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Messaggi - iano

#466
Citazione di: Il_Dubbio il 03 Maggio 2025, 17:39:10 PMMa se volessimo dare una definizione di realtà, dovremo parlare solo di enti fondamentali, che stanno cioè alla base dell'universo e forse anche oltre. Tutto il resto è emergente.
Se ciò che emerge è una molteplicità, perchè dovrebbero essere molteplici gli enti da cui essa emerge?
Non basta come unico fondamento l'unica realtà che sta dietro le apparenze?
Un fondamento che  ragionevolmente possiamo indurre, ma non dimostrare, e ancor meno dimostrare che si tratti di una fondamentale molteplicità di enti.
#467
Citazione di: Phil il 03 Maggio 2025, 14:52:03 PMIl filtro che l'uomo è (non «ha») inizia con gli occhi (o i sensi in generale) e finisce con le interpretazioni più inconsce; se togli il filtro, togli l'uomo.
La scienza, per ottenere risultati "calzanti", deve anzitutto fare i conti con la consapevolezza del proprio esser "prospettica", concettuale e interpretante.
Siamo noi che attraverso la scienza prendiamo consapevolezza di essere  filtro, perchè la scienza è quel filtro col quale possiamo confrontarci.
Noi siamo un filtro che rimane, l'osservatore, ma non immutabile.
Non si tratta solo di interpretare i dati, perchè c'è a monte il filtro raccoglitore di dati, noi, comprensivi eventualmente dei nostri strumenti.
In sostanza siamo d'accordo, salvo sul fatto cosa sia da considerare uomo nella sua unità.
Tu più esclusivo, io più inclusivo.
#468
Citazione di: Phil il 03 Maggio 2025, 12:12:07 PMHo l'impressione che in realtà l'uomo non abbia filtri nel guardare la realtà, ma sia esso stesso un filtro; di conseguenza non può esserci un visione senza filtri da parte di ciò che è strutturalmente un filtro (se invece fosse altro, si potrebbe ipotizzare di rimuovere i filtri).
Posso non essere d'accordo con quanto scrivi, e infatti non lo sono, però ogni tanto è bello leggere post di senso compiuto, come in genere sono i tuoi.
E dopo i complimenti vengo alla mia critica.

Togliendo il filtro non appare la realtà assoluta, ma semplicemente sparisce ogni illusione di realtà.
Noi non siamo un filtro insostituibile, perchè la scienza ha dimostrato di saper prendere il nostro posto nella interpretazione dei dati al fine di ricreare una attendibile realtà, concreta o astratta che sia.
O, detto in altro modo, nella misura in cui si voglia considerare la scienza come cosa nostra, (e questa è la versione che preferisco), noi siamo un set di filtri intercambiabili.

Un buon punto di vista sarebbe l'insieme di tutti i punti di vista possibili, cosa impensabile a livello individuale, a meno a che l'umanità nella sua ricca diversità non approssimi quel punto di vista.
In ogni caso, passando dalla soggettività dell'individuo, all'intersoggetività della sua comunità, quando pur si realizzi, sempre nel soggettivo si rimane.


 
#469
Restando dentro la metafora dell'arciere, per fare centro con buona certezza basterebbe capire quanto è difficile sbagliare il bersaglio, ma ci si arriva solo dopo anni e anni di tentativi di perfezionamento.
Si tratta di fare centro su se stessi, in sostanza, il più difficile dei bersagli, dopodiché ogni altro bersaglio diventa un gioco da ragazzi.

#470
Citazione di: Jean il 02 Maggio 2025, 22:23:08 PMNon per quello che (rielaborato) hai scritto in maniera più scorrevole e concisa, ma perché il farlo indica il tentativo di perfezionare la tua azione...
Ho affilato la punta togliendo materiale per colpire con più certezza il difficile bersaglio di nome Jean.  ;D
Un tentativo mirato più che di perfezione.
Il messaggio per prima cosa deve fare centro.
La filosofia che si appesantisce di termini per mimare un contenuto di verità a chi giova se poi manca sistematicamente  il bersaglio?
#471
In tal modo trasferiamo alla realtà il carattere della perfezione, potendole attribuire  ogni carattere , non avendone essa alcuno.
Sono tutte descrizioni dunque, ma non tutte aderiscono, come scrittura al foglio, alla realtà.

#472
Citazione di: Jean il 02 Maggio 2025, 07:08:03 AM"Quando non sorgerà più la questione della perfezione? Beh, quando questo concetto non sarà più rilevante. Dove si pone il linguaggio riguardo ciò che rimane e ciò che non rimane? Il linguaggio fluttua su qualcosa, ma dov'è quel qualcosa?"

J4Y

La realtà non è un libro scritto in caratteri geometrici come diceva Galilei, ma siamo noi che con quei perfetti caratteri ci scriviamo sopra, facendo della realtà libro.







#473
Citazione di: Jean il 29 Aprile 2025, 13:52:38 PM
e alla fin della visione
chiedere a te e chi volesse dirlo:
dove si trova - se c'è - la perfezione
e qual il modo sicuro per trovarlo

Quanto è profondo il mare, come è profondo il mare... ma per quanto ci immergiamo non lo toccheremo, se non con la mente.
Questo noi però non lo sappiamo, e per questo ci sembra di toccar con mano.

(''Perché hai toccato il suo corpo perfetto con la tua mente.''
Suzanne. Leonard Coen.)
#474
Quella che si presenta sotto l'apparenza di una reazione al politicamente corretto potrebbe essere, detto in un tweet, la lapidazione del logos.
#475
La retorica sembra che non faccia più presa sulla gente, e forse è giunto quindi il momento, a bocce ferme, di riflettere su cosa sia stata la retorica per noi. Io confesso che non so perchè, di essa sento la mancanza, di quell'esser preso in giro in modo forbito, che conteneva però come inserto un sogno e come allegato una speranza di futuro.
Uscendo da questa nostalgica confessione,  direi che si è trattato di ciò che nella sua sostanza permane, fascinazione per una tecnologia, se si può considerare una tecnologia la parola, e la retorica la sua padronanza.
La stessa fascinazione potrebbe essere oggi relativa alle nuove tecnologie, ai social in breve, anche se io per questioni anagrafiche me ne sento immune.
Trump nasce superato, perchè come Berlusconi ha cavalcato una vecchia tecnologia, la TV, ma i veri vincitori sono i padroni dei social, e in genere chi li padroneggia, nella misura in cui ne subiamo l'irrazionale fascinazione, così come una volta subivamo la fascinazione di chi padroneggiava la parola.
Non so se ci sarà una dittatura, ma temo sia finita la democrazia della parola.

#476
La perfezione è qualcosa che non si può guadagnare, ma solo perdere.
Chi ce l'ha non sa di averla, finché non ne acquista coscienza nel perderla.
La perfezione è dunque ignoranza.
La perfezione è ciò che non ha chi di essa sa, e quindi ne può parlare.
Se ci diciamo imperfetti, dobbiamo pur avere un modello, un idea di perfezione. Ma da dove ci viene?
Come possiamo parlare di ciò che non abbiamo sperimentato?
Se ne parliamo dunque una qualche esperienza dobbiamo averla avuta.
Questo in effetti è quello che sembra suggerirci la bibbia nella sua grande saggezza, con la cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso, che hanno barattato la perfezione con l'idea che ne abbiamo, e più in generale con la conoscenza, che è coscienza di essere prima di ogni altra cosa.
Nel paradiso si realizza la perfezione che non sa di avere il perfetto essere che non sa di essere.

Possiamo umilmente ammettere i nostri limiti, ma c'è un altra possibilità, ed è che noi non siamo limitati se la perfezione non esiste.

#477
Citazione di: Il_Dubbio il 28 Aprile 2025, 09:12:38 AMMa appunto la domanda è: cosa intendiamo per realtà?
La nostra dimensione del reale (quella di facciata) non può ottenere gli stessi risultati di quelli che ottiene la scienza, soprattutto le scienze dure come la fisica. Sicuramente per noi è quella piu importante nel senso che è poi quella che avvertiamo sulla nostra pelle. Ma ritengo che per reale dovremmo intendere quella fondamentale che è perfino piu semplice da ricostruire e maneggiare.
Finché l'obiettivo rimane possedere la verità sulla realtà, ognuno potrà con buone ragioni schierarsi dalla parte della concreta realtà , quella che tocchiamo con mano, o con quella che  con le teorie della fisica si fa sempre più astratta.
Possedere questa verità, oltre alla soddisfazione intellettuale di averla ottenuta, significa potersi rapportare in un modo ottimale con la realtà, un modo definitivo, non essendoci più nulla da sapere e da scoprire.
Se invece più umilmente rinunciamo alla ricerca di verità, avremo diversi modi di approcciarsi alla realtà non necessariamente conflittuali, ma anzi collaborativi.
Certo, ognuno a proprio sentimento, o per l'attività che svolge, potrà privilegiare una modalità di rapportarsi, piuttosto che l'altra, ma senza perciò sentire di dover negare l'altra come inaccettabile,  assurda, o al minimo  ingenua, il che, nella misura in cui non potrà comunque negarne l'efficacia, risulterebbe comunque filosoficamente problematico.
Diversamente il problema filosofico si riduce a cercare la sostanza comune dei diversi approcci.
In tal senso a me sembra più facile ipotizzare una natura astratta per entrambe, dove però il termine astratto assume un nuovo significato, non potendosi più intendere come una teorizzazione della concreta realtà, ma come ciò che  derivando da un rapporto con la realtà si traduce in un rapporto  con essa che si rinnova in continuazione, ma senza una meta precisa, in accordo con la teoria dell'evoluzione, e senza un fine da raggiungere che non sia la sopravvivenza, e in particolare senza una verità da raggiungere che ci renderebbe onnipotenti, e sopratutto senza dover rinunciare perciò alla nostra spiritualità.
Nella misura in cui il nostro rapporto con la realtà è l'unica realtà a cui possiamo avere accesso direttamente, noi solo di essa possiamo parlare, restando la vera realtà solo una condizione che tale rapporto rende possibile, e questo fatto, che un rapporto sia  possibile, ci dice indirettamente comunque qualcosa sulla vera realtà, che essa cioè, anche solo in prima approssimazione, cioè al livello locale, cioè nei limiti delle nostre possibilità, cioè entro i nostri relativi confini vitali, non sia un capriccio della natura.

Fatto ciò, io confido nel fatto che la divisione apparentemente insanabile venutasi a creare fra fra scienza e filosofia possa ricucirsi, laddove non saranno più i soli fatti o il puro pensiero a comandare, ma quel pensiero che nascendo dai fatti li produce a sua volta.
La ciliegina sulla torta sarà poi non vedere un problema nella diversità soggettiva di posizioni, ma una ricchezza che dia un valore alla condivisione sempre raggiungibile, ma non raggiungibile mai in modo definitivo stante la produzione continua di questa ricchezza.
Questo è il vero senso da dare all'individuo, come colui che questa diversità che ci fa ricchi produce, smettendo di vedere ciò come un problema, ma come la soluzione ai nostri problemi.
#478
Citazione di: Il_Dubbio il 25 Aprile 2025, 12:53:48 PMCredo tu intenda, per work in progress, la capacità che noi abbiamo di conoscere la realtà.
E come detto, nel mentre conosciamo la realtà attraverso il filtro della conoscenza, progrediamo verso la sua versione migliore.

Ma andrebbe messo in chiaro anche una caratteristica, della realtà, indispensabile perchè essa possa essere conosciuta.
La realtà deve essere identica a se stessa e non può, senza alcun motivo, cambiare.
Infatti uno dei punti di forza della scienza è la ripetibilità di un certo esperimento o di una certa osservazione. Se la realtà sotto cambiasse, non sarebbe possibile ripetere un certo esperimento ricavando lo stesso risultato.


Le interpretazioni della realtà sono relative in quanto riguardano noi, ma non gratuite in quanto relative alla realtà, e il fatto che si mostrino funzionali, fino ad essere state confuse con la stessa realtà, è la prova che non abbiamo a che fare con una realtà ballerina.
Vale la pena ricordare che noi di interpretazioni non funzionali abbiamo esperienza quando sogniamo.
Interpretazioni in questo caso fatte a vuoto, ma che potremmo pensare come un allenamento per affrontare la vera gara, quella con la realtà.
Forse dunque è fra il sogno e la realtà che si pone il nostro filosofare.
Tutto si può dire della scienza meno che non produca interpretazioni funzionali della realtà, per quanto essi abbiano sempre l'improbabile aspetto di un sogno, ma ciò si potrebbe spiegare col fatto che ''la solida realtà, quella che tocchiamo con mano'' è figlia dell'ignoranza del filtro che la produce.
Una concretezza che la scienza, che tutto è meno che ignoranza, non potrà quindi mai riprodurre.
Quindi dalla sorpresa di come qualcosa di così astratto possa realmente funzionare, potremmo adesso passare alla sorpresa di come possiamo essere stati capaci di riprodurre una realtà così concreta, che continuiamo a toccare ancora con mano.
Nessuno ovviamente è costretto a questo passaggio, se non come esperimento mentale od esercizio filosofico . :)
 
#479
Citazione di: daniele22 il 25 Aprile 2025, 07:05:04 AMDirei che essendo che la realtà si presenta come problema se avessimo tutti lo stesso problema la realtà tenderebbe a divenire "così com'è" giacché il problema prenderebbe la forma di un fine. Essendoci quindi un fine si potrebbe così stimare un giusto o sbagliato nel perseguirlo
Non credo che sia superabile il problema del filtro per vedere la realtà così come è, se il filtro vale una interpretazione , ma il fine che tu ipotizzi si può a noi tutti presentare anche solo condividendo un filtro, come condividiamo in effetti il filtro della percezione naturale.
Non vedendo  la realtà cosi come è ciò equivale però alla facoltà di sbagliare tutti insieme al modo che sbaglierebbe un individuo, di modo che l'umanità nella sua interezza, come un individuo solo, sia destinata a procedere per tentativi ed errori.
Certo è che se scambiamo la nostra intersoggettività per la realtà, appariranno di noi in evidenza soltanto i disaccordi, acquisendo un risalto falsato  la nostra soggettività.
Il vero pericolo che noi come umanità stiamo correndo è che, siccome i filtri scientifici richiedono condivisione, nella misura in cui non riusciamo ad attuarla, l'umanità smetterà di procedere come un individuo solo.
Insomma , nella misura in cui ci sfugge questo procedere concorde, nel bene e nel male, rischiamo di perdere questa unità di intenti che finora si è presentata così naturale da passare inosservata, perchè è questo filtro nascosto che ci fa ''razza'', più che altre cose poste alla luce del sole, come il nostro colore, ed è su questo filtro che si basa la possibilità di un linguaggio di comunicazione che abbia un significato percepibile, laddove il linguaggio non fa altro che richiamare ciò che già in partenza condividiamo.
Il pericolo dunque sta nella moltiplicazione dei filtri in una nuova torre di babele.
#480
E' interessante aggiungere che questi aggiustamenti del filtro, quando derivano da relativi difetti intervenuti per qualche patologia, in parte il cervello riesce ad attuarli da solo, ridefinendo le sue aree funzionali.
infine, ciò che noi abbiamo inteso fino a un certo punto come realtà, è in effetti una sua relativa interpretazione funzionale, relativa in quanto economicamente commisurata ad uno scopo preciso.
In tal senso la pretesa filosofica di conoscere la ''vera realtà'' equivale al minimo alla pretesa di sparare a una mosca con un cannone, cioè uno spreco di risorse che alla nostra recente acquisita coscienza ecologica appare inaccettabile.
Può la nuova filosofia continuare a non tenere conto di ciò?
Posto che sia possibile conoscere la ''vera realtà'', cosa che per me ormai ha perso di senso, non avremmo comunque sufficienti risorse da dedicarvi, nella misura in cui questa conoscenza necessiti di una ricerca.
Se si crede invece che basti una illuminazione che ci regali la realtà nella sua piena evidenza, allora il discorso cambia, essendo tutto ciò gratuito. Io però penso che di gratuito a questo mondo non vi sia nulla, e che la nostra percezione, che a noi per ignoranza pare cosi immediata, sia il frutto di un duro e lungo lavoro dell'evoluzione, il quale non solo non è ancora finito, ma che possiamo oggi in parte gestire in prima persona, cioè in modo cosciente, e questo in sostanza significa fare scienza, che altro non è che fare in diverso modo ciò che abbiamo sempre fatto, e che oggi siamo in grado di fare con cognizione.
Infine mi sembra interessante notare che la cognizione di ciò che facciamo non è necessaria al nostro fare, ne che essa sia da considerare  un valore aggiunto, ma è semplicemente un diverso modo appunto  di fare le cose che abbiamo sempre fatto anche senza averne cognizione.