione era appartenenza segnica del significato; con la croce dall'elezione a popolo eletto su un patto legato ad una promessa si passa al sacrifico per santificare gli impuri. la croce rappresenta l'intersecazione fra paradiso e terra, fra divino e umano e avviene dolorosamente. Affinché il sacrifico avvenga deve esserci il momento in cui il puro diventa impuro per ridiventare puro e quindi una identificazione del bene con il male affinché sussistano dialetticamente.

La morte di Gesù potrebbe avere un altro significato che ricollega la bontà a Dio e alle azioni di chi ha fede in Dio.

Il cristiano nel cercare di comprendere Dio non può prescindere dalla vita di Gesù.
Gesù, nell'accettazione della morte in croce, mostra che quel Dio onnipotente di cui parla la religione non esiste. Non esiste più alcun Dio che ha potere sui fatti della storia. L'accettazione della morte significa che il Dio che Gesù manifesta è amore incondizionato all'uomo.
Per l'uomo sofferente Gesù infatti infrange le regole religiose (le guarigioni del sabato) ed è condannato a morte.
La risurrezione per il fedele significa che il Dio che è dedizione incondizionata all'uomo continua a vivere con lui nella figura dello Spirito, parola che rimanda a respiro, vita, creazione. Nel suo desiderio infinito di vita e pienezza, l'uomo che ha fede riconosce la presenza di Dio, e lasciandosi "attraversare" dallo Spirito rimette in movimento nel mondo quell'amore incondizionato che è Dio con opere, dal punto di vista umano, di bontà.
#472
Cit. Green Demetr: "[...] E invece io credo si possa conoscere il Gesù, forse non per fede, ma per analogia degli stati interiori, per questo ritengo la teologia una parte del discorso che si interroga della soggettività, e meglio della comunità". 

Molto interessante. È una tua idea? Una strategia alternativa sia all'analogia entis della Scolastica che all'analogia fidei di Barth?
Ammettiamo che attraverso di essa si riesca a progredire nella comprensione del Cristo. La cosa riguarda anche la propria fede?
Interrogativo insolubile, per cui io per adesso lascio perdere per non impantanarmi nei paradossi protestanti della grazia, e riparto dalla cristologia di Schillebeeckx, di cui a breve dovrebbe arrivarmi un testo, e da Giovanni, secondo le tue esplicite richieste.
A presto (se non chiudi per ferie...).
#473
Cit. Green Demetr:
"Kobayashi è proprio dalla arroganza di credersi salvi, che nasce la riflessione protestante, che culmina nella teologia negativa di Barth.
Il voler innalzare gli altri a se stessi, equivale al desiderio di occupazione fisica e morale delle teste altrui.
Ossia alla negazione dell'altro.
Mi sorprendo molto di questo tuo scivolone." 

Mah, se la dedizione all'altro è incondizionata significa che tale dedizione non vuole nulla in cambio ed è praticata senza memoria. Quindi non vedo che cosa ci sia di fascista. Che poi la Chiesa sfruttando l'eroismo di un paio di martiri abbia colonizzato le popolazioni "selvagge", siamo d'accordo ma è tutta un'altra storia (cioè, una storia che ha a che fare con l'istituzione religiosa e con le sue politiche -  ma io qua sto parlando dal punto di vista dei fondamenti della fede, di come è pensata la fede nell'insegnamento della Chiesa cattolica, indipendentemente da come viene vissuta).

Anch'io ricordo molto bene la lezione di Dogville, ed è una lezione che si può e si deve continuamente fare ad ogni comunità religiosa. Su questo siamo d'accordo.

Per quanto riguarda la salvezza: nel cristianesimo si ha con la fede, su questo non si può prescindere, credo.
E la fede non ha niente a che fare con l'assenso ad un certo numero di asserzioni teologiche. Non è dire dentro di se': sì, è tutto vero, Gesù è risorto!
La fede è incontrare Gesù il Risorto e quindi a posteriori dirsi che sì, a quanto pare, per quanto sia incomprensibile la risurrezione è un fatto.
La fede non può essere costruita da se'. Accade, e basta. Tutto il resto è desiderio di avere fede, non è fede.
Quando accade però si viene trasportati nel Regno di Dio, nel domino di Dio, dove Dio è presente.
La sua presenza libera dal male e dal peccato. Ma questo Regno è in costruzione, è il "già" e "non ancora", come diceva Cullmann.
Dunque se tutto sembra dominato da un'inerzia che conduce al dolore anziché alla gioia, colui che ha fede sa che è solo apparenza o incomprensibilità, e che ogni istante può essere quello del rovesciamento totale del mondo. Chi ha fede vive nell'attesa di questa pienezza e nella sicurezza che Dio comunque lo stia accompagnando in questa vita colma di dolore.
Chi ha fede è salvo, ma la sua salvezza, come nel Regno è in costruzione, e sarà totale solo con il dispiegamento pieno di Dio nel Regno.
Se è vero che la fede è puro dono, il Regno si costruisce invece anche per effetto del singolo che è ha fede.
Dunque l'unico vero problema è il seguente: perché Dio dona la fede soltanto a un minuscolo gruppo di persone per ogni generazione? E questo gruppo non si fa forse sempre più piccolo col passare dei secoli? Questa lenta estinzione che effetti ha con il processo di costruzione del Regno?

Questo è il vero enigma, la teodicea è secondaria.
#474
Cit. Green Demetr:
[...]
Ma faccio ancora fatica a capire cosa si intende per salvezza nel cristianesimo.
Salvezza da cosa?
Per quel che mi riguarda la salvezza è all'interno stesso del discorso sul DESTINO.
Sulla finalità, sul senso dell'ESSERE UMANO che si affaccia alla morte.
Non è dunque una questione di sofferenza. Che invece sia l'argomento principale con cui i fedeli vengono irretiti nelle maglie pastorali.


Secondo me la salvezza cristiana non può essere legata semplicemente al raggiungimento di un'illuminazione attinente la domanda radicale sul senso dell'essere.
E questo perché il cristiano "avanzato", che abbia quindi già accolto l'annuncio del Vangelo, in grado di sperimentare la presenza di Dio – dunque formalmente salvo – sarà costretto proprio dalla sua condizione di (relativa) pienezza di Spirito, a relazionarsi all'altro secondo una duplice dimensione dell'amore: dedizione incondizionata e fratellanza reciproca (P. Sequeri "L'idea di fede").
Il che comporta sul piano concreto della comunità tutta una serie di azioni finalizzate all'innalzamento di chi è in difficoltà, alla sua emancipazione.

Interessante come P. Sequeri insista sulla necessità di entrambe le componenti dell'agape cristiana.
Se la dedizione incondizionata è l'elemento eroico ritenuto da molti utopistico, la fratellanza reciproca invece comporta anche un ricevere, un essere appagato nei propri bisogni affettivi etc.
E' abbastanza facile sperimentare come nelle comunità di religiosi il pericolo maggiore sia quello di curare soprattutto la fratellanza reciproca, la salvaguardia del clima fraterno, e dimenticarsi la dedizione incondizionata al bisognoso che si presenta alla loro porta.
#475
Ciao Viator.
Se il peccato è concepito come trasgressione di una norma, ovviamente tutto può diventare peccato in base al contenuto della norma a cui si fa riferimento.
Io parlavo del cristianesimo però. E nel cristianesimo Dio, per quanto sia "nascosto", non del tutto conoscibile, viene dichiarato dello stesso essere dell'amore. Difficile pensare che un Dio che è amore desideri fanatismo e violenza.
Nella tradizione patristica, ripresa con forza dalla Chiesa Cattolica nel Concilio Vaticano II, il peccato è inteso come un errore di percorso: invece di avvicinarci a Dio, ci si perde per strada, nella confusione, nella violenza, nella desolazione.
Se per te la sessualità è gioia, è ricevere e dare amore, è evidente che non c'entra nulla con il peccato.
Se per te è confusione, abbassamento, violenza, allora è un peccato, perché praticandola rischi di perdere te stesso, di stare male, e dovresti pensare seriamente a vivere la castità.
Tutto naturalmente nell'ottica di un'antropologia secondo cui la realizzazione dell'essere umano sta nella sua vicinanza a Dio.
Si tratta di un cammino di perfezione che non può più essere pensato come nel passato nel senso di un ossessionante rispetto di un regolamento (il catechismo), ma come un percorso complesso fatto da persone del nostro tempo (non del Medioevo...) che cercano quella pienezza di vita che ritengono poter raggiungere solo nella relazione con quel Dio di cui hanno fede (perché è ovvio che senza una fede iniziale, per quanto confusa, tutto questo discorso non avrebbe alcun senso).

Un'altra considerazione. Per il cristianesimo Dio vuole salvare ogni uomo. La Chiesa dunque ha un'unica funzione: quella di creare le condizioni affinché chiunque possa incontrare Dio.
La Chiesa non deve educare, non deve insegnare la "verità". Deve esclusivamente esistere come comunità in cui sia ancora sperimentabile l'incontro con il Cristo.
Per cui le sue interferenze morali o politiche nella vita delle persone si spegneranno da se'. E in effetti si stanno già spegnendo.
Quindi anche gli atei militanti possono iniziare a scavare la buca dove sotterrare la propria ascia di guerra, e iniziare forse a discutere come difendere insieme ciò che resta dell'umanità...
#476
Per Jacopus.
Su questi temi si sono concentrati  soprattutto alcuni orientamenti teologici del secondo Novecento: teologia politica (Metz), teologia della speranza (Moltmann), teologia della liberazione.
Li trovi ben sintetizzati in pochi paragrafi nelle storie della teologia (per esempio R. Gibellini "La teologia del XX secolo", B. Mondin "Storia della teologia" vol. IV).

Un altro teologo che forse troverai interessante per le tue ricerche è Edward Schillebeeckx, frate domenicano, consulente al Concilio Vaticano II. Lo dico perché Schillebeeckx si confronta, tra l'altro, con la teoria critica di Habermas, evidenziando come anche la teologia non possa non tener conto dell'elemento della prassi intesa come spinta all'emancipazione dell'umanità.
In fondo, dice Schillebeeckx, i testi sacri del cristianesimo raccontano un'esperienza di salvezza. Questi testi sono stati composti affinché questa esperienza di salvezza possa continuare a riprodursi nella storia. Il che implica la necessità di sviluppare da parte della teologia un'ermeneutica in grado di rigenerare tale esperienza, la quale ha poi un impatto pratico, concreto, sociale, di liberazione.
Insomma il Vangelo deve essere letto con un metodo che sappia coniugare ermeneutica e teoria critica.
Il che comporta tutta una serie di conseguenze etico-politiche ben diverse dal quietismo di una fede concepita come pura "vicenda" interiore.
C'è da dire che queste teorie non sono state molto gradite dal Vaticano e  Schillebeeckx è stato chiamato a Roma per dare spiegazioni...

E' mio convincimento che queste conseguenze etico-politiche possano essere dedotte in larga misura anche dal magistero della Chiesa Cattolica. Ma per dimostrare ciò bisogna fare un lavoro di scavo nella teologia fondamentale. Cosa ben diversa rispetto al lavoro dei teologi sopra citati che invece hanno rinnovato l'idea di fede partendo da un confronto con le correnti di pensiero del Novecento (marxismo, ermeneutica, teoria critica, filosofia della speranza di Bloch, etc.).


Non so se ho risposto alle tue richieste... Nel caso dimmi qualcosa.
#477
Se si parla di fede cristiana le cose stanno diversamente, poiché la Rivelazione del Dio dei cristiani ha come oggetto la salvezza, la quale è innanzitutto liberazione dal peccato. E il peccato è oscurità, sofferenza, dolore, e sì, naturalmente anche la morte (da qui il tema dell'eternità, che tuttavia, bisogna metterselo in testa, non è il tema principale; il Regno di Dio infatti, per un cristiano, riguarda già questa vita terrena).
È importante capire che lo sforzo dell'uomo di fede (cristiana) di essere buono non viene da una qualche legge stabilita dal suo Dio, ma dalla convinzione che la propria parte più profonda è qualcosa di divino, ha a che fare con Dio.
Un'immagine divina che essendo la parte più vera di sé va di necessità restaurata.
Nell'antropologia patristica si insiste molto sul concetto di "immagine e somiglianza". L'immagine è il "marchio" che ciascuno porta dentro di sé e di cui può rimanere per tutta la vita inconsapevole. La somiglianza va invece ricostruita con gli sforzi del singolo uomo.

Quindi la fede cristiana se correttamente intesa ha necessariamente delle conseguenze pratiche.
Conseguenze etiche. Ma anche politiche, poiché la Rivelazione è rivolta a un popolo, non al singolo individuo.
La soteriologia è in realtà rivoluzione nel senso di una prassi che deve condurre a una umanità nuova e redenta. Anzi, questa redenzione va oltre l'umanità, coinvolge ogni forma di vita e ogni aspetto della materia. E' redenzione cosmica.
 

Se invece per Dio si intende un principio metafisico etc., beh naturalmente tutto dipende da come ce lo si immagina questo Dio, ma appunto si tratta di un esercizio di immaginazione...
#478
Per Angelo Cannata.
Mi pare che aleggi sempre questo fraintendimento: il fatto di dare delle connotazioni particolari a un tema, come la spiritualità, non significa credere di dire qualcosa che vale per tutti, ma semplicemente condividere nel dialogo la costruzione della propria prospettiva.
In questo non c'è nulla di presuntuoso o stupido.
Si tratta solo di ricordarsi della provvisorietà e della particolarità dei propri pensieri, anche se non lo si sottolinea in continuazione.

In particolare per quanto riguarda ciò che ho scritto nel mio precedente post, credo di essere stato influenzato da una "scoperta" che ho fatto recentemente. Leggendo un testo di teologia fondamentale mi sono imbattuto in alcuni documenti del Vaticano II in cui si ribadisce l'aspetto sociale, diciamo così, della salvezza. Il che implica pensare al cristianesimo non come sociale per effetto della rettitudine del credente, ma per una questione attinente direttamente il dogma (Dio chiama un popolo). Questo aspetto mi sembra molto interessante, mi sembra ribalti un luogo comune e costringe il teologo a prendere sul serio la questione della comunità.

Cioè, quello che voglio dire, è che in questo momento mi interessa sviluppare queste idee. Ma ovviamente so benissimo quanto siano legittime le idee opposte, che disegnano una spiritualità fondata intorno all'esistenza del singolo.
#479
Citazione da Sileno: "Il credente svaluta e mortifica la vita terrena e dovrebbe gioire per la morte che gli concede di raggiungere la vera vita ultraterrena"

Mi sembra una visione un po' stereotipata del credente...
La mortificazione riguarda la propria individualità, la propria autonomia, perché la salvezza, nell'ottica della fede, viene da Dio, il quale però chiama a raccolta un popolo.
Dunque, da una parte il credente è richiamato al riconoscimento dell'appello che Dio gli rivolge, dall'altra è spinto a viverne i frutti all'interno di una comunità.
Ciò a cui quindi si rinuncia è essenzialmente l'idea di potersi costruire un'esistenza sensata con le sole proprie forze.

Così come l'ateo è rapito dal dubbio che la spinta a una vita nobile che sperimenta di quando in quando possa rimandare a qualcosa che la tradizione religiosa chiama Dio, così il credente ogni tanto si domanda se il contenuto della sua fede non sia in fondo altro che un sogno.
Tutti vivono nel dubbio. Bisogna farsene una ragione.
Così come bisogna accettare la morte.
La morte è innocente, pura. E' liberazione per chi ha vissuto con fatica e dolore, è forza che dà serietà alla vita di chi è riuscito a realizzare qualcosa.
#480
Alcuni atteggiamenti che nell'intervento di Elia sono stati definiti stupidi penso possano essere ritenuti tali solo dal punto di vista della specie, non necessariamente da quello dell'individuo.
Come dice giustamente Acquario68, l'uomo è come se fosse dissociato dalla propria spiritualità. Per quanto le religioni siano manipolatorie, il cristianesimo per esempio ha sempre creduto che la fede non può che unire in una comunità, la quale deve essere poi universale.
La spiritualità cioè va nella direzione di una super-coscienza, di un'intelligenza collettiva, di un'empatia cosmica.
Il fatto che molti ritengano che la spiritualità sia una faccenda intima, attinente esclusivamente la propria soggettività, significa essersi dimenticati dei grandi simboli di comunione cosmica, di armonia di tutte le creature etc
Si tratta forse dell'ennesimo inganno dell'individualismo moderno.

Voglio dire che forse non si tratta di una regressione delle facoltà intellettuali, quanto di una condizione antropologica monca, schizoide, che impedisce di intuire che l'evoluzione della vita potrebbe anche condurre a stadi che le religioni hanno anticipato profeticamente nei loro simboli tipo "il Regno di Dio".
Questa condizione di offuscamento però rallenta questo processo perché l'individuo non può comprendere la propria missione.
E finisce per consumare tutta la propria vita nella sopravvivenza e nella ricerca di quel minimo di prestigio sociale che lo fa sentire un individuo mediamente riuscito, pur intuendo, in qualche modo, misteriosamente, di essere chiamato a qualcosa di più elevato.