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Messaggi - Carlo Pierini

#466
Citazione di: sgiombo il 12 Ottobre 2018, 20:16:07 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 12 Ottobre 2018, 18:18:58 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Ottobre 2018, 15:19:58 PM
Inoltre trovo che le scienze umane, e in particolare la filosofia, non abbiano nulla da invidiare alla scienza (men che meno l'uso degli strumenti logici dell'induzione e della deduzione, che non sono meno propri della filosofia che delle scienze naturali).


CARLO
In realtà la filosofia ha molto da invidiare alla scienza. Questa, infatti, grazie al suo metodo rigoroso di confronto con l'esperienza, è giunta alla scoperta di leggi e principi che governano il proprio dominio di ricerca, e si è evoluta, così, in una forma di conoscenza affidabile e capace di trasformare la realtà; mentre la filosofia, priva di metodi e di principi rigorosi, sradicata da ogni confronto metodico col mondo reale dell'esperienza, è rimasta quella disciplina puramente speculativa ed inefficace di sempre; quella disciplina, cioè, <<...con la quale o senza la quale il mondo rimane tale e quale>>.

SGIOMBO
Ma in che mondo vivi?
Di quale "filosofia" (stra-)parli?
Ti informo che esistono molteplici filosofie, non solo irrazionalistiche.
Per la scienza é relativamente "facile" applicare l' induzione alle osservazioni empiriche e la verifica/falsificazione empirica alle ipotesi teoriche circa la realtà materiale misurabile.
La filosofia si pone problemi almeno per certi aspetti "più difficili", per risolvere i quali non é possibile e comunque non basta stabilire rapporti esprimibili numericamente fra quantità, problemi relativi all' ontologia generale (a com' é la realtà in toto, che eccede quella materiale - naturale scientificamente indagabile), alla fondatezza della conoscenza (anche di quella scientifica, che sottopone a critica razionale per individuandone significato, limiti, condizioni di verità), all' etica, all' estetica, all' antropologia, alla storia umana e alle relazioni fra questa e la storia naturale, e forse altro ancora...
Mi sembra decisamente stolto (in generale; e anche presuntuoso da parte degli scientisti in particolare) stabilire confronti fra attività teoriche diverse, che si occupano di questioni diverse e dispongono di mezzi di indagine diversi.
A parte il fatto che le conoscenze scientifiche male applicate in pratica (anche per carenza di critica filosofica razionale) stanno facendo (anche) danni enormi, e addirittura fanno correre all' umanità il serio rischio dell' estinzione (oltre a provocare l' estinzione di tante altre specie viventi), non ci trovo niente di male nello speculare disinteressatamente e nel cercare la conoscenza (anche; non solo) come fine a se stessa indipendentemente da eventuali possibili applicazioni pratiche, per il piacere di conoscere.


CARLO
Come dicevo tempo fa a Oxdeadbeef, si può intendere la filosofia secondo due immagini diverse e contrapposte:

1) come un gran calderone di idee dissonanti che dicono tutto e il contrario di tutto;
2) come una UNICA visione del mondo costruita su una grande molteplicità di idee complementari tra loro che si confermano reciprocamente, così come sono complementari tutte le verità più autentiche e profonde.

Ecco, la filosofia reale, la storia della filosofia dalle sue origini fino ad oggi, corrisponde con l'immagine 1). Ed è evidente allora che, se la metà delle filosofie che la costituiscono afferma ciò che l'altra metà nega, almeno una delle due metà afferma il falso, e quindi un giorno le false filosofie dovranno essere sfanculate e mandate al museo delle idee sballate.
Ma prima che ciò accada, chi si accinge allo studio della filosofia per meglio comprendere il mondo, non fa altro che entrare in una Torre di Babele, in un labirinto infernale sul cui ingresso è scritto: <<lasciate ogni speranza o voi che entrate>>, dal quale uscirà (se uscirà sano di mente) molto più confuso di quanto lo era prima di entrare.

Io invece vedo la filosofia secondo l'immagine 2). La intendo cioè come un processo che inizia con la "torre di Babele" attuale, ma che culminerà in una unica visione del mondo retta da un unico Principio di verità. Una grande orchestra di idee - rigorosamente accordate tra loro come lo sono gli strumenti musicali - che eseguirà tante ed uniche grandi sinfonie: tante quante saranno le grandi verità che dovranno essere rappresentate.

Ci sarà bisogno di una "Santa Inquisizione" per mandare al rogo le filosofie false ed ammettere quelle vere? Beh, non più di quanto un maestro d'orchestra mandi a casa dei musicisti incapaci per accogliere i più valenti!
#467
Citazione di: sgiombo il 12 Ottobre 2018, 15:19:58 PM
Inoltre trovo che le scienze umane, e in particolare la filosofia, non abbiano nulla da invidiare alla scienza (men che meno l'uso degli strumenti logici dell'induzione e della deduzione, che non sono meno propri della filosofia che delle scienze naturali).

CARLO
In realtà la filosofia ha molto da invidiare alla scienza. Questa, infatti, grazie al suo metodo rigoroso di confronto con l'esperienza, è giunta alla scoperta di leggi e principi che governano il proprio dominio di ricerca, e si è evoluta, così, in una forma di conoscenza affidabile e capace di trasformare la realtà; mentre la filosofia, priva di metodi e di principi rigorosi, sradicata da ogni confronto metodico col mondo reale dell'esperienza, è rimasta quella disciplina puramente speculativa ed inefficace di sempre; quella disciplina, cioè, <<...con la quale o senza la quale il mondo rimane tale e quale>>.
In questo thread:

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/la-conoscenza-e-una-complementarita-di-opposti-e-i-numeri-sono-archeti-1117/

...abbozzo un'ipotesi su quale sia il cammino attraverso il quale la filosofia potrebbe gradualmente uscire dalle sabbie mobili della sterilità in cui ristagna da duemila anni e diventare anch'essa una vera e propria scienza rigorosa ed efficace, capace cioè di trasformare l'altro emisfero del reale: l'emisfero metafisico-spirituale.
#468
Citazione di: Ipazia il 12 Ottobre 2018, 11:01:05 AM
Le pretese ontologiche della religione sono state, con errore sperimentale trascurabile, falsificate.

CARLO
<<Falsificate>> da cosa?

IPAZIA
Rimane aperta la dimensione psicologica della religione. Ma anche lì, dalla filosofia materialistica alla psicologia, tanti processi sono stati scandagliati e scartati dall'interno stesso delle "scienze umane".

CARLO
<<Scartati>> da chi? Chi ha <<scartato>> la possibilità che la realtà del "sacro" si manifesti all'uomo sotto forma di sogni, visioni, ispirazioni mitico-poetiche o esperienze estatiche? E' proprio questa la "dimensione psicologica" a cui allude Jung:

<<L'ipotesi dell'esistenza di un Dio al di là di ogni esperienza umana, mi lascia indifferente; né io agisco su di lui, né lui su di me. Se invece so che Egli è un possente impulso nella mia anima, me ne devo interessare>>.    [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.59]

<<Nel definire Dio o il Tao come un impulso dell'anima o uno stato psichico, ci si limita a compiere una asserzione su ciò che è conoscibile, e non invece su quanto è inconoscibile, intorno al quale non potremmo affermare assolutamente nulla>>.  [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.63]

<<La scienza non ha mai scoperto Dio; la critica della conoscenza sostiene l'impossibilità di conoscere Dio, ma la psiche umana afferma l'esperienza di Dio. Se così non fosse, di Dio non si sarebbe mai parlato>>.    [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.353]

<<Il fatto che le nostre capacità di rappresentazione non siano assolutamente in grado di immaginare una forma di realtà extra spazio-temporale, non prova che una tale realtà non sia possibile. [...]
Le idee e i dubbi della fisica teorica contemporanea dovrebbero rendere guardingo anche lo psicologo: giacché cosa significa in fin dei conti la «limitatezza dello spazio» considerata filosoficamente, se non una relativizzazione della categoria spaziale? E anche alla categoria temporale (come alla causalità) potrebbe accadere qualcosa di simile. [...]
Data questa estrema incertezza delle concezioni umane, la presuntuosa faciloneria illuministica, non è soltanto ridicola, ma desolatamente priva di spirito. [...]
Se dunque qualcuno dovesse trarre dall'esigenza di un suo intimo sentimento, oppure in concordanza con alcune tradizionali dottrine dell'umanità, la conclusione che la psiche partecipi attivamente a una forma di realtà extra spazio-temporale e appartenga quindi a ciò che in modo inadeguato e simbolico viene detto "eternità", l'intelletto critico non potrebbe contrapporgli altro argomento che uno scientifico "non liquet" [non è certo]. Questo qualcuno godrebbe inoltre del vantaggio di trovarsi in armonia con una "inclinazione" dell'anima umana, esistente da tempo immemorabile e universalmente diffusa. Chi invece, per scetticismo o per ribellione alla tradizione o per mancanza di coraggio o per superficialità di esperienza psicologica o per spensierata ignoranza, non traesse questa conclusione, contraddirebbe le verità del suo sangue. Che queste siano verità assolute oppure no, forse non lo potremo mai provare, ma basta che esse siano presenti come "inclinazioni", e sappiamo a sufficienza che cosa significhi mettersi sconsideratamente in conflitto con tali verità: è come un non voler tener conto degli istinti".  [JUNG: Realtà dell'anima - pg.163]
#469
Citazione di: Ipazia il 12 Ottobre 2018, 10:22:23 AM
Da filosofa terra-terra darei a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Pur sempre nel dialogo e stimolo reciproco, ma senza scorciatoie e ibridazioni dal sapore Alzumenschlisches. Disvelare è un mestiere rischioso, perchè spesso finisce col ri-velare. Personalmente mi sento anche garantita da una scienza che fa solo il suo mestiere, che disvela solo le sue verità. Mi preoccupa di più quando chi la strumentalizza si inventa le particelle di dio.
CARLO
Sono d'accordo. Infatti scrivevo tempo fa nel thread "Biancaneve e la scienza":

<<Scrive lo storico delle religioni W. Williamson:
"Nelle sue investigazioni la scienza ha portato una sincera devozione alla verità, un giudizio chiaro, una mente assolutamente libera da ogni pregiudizio e da ogni parzialità. Ma quando nello studio della scala ascendente della vita essa raggiunge l'uomo, lo spirito con cui continua le sue investigazioni cambia completamente. Fin da principio essa vede l'uomo governato da forze che le riescono nuove e si trova subito in conflitto con una delle più potenti di queste forze: le credenze religiose. Le azioni dell'uomo sono dominate da sanzioni strane che essa non riconosce; e intanto gli eventi connessi a queste credenze occupano una gran parte della vita dell'uomo ed esercitano una grande influenza sulla sua storia: crescono e si sviluppano con lui. (...)
Che cosa sono dunque questi sistemi religiosi che occupano un posto così importante nella vita e nella storia dell'uomo? Qual è il loro significato, quale la loro funzione nello sviluppo sociale? A queste domande la scienza cade in uno strano silenzio: essa non ha e non cerca risposte. Perché?".   [W. WILLIAMSON: La legge suprema. Studio sulle origini delle religioni e sulla loro unità fondamentale - pg. 5]

La risposta, che Williamson non dà, è semplice: perché nel campo della cosiddetta "fenomenologia dello spirito" il metodo scientifico (descrizione matematica e PROVA sperimentale) si rivela assolutamente inadeguato e inutile. Pertanto, qualunque investigazione tesa a dare risposte alle domande di cui sopra, metterebbe in chiara luce la non universalità del metodo scientifico e la limitatezza del suo dominio di ricerca. In definitiva, scoprirebbe gli altarini della provincialità della scienza, il suo essere regina NON del Sapere, ma solo di una delle DUE polarità di esso, quella materiale.
La scienza, cioè, è la Regina "parvenue" della favola di Biancaneve: fin quando si specchia nella Materia si sente "la più bella del reame", ma da un certo momento in poi avverte che il suo titolo di Miss-Conoscenza è minacciato da una fanciulla, lei sì di stirpe regale, la Metafisica-Biancaneve, che lei stessa aveva spodestato, esiliato con la prepotenza e cercato di uccidere (si veda il "Circolo di Vienna"). E alla fine sarà proprio Biancaneve la vera regina, grazie al bacio di un PRINCIP...E che la risveglierà dal sonno velenoso procuratole dalla matrigna malvagia e strega>>.
#470
JACOPUS
Premetto che conosco Jung attraverso Wikipedia, pur avendo in casa un paio di suoi libri. Detto questo il concetto di archetipo è stimolante cosí come quello di inconscio collettivo. La mia interpretazione di queste dinamiche è però ristretta ai fatti storici individuali e collettivi.
Tanto per intenderci e consapevole di dire delle castronerie, l'archetipo della famiglia per un italiano medio sarà diverso dall'archetipo di famiglia dell'inglese medio. Non riesco a pensare agli archetipi come a immagini universali sedimentate per sempre nella nostra mente. La nostra mente è il nostro cervello, organo plastico che rielabora per le sue strategie la realtà storica individuale e collettiva di cui è in grado anche di intuire certi passaggi non detti.
Tutto ciò in un'ottica pienamente umana e "finita" "visto che ho sempre avuto il sospetto che gli archetipi profumino d'incenso anche se attraverso metodi aggiornati.


KOBAYASHI
Anche se l'inconscio collettivo fosse reale, mi pare che la tendenza sia sempre quella di pensarlo come qualcosa di positivo. E se invece fosse un ricettacolo di tendenze irrazionali, magiche etc., che alla fine rappresentano solo un ostacolo alla propria consapevolezza e che infatti vengono oggettivate nei simboli della religione?
Perché non fare come con il cosiddetto inconscio individuale che deve essere "lavorato" solo quando contiene forze che ci impediscono di vivere liberi?
Nostalgia di credenze antiche irrecuperabili così come l'inconscio individuale prende forza dall'incapacità di staccarsi dal mondo potente e vivido (ma pieno di trappole) dell'infanzia...


CARLO
Anch'io la pensavo come voi. Da giovane "sessantottino" ho militato in diverse formazioni di sinistra (PCI, Manifesto di Pintor-Rossanda, Lotta Continua, Partito Radicale) e sono stato un "teorico" del materialismo-agnosticismo. Fin quando, "...nel mezzo del cammin della mia vita" ebbi delle esperienze personali "archetipiche", le più significative delle quali le ho raccontate sinteticamente nei seguenti thread:


https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un'altra-'visione'-archetipica/

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un-sogno-archetipico/

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/gli-archetipi-esistono-io-li-ho-'visti'!/

...se ne avete voglia, dategli un'occhiata e capirete quanto sia difficile farle rientrare nell'alveo del paradigma materialista.
#471
Qualche altra puntualizzazione sull'archetipo:

<<In epoche passate, nonostante eventuali divergenze di opinioni e l'orientamento aristotelico, nessuno aveva troppa difficoltà ad afferrare il concetto platonico secondo cui l'idea preesiste ed è superiore ad ogni realtà fenomenica. "Archetipo" è un termine che si trova già nell'antichità ed è sinonimo di "idea" in senso platonico. Quando, per esempio, nel corpus hermeticum (III secolo) Dio è designato come la "Luce archetipica", ciò significa che Egli è l'immagine primordiale di ogni luce, preesistente e superiore a ogni fenomeno luminoso. Se fossi un filosofo, potrei portare avanti l'argomentazione platonica e sostenere: da qualche parte, "in un luogo celeste" esiste un'immagine primordiale della madre, preesistente e superiore a ogni fenomeno "materno".(...) 
Viviamo da circa duecento anni in un'epoca in cui è ormai impopolare, se non incomprensibile, ammettere che le idee possano essere altro che nomi. Chi, alquanto anacronisticamente, condivida ancora la concezione platonica, è costretto con suo disappunto a costatare che l'essenza "celeste", metafisica, dell'idea è relegata nell'ambito incontrollabile della credenza e della superstizione oppure caritatevolmente affidata al poeta. Nella secolare controversia sugli universali, il punto di vista nominalistico ha ancora una volta "sconfitto" il punto di vista realistico, e l'immagine originaria si è volatilizzata in flatus vocis. Questo capovolgimento è stato accompagnato, anzi in buona parte prodotto, dalla clamorosa apparizione dell'empirismo, i cui vantaggi si sono imposti con fin troppa evidenza all'intelletto. Da allora, l'"idea" non è più un a priori, ma un elemento secondario e derivato. È naturale che anche il nuovo nominalismo rivendichi senz'altro una validità universale, benché esso si basi su una tesi determinata e perciò limitata, legata a un dato temperamento che dice: "È valido ciò che viene dall'esterno ed è verificabile. Il caso ideale è quello in cui c'è possibilità di conferma sperimentale". L'antitesi dice invece: "È valido ciò che viene dall'interno e non è verificabile". La fragilità di quest'ultima argomentazione è evidente. La materialità della filosofia greca della natura, nella sua connessione con l'intelletto aristotelico, ha riportato su Platone una vittoria tarda ma significativa. Ma ogni vittoria porta in sé il germe di una futura sconfitta>>.  [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pg. 78]

<<Poiché tutto lo psichico è preformato, lo sono anche Ie sue singole funzioni, in particolare quelle che emanano direttamente da disposizioni inconsce. Ad esse appartiene anzitutto la "fantasia creativa". Nei prodotti di fantasia le "immagini primordiali" diventano visibili e il concetto di archetipo trova qui la sua applicazione specifica. Non è merito mio l'aver fatto per primo questa osservazione. La palma spetta a Platone. Il primo a sottolineare, nel campo dell'etnopsicologia, la presenza universale di determinati "pensieri primordiali" fu Adolf Bastian. Più tardi furono due ricercatori della scuola di Durkheim, Hubert e Mauss, a parlare di vere e proprie categorie della fantasia. La preformazione inconscia sotto forma di "pensare inconscio" è stata riconosciuta nientemeno che da Hermann Usener. Se io ho una parte in tali scoperte, essa consiste nell'aver dimostrato che la diffusione universale degli archetipi non avviene soltanto in virtù della tradizione, del linguaggio, della migrazione, ma che gli archetipi si possono riprodurre spontaneamente sempre e ovunque, in forme e modalità indipendenti dalle influenze esterne.
La portata di quest'osservazione non dev'essere sottovalutata. Essa significa che in ogni psiche sono presenti - inconsce e ciò nonostante attive, cioè vive - forme, disposizioni, idee in senso platonico, le quali istintivamente preformano e influenzano i nostri pensieri, sentimenti, azioni.
Mi accade continuamente di imbattermi nell'equivoco secondo cui gli archetipi sarebbero contenutisticamente determinati, sarebbero cioè una sorta di "rappresentazioni" inconsce. Devo perciò ancora una volta sottolineare che essi non sono determinati dal punto di vista del contenuto, bensì soltanto in ciò che concerne la forma, e anche questo in misura assai limitata. Che un'immagine primordiale sia contenutisticamente determinata lo si può dimostrare solo quand'è divenuta cosciente e si è perciò arricchita del materiale dell'esperienza cosciente. La sua forma è piuttosto paragonabile, come ho spiegato altrove, al sistema assiale di un cristallo il quale per così dire preforma la struttura del cristallo stesso nell'acqua madre, senza possedere un'esistenza materiale sua propria. Questa si esprime soltanto nel modo in cui si cristallizzano ioni e molecole.
L'archetipo è in sé un elemento vuoto, formale, nient'altro che una facultas praeformandi, una possibilità data a priori della forma di rappresentazione. (...) Difficilmente si può dimostrare la presenza in sé degli archetipi, così come degli istinti, fintantoché essi non si manifestano concretamente. Quanto alla determinatezza della forma, il paragone con la formazione del cristallo è illuminante, giacché il sistema assiale determina unicamente la struttura stereometrica, non la forma concreta dell'individuo cristallino. Questo può essere piccolo o grande, oppure variare a seconda della diversa conformazione delle sue superfici o del reciproco concrescimento. Costante è solo il sistema assiale nelle sue proporzioni per principio invariabili. Lo stesso vale per I'archetipo: esso può essere in linea di principio denominato e possiede un nucleo di significato invariabile: questo però determina il suo modo di manifestarsi solo in teoria, mai in concreto. Così, per esempio, il "modo" in cui I'archetipo materno si manifesta volta per volta sul piano empirico non può essere dedotto unicamente dall'archetipo stesso, ma poggia anche su altri fattori>>.  [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pp. 80/82]
#472
Citazione di: viator il 11 Ottobre 2018, 23:34:22 PM
Salve. Lo scopo della scienza non è l'acquisizione dell'onniscienza, la scoperta dell' origine del mondo, del suo scopo o destino, la rivelazione della verità.
Il suo scopo molto più semplice ed utile è la produzione di strumenti. Materiali o concettuali.
Macchine, strutture e procedure.

CARLO
Forse non ci hai fatto caso, ma solo la rivelazione di nuove verità permette alla scienza la produzione di strumenti nuovi, materiali o concettuali che siano. Perché con le teorie fasulle, con le false conoscenze non si produce un bel niente.
Quindi, diciamo piuttosto che la scienza nasce come filo-sofia, cioè, come amore per la conoscenza, per la verità, e che la tecnologia è il frutto di conoscenze acquisite, di verità svelate.

Non capisco, pertanto, questa smania generale di voler seppellire/censurare/rimuovere ad ogni costo il concetto di verità e di voler ridurre l'intera cultura in chiacchiere allo stato puro, dalla filosofia alla scienza: <<il sapere riguarda la "cosa", non la "cosa in sé">>, <<noi conosciamo la mappa, non il territorio>>, <<l'essere è solo la percezione, non l'essere in sé>>, <<il mondo non esiste, se non come rappresentazione antropomorfa>>, <<la scienza non è "episteme", ma solo "doxa">>, <<Dio è inconoscibile, quindi non oggetto di scienza>>, ...e via piagnucolando e decostruendo, cioè, gettando sconsideratamente fango su una delle facoltà più nobili dell'umanità: la facoltà di conoscere sé stessa e il mondo!! 
...E meno male che siamo in un NG di filosofia!!!



ZUCCHERO - Nice (Nietzsche) che dice
https://youtu.be/M4apUpLQRl0
#473
Citazione di: Ipazia il 11 Ottobre 2018, 16:41:47 PM
Tutte le teorie scientifiche sono rappresentazioni antropomorfiche della realtà 

CARLO
Anche quello che hai appena scritto è una rappresentazione antropomorfica di "tutte le teorie scientifiche". Ma ciò non toglie nulla alla possibilità che tali rappresentazioni rispecchino fedelmente la realtà, cioè, che esprimano la verità.

IPAZIA
ma, contrariamente alle favole, ciò che descrivono ha la capacità di produrre tecnologia, ovvero di incidere sulla realtà. 

CARLO
Se consideri che le più grandi civiltà umane si sono costruite intorno a delle favole (miti sacri), allora anche le favole incidono profondamente sulla realtà.



PLATTERS: The great pretender
https://youtu.be/FyM8NVl4yBY
#474
Cit. CARLO
Senti cosa scrive Ilya Prigogine a proposito dei problemi della MQ:
...
Molto interessante! C'è da dire che Bohr era molto attratto dalla "complementarità degli opposti" (tant'è che, ad un certo punto, scelse come suo stemma il simbolo dello yin e yang e come motto "contraria sunt complementa"). Considerando ciò, la lettura di Prigogine potrebbe essere la "giusta interpretazione" della visione delle cose di Bohr. Anche se, da quanto so io lui considerava come problematica la domanda "qual è lo stato di una particella quando non è osservato?" perché secondo lui non si poteva parlare di stato al di fuori della misurazione (in quanto lo stato sarebbe sempre stato descritto da "concetti classici").  Probabilmente io e Prigogine non stiamo dicendo cose diverse, anche se, ammetto, che la mia conoscenza del pensiero di Bohr deriva da "letteratura secondaria", ovvero la mia è una interpretazione dell'interpretazione del pensiero di Bohr fatta da diversi studiosi  ;D
 
CARLO
Io considero la MQ come una scienza in statu nascendi, quindi non do molto credito a chi pretende di trarne delle conclusioni filosofiche definitive. Del resto la fisica si trova al cospetto dei tre più grandi misteri dell'esistenza: lo spazio, il tempo e la mente umana (il soggetto) la cui scarsissima conoscenza ci impone la massima prudenza filosofica.
Io propendo a credere, cioè, che la MQ non sia una teoria vera e propria, ma una costruzione ad hoc che non spiega ancora nulla, ma che si limita ad osservare ciò che succede, nell'ignoranza più totale delle cause e, quindi, al di fuori di qualsiasi comprensione.
Un po' come la teoria geocentrica, che si limitava a matematizzare ciò che si osservava, ma a cui mancava la dinamica newtoniana-einsteiniana ai fini di una corretta spiegazione del moto degli astri.
Infatti, scrivono alcuni fisici:
 
<<Credo di poter dire con sicurezza che nessuno (...) comprende la meccanica quantistica. (...) Se credete di aver capito la teoria dei quanti, vuol dire che non l'avete capita>>. (Richard Feynman)
 
<<Non esiste un mondo quantistico. C'è soltanto una descrizione quantistica astratta>>. (Niels Bohr)
 
<<Non mi fu risparmiato lo shock che ogni fisico abituato al modo di pensare classico subiva quando sentiva parlare per la prima volta il postulato fondamentale della teoria quantistica di Bohr>>. (Wolfgang Pauli)
 
<<Espressioni come "la natura corpuscolare della luce" o "la natura ondulatoria degli elettroni" sono ambigue, perché i concetti di corpuscolo e di onda sono ben definiti solamente in fisica classica, nel cui ambito ovviamente luce ed elettroni sono, rispettivamente, onde elettromagnetiche e corpuscoli materiali>>. (Niels Bohr)
 
<<Se questi dannati salti quantici dovessero esistere, rimpiangerò di essermi occupato di meccanica quantistica!>>. (Erwin Schrödinger)
 
<<Riassumendo, allora, il potenziale quantistico è in grado di costituire una connessione non locale [una connessione nell'universo che è più rapida della velocità della luce, in violazione della teoria di Einstein della relatività generale, che afferma che nulla può andare più veloce della velocità della luce], dipendendo direttamente dallo stato del tutto, in un modo che non è riducibile a un preassegnato rapporto tra le parti. Non solo determina un'attività organizzata e coordinata di interi insiemi di particelle, ma determina anche quale sottoinsieme relativamente indipendente, nel caso, ci può essere all'interno di un tutto più grande>>. (David Bohm)
#475
Cit. CARLO
Se il Tao - o Dio - è Principio o Legge del mondo, il mondo stesso sarà "fatto a immagine e somiglianza" del Principio, cosicché attraverso la conoscenza del mondo sarà virtualmente possibile risalire alla conoscenza del Principio. Come lo Yin è analogia dello Yang, ciascuna delle "diecimila creature" sarà analogia del Tao.
Questa è anche l'idea di Tommaso nel suo concetto di "analogia entis", secondo la quale l'essere di Dio e l'essere delle creature non sono identici, ma nemmeno radicalmente diversi, bensì legati da una relazione di analogia; cosicché, nella conoscenza del mondo (e di noi stessi) conosceremo l'immagine di Dio che vi si rispecchia, come la conoscenza dei fenomeni fisici ci conduce alle leggi e ai principi che li governano.

APEIRON
Concordo con il ragionamento sulla relazione principio-"creature". Però sono stato impreciso, prima. Se "il Tao che può essere detto non è l'eterno Tao" (o se si considerano le parole già citate del Change tzu*) allora ogni "Tao" che può essere descritto, come anche il "Tao come principio" non è l'"eterno Tao".

CARLO
Se il Tao è l'Unità ultima, non ci possono essere due Tao, l'"eterno" e il "descrivibile". Evidentemente, con questa distinzione si vuol solo sottolineare l'inosservabilità del Principio, la sua trascendenza, pur restando salva la sua conoscibilità attraverso processi di astrazione fondati sull'osservazione della dinamica (immanente) yin-yang e della loro tendenza-convergenza all'armonia dell'Uno.
Il Tao, cioè, corrisponde col "nous" platonico: è l'archetipo delle "diecimila creature", il loro eterno modello originario.

APEIRON
Ergo, quanto tu dici si applica fino ad un certo punto nell'esperienza taoista, secondo me. In realtà, l'obbiettivo finale dovrebbe essere il Silenzio. La Pura Contemplazione non-concettuale. Tutte le distinzioni collassano e, anche forse, l'unità*. Tutto ciò viene "trasceso".

CARLO
La "Pura Contemplazione non-concettuale" è l'ALTRA via del Tao, la via soggettiva-interiore, la quale tuttavia non esclude la modalità oggettiva-esteriore, ma, anzi ne è l'aspetto complementare.
Insomma, l'Incolore, l'Insonoro, l'Informe, il Vuoto, non corrisponde al Nulla, ma all'unità del Tutto, cioè, al fondamento ultimo trascendente di ciò che, sul piano immanente, è colore, suono, forma, pienezza dei sensi. E' l'equivalente del Verbo-Logos occidentale <<...per mezzo del quale Tutto è stato fatto>> o dello sfuggente "Mercurius duplex et versipellis" degli alchimisti, dalla natura paradossale.

APEIRON
*sempre nel Capitolo 2 dello Zhaungzi, subito prima dell'altra citazione, c'è anche un altro passo interessante: "Se siamo già diventati uno come posso dire qualcosa? L'uno e ciò che ho detto circa l'uno lo rendono due e i due uniti al primo danno tre..." In pratica è come se critica il monismo come inconsistente (anche se il taoismo viene descritto come "monista"). Questo sembra essere supportato dal radicale apofatismo suggerito da frasi come "il Tao che può essere detto non è l'eterno Tao" (e l'apofatismo è utilissimo a non attaccarsi troppo ai concetti - da qui il mio richiamo alla metafora Zen del dito e della Luna) :)

CARLO
Il monismo è un'altra cosa: è l'assolutizzazione di uno dei due opposti a scapito dell'ontologia dell'altro. Invece, l'unità del Tao non fagocita la dualità ontologica di yin e yang poiché esso appartiene ad un piano superiore, trascende la dualità. E' l'analogia-complementarità costitutiva-originaria di yin e yang che permettono la loro convergenza verso un'unità superiore senza tuttavia perdere la propria sovranità-alterità-ontologia individuale. Nello stesso modo in cui gli amanti, pur essendo due, trovano la loro unità in quel tertium superiore (quando c'è) che chiamiamo "amore". L'amore non annulla rispettivamente la virilità e la femminilità degli amanti ma, anzi, paradossalmente, li esalta, li porta al loro massimo compimento nell'unità. Per questo l'amore innalza fino al ...Tao, o al Cielo, o all'Infinito (o ci sprofonda all'inferno la sua perdita), ed è ancora per questo che il rito del matrimonio si celebra in presenza di un sacerdote che lo "consacra" non come semplice unione, ma come "unione in Dio (o in Cristo)". ...E torniamo, così, al concetto di uni-trinità del Principio.

D. RETTORE: Amore stella
https://youtu.be/yS0VAi0mgnI

A. BOCELLI: Il mistero dell'amore
https://youtu.be/rxRwiXAdjIw

F. MANNOIA: Ascolta l'Infinito
https://youtu.be/arZOgIC7ilM

Cit. CARLO
Quando si parla di "trascendenza" non possiamo in nessun caso intenderla come trascendenza assoluta, cioè, come assoluta separazione, poiché si tratta del Principio del mondo, non di un principio separato dal mondo ("oltre"). La mente umana trascende il mondo materiale, ma non è separata da essa; così pure il Principio trascende sia la materia che la mente, ma non sarebbe principio di entrambe se ne fosse separato in senso assoluto. Torniamo, cioè, ai TRE livelli interagenti dell'essere: mondo-anima-Dio, cioè, alla Grande Triade dei cinesi, alla triade yin-yang-Tao e all'Uni-trinitarietà di molte altre tradizioni. Vedi anche i primi tre post del thread: "La conoscenza come rito eucaristico":
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/la-conoscenza-come-rito-eucaristico/

APEIRON
Capito. Grazie! Sì, concordo, il principio del mondo (se c'è) non può essere né separato né uguale al mondo (non si può né dire trascendente, né immanente). E concordo che la complementarietà torna in molte culture. L'"unione dialettica" è un argomento che affascina anche a me, comunque. Però, come dicevo prima, non mi convince che possa essere definito come "il messaggio ultimo" del Taoismo.

CARLO
Il Taoismo è solo una delle molteplici espressioni del Principio di complementarità, più poetica che propriamente logico-filosofica.

Cit. CARLO
Sì, l'ipotesi di un processo evolutivo dialettico originario materia-mente mi sembra molto più ragionevole del considerare la mente come un fenomeno emergente dalla complessità dei processi biologici. Del resto, yin e yang costituiscono un'unità inscindibile e non vedo per quale ragione dovremmo far emergere l'uno dall'altro, piuttosto che entrambi dal Tao originario.

APEIRON
Capito. Il panpsichismo affascina molto anche me e ogni tanto mi trovo a "supportarlo". Però, ho forti difficoltà a "immaginarmi" la mente degli oggetti "inanimati". Comunque, ciò non toglie che sia una prospettiva interessante.

CARLO
Credo si debba immaginarla, appunto, come "mente dormiente" che, però si attiva nei momenti cruciali dell'evoluzione del mondo. Scrivevo tempo fa a un altro interlocutore:

A me sembra ragionevole pensare che in quel gran salto qualitativo che noi osserviamo nel passaggio tra la chimica organica e la chimica vivente, nella materia abbia agito qualcosa di "altro" dalla materia stessa, quel seme originario della mente che nell'uomo germoglierà e si innalzerà fino a trasformarsi in quel mistero che chiamiamo coscienza e a produrre "frutti" assolutamente nuovi rispetto al passato (conoscenza, etica, arte, religione, civiltà, ecc.).
E' la comparsa della mente e la sua interazione dia-lettica con la materia che, secondo me, trasforma la chimica non-vivente in quel processo teleologico che chiamiamo "evoluzione darwiniana". E nessuno può escludere la possibilità che le famose mutazioni genetiche che sono alla base di questo processo non siano affatto casuali, ma che siano invece guidate in qualche modo dalla mente.
A questo proposito, mi sono andato a rileggere alcuni passi di un libro che lessi una decina di anni fa: "Entropia, sintropia, informazione" di G. e S. Arcidiacono (un fisico e un biologo), nel quale si dice:

"In questo modello di Universo [proposto nel 1957 dagli Arcidiacono], non abbiamo più separatamente i fenomeni entropici e sintropici, ma in ogni fenomeno (sia fisico che biologico) dobbiamo avere due "componenti", entropica e sintropica strettamente connesse ed inseparabili. Di conseguenza, otteniamo i fenomeni entropici puri quando la componente sintropica tende ad annullarsi, e viceversa [...] Otteniamo in questo modo una nuova versione perfezionata della teoria unitaria, cioè una concezione non più dualistica, ma unitaria della realtà". Infatti, nella nostra teoria le due componenti non sono più in opposizione, ma piuttosto "complementari" e indissolubili perché espressione della armoniosa unità del cosmo". [Giuseppe e Salvatore ARCIDIACONO: Entropia, sintropia, informazione - pg. 30]

Ecco, siccome è la mente - non la materia chimica - che presenta proprietà finalistiche, sono propenso a credere che sia la mente stessa a organizzare la materia in senso sintropico-evoluzionistico-finalistico. Infatti continuano gli Arcidiacono:

"Volendo spiegare l'origine dei viventi con la casualità, dobbiamo considerare equiprobabili tutti gli eventi elementari. Poiché la formazione di una singola molecola proteica ha una probabilità quasi nulla, risulta come sia impossibile la sua costituzione pur in un arco di tempo corrispondente all'età dell'Universo.. Da ciò deriva come la formazione dei viventi, anche i più semplici, sia da ritenere impossibile nell'ambito del solo schema dei fenomeni ENTROPICI casuali (raggi X, raggi cosmici, infrarossi e ultravioletti, oppure "errori di trascrizione" nel processo di duplicazione del DNA).
In conclusione, sulla base della teoria di Darwin [...] dovremmo osservare un aumento del grado di omogeneità dei viventi, invece del gran numero di processi di differenziazione che constatiamo guardando la natura intorno a noi. Tale difficoltà può essere superata ricorrendo all'introduzione dei fenomeni SINTROPICI accanto a quelli entropici.
Non solo nello sviluppo di un singolo vivente, ma anche nello sviluppo della Vita si osserva una differenziazione sempre più grande, mediante variazioni che NON SONO CASUALI, ma orientate finalisticamente verso forme sempre più armoniche e complesse. Tale argomentare consente la risoluzione del problema relativo all'origine delle specie fornendo inoltre una conferma che i fenomeni della vita sono essenzialmente di tipo sintropico, in perfetto accordo con i dati geologici e paleontologici. Si spiega inoltre, in modo estremamente semplice, il fenomeno della variazione delle forme viventi e la ragione perché queste esistono, anche se la loro probabilità è pressoché nulla partendo da ipotesi di tipo entropico. Luigi Fantappiè sostiene che la coordinazione verso certi fini non deriva più dalla selezione naturale, che opera nelle forme più differenti conservando solo le più armoniche, ma è governata dal principio di finalità, che regola i fenomeni sintropici. Con tale asserzione non si vuole escludere l'azione della selezione naturale, ma sottolineare come la sua influenza per la evoluzione sia in effetti marginale, anche perché la selezione può agire solo a partire da forme pre-esistenti. [...]
Per concludere si può asserire che la formazione di specie sempre più differenziate non è prodotta da cause esterne, ma è mossa dai fini successivi, in coerenza con quanto richiesto dai principi base dei fenomeni SINTROPICI".  [Giuseppe e Salvatore ARCIDIACONO: Entropia, sintropia, informazione - pg. 67]

"Le mutazioni ENTROPICHE, come accettato comunemente, sono mutazioni di scarsa entità e producono alterazioni casuali nella struttura del materiale ereditario. Se si tratta di alterazioni negative saranno "regressive" o anche letali e si trasferiscono in una teratologia marginale che non può nuocere alla grande stabilità della specie. Le mutazioni di questo tipo rappresentano proprio il disordine legato al fatale aumento dell'entropia. Le mutazioni SINTROPICHE, invece, sono "spontanee", determinate da requisiti interni, logici e strutturali. Sono endogene e non casuali ed involvono una modificazione stabile e diretta del DNA. [...] Tali mutazioni possono assumere una grande ampiezza e sono in grado di riaggiustare armonicamente l'intero programma che caratterizza un certo organismo.
Le mutazioni NEUTRALI mantengono le condizioni iniziali e possono essere identificate con l'equilibrio di Hardy-Weinberg. Un esempio lo si può trovare nelle alterazioni prodotte nella struttura del citocroma c. Accettando l'esistenza delle "mutazioni sintropiche" si riesce a spiegare il motivo per cui l'evoluzione non consista in un processo graduale e lento, ma in un processo che avviene PER SALTI, mediante bruschi passaggi da una forma verso un'altra". [Giuseppe e Salvatore ARCIDIACONO: Entropia, sintropia, informazione - pg. 67]

Cit. CARLO
No, la filosofia di Kant, costruita per compartimenti stagni e incomunicanti (il noumeno, il fenomeno, il trascendent-ale, Dio) mi sembra un'aberrazione del pensiero, la fonte di quel virus che ha contagiato e reso sterile la filosofia moderna: il relativismo.

APEIRON
Ah ok! Io lo vedo più come una forma di scetticismo anche se, in realtà, posso capire perché con "forzando" la filosofia kantiana si rischia di degenerare nel relativismo ("assoluto"). Fai conto però che Kant, praticamente, vedeva l'etica come qualcosa che tendeva a quel "noumeno" che la ragione non poteva raggiungere. Non a caso, Kant scrive tutto il suo secondo libro dicendo che l'"imperativo" etico presente in tutti noi ci fa "postulare" Dio, l'anima immortale e la libertà. E tale imperativo, secondo Kant, doveva essere lo stesso per tutti. Perciò, secondo Kant, ciò che non si poteva dire con la "ragione pura" poteva essere detto con la "ragione pratica". Considerando anche la sua "teoria dell'etica" Kant è ben lontano sia dal relativismo che dallo scetticismo.

CARLO
Avendo a che fare con un "noumeno" inosservabile, inconoscibile e assolutamente separato dalla cosa fenomenica, e con un Dio assolutamente trascendente e separato da ogni esperienza, non si può che sfociare nel relativismo e nell'agnosticismo.

Continua....
#476
Citazione di: Ipazia il 09 Ottobre 2018, 16:40:48 PM
Si, ma è assai più aleatorio, come ben sanno gli innocenti che sono stati condannati ingiustamente. Inoltre: se tizio spara a caio e i testimoni sono affidabili e le prove schiaccianti e mettiamoci pure la confessione dell'omicida siamo totalmente in un ambito deterministico (omicidio = V). Semmai rimangono indeterministici, talvolta anche nella testa di assassino e assassinato, per quanto quest'ultimo abbia potuto pensarci, i motivi del fatto.
CARLO
L'esistenza della verità non significa che sia sempre facile scoprire da che parte sta.


FATS DOMINO - It keeps rainin'
https://youtu.be/-mk4UTtuQMg
#477
Citazione di: Ipazia il 08 Ottobre 2018, 22:18:27 PM
Certamente. Almeno la verità giudiziale, se devo mettere in galera o assolvere qualcuno.

CARLO
Allora lo vedi che il concetto di "verità" è pertinente anche fuori dell'ambito deterministico?


SIA: Bird set free
https://youtu.be/InrC4PO6S1w
#478
Citazione di: Ipazia il 08 Ottobre 2018, 21:10:44 PM
CARLO
Che io sappia esistono anche interpretazioni errate.
E, comunque, quando due diverse interpretazioni di un medesimo evento sono reciprocamente contraddittorie, come ti regoli? Sono entrambe valide?

IPAZIA
Approfondisco l'idagine

CARLO
...A quale scopo? ...Forse per capire da che parte sta la verità?



 
TEMPTATIONS: My girl
https://youtu.be/C_CSjcm-z1w
#479
Citazione di: Ipazia il 08 Ottobre 2018, 14:04:00 PM
No, è un'interpretazione. Come tutto ciò che attiene le "scienze umane".  

CARLO
Che io sappia esistono anche interpretazioni errate. 
E, comunque, quando due diverse interpretazioni di un medesimo evento sono reciprocamente contraddittorie, come ti regoli? Sono entrambe valide?

IPAZIA
Il concetto V-F vale solo nel mondo deterministico e resta sub judice fino alla prossima falsificazione; 

CARLO
Quindi, la scoperta che la Terra non è piatta, ma rotonda, resterà sub judice fino alla prossima falsificazione?
#480
Citazione di: Ipazia il 08 Ottobre 2018, 12:16:53 PM
Citazione di: bobmax il 03 Settembre 2018, 10:11:16 AM
Il principio di non contraddizione è indispensabile per il pensare determinato, ma non è la Verità.
Perché nel mondo A non è mai uguale ad A. Ossia non vi è niente che sia uguale a se stesso.

IPAZIA
Non è la "Verità" nelle relazioni indeterministiche tra viventi, dove la relazione popperiana V-F non ha senso.
E soprattutto: nel mondo reale dei viventi vi sono tanti A,B,C, tutti diversi tra loro, che interagiscono dialetticamente, non deterministicamente.
CARLO
...Quindi, non ha senso considerare "vero" ciò che hai appena scritto?  :)