Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - Apeiron

#466
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
27 Dicembre 2017, 13:15:42 PM
@sgiombo, ovviamente non volevo affermare che la mia è la sola metafisica. Quanto invece che la mia metafisica (per esempio) non si basa su dogmi "calati dall'alto" ma si basa sullo studio, sul dialogo e sulla tendenza umana a fare ipotesi (userei il verbo inglese "wondering about...") anche su cose che non sono empiricamente osservabili, cosa che per quanto ne sappiamo, per esempio, ci distingue da tutti gli animali. Riguardo alle tue obiezioni ovviamente in parte concordo visto che ho detto che c'è una componente "accidentale" della matematica (siamo dopotutto noi a scrivere le equazioni) ma ciò è lungi da concludere che la matematica dipenda da noi. Comunque - secondo me - stai un po' esagerando (mi riferisco al tuo ultimo post, se scrivi espressioni colorite (magari anche scherzose) non dimenticarti di aggiungere una "emoticon" ossia una "faccina", preferibilmente questa " ;D ".). Comunque devo precisarti che Newton non aveva una nozione di "spazio curvo" bensì riteneva che la gravità faceva un'azione a distanza.

@Angelo, le tue obiezioni sono deboli. Il fatto che la conoscenza della realtà dipenda dal soggetto non implica che non sia possibile per il soggetto fare affermazioni circa proprietà indipendenti dalla propria prospettiva della realtà. Come ben sai non ho mai affermato che ciò sia vero, tuttavia la scienza mi pare piuttosto una prova convincente del fatto che possiamo "squarciare il velo di Maya", nel senso che possiamo avere una comprensione parziale della realtà indipendente da noi per quanto tale comprensione sia confusa. Riguardo all'universalità concordo con @sgiombo negare che la tendenza a comprendere l'universale dietro al particolare è logicamente erroneo quanto non comprendere il particolare nell'universale e anzi secondo me è anche peggio. Questo lo dico grazie ai miei studi in vari campi del sapere "umano". Ad ogni modo tu distingui tra "fisica" e "meta-fisica" però devo richiamare il fatto che la distinzione non è mai stata netta: per esempio in fisica parliamo di "campo", di "particella", di "realtà indipendente dall'osservatore" ecc concetti che rasentano la meta-fisica. Posso citarti, per esempio, la moltitudine di interpretazioni della meccanica quantistica che descrivono tra di loro un'ontologia incompatibile tra di loro (dunque non possono essere tutte "vere") e molti fisici, quelli più orientati al "pragmatismo", considerano esse come "meta-fisica", per esempio. Comunque nella fisica - più di ogni altra scienza - c'è la manifesta tendenza all'universale e a ricercare l'oggettività (o quantomeno l'universalità, i.e. trovare "verità" che siano condivise da tutti). Ho usato l'esempio di Newton. Ma potrei usare l'esempio di Maxwell, Einstein, della QED, e della contemporanea teoria delle stringhe che cerca di unificare tutta la fisica oggi conosciuta (e altro ancora da osservare) con un unico gruppo di leggi. Quindi no, la pratica scientifica smentisce l'idea per la quale la scienza non è né interessata all'universalità delle sue verità né tantomeno alla tendenza a trovare l'uno dietro ai "molti", che in origine era puramente una speculazione metafisica. Ma non è solo la fisica... la biologia ci dice per esempio che siamo mammiferi, ovvero che sia possibile pensare ad un set di caratteristiche che si trovano in molti animali anche nell'uomo ecc. Come dicevo però se ci basassimo solo sulla conoscenza "scientifica" non potremo nemmeno avere il concetto di "umanità" con grossi problemi all'etica. Ergo la metafisica ha anche un'utilità pratica.

Ad ogni modo il tuo continuo rifarti al soggetto mi rende piuttosto perplesso. In altri topics hai parlato di condizionamento da "DNA, cultura, cervello ecc" sostenendo che a causa di questi condizionamenti non sia possibile avere una conoscenza che vada oltre ciò che è condizionato dalla nostra individualità. L'argomento però mi pare piuttosto debole: se la conoscenza di qualcosa indipendentemente da come siamo fatti noi fosse impossibile allora secondo me si cade facilmente nel solipsismo a meno che non si creda che la stessa nostra individualità possa mutare nel tempo. Se ciò è possibile però siamo costretti a definire il cambiamento della nostra individualità rispetto ad un "qualcosa", così come si misura la velocità di un oggetto in un sistema di riferimento. Ergo la banale ammissione che la nostra individualità possa cambiare necessita l'esistenza di una realtà esterna a noi che ci può condizionare. Quindi sinceramente gli argomenti che porti mi paiono estremamente deboli. E anzi mi pare che se, per così dire, non si pone un freno alla tendenza a mettere in risalto il soggettivo a dispetto dell'oggettivo si cade irrimediabilmente nel solipsismo "di fatto", ovvero nella posizione di Protagora. Le tue obiezioni sono ben lungi dall'essere definitive. Riguardo poi alla scienza c'è da chiedersi se la scienza è veramente "immune" dalla tanto bistrattata "meta-fisica". Secondo me no visto che senza non ha fondamento (ergo c'è la "filosofia della scienza"). E ad ogni modo la tendenza all'universale c'è anche in quegli scienziati che detestano - spesso in modo incoerente - la metafisica (tipo Hawking, Krauss, Dawkins ecc). Per esempio la "Teoria del Tutto" è nata tra i fisici. E se a molti scienziati parli di "aldilà", realtà inacessibili alla scienza ecc questi ti prendono per "eretico"... quindi no, nella pratica la maggioranza degli scienziati non contempla alcun modo di conoscere le cose che non sia quello scientifico, per esempio e talvolta vedendo, per esempio, antivax e terrapiattisti non puoi dire che abbiano torto a farlo (e qui però si torna al problema delle gerarchie su cui abbiamo dissentito). Viceversa quando vedo un Hawking dire che ha dimostrato che Dio non è necessario per spiegare l'origine dell'universo o un biologo evoluzionista affermare che l'etica si spiega usando la sola teoria dell'evoluzione sinceramente rimango molto perplesso. Così come rimango molto perplesso sull'impossibilità di uscire (in parte!!!) da noi stessi.

Personalmente ritengo che tu (spero che non trovi questa mia affermazione offensiva...) vedendo la "libertà" offerta dal relativismo ti sei lasciato un po' "trascinare" da esso "dimenticandoti" che tale prospettiva è un estremo da evitare (se lo si perseguisse con tutta la coerenza necessaria). Ma nella pratica non lo sei nemmeno tu anche se continui a dire di esserlo e a criticare la meta-fisica come se fosse una disciplina monolitica (l'argomento contro il "fantoccio" di cui dicevo nel mio messaggio precedente...). I tuoi argomenti si applicano a quel fantoccio visto che la meta-fisica di per sé riconosce che il suo argomento è molto difficile (almeno quella greca, quella cristiana è un po' diverso ma nel medioevo c'era l'ossessione con le "eresie" che oggi non c'è più e non c'era nemmeno ai tempi di Platone &co) ecc. Ripeto i tuoi argomenti sono giusti per un certo tipo di metafisica, quella che non ammette i suoi limiti, quella che dice di essere "razionale" quando è al massimo "ragionevole" ecc. Ma fare di tutta l'erba un fascio, affermare che il fatto (innegabile) che siamo condizionati non ci permetta di "uscire" da noi stessi (in parte!!!) è un'argomentazione che non è convincente, per niente.  

Ad ogni modo, per curiosità ti chiedo se l'affermazione "un cane non è un gatto" è vera solo per il soggetto che la dice? è universale? è oggettiva? ovvero per favore specifica cosa intendi per "meta-fisica" e "relativismo", altrimenti queste discussioni sono completamente inutili.

@viator, non volevo dire che tu identificavi la mente con lo spirito (forma) (ti ringrazio della precisazione). Lasciami però dirti una obiezione. La Forma può sopravvivere senza "sostanza" così come un software può esistere senza essere "inciso" su un particolare disco. Ovvero posso pensare che la mia forma possa "vivere" anche in un altro corpo, per esempio. O magari posso pensare che "ciò che rende me, me" non possa essere identificato né con la mente né col corpo ma che sfugga alla conoscenza scientifica. Nell'induismo* ad esempio si parla spesso (ma non sempre) di un "atman" che passa che da un corpo all'altro (reincarnazione).

*Se ti può interessare il buddhismo ritiene che non si possa stabilire l'esistenza di nulla che può essere inteso come forma** (ovvero che ci sia "qualcosa che rende me, me") però allo stesso tempo non nega la possibilità della vita dopo la morte. Ma anche in questo caso si ha la "credenza" che "qualcosa" in effetti passi da un corpo all'altro.

** ovviamente ciò è un po' diverso da dire che "nega l'esistenza della forma" (una sottile ma interessante differenza)
#467
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
26 Dicembre 2017, 22:35:39 PM
Green ti rispondo in molto incompleto stasera (hai messo un sacco di informazione in questo tuo ultimo post... ti risponderò con calma su tutto in questi giorni). Anzitutto "Theravada" è la scuola degli "anziani" e quindi quella che in genere è pensata più "conservatrice" mentre la Mahayana è più "progressista" e del "carro maggiore". La prospettiva Mahayana in genere è simile alle posizioni "3" e "4". Classicamente la Theravada è la "2" dove il Nibbana (Nirvana) è vista come una realtà incondizionata. La "1", la "3" e la "4" sembra che siano entrate solo modernamente nella Theravada. La "1" era (forse) la posizione di una scuola ad oggi estinta, i Sautrantika.

Personalmente l'interpretazione "4" secondo me è abbastanza "terrificante". Voglio dire è comunque una "morte" dell'io: una "coscienza" senza né soggetto né oggetto... una coscienza senza "oggetto"? sinceramente a pensarci seriamente mi manca la terra sotto i piedi!

Riguardo alla (1) e la (2) non ho travisato. Su questa puoi leggere questi topic del sito Dhammawheel https://dhammawheel.com/viewtopic.php?f=13&t=22409&start=1960 (in particolare il quinto post dall'alto - lo vedi che è lungo ;) ), https://dhammawheel.com/viewtopic.php?f=13&t=25336&p=364997&hilit=Unconditioned#p364885. Per Nanavira in particolare https://www.stephenbatchelor.org/index.php/en/existence-enlightenment-and-suicide "Nanavira firmly challenges the idea that the Buddha's Teaching is in any way life-affirming. ... For "Schweizer's philosophy is 'Reverence for Life', whereas the Buddha has said that just as even the smallest piece of excrement has a foul smell so even the smallest piece of existence is not to be commended." " (preferisco sinceramente non tradurre  ;D anche perchè Nanavira, che si è auto-dichiarato "vincitore della corrente", sinceramente credo che abbia male interpretato i suttas ) http://www.nanavira.org/notes-on-dhamma/shorter-notes/nibbana (dove si vede che lui diceva che la "mera estinzione" è il Summum Bonum - sorprendentemente non è l'unico "Thera" a sostenere ciò. Mi pare sinceramente che sia più vicino alla visione dell'estinta scuola Sautrantika visto che....)

Visto che la scuola Theravada Classica (Abhidhamma con o senza commentari post-canonici) afferma che il Nirvana è l'unica "realtà incondizionata" (come si legge nel secondo link del sito "Dhammawheel"). Le altre due recentemente sono entrate anche nella scuola Theravada ma sono in realtà più tipiche dei Mahayana: in particolare la "3" dei Madhyamaka (Nagarjuna) e la "4" Yogacara/Cittamatra.

Ad ogni modo la sutta di Upasiva è tradotta male dall'inglese all'italiano. La risposta conclusiva in realtà recita:
Inglese: "There is no measure of the one who has come to rest, Upasīva," said the Gracious One,
"there is nothing by which they can speak of him,
when everything has been completely removed,
all the pathways for speech are also completely removed.
""
Traduzione mia "Non c'è acuna misura per uno che si è estinto, Upasiva
non c'è niente che gli altri possano dire di lui,
quando ogni realtà è stata rimossa da lui,
tutte vie per parlarne sono completamente rimosse"
Ergo mi sembra chiaro che il Buddha qui non dice che il Realizzato semplicemente "muore" così come semplicemente non "muore" il fuoco spento (a differenza di come noi comprendiamo la metafora a causa del contesto culturale nostro). Semplicemente una mente che non ha più alcun attaccamento non può più essere nemmeno definita (se ci pensi ha anche senso). Non a caso le etichette come "bravo ragazzo", "lavoratore" ecc in fin dei conti tendono a "definire" l'uomo e quando uno ha rimosso ogni attaccamento e ogni avversione non è più definibile (c'è una sottile differenza rispetto a dire che "non esiste". Non a caso il "Thatagata è profondo, incommensurabile"). In modo simile considera questo passo:
["Do you see, bhikkhus, that cloud of smoke, that swirl of darkness, moving to the east, then to the west, to the north, to the south, upwards, downwards, and to the intermediate quarters?"
"Yes, venerable sir."
"That, bhikkhus, is Mara the Evil One searching for the consciousness of the clansman Godhika, wondering: 'Where now has the consciousness of the clansman Godhika been established?' However, bhikkhus, with consciousness unestablished, the clansman Godhika has attained final Nibbāna."]
Traduzione: ["Vedete monaci quella nuvola di fumo, quel vortice di oscurità, che si muove verso est, poi verso ovest, verso nord, verso sud, verso l'alto e verso il basso e verso le direzioni intremedie?"
Imonaci "sì, signore"
"Quello è Mara, il Maligno, che cerca la coscienza di Godhika, pensando "dove si è stabilita ora la coscienza di Godhika?" Tuttavia monaci, Godhika, con la coscienza che non si è stabilita da nessuna parte [traduzione di "unestabilished", lett. non-stabilita] ha ottenuto l'esitinzione finale"]
Vedi... a volte sembra proprio che lasci intendere che un tipo di "coscienza" rimane. Per certi versi chiaramente sia la fiamma che la "persona" sono estinte. Però mi pare chiaro che i testi qui lascino intendere che alla morte del "realizzato" non rimanga la sola non-esistenza. Quindi è scorretto dire che "il Tathagata non esiste" così come strettamente parlando non va bene nemmeno dire "il Tathagata esiste". Però per non sprfondare nel nichilismo ritengo più corretto pensare che il "Tathagata" esiste in un modo "indefinito" (e non bisogna poi confondere l'individuo con nirvana, nel senso che anche se si ammette l'esistenza del nirvana come "una realtà incondizionata" ciò non significa che il tathagata sia "immortale" ma anche in questo caso il suo status è "indefinito"... non chiedermi di spiegarti cosa significa  ;D credo che vige il "nobile silenzio")

Riguardo a Nagarjuna e alla posizione "3" se ci fai caso è semplicemente la "non-dualità che rimande non-duale e non diventa "uno"". Ovvero è "non-duale" e "non-uno". Ovvero appunto tutte le concettualizzazione alla realtà ultima sono "trascese". Curiosamente la scuola Theravada in genere opta per distinguere il Nirvana dal Samsara dicendo che il Nirvana è "una realtà permanente (dhuva)".

Sul resto ti risponderò il prima possibile

(Ovviamente se ho sparato cavolate se leggerà il Sari mi affido alla sua saggezza di correggermi...)

Sul termine "nichilista". Se intendi col termine "nichilismo" l'assenza di una Realtà Ultima, di un Summum Bonum (contrapposto ai "beni relativi") allora secondo me né Yoga né buddhismo lo sono (eccetto forse quello della posizione "1" a meno che non abbia veramente travisato). Se per "nichilismo" intendi invece la "negazione della storia" in questo caso direi invece "sì" visto che in entrambi i casi l'obbiettivo è di "svincolarsi"/"trascendere".  In ambo i casi non vedo in genere una "condanna" della realtà ciclica, quanto semmai una "consapevolezza" dell'esistenza del "dukkha", dell'insoddisfazione "di fondo". Comunque devo dire che sia le filosofie indiane che la cristianità non hanno una concezione molto "positiva" (Schopenhauer e Nietzsche avevano in realtà ragione secondo me a vedere analogie) dell'esistenza mondana: addirittura per secoli si è ritenuto in Europa che i bambini non battezzati finivano al Limbo o addirittura all'inferno - la filosofia indiana a confronto è "ottimisitica". A differenza ad esempio del taoismo le religioni/filosofie indiane e il cristianesimo mi pare che dicano che siamo in una situazione "non buona".  Anzi sinceramente non so quale tradizione manda il messaggio più "terrificante"... personalmente già la possibilità della rinascita se uno ci pensa seriamente non è molto "rassicurante"... anzi mi sembra che le spiritualità più complete abbiano anche all'interno di esse un elemento molto "terrificante" pur non negando a volte che il mondo "materiale" contiene anche "del bene".
#468
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
26 Dicembre 2017, 21:37:25 PM
ANGELO CANNATA
Non c'è dubbio che tutto ciò sia razionale; neanche sarebbe un problema se si trattasse di postulato indimostrato. Il problema è che trascura il condizionamento da parte del soggetto. Se si vuole parlare di tutte le anime (= l'anima), o di tutte le menti (= cos'è la mente), il problema è che si dimentica che il parlante fa sempre parte del discorso che sta facendo. Per dirla con una metafora, siamo tutti pesci che parlano del mare dentro cui nuotano e di conseguenza non possono avanzare la pretesa che le loro affermazioni non siano tipiche di ciò che il cervello di un pesce è in grado di pensare. Noi invece esseri umani metafisici continuiamo ad avanzare la pretesa di non avere niente a che vedere con le nostre affermazioni sulla natura delle cose, come se tali affermazioni sussistessero per conto proprio e noi non c'entriamo niente.

Commento di APEIRON
Anche se c'è della verità in quanto dici, Angelo, lasciami scrivere una riflessione. Mi ritengo "metafisico", "universalista" ecc ma sinceramente non mi ritrovo per niente in quanto hai scritto. Nel senso che secondo me nella tua "ostilità" contro la metafisica finisci per cadere nello stesso errore di chi la "pratica" in modo errato. Il problema è che fai di tutta l'erba un fascio. Secondo me "in medio stat virtus".

Il problema della "metafisica" più che la "pretesa" di cui parli è il fatto che spesso si "dimentica" che la ragione umana ha i suoi limiti. Infatti questa "pretesa" della metafisica è essenziale per esempio nella fisica, nella quale si cercano di trovare (poche) leggi universali di moltissimi fenomeni naturali. Per esempio Newton capì che la Luna e la mela cadevano entrambe sulla Terra, unificando il moto dei gravi con quello celeste. Ma la "pretesa" non è utile solo alla fisica. Nella medicina è possibile curare il cancro (in moltissimi casi) grazie alle stesse tecniche. Ma l'utilizzo di questa utilissima "pretesa" non si limita alla scienza o alla metafisica ma la utilizziamo anche quando parliamo di "dignità umana". Se non ci fosse qualcosa che ci rende "umani" (e che quindi ci distingue dagli altri animali) non avrebbe senso parlare di "umanità". A livello della fisica secondo me la cosa è ancora più evidente: le particelle elementari e le interazioni fondamentali sono sorprendentemente poche. Quindi quando io difendo la "brama della generalità" (per dirla alla Wittgenstein) tipica dei filosofi non lo faccio perchè sono un dogmatico, bensì lo faccio semplicemente perchè da (almeno) quando c'è memoria scritta di scienza e di filosofia tale brama è stata il vero "motore" della conoscenza. Il problema è che a volte esagera perchè ha essenzialmente due difetti ovvero: la reificazione e (appunto) l' "assolutismo".

La reificazione è il processo per cui si crede che un'astrazione sia la realtà (la mappa NON è il territorio, per esempio). Si può "accusare" Platone e Aristotele di questo "errore" visto che entrambi erano convinti dell'esistenza delle "sostanze" o "forme" o "idee". D'altronde se esiste l'idea del "letto" (citata nella "Repubblica") cosa mi toglie di considerare l'idea del letto lungo due metri, di quello a una piazza, di quello ad una piazza e mezza ecc? Niente. Così gli enti si "moltiplicano". E questo è un'esempio. Altri esempi possono essere alcune lunghe disquisizioni filosofiche dettagliatissime sulla creazione del mondo (nelle quali non si ammette che certe affermazioni sono semplici ipotesi), pretendere (qui si che c'è una pretesa...) di poter spiegare TUTTO "rendendo reali" concetti che in fin dei conti proviamo ad "utilizzare" noi ecc.  Un altro problema è confondere la mappa dal territorio. Su questo proposito il filosofo buddhista Nagarjuna nel suo Mulamadhyamakakarika (= strofe fondamentali sulla via di mezzo) affermava che ogni "mappa" sulla realtà ultima finiva per essere inconsistente ed ergo bisognava astenersi dal voler "spiegarla" con i concetti umani. Tuttavia perfino la scuola buddhista fondata da Nagarjuna (che non comprende tutte le varianti del pensiero buddhista, come esposto chiaramente nell'ormai lungo topic sul buddhismo) non si asteneva da fare affermazioni "positive" sulla realtà e spesso "universali", ovvero per esempio che "tutte le cose condizionate sono impermanenti" (affermazione piuttosto plausibile ma che ovviamente non è "verificabile"). Allo stesso modo un "meta-fisico" (= studioso della "natura della realtà" aldilà delle attuali possibilità della scienza) può secondo me permettersi di fare affermazioni "generali" e "universali". Per esempio può dire che "esiste una natura umana", ovvero che esiste ciò che ci rende "umani" (su questo punto sfido molti a "definire" tramite concetti solamente scientifici cosa è l'uomo. Non dico che non si possa o non si potrà fare, ma è una cosa tremendamente difficile). Eppure quel "quid" sembra proprio che ci sia visto che, per esempio, stiamo discutendo sul Forum. Ergo: davvero non esistono le "forme", davvero siamo costretti a non generalizzare o ad ammettere che tale generalizzazione non sia possibile? Nagarjuna direbbe che anche se la "realtà ultima" non si può "concettualizzare" nemmeno "parzialmente" (e su questo molti altri buddhisti hanno dubbi) comunque si possono fare affermazioni "universali" nella realtà "convenzionale", ovvero quella che in fin dei conti ci "sostiene" nella vita quotidiana. D'altronde anche uno "scettico" della scuola madhyamaka (la scuola di Nagarjuna) distingueva tra "umani" ed "animali" [e quindi dopotutto anche per loro c'era effettivamente qualcosa che ci rendeva umani].  Tornando a Platone... personalmente sono convinto che le "forme matematiche" (ma anche le "idee etiche") abbiano una esistenza ontologica. In fin dei conti la regolarità della natura esiste anche se noi non ci siamo e inoltre nella metematica succede anche questo:
y = x2 + 1 (una parabola in un piano cartesiano) e la coppia di funzioni (x = (y - 1)1/2, x= - (y - 1)1/2) sono rispettivamente una parabola e le sue due funzioni inverse. Se le disegnate in un grafico (e nel caso delle inverse dovete disegnarle entrambe) ottenete lo stesso risultato.
Cosa vorrò mai dire con questo esempio? Che l'equivalenza tra la prima curva e la seconda coppia di curve "esiste" anche prima che io faccia l'operazione di inversione nel senso che in fin dei conti anche questo oggetto matematico può essere descritto in DUE modi diversi. Eppure è lo stesso oggetto. Ma allo stesso tempo si possono considerare come due "cose" (anzi tre) distinte. "Peculiarità" come queste unite alle regolarità della Natura mi fanno pensare che matematica abbia valore ontologico. Tuttavia è anche necessario dire (come si può dedurre dall'esempio stesso) che il modo con cui "scriviamo" queste realtà "sulla carta" è in realtà accidentale: siamo noi a scegliere di usare un modello o un altro per spiegare un fenomeno, per esempio. Quindi anche se il platonismo di Platone è in effetti un po' troppo "ingenuo" ritengo che sinceramente ci abbia preso giusto visto che in fin dei conti le "verità matematiche" esistono indipendentemente da me e idem per le leggi della fisica (affermazione che ritengo molto ragionevole, ovviamente se il solipsismo - che non sono mai riuscito a "falsificare" - è vero, mi sbaglio  ;D ).

L'altro problema è l'"assolutismo dogmatico". Avviene quando "mi dimentico" della mia limitatezza e dico che (ad esempio) la parabola è in un certo senso (che teorizzo IO) reale e non ammetto che posso avere torto. Arriva un altro e mi dice invece che la mia parabola non è reale come la intendo io ma come la intende lui. Ci picchiamo. Poi arriva un Tizio che dimostra che i nostri due modi sono in realtà equivalenti. Ma qui - a differenza della reificazione che è un errore cognitivo - è semplicemente un errore di condotta, ovvero di "presunzione". Per quanto ne sappiamo, per esempio, Platone non era quel "dogmatico" che Nietzsche ha descritto e non a caso Speusippo (il successore di Platone alla guida dell'Accademia) non era d'accordo con molte dottrine del maestro. Eppure nessuno questo lo nota e adesso abbiamo l'immagine di Platone come un "dogmatista". Mi chiedo se lo stesso vale per il famigerato "ipse dixit" di Pitagora. Ad ogni modo mi sono auto-definito platonico molte volte ultimamente. Perchè? semplicemente perchè ragionevolmente credo che ci sia della verità nelle sue teorie e mi baso in realtà su una riflessione che ormai coltivo da anni su diversi aspetti del sapere "umano", in particolare scienza, filosofia e spiritualità. Non è tanto la "brama della generalità" bensì il problema è l'irrigidimento su alcune posizioni (vedi i creazionisti che ritengono che la Terra ha 6000 anni) e il fatto di non essere capaci di ammettere che talvolta certe "convinzioni" le si hanno "per fede" (non posso dimostrare che ad esempio la parabola non sia un semplice concetto anche se ritengo ciò abbastanza "ovvio"). Dunque sinceramente non ci vedo niente di male con questa "pretesa" fintantoché si ammette che talvolta certe "convinzioni" che abbiamo sono nate non "razionalisticamente" ma ragionevolmente, visto che se fossimo davvero "rigorosi" non potremmo neanche fare "progetti" per domattina visto che non "sappiamo" se sorgerà il Sole o se succederà un altro cataclisma che letteralmente ci spazza via.

Viceversa il non voler fare metafisica, l'essere contrari ad essa non porta a niente, come per esempio vedo in alcuni scrittori postmodernisti (ad esempio Derrida) anche se sono felice di sbagliarmi [ovvero che i loro scritti non siano semplicemente "giochi di parole" molto intelligenti]. Ultimamente ci si "diverte" a dire che non esiste una moralità universale, che ogni nostra conoscenza (scientifica, morale ecc) si basa in fin dei conti sulla convenzione sociale e sul linguaggio ecc. Non nego che il condizionamento della nostra soggettività e della nostra cultura abbia molta influenza, però allo stesso tempo non posso non affermare che per esempio il fatto che i gravi e i moti celesti siano spiegabili con la teoria della gravità newtoniana (ed einsteiniana ovviamente) di certo è un buon indizio che forse c'è qualcosa di più della semplice arbitrarietà convenzionale sociale tipica del "moderno pensiero debole" (che ovviamente non si riduce a certi filosofi moderni che paiono appunto produrre giochi di parole vuoti nascosti da una abilissima retorica). Ergo l'articolo determinativo forse non è il peccato della filosofia anche perchè non usarlo mai porta a (secondo me) risultati peggiori di usarlo in modo indiscriminato, ovvero al non voler nemmeno iniziare a cercare, tanto per dirla alla Protagora "l'uomo è la misura di tutte le cose". Dunque se ci convinciamo che non ci siano "realtà più alte" che si possono "raggiungere" con la coltivazione interiore, la speculazione filosofica (= che contrariamente a quanto pensano molti analitici in America e molti continentali in Europa non è solo "analisi del linguaggio") , la scienza, l'arte, l'etica, la spiritualità ecc allora non c'è nemmeno la motivazione a cercare e non a caso la società moderna... (ci siamo capiti...)

Ovviamente pensare solo all'unità è inutile. D'altronde la parabola dell'esempio precedente può essere illuminante: la parabola appunto può essere vista anche come l'unione di due curve, la forma "esplicita" dell'equazione ecc ergo la molteplicità è epistemologicamente importante quanto l'unità. La realtà è piena di uno-e-molti: c'è la specie umana ma c'è anche la molteplicità individuale che deve essere valorizzata. Ergo è ragionevole ritenere che certe cose valgano per tutte le "anime", altre cose invece no. Esempio piuttosto scemo: l'acqua è un bene necessario per tutti gli uomini mentre lo studio della fisica per alcuni è estremamente noiosa. Bisogna essere consapevoli di entrambi gli aspetti della realtà. Non a caso l'Oracolo di Delfi diceva "conosci te stesso e conoscerai anche l'universo" visto che anche noi stessi siamo "uno e molti". Sinceramente nella maggioranza dei filosofi contemporanei non vedo la stessa profondità che vedo invece nella maggioranza dei filosofi antichi anche se ammetto che ci sono eccezioni in entrambi i campi. Secondo me il problema della modernità è proprio la "paura della metafisica" che causa una rinuncia a priori della speculazione filosofica, cosa che mi sembra di vedere anche nel mondo accademico. Quindi secondo me quando critichi la metafisica fai un "argomento fantoccio" (gli argomenti straw-man), ovvero ti crei un'idea molto insufficiente di "metafisica" che poi attacchi. Se fossimo convinti che non si può uscire dal soggetto anche nello studio della scienza (per esempio) chi sarebbe ancora motivato a praticare la scienza? Per questi motivi ritengo che almeno le varianti più estreme del moderno "pensiero debole" siano un'innovazione non molto buona della modernità. Così come il dogmatismo estremo non lo era fino a non troppo tempo fa. In medio stat virtus


RISPOSTA A VIATOR
In linea di massima sono d'accordo sul fatto che tutte le cose abbiano una "forma" (chiamarla "anima" per egli esseri non-animati mi pare molto forzato - la chiamerei "Forma"). Direi invece che al contrario che mentre gli animali hanno una mente meno sviluppata della nostra, l'uomo ha una mente molto sviluppata (la mente da sola però non è la "forma" degli esseri viventi, visto che abbiamo un corpo). Ma non identificherei lo "spirito" umano con la mente, per un motivo estremamente banale. Se fosse così domani al risveglio sarei una persona diversa da quello che sono adesso. E sinceramente neanche col corpo visto che se un giorno perdessi un arto non credo che potrei dire di essere una persona diversa. Idem se perdo la memoria. Se mi cala l'intelligenza non sono una persona diversa. Se perdo i capelli idem. Dunque se non sono tutto questo, cosa sono io?

Benvenuto nei "meandri" della "spiritualità", ovvero dell'indagine sull'io.

NOTA BENE
Ci sono alcune descrizioni della "creazione del mondo" che volendo sono anche molto interessanti e possono contenere della verità (= ovvero sono abbastanza ragionevoli). Altre invece sono assurde ma non ho nulla in contrario a chi le accetta "per fede" pur ammettendo che non ha sufficiente evidenza per dire che sono "sicuramente" vere. Quello che in un certo senso "pretendo" da un interlocutore "educato bene" però è che rispetti la mia opinione come io rispetto la sua (e sono stra-sicuro che molte cose che per me sono ovvie e scontate non lo siano per altri... ma questo non significa che io abbia torto e gli altri ragione (ovviamente vale anche il viceversa)).
#469
Citazione di: Angelo Cannata il 24 Dicembre 2017, 11:10:03 AM
Citazione di: Apeiron il 24 Dicembre 2017, 10:39:01 AMNon è che il "dolore" in sé sia "positivo". Tuttavia è una sorta di "male necessario"
La parola "necessario" mi suona pericolosa. Necessario per chi? Gli Americani possono ritenere che sganciare bombe in un paese sia un male necessario per esportare democrazia. Preferirei dire: qui ed ora questo male mi sembra inevitabile; però continuerò a fare di tutto per cercare in ogni momento, se possibile, di evitarlo, perché potrei sbagliarmi.

Complimenti, Angelo  ;)  hai ragione... con "necessario" intendevo proprio questo! nel senso che potrei appunto pensare che non sia "inevitabile"!

Una tipica insidia delle comunicazioni scritte  ;)

Buon Natale a tutti!
#470
@Angelo, bravo hai fatto bene a puntualizzare. Non è che il "dolore" in sé sia "positivo". Tuttavia è una sorta di "male necessario"  ;)
#471
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
24 Dicembre 2017, 10:37:16 AM
@Sari, sì e in questo senso il buddhismo è fantastico. Perfino nel buddhismo tibetano (tantrico o meno) ,che ho scoperto che in realtà da molta importanza alle speculazioni e ai dibattiti filosofici, dove la figura del "guru" è centrale, lo studente è obbligato a praticare lo scetticismo! Ovvero lo studente deve mettere in discussione ciò che gli viene detto.

@Green, sì posso ammettere che il Nirvana e il Tutto non coincidano e in tal caso posso anche ammettere che il nirvana sia la "non-esistenza". Ma c'è da dire che l'interpretazione "classica" Theravada - quella dei commentari canonici e post-canonici - sembra essere che "il nirvana è una realtà esistente", incondizionata, eterna (=dhuva), permanente (=nicca), priva di nascita e morte (ajati e amata). Inoltre in un certo senso è "pace", tranquillità, calma, felicità, rifugio ecc questa interpretazione è secondo me molto più attinente ai testi (vedi ad esempio: https://www.canonepali.net/2015/06/udana-8-1-nibbana-sutta-la-completa-liberazione-1/). L'interpretazione nichilistica invece non era presente in nessuna scuola antica, eccetto forse i Sautrantika. Credo che sia una innovazione moderna e non molto buona, in realtà nata in particolar modo dall'influenza "nichilistica" della nostra cultura. Se fosse "vera" non si spiega perchè non era "dominante" nell'antichità (eccetto forse in una sola scuola). Riguardo poi alla parola "dhuva" ho provato a cercare vari dizionari della lingua Pali online e le traduzioni sono "eterno", "permanente", "sicuro", "stabile" (non so come salti fuori "irreversibile", forse facendo violenza al testo  ;D ).  Ma è anche vero che nei tempi moderni in cui si è dato molto interesse allo studio delle suttas sono uscite molte interpretazioni che confliggono sia con i commentari Theravada. Precisamente è uscita l'interpretazione:

1) nichilistica, già discussa - ovvero che "tutto l'esistenza è "negativa", priva di significato e la massima aspirazione è la non-esistenza";
2) una conferma dell'ortodossia theravada;
3) l'interpretazione di Nagarjuna ovvero che la distinzione tra samsara e nirvana, tra "questo" e "quello" è meramente mentale. Ma a differenza dell'induismo questa rimande una "non-dualità" e non una "unità". Il Thatagatha è "profondo" perchè non è possibile in alcun modo "misurarlo". Ovvero i concetti di "esiste (= traduzione forse impropria di "bhava")", "non esiste", "esiste e non esiste", "non esiste e non non esiste" non si applicano. (https://suttacentral.net/it/snp5.6). Il Tathagatha non lascia alcuna traccia, non lo può trovare perfino la Morte (Mara). Non lascia più tracce come gli uccelli nel cielo (Dhammapada 92,93). In sostanza ogni concettualizzazione non cattura il Tathagatha (quindi in un certo senso è una "realtà" ed "esiste" ma è incomprensibile a noi "uomini mortali"  ;D )...;
4) un'interepretazione molto suggestiva tipica (credo) della filosofia Yogacara/Cittamatra e della tradizione della Foresta thailandese per cui il nirvana è una radicale "trasformazione" della coscienza: una coscienza senza "supporto", libera come il raggio di luce di pochi messaggi fa. Una coscienza (vijnana) che non è "fissata" su nulla, senza oggetto e soggetto. Inoltre è luminosa (=irradia "metta" ovunque) ecc questa interpretazione secondo me è quella più affascinante di tutte anche perchè ultimamente sto vedendo che prajna (= saggezza) e metta (=buona volontà/amore)/karuna (=compassione) vanno in realtà a braccetto e che la saggezza autentica è accompagnata dalla "buona volontà" e viceversa. Questa convinzione esposta anche da Sariputra un po' di messaggi fa mi sta aiutando moltissimo.

Comunque per dire quanto induismo e buddhismo (soprattutto mahayana) a volte si somigliano... Nel buddhismo mahayana a volte il nirvana viene visto come la "non-esistenza" ma solo finché si rimane nella mente discriminatoria. Il "realizzato" "sa" che l'unica vera realtà è il Dharmakaya e il Buddha storico stesso è una sua "manifestazione". Un po' come gli avatar insomma  ;)



Comunque sulla questione della non-esistenza credo d'essere d'accordo con te, in realtà. Ad ogni modo perfino Anassimandro in modo simile aveva intuito che la vera realtà è oltre ogni discriminazione ("apeiron" )...

Ultima cosa: su Platone ho ritenuto "necesario" puntualizzare ciò perchè secondo me oggi tendiamo a vedere Platone e Aristotele dogmatici anche per merito del trattamento fatto da Nietzsche. Immaginavo infatti che tu non la pensavi così su loro due. Comunque vale la frase: "Amicus Plato — amicus Aristoteles — magis amica veritas" (Platone è un amico - Aristotele è un amico - la verità è una amica migliore)
#472
@sgiombo, le tue obiezioni sono certamente fondate, nel senso che sono una possibile interpretazione almeno di certi atti che vengono compiuti in certe condizioni depressive. Tuttavia rimango dell'idea che in genere si agisca per quello che si ritiene bene (anche inconsciamente, quando ad esempio ritrai la mano da un oggetto che scotta). Questo chiaramente non significa che in effetti uno cerchi di preferire il bene, sempre - in effetti è una "presa di posizione" molto forte che non sempre è fondata ma che è una posizione che è molto comune nel mondo antico e moderno tra i pensatori. Ovviamente ammetto che chi ha la "mente confusa" agisca per quello che si ritiene meglio anche se ciò in realtà è falso a causa di un fraintendimento della natura del "meglio" (tema molto ricorrente, ripeto). Mi sembra una "spiegazione" che funziona bene però capisco che in certi casi renda molto perplessi  ;) [riguardo alla parola "soffrono" sì ogni tanto mi capita di dimenticarmi parole e devo dire che con la tastiera è ancora più facile che con la penna  :)  Grazie della segnalazione]

@Green, come ben sai mi affascina il buddhismo e con esso ritengo che quasi tutta la sofferenza è puro "dukkha", ovvero qualcosa che dovrebbe essere evitato. Miseria, disagio sociale, guerre ecc per esempio non portano a nessun "bene superiore", creano solo altra sofferenza. Viceversa certa sofferenza invece porta veramente a un "bene superiore" e questa sofferenza invece è "giusto" "sopportarla".

@Angelo, idem non invidio chi dice di essere felice. Anche perchè spesso la felicità "superficiale"a differenza di quella che si prova durante (e dopo) la ricerca è qualcosa di minor "valore". La cosa "brutta" è che chi non riflette crede che chi cerca è una sorta di masochista che si crea problemi e talvolta questa convinzione viene "acquisita" dallo stesso cercatore nei momenti più bui della sua ricerca. Semplicemente chi non prova a cercare non comprende. E nella nostra società devo dire che si ha una vera e propria paura della ricerca.
#473
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
23 Dicembre 2017, 18:31:52 PM
@Sari, il fatto che da un punto di vista buddhista chi ha ottenuto la "corrente" non è "inerrante" nella sua comprensione della dottrina è qualcosa di molto liberante, ovvero lascia la possibilità che scuole buddhiste diverse (poniamo ad esempio Theravada e Dzogchen per esempio) riescono a condurre al risveglio anche se le dottrine sono chiaramente diverse. Così posso pensare che Nanavira abbia veramente ottenuto lo stadio di Sotapanna anche se magari il suo rifiuto dell'Abhidhamma, del Milindapanha e del Visuddhimaggha erano basati su un errore di comprensione. O viceversa se Nanavira nella sua interpretazione "nichilista" ha fatto giusto ciò non toglie che per esempio un buddhista che crede nella "Natura di Buddha" non possa arrivare ad "entrare nella corrente". Personalmente se il buddhismo è "vero" sono più propenso a considerare che differenti interpretazioni conducano alla "meta". Altrimenti il buddhismo diventa una sorta di "gnosticismo" in cui solo chi ha una particolare interpretazione "vince". Se, poniamo, Nanavira ha descritto l'unica "visione giusta" allora possiamo cestinare tutta la letteratura dei commentari Theravada e i Mahayana dovrebbero essere "cestinati". Oppure se l'unica letteratura giusta è quella, poniamo, Zen allora dovremmo "cestinare" il Milindapanha ecc. Questo del settarianismo è un problema che va avanti da millenni e pensare che solo un gruppo strettissimo di persone ha "la chiave della salvezza" mi rende molto perplesso. Una cosa simile la insegnavano a loro tempo gli gnostici. Personalmente una visione "nichilista" del Dhamma mi pare completamente fuori luogo anche se "compatibile con i suttas", ma - se il buddhismo è "vero" - di certo non mi metto a dire che chi la "possiede" non possa dare insegnamenti importanti e illuminanti (in realtà alcune cose di Nanavira le ho lette con interesse, per esempio). Però una tale visione mi dà un'immagine simile alla situazione di Prometeo che dicevo. E personalmente non ritengo che solo chi ritiene che "tutto ciò che esiste è futile e la non-esistenza è la cosa migliore di tutte" abbia capito veramente la realtà, anche se ammetto che anche uno che la pensa così possa avere una spiritualità molto sviluppata. Anzi per me è ovvio che questi si siano presi un "granchio" ma è anche vero che noto sempre di più che ciò che per me è ovvio non lo è per molti e viceversa  ;D  [e ovviamente la mia mente di scimmia potrebbe non aver capito una "cippa" né di Nanavira né del Buddha-Dhamma e nemmeno della fisica  ;D ]. Ad ogni modo so che anche tu non hai una visione "gnostica" del buddhismo - ovvero non credi che solo una interpretazione conduce al "progresso spirituale".
Comunque bellissime le tue citazioni, davvero :)

Riguardo alla questione dei "guru" indiani concordo con voi due (i.e. Sari e Green). Ed è la riprova che conoscenza e pratica senza la "bontà d'animo" non portano a nulla di buono!

Riguardo al vuoto quantistico... il motivo per cui non credo che il vuoto quantistico sia la non-esistenza è perchè credo che le leggi delle fisica e i campi quantistici descrivano qualcosa di tanto reale quanto la sedia su cui adesso sono seduto. Una realtà diversa che molti non riconoscono, ma pur sempre una realtà  :)

Comunque Buon Natale a tutti anche da parte mia   :)

Metta _/\_
#474
Citazione di: sgiombo il 23 Dicembre 2017, 14:52:36 PM
Citazione di: Apeiron il 23 Dicembre 2017, 11:40:29 AM
Citazione di: green demetr il 22 Dicembre 2017, 22:08:31 PMCredo perchè così ci hanno insegnato. Ovviamente uno specchio per le allodole (che noi siamo). Certo che se la reazione a questo infimo stratagemma, è la convinzione che il dolore faccia maturare....allora non vivete certo nelle periferie milanesi. Mi pare l'altra faccia dello stesso medaglione con cui ci abituano a pensare agli unicorni: quando invece la gente soffre in una maniera che faccio sempre più fatica ad accettare. Quando vedi la vita spegnersi di fronte a te CHE FAI??? SOCRATE CHE FAI????
1) No, credo che sia per il fatto che naturalmente ci aspettiamo qualcosa di "positivo", come dice Simone Weil: "C'è nell'intimo di ogni essere umano, dalla prima infanzia sino alla tomba e nonostante tutta l'esperienza dei crimini commessi, sofferti e osservati, qualcosa che ci si aspetta invincibilmente che gli faccia del bene e non del male." 2)il dolore può far maturare se ha un "significato"... Di certo non tutto il dolore e non tutta la sofferenza hanno significato. 3) spesso le persone [soffrono*] però per un dolore con "significato". 4) Socrate (la filosofia?) è anche una terapia e da significato alla sofferenza grazie alla convinzione che la ricerca della verità, della virtù, del bene ecc siano obbiettivi per cui vale la pena soffrire ;) ________________ * Credo ti sia rimasto "nelle dita sulla tastiera"; un tempo si sarebbe detto "nella penna".


  • Concordo in pieno, salvo che con la citazione di Simon Weil.
  • Infatti purtroppo accadono anche suicidi per disperazione: la nostra irresistibile attesa di "qualcosa di positivo" ha dei limiti, più o meno ampi a seconda delle esperienze personali vissute da ciascuno; e capita purtroppo anche che questi limiti vengano superati dall' infelicità e dalla disperazione.

Uno compie certi atti perchè pensa che la non-esistenza sia meglio della vita stessa, i.e. cerca di evitare il male. Ergo compie quel gesto cercando di realizzare il "bene".
#475
Citazione di: green demetr il 22 Dicembre 2017, 22:08:31 PMCredo perchè così ci hanno insegnato. Ovviamente uno specchio per le allodole (che noi siamo). Certo che se la reazione a questo infimo stratagemma, è la convinzione che il dolore faccia maturare....allora non vivete certo nelle periferie milanesi. Mi pare l'altra faccia dello stesso medaglione con cui ci abituano a pensare agli unicorni: quando invece la gente soffre in una maniera che faccio sempre più fatica ad accettare. Quando vedi la vita spegnersi di fronte a te CHE FAI??? SOCRATE CHE FAI????

1) No, credo che sia per il fatto che naturalmente ci aspettiamo qualcosa di "positivo", come dice Simone Weil: "C'è nell'intimo di ogni essere umano, dalla prima infanzia sino alla tomba e nonostante tutta l'esperienza dei crimini commessi, sofferti e osservati, qualcosa che ci si aspetta invincibilmente che gli faccia del bene e non del male."

2)il dolore può far maturare se ha un "significato"... Di certo non tutto il dolore e non tutta la sofferenza hanno significato.

3) spesso le persone però per un dolore con "significato"

4) Socrate (la filosofia?) è anche una terapia e da significato alla sofferenza grazie alla convinzione che la ricerca della verità, della virtù, del bene ecc siano obbiettivi per cui vale la pena soffrire ;)
#476
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
23 Dicembre 2017, 11:26:20 AM
Citazione di: green demetr il 22 Dicembre 2017, 23:33:03 PM
Citazione di: Apeiron il 20 Dicembre 2017, 09:58:44 AMGrazie Sari ;) Certamente è un approccio molto pragmatico che ha moltissimi pregi. Mi era venuta questa perplessità considerando l'eventualità di un "inizio" del samsara però come ben dici tu farci una teoria sopra è "pura speculazione" ;)
Direi invece di no. Infatti a meno che non si intenda speculazione nel senso di un annoiato raccontarsi barzellette. la speculazione sul vuoto, non può che portare a forme di avvicinamento al DIO. poichè se il vuoto è ciò che a noi compare come DIO; allora vi è una strada speculare, il nobile silenzio, di attestazione di come noi siamo lo specchio, lo speculum, la speculazione di questo essere qualcosa che vuole tornare al niente, perchè sà di essere qualcosa.(sembra un paradosso, ma se uno ci medita o ci ragiona a fondo non lo è affatto, una volta vista l'orizzonte e la meta) Vi è una immensa saggezza, che solo chi ha praticato meditazione come me, riesce a capire, abbastanza rapidamente. (gli altri si armino di pazienza). Infatti cosa è la meditazione se non la riflessione sui metodi di de-sogettivazione, fino a raggiungere l'animus del MONDO, che si presenta come VUOTO. Ho già spiegato che questa sensazione è terrificante. Perchè se lo fai con dedizione e ingenuità come ancora bambino feci, ti arrischi in territori pericolosi. Per questo c'è bisogno del maestro, qualcuno che ti insegni a come prendersi cura di se stessi. (è alle note della cronaca come alcuni santoni siano chiaramente invasati, e come altri invece abbiamo un carisma difficile da trovarsi in occidente.). Certamente la via mediana, ossia mediata delle comunità buddiste, serve anche a quello. Ma è come una via media ad una via media che però è in sè terribile. Vi trovo molte assonanze con la mia esperienza induista. Grazie.

Nella filosofia Cittamatra (Yogacara) e secondi molti maestri della Tradizione della Foresta Thailandese - per quanto ho capito - il Nirvana è una mente "luminosa" che ha trasceso il "soggetto" e l'"oggetto". In un certo senso è una sorte di "morte" perchè il soggetto non esiste più, però non è il nulla ("nothing"), quanto non è una cosa ("no-thing").

"Così se ci fosse una casa con un tetto o una sala con un tetto che abbia finestre a nord, a sud o ad est. Quando il sole sorge, ed un raggio entra dalla finestra, dove si stabilisce? "
"Sul muro di ponente, signore."
"E se non c'è muro di ponente, dove si stabilisce? "
"Sul pavimento, signore."
"E se non c'è pavimento, dove si stabilisce? "
"Sull'acqua, signore."
"E se non c'è acqua, dove si stabilisce? "
"Non si stabilisce, signore."

"Allo stesso modo, dove non c'è desiderio per il nutrimento di cibo fisico, dove non c'è piacere, nessuna brama, allora la coscienza non si stabilisce e non cresce. Dove la coscienza non si stabilisce, il nome e la forma non si sviluppano. Dove il nome e la forma non si sviluppano, non c'è nessuna crescita delle predisposizioni karmiche. Dove non c'è crescita delle predisposizioni karmiche, non si genera il divenire per una nuova rinascita. Dove non si genera il divenire per una nuova rinascita, non c'è nascita , vecchiaia e morte. Quindi, vi dico, nessun dolore, afflizione o disperazione." (https://www.canonepali.net/2015/05/sn-12-64-atthi-raga-sutta-dove-ce-avidita/)
Qui la mente è paragonata ad un raggio di luce ("mente luminosa"...). Quando ha attaccamenti e avversioni è come il raggio di luce che si stabilisce su una superficie. Viceversa quando non ha attaccamenti (attenzione: "non-attaccamento" non significa non amare ma anzi è vista come la forma più pura e autentica di amare) e avversioni è come il raggio di luce che non si stabilisce, libero. Chiaramente il raggio di luce "esiste".  Quindi sì ci sono ovvie somiglianze con l'induismo.

Riguardo al punto di vista esperienziale concordo che in genere la spiritualità è sia positiva che terrificante. Infatti è legata al senso del "numinoso" (ad esempio come diceva Otto) che è simile al "sublime" di Schopenhauer. La spiritualità, Dio, il Nirvana, la dissoluzione dell'io non sono solo piacevoli ma fanno anche paura. E cercare essi - con pazienza e dedizione - è un rischio oltre che un motivo di isolamento. E il "fallimento" è possibile, purtroppo. Ad ogni modo l'interpretazione apofatica del buddhismo e aggiungo l'interpretazione "non orotodossa" (?) del Nirvana come un tipo speciale di "discernimento (vijnana) senza alcun oggetto", ovvero come una mente senza oggetto né soggetto rendono molto simile il buddhismo alle tradizioni non-duali dell'induismo, del daoismo e in parte anche alla filosofia platonica (anzi il buddhismo Mahayana è esplicitamente non-duale...). Di certo visto che l'idea torna, secondo me è un chiaro segno che la realtà è "oggettivamente" così.

Comunque quelle che ho espresso sono solo una parte delle mie perplessità sul buddhismo (e alcune di esse si possono anche applicare all'induismo e ad altre tradizioni). Però non c'entrerebbero molto con questa discussione sul "vuoto" ;)

Anzi in tutto questo vorrei far notare che nel cristianesimo "giovanneo" (ovvero Vangelo secondo Giovanni e prima lettera di Giovanni, ad esempio), "luce" e "agape" sono molto connessi. E si arriva a dire "Dio è agape", che Gesù porta la luce ecc. CI deve essere qualcosa di vero in tutto questo, che non dipende dal condizionamento sociale, a differenza di quanto il "relativismo culturale" afferma ;)

P.S. [Off-topic per Green] Platone non è per nulla dogmatico... d'altronde il successore alla guida dell'Accademia Platonica, Speupippo ha rifiutato l'identificazione tra la Realtà Suprema e il Bene e anche molte caratteristiche dell Forme attribuite da Platone stesso. Era un ambiente molto vivace in cui si discuteva della filosofia e si rifiutavano spesso le opinioni del maestro ecc. Il contrario del dogmatismo, insomma ;) [lo scrivo qui e non nel topic che hai aperto sulla orizzontalità e verticalità perchè in quel topic ho poche cose da dire (per ora) e non volevo fare un post inutile su una frase che hai scritto. Secondo me la nostra convinzione che Platone e Aristotele fossero "chiusi" nasce dal fatto che in troppi li hanno presi come tali. Tant'è che Platone ha scritto solo dialoghi e lettere, ovvero le cose meno sistematiche che si possono scrivere. Segno, secondo me, di apertura al dialogo e alla dialettica. Di certo il Socrate (ma anche molti altri personaggi) dei dialoghi platonici non mi sembra uno che "predica" bensì uno che indaga sulla realtà con i suoi interlocutori. Viceversa per esempio un Buddha sa già la realtà delle cose e le spiega agli altri... non è una ricerca fatta assieme, ma un maestro che ceerca di "dire la sua verità". Sinceramente in nessuno dei dialoghi platonici vedo una chiusura alle obiezioni, alle correzioni delle teorie ecc vedo semmai una sforzo condiviso per raggiungere la comprensione delle cose ;) anzi e molto spesso l'idea che ho avuto è che molte "dottrine" siano considerate "ipotesi" sulla realtà. Ergo: non confondiamo la chiusura dei "seguaci" (tra l'altro nati secoli o millenni dopo) con il comportamento dei "maestri" ;) ]
#477
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
23 Dicembre 2017, 11:14:02 AM
Caro Green, sollevi molti punti interessanti su cui anche io ho riflettuto parecchio in realtà. E sono giunto alla conclusione che in un certo senso la "Realtà Ultima" "pare" essere il Nulla... anzi usando la lingua inglese è "no-thing" (= non è una cosa) ma "it is not nothing" (non è il niente). C'è una sottile differenza tra le due, che a mio parere giustifica frasi come (da https://www.canonepali.net/2015/05/mn-72-aggi-vacchagotta-sutta-vacchagotto-2/):
"redento ad ogni attaccamento il Compiuto (Tathagatha) è quindi profondo, immensurabile, imperscrutabile, quasi come l'oceano. Dire 'risorge' quindi non va, 'non risorge' non va, 'non risorge né non risorge' non va.""
" Perciò Anuradha – quando non puoi conoscere, in questa esistenza, il Tathagata come realmente è – è retto fare queste affermazioni:'Amici, il Tathagata – il supremo, il magnifico, l'eccelso – viene descritto con queste quattro caratteristiche: il Tathagata esiste dopo la morte, non esiste dopo a morte, esiste e non esiste dopo la morte, né esiste né non esiste dopo la morte?'" (https://www.canonepali.net/2015/06/sn-22-86-anuradha-sutta-per-anuradha/)
"Questo è stato detto dal Beato, è stato detto dall'Arahant, e così ho sentito: "Vi è, monaci, un non-nato — non-divenuto — non-creato — non-formato. Se non ci fosse il non-nato — non-divenuto — non-creato — non-formato, non ci sarebbe alcuna conoscenza della liberazione da ciò che è nato— divenuto — creato — formato. Ma poiché vi è un non-nato — non-divenuto — non-creato — non-formato, vi è la conoscenza della liberazione da ciò che è nato— divenuto — creato — formato."
Ciò che è nato, divenuto, prodotto,
creato, formato, impermanente
composto da nascita e morte,
nido di malattie, soggetto a perire,
che dipende dal nutrimento
e la guida [cioè la brama] —
non può portare alla gioia.
L'unica salvezza
è
calma, permanente
("dhuva")
oltre il comune ragionare,
non-nata, non-prodotta,
priva di sofferenza, senza macchia,
la cessazione di tutte le sofferenze,
la felicità che
placa ogni coefficiente.
." (https://www.canonepali.net/2015/06/itivuttaka-la-sezione-delle-coppie/)
e potrei trovarne altre.

Nonostante ciò ti posso fare un esempio di un monaco buddhista che ha affermato di essere un Sotapanna* ("primo grado del risveglio") che ha affermato che termini come "non-nato" non sono referenziali, bensì significano "libertà dalla nascita" e così via. Ergo Nirvana=Non-Esistenza e non "il vuoto quantistico". E non è l'unico. Termini come "dhuva" vengono intesi come "irreversibile" e non "permanente". E così via. Ragionando con me stesso mi sono dunque chiesto: come può una persona interessata alla spiritualità pensarla in questo modo? Semplice: pensa di aver capito che è da "tempo immemore" che nasci, soffri e muori, rinasci, ri-soffri e ri-muori, a questo punto qualsiasi cosa che ti libera da questo "inferno" ti va bene. Un po' come Prometeo che è stato condannato da Zeus  per l'eternità ad essere torturato da un'aquila che gli mangia il fegato (che ogni notte ricresce) certamente "preferirebbe" riuscire a "non-esistere". Allo stesso modo la compassione la si ha perchè l'altro soffre, non perchè l'altro ha "valore intrinseco" ecc. Le attività "nobili" del samsara non sono nobili, ma non hanno valore intrinseco. Ergo: siccome "tutto è vano" allora è meglio "la non-esistenza". Fai conto che questa "saggia" interpretazione si ben accorda con le metafore del "fuoco estinto", "ogni cosa è senza sostanza" ecc. Una interpretazione simile con ad esempio l'unione con Brahman non è possibile, in quanto per quanto "non sia una cosa" (no-thing) e per quanto "l'essere non è un essere (being is not a being)" comunque (nirguna) Brahman "è la Realtà".  

Come la vedo io è ben diversa, invece. Non è che le cose del samsara siano solo "vane". Hanno anche un valore positivo. Però non sono il "Summum Bonum" ed ergo termini come "non-nato" sono referenziali, sono aggettivi. Ma questo significa attribuire al Nirvana una "realtà" molto simile a quella di "nirguna Brahman", Dao ecc. Solo così si viene salvati dal nichilismo, ovvero vedere anche nelle cose un valore "positivo" e non solo "negativo", in modo che "Nirvana" non sia la "mera estinzione". Anzi è la realtà più autentica e "reale" ma a differenza di Dao, Brahman, l'Uno platonico ecc non è in rapporto "causale" (in un certo senso) con le "cose" [e questo è un altro punto che mi disturba parecchio, personalmente ho capito che sono un "platonico" in un certo senso, peccato che l'Accademia è estina ecc ecc]. Inoltre anche la stessa dottrina dell'anatta mi da molte perplessità. Solitamente non capisco cosa è un animale realizzando che "ogni animale non è una pianta", capisco l'animale in quanto animale, non in quanto non essere pianta. Allo stesso modo "sabbe dhamma anatta" (ogni cosa è priva di sostanza) non mi dice "la natura della realtà". Ovviamente c'è anche qui un'interpretazione nobile, ovvero l'interpretazione apofatica ovvero che "la realtà trascende ogni concettualizzazione". Anche lo stesso fatto che il Nirvana non ha rapporto causale è molto interessante, anche se non mi convince. Come vedi il buddhismo mi affascina ma non mi convince, ho troppe questioni su cui non sono d'accordo. Ho un rapporto che non so nemmeno spiegare con il buddhismo.

Ma si può andare anche oltre e pensare alla Mente Luminosa (ad esempio: https://suttacentral.net/it/iti27). Ovvero che la nostra mente non è "nata nel peccato" bensì è di per sè "pura" e "luminosa". I Mahayana hanno sottolineato questo aspetto del buddhismo, ovvero che Prajna e Metta/Karuna si rafforzano l'una con l'altra e che la mente è naturalmente luminosa ma è "oscurata" dagli inquinanti. Tolti gli inquinanti la Mente diventa Luminosa, irradia compassione verso tutti gli esseri viventi (idea che in parte è presente nel Canone Pali, vedi citazione sopra). Il Nirvana stesso comincia a somigliare ad un "tipo" di questa mente luminosa: anzi la mente più pura in assolutamente. Il "fuoco estinto" in sostanza non ha smesso di esistere, ma è nel suo "stato naturale", per così dire. A questo punto però se il Nirvana è una forma di "mente" che differenza c'è con l'Atman/Atta induista? E in questo periodo è proprio questo aspetto della mente luminosa che mi attrae di più, credo che ciò sia dovuto al fatto che avendo io "studiato troppo" comincio a vedere che la conoscenza non è sufficiente se non c'è la "mente luminosa", ovvero la (giusta) relazione con l'altro, l'irradiamento di "metta" ecc.

Riguardo alla fisica. Anche qui c'è molta discussione su come interpretare il "vuoto quantistico". Alcuni ritengono che sia una "vuota" non esistenza. Altri invece ritengono che sia qualcosa di "reale". Le particelle sono "eccitazioni" dei campi e una volta "estinte" le particelle...  ;D sono proprio questi "collegamenti" tra la filosofia indiana (e in minor parte greca e cinese) che mi sorprendono. Incredibile come idee che hanno avuto origine con l'introspezione tornano. E devo dire che a differenza di moltissimi altri fisici per me "il vuoto" è tutt'altro che la non-esistenza  ;)



*Ci si può chiedere se un "sotapanna" abbia davvero la comprensione completa del Nirvana (sul fatto che i sotapanna possono abbiano o meno una conoscenza infallibile di "cosa sia" il nirvana chiedo lumi al Sari...). Anche perchè questa interpretazione negativistica non è condivisa, da quanto ho capito, nell'Abhidhamma e nei commentari per quanto riguarda la filosofia Theravada, nella filosofia Cittamatra e forse anche in quella Madhyamaka in quella Mahayana. Il monaco a cui mi riferisco è citato qui (https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=22421) ovvero Nanavira, ex-ufficiale inglese che ha dichiarato di essere sotapanna. Nella sua visione nirvana e non-esistenza sono la stessa cosa - il che ci induce a chiederci su come questo monaco interpretava frasi come "redento ad ogni attaccamento il Compiuto (Tathagatha) è quindi profondo, immensurabile, imperscrutabile, quasi come l'oceano".
#478
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
20 Dicembre 2017, 09:58:44 AM
Grazie Sari  ;) 

Certamente è un approccio molto pragmatico che ha moltissimi pregi. Mi era venuta questa perplessità considerando l'eventualità di un "inizio" del samsara però come ben dici tu farci una teoria sopra è "pura speculazione"  ;)
#479
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
19 Dicembre 2017, 12:35:07 PM
Per Sariputra : esiste nel buddhismo un argomento contro la "causa prima"? ovvero un argomento che intende dimostrare la non-esistenza della "causa prima"? O "semplicemente" il buddhismo dice che non è "dimostrabile"?




(da qui in poi il messaggio è tipo un "giochetto" che in realtà mostra come troppa speculazione è inutile ;) .... si può riassumere così: se il samsara non ha mai avuto inizio come è possibile che non abbiamo già raggiunto il nirvana? lo lascio come un giochetto divertente per mostrare i limiti della nostra capacità di tradurre i nostri pensieri in forma matematica... perchè ovviamente mi sembra piuttosto chiaro che è possibile nel caso di un samsara senza inizio non aver già raggiunto il nirvana)


Un divertente esempio di come un matematico può "divertirsi" con il concetto del samsara è il seguente "paradosso" (l'ho trovato in rete menzionato in alcuni siti, ad esempio https://dhammawheel.com/viewtopic.php?f=13&t=29829).

In sostanza il paradosso è quello dell'infinito: ovvero che in un tempo infinito una scimmia che digita in continuazione lettere su una macchina da scrivere dopo un tempo infinito riuscirà a scrivere la "Commedia" di Dante per semplice "fortuna" *. La versione "samsarica" di questo paradosso è questa: se il samsara esiste da un tempo infinito nel passato perchè non siamo tutti già "liberati" (ovviamente questo paradosso non è presente solo nel buddhismo ma in tutte le tradizioni che ammettono il samsara) ?  

Come si legge in https://www.canonepali.net/2015/05/sn-15-3-assu-sutta-le-lacrime/ in realtà, per essere precisi, il Buddha (a differenza ad esempio dell'Advaita Vedanta) NON dice che il samsara è sempre esistito ma che c'è da un "inconoscibile inizio". Tuttavia se il samsara ha avuto un inizio il tutto è piuttosto assurdo visto che (da quanto ho capito - il Sari mi corregga) il buddhismo rifiuta la "causa prima". Dunque se viceversa il samsara esiste da sempre allora il paradosso di prima si applica. Qui però torna, curiosamente, la considerazione sulla "gerarchia degli infiniti", ovvero la posizione secondo la quale è possibile confrontare grandezze infinite tra di loro in un modo molto peculiare. In quanto segue però utilizzo un semplice ragionamento, ovvero quello del limite. Il Buddha ci tiene spesso a precisare che solo devas e uomini possono praticare il Dhamma (almeno così ho capito) e che la rinascita nel mondo umano e divino è estremamente rara. Incontrare il Dhamma poi è ancora un'altra eventualità "non ovvia". Ergo è possibile che a causa dei precisi "scherzi" del karma (il funzionamento preciso del karma è tuttavia "imponderabile") nelle mie prossime vite io non incontro più l'insegnamento buddhista per vari eoni. Però in un tempo infinito dovrei aver già incontrato l'insegnamento e forse l'ho anche praticato. Quindi... perchè sono qua a parlarne?

Ebbene questo paradosso in realtà è piuttosto facile da risolvere, con un semplice ragionamento di limite e, mi si perdoni l'introduzione delle formule. Chiamo ora "x" una grandezza e "x2" la stessa grandezza al quadrato. Chiaramente "x/(x2)=1/x". Ora se "prendo il limite" (https://it.wikipedia.org/wiki/Limite_(matematica)) per "x" che va all'infinito chiaramente sia "x" che "x2" vanno anch'essi all'infinito, ma "x2" "ci va più rapidamente" visto che se "x=10" "x2=100" e se "x=20" "x2=400" ecc. Dunque all'aumentare di x il rapporto  "x/(x2)=1/x" tende a zero e prendendo x che va all'infinito ovviamente il risultato tende sempre più a zero (più precisamente il limite è zero). Ora se "x" è il tempo passato dall'inizio del samsara (se x è infinito ovviamente il samsara non ha mai avuto inizio) e invece "x2" ** è il tempo "medio" per il quale ottengo la possibilità di ottenere il nirvana per il semplice caso (intuitivamente, per ottenere il nirvana, l'eponente "2" potrebbe quasi essere sostituito direttamente con "x" in realtà visto che: la probabilità diincontrare il Dhamma è bassissima visto che devo rinascere uomo (o deva?), devo incontrare l'insegnamento e devo riuscire a "portarlo a termine"...  ;D  "xx" è una delle funzioni che va all'infinito più rapidamente  8) ) allora il rapporto   "x/(x2)=1/x" che intuitivamente descrive la probabilità di essere nella la possibilità di poter ottenere nirvana a caso  paradossalmente al passare del tempo diminuisce!!! (ovviamente matematicamente non è fondato questo ragionamento, vedi nota ** e anzi non credo che si possa fondare visto che non stiamo perlando né di un processo deterministico né di un processo random) e si annulla quando x tende all'infinito. Ergo è davvero un "miracolo" che si possa anche solo contemplare la possibilità del nirvana, figuriamoci di ottenerlo.   ;D  ;D e poi si dice (tra i buddhisti secolari) che nel buddhismo non sono contemplati i miracoli XD

*In realtà i due casi sono completamente diversi... le scimmie hanno un numero finito di lettere e che i tentativi siano tra di loro indipendenti https://it.wikipedia.org/wiki/Teorema_della_scimmia_instancabile. Mentre ovviamente ho personalmente assunto che nel caso "karma" sia un po' diverso... Karma a parte è la realtà che in genere è molto più complessa del paradosso della scimmia instancabile ;)
I matematici "puristi" sanno bene che quanto ho detto non è veramente corretto. Tuttavia il teorema della scimmia instancabile si basa sull'assioma che tutto avvenga completamente casualmente (nel senso di "random") e che ogni "tentativo" sia indipendente l'uno dall'altro. Cose che dal punto di vista "karmico" non sono vere, visto che il karma non agisce casualmente ;)


** Ovviamente qui sto utilizzando l'assunzione che più il tempo aumenta, più il tempo medio di "entrare in contatto" col Dhamma aumenta. Il che ovviamente non ha molto significato matematico. Tuttavia... se si pensa che la "decisione" di seguire il Dhamma non è casuale e che se uno si convince che basta il passaggio del tempo per ottenere la liberazione... beh più uno si convince di ciò, più per lui è difficile incontrare il Dhamma (perchè è più difficile eliminare una convinzione molto fondata di una che lo è meno). Ergo... ;D Chiedo perdono al buddhismo e alla matematica per il modellino ma volevo inserire in esso anche questa piccola "precisazione" LOL
Sapientemente il Buddha ha detto di non speculare su questo tipo di questioni, visto che non se ne esce ;D
#480
Concordo in parte con @Kobayashi. Ritengo che tutte le persone in "fondo al cuore" vogliano "stare bene" e vogliano quello che è meglio per loro. Il problema è che ci sono moltissimi tipi di "benessere". Per esempio c'è il "benessere" dato dalle droghe che ha il difetto di rovinare il corpo e la mente dell'uomo ma c'è anche il "benessere" dato dall'amore del prossimo e così via. Se la saggezza antica ci insegna qualcosa... ci insegna che quella "felicità" che è veramente degna d'essere cercata è molto faticosa da "ottenere". Dobbiamo in un certo senso "meritarcela".

Per esempio l'"eudaimonia" ricercata dai greci era una "pace interiore" autentica ed era molto spesso (tra l'altro) l'obbiettivo della filosofia stessa. E in un certo senso anche nelle religioni dove è ricorrente, per esempio, l'idea di una "caduta" - compresa in modi estremamente diversi nelle varie tradizioni - da uno stato di "pace". E le religioni stesse si configurano come un "aiuto" per raggiungere quello stato di "benessere" perduto. E inoltre nel pensiero antico ricorre molto spesso l'idea che tale stato può essere "raggiunto" con molto sacrificio di sé, con molta fatica ecc.

Ergo si potrebbe dire che è giustissimo cercare la "felicità". Tuttavia ci sono differenti tipi di "felicità" che hanno valore differente tra di loro. E i saggi di ogni tempo hanno affermato che è "giusto" cercare la felicità di più alto valore anche se ciò causa tormenti mentali (i quali tra l'altro producono spesso opere d'arte ecc). Dunque la sofferenza è un importantissimo mezzo per raggiungere una "migliore" felicità. Viceversa ritengo abbastanza "perverso" e anti-etico avere come obbiettivo la sofferenza in-sé. In fin dei conti pensare alla sofferenza come mezzo è anche un modo per darle una giustificazione ed un significato - e questo, credo, aiuta moltissimo. [Ad esempio la produzione di opere d'arte è spesso segnata da grandi sofferenze, tuttavia la "felicità" data dall'esperienza estetica e dalla produzione artistica danno "significato" anche alla sofferenza.]