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Messaggi - PhyroSphera

#466
Citazione di: iano il 04 Aprile 2024, 02:55:42 AMIl principio di indeterminazione dice, fra l'altro, che non c'è un limite teorico alla precisione di una misura, e che il limite quindi è relativo, e dipende solo dalla bontà dello strumento di misura usato, limite che perciò può essere  superato con strumenti più performanti attuali o futuri.
Questo te lo dico per certo, mentre il resto che segue è una mia interpretazione, spero prudente.
infatti non dice solo questo, perchè questa è solo la parte facile da capire, ma, guarda caso, non è la parte più interessante.
Ma se su questa parte concordi, cioè se non hai frainteso del tutto il principio come la maggior parte dei non addetti ai lavori, come fai da ciò a derivare che la materia non è del tutto sottoposta al determinismo?
Perchè ammesso che ciò sia pure vero, non è dal principio di indeterminazione che lo si deriva.
Se invece su questa parte non concordi allora mi permetto di dire che non l'hai capito del tutto.
Certo non aiuta il nome del principio, ''indeterminazione''.
Potrebbe aiutare al contrario chiamarlo principio di determinazione.
Esso infatti determina con esattezza quale sia l'errore minimo che farai su una misura in relazione al risultato di una diversa misura fatta a quella in contemporanea, e questo errore non dipende dagli strumenti di misura usati, presenti e futuri.
Non è un principio facile da maneggiare per non addetti ai lavori come noi, quindi dovremmo evitare di trarre facili conclusioni.



 
 
Sei lontano dal vero. Esistono delle buone divulgazioni a riguardo, se si sta in guardia dalle polemiche dei sostenitori assoluti della Teoria della Relatività. Sono costoro che non intendono il Principio di Indeterminazione per ciò che è, cioè per una affermazione scientifica che afferma che una parte della materia non funziona per nessi causali. Per capire, anziché diventare grandi esperti di fisica, basta ascoltare tutti, non solo gli studiosi di altri settori della fisica che scommettono sui propri dati con prepotenza. Bisogna smascherare i pregiudizi e imparare a raccogliere le informazioni giuste.
Ci sono alcuni ambienti convinti che la scienza sia nient'altro che uno studio di nessi causa-effetto ma ciò si dice eziologia e la eziologia e solo una parte della scienza. Il fatto per esempio che la quantistica possa stabilire soltanto la zona di pertinenza degli elettroni non dipende dal limite dei rilievi ma da un funzionamento acausale della materia stessa, che dunque si comporta alla stregua di un organismo biologico senza essere tale, che cioè è in se stessa caotica ma non del tutto caotica. Se fosse come dicono i negatori, non sarebbe stato mai possibile trarre dalla meccanica quantistica delle applicazioni tecniche.
Il Principio di Indeterminazione è detto così perché è proprio un principio. L'influenza della osservazione sull'osservato non mostra il limite strumentale ma la natura caotica della materia; come se immergendo un bastone in acqua, questa inizi a ribollire per conto proprio impedendo di stabilire il nesso tra l'immersione e lo stato del liquido. Si è scoperto questo tipo di comportamento nella materia scoprendone anche le modalità nella stessa materia. Un lavoro non simile a quello del meteorologo, ma a quello del sismografo.
Bisogna capire che gli ambienti della scienza praticano spesso ostracismi e illazioni e quindi bisogna avvalersi dei resoconti veri distinguendoli dalle interpretazioni di esperti di altri settori. Lo stesso Einstein espresse sovente illazioni sulla meccanica quantistica, ugualmente a quelli che comprendendo i principi delle leve scoperti da Archimede non riuscivano a riconoscere la fisica dinamica iniziata da Galilei... E come molti non credettero alla sfericità del Pianeta Terra, altri non credettero alla esistenza degli scoppi atomici... E molta pubblicità fecero i nemici di Galilei e Newton contro la scienza di costoro, ugualmente altri contro quella di Heisenberg e degli altri con lui.

Mauro Pastore
#467
Andare, col perdono, oltre la perdonabilità: una falsa impossibilità, o una falsa possibilità?
Si veda il contenuto del seguente link:
https://www.avvenire.it/agora/pagine/derrida-e-i-monoteismi-alle-prese-col-perdono

Quando incontrai la tesi di Derrida sul perdono, presentata maldestramente da un relatore durante un incontro culturale, la scambiai sulle prime per la denuncia di una richiesta di troppo. Mi resi poi conto che Derrida indicava il potere creativo dell'amore, apparentemente con irresistibile forza intellettuale e secondo un'etica incontrovertibile. Eppure le cose sono più complicate di quanto sembri. Non tanto e non solo perché il non-perdono non è di per sé una vendetta, ma perché questa categoria, il perdonare, per quanto bella e meravigliosa da pensare ed applicare, non è tutto nella logica della vita e di Dio a fronte della negatività dell'esistenza.
Dimostrerò la cosa, prima con un excursus esplicativo, quindi con una brevissima dimostrazione.

Che valore dare al perdono che tutte le grandi religioni monoteiste affermano con più o meno forza, e che la maggioranza dei teologi cristiani ascrivono soprattutto alla dottrina cristiana?
Molti sono convinti che l'ebraismo sia un movimento religioso votato alla vendetta, pensando che l'uso rigoroso ed esclusivo dei Dieci Comandamenti sia una prerogativa dei cristiani, invece questa era già degli stessi ebrei. Analogamente, sono in tanti a pensare che i musulmani pratichino talvolta la vendetta come regola, specialmente nelle sue forme estreme sconfinanti nella faida; in realtà le rappresaglie violente sono nell'Islam soltanto tollerate per essere moderate. In questo la Torah e il Corano non differiscono: nella prima il potere di moderazione, sotto opposta apparenza, è di Dio; nel secondo, pur senza apparire come tale, esso è della comunità. In entrambi i casi i valori fondanti sono altri, deducibili da elementi piuttosto semplici: generosità verso gli stranieri cioè gli altri; la elemosina, ovvero l'azione gratuita. In queste due religioni il perdono è descritto secondo questi due elementi: atto di generosità, atto di gratuità.
Nel cristianesimo il perdono ha funzione e prerogativa diversa ma non differente. Questa si può cominciare a comprendere valutando l'apparentemente assurdo invito evangelico ad offrire l'altra guancia a chi ha percosso e vuole ancora colpire. Non si tratta di doversi sottoporre o dover rischiare un'altra percossa, ma di agire secondo un potere diverso, non fondato su una semplice intuizione ma su un evento in cui una particolare fede unisce il credente con il Dio che è amore. Un potere dovuto all'unione umano-divina, che consente di amare il nemico e di perdonarlo illimitatamente. Il perdono cristiano è un atto di potere e amore, la carità.
C'è da chiedersi però se, anche nel caso del cristianesimo, si debba tributare al perdono assoluta centralità e necessità. Per quanto Dio in tutti e tre i casi conferisca delle facoltà particolari, restano le situazioni umane confinate, anche nel caso della unione teandrica (uomo-Dio). Accanto al perdono, queste religioni annoverano una azione parallela, la possibilità ultima di un cambiamento. Nell'ebraismo è rappresentata dalla partenza, l'esodo o l'esilio, diversamente che una vera sconfitta; nell'Islam dallo sforzo, contrasto ("Jihad"), che non va confuso con la reazione violenta; nel cristianesimo da una rivelazione definitiva, la 'Apocalisse', che non va identificata in una catastrofe.

Il filosofo che si accinge a dire di perdono e di religioni e fedi monoteiste, che invita a 'perdonare oltre la perdonabilità', ha preso davvero in seria considerazione il patrimonio dottrinario di esse? La sua filosofia ha saputo riconoscere di tali dottrine il valore di premesse culturali e spirituali, al di là delle convenzioni distrattamente o ingenuamente diffuse? Se egli parte da una di queste premesse, ha voluto chiarirne tutti i significati o i significati? Se invece ne prescinde, ha coscienza di interagire con un mondo diverso, che è estraneo a una semplice indagine filosofica?
Lo sterminio nazista consente all'ebreo la possibilità di essere generoso coi suoi oppressori, o gli pone innanzi la necessità di abbandonarli? Analogamente, la catastrofe ecologica attuale pone il cristiano in grado di fare un gesto risolutivo di carità per i suoi autori, o gli impone solamente una nuova consapevolezza per un radicale mutamento delle condizioni? E il musulmano potrebbe reagire allo stesso evento con un atto di generoso convincimento e inibizione, o non avrebbe soltanto da impegnarsi in contrarietà?


Mauro Pastore

#468
Citazione di: PhyroSphera il 14 Settembre 2023, 16:06:20 PMIl tuo ragionamento su arbitrio e principio di indeterminazione lascia il tempo che trova. L'indeterminazione scoperta dai fisici si conosce attraverso il ruolo dell'osservatore nell'esperimento, ma esiste indipendentemente dall'esperimento. Sicuramente gli scientisti che usavano la fisica per dimostrare un determinismo assoluto sono stati seccamente smentiti, nonostante molti tentino di affermare diversamente per vie traverse. Esiste una indeterminazione nella materia! Dal punto di vista psichico, è un altro risultato della scienza l'affermazione dell'esistenza di una arbitrarietà della nostra mente. Questa è un vissuto che si può verificare scientificamente. Semplicemente, esistono volontà indotte e volontà non indotte, queste ultime attestano una libertà dell'arbitrio. Attenzione però! Non esiste solo la fisica dell'indeterminazione e, appunto, non esistono solamente volontà non indotte... Resta così da capire se in senso generale il nostro arbitrio sia libero o no.
Per quanto ne so, posso dire che ad esser decisiva per la discussione filosofica sull'arbitrio fu una disputa teologica, quella celebre tra Lutero ed Erasmo. Quest'ultimo tendeva a risolvere la questione nell'umanesimo mentre Lutero al contrario mostrava la irriducibilità di essa in termini mondani, inoltre a differenza del suo avversario non procedeva assieme alla filosofia. Sta di fatto che solo se rapportiamo il nostro arbitrio a Dio si aprono degli orizzonti speculativi e conoscitivi assai distinti e adatti a conclusioni generali. La nettezza e chiarezza delle argomentazioni luterane erano superiori alle erasmiane. Ma già prima di Lutero, l'altro riformatore Zwingli aveva affrontato l'argomento con gli stessi risultati. Il fatto che Dio sia eterno e che provveda implica una limitazione al nostro arbitrio, che non può essere, in senso generale, libero. Ma tale conclusione non poteva fare breccia nella filosofia. I cattolici evitarono la rotta riformulando le proprie tesi, ma ciò accadeva solo dopo una Rimostranza, dentro il protestantesimo, ad opera del teologo riformato Arminius, che pur accettando le conclusioni protestanti mostrava la possibilità e necessità di una descrizione dal valore antropologico, per la quale si potette tornare a parlare di libero arbitrio negli ambienti religiosi senza finire fatalmente smentiti. La discussione continuò furiosamente, con una condanna da parte di intransigenti protestanti contro gli arminiani, i quali tuttavia guadagnarono con gli anni, i decenni e i secoli la maggioranza dei consensi proprio nella Riforma.
Perché ho dato queste informazioni storiche? Perché questa vicenda teologica, considerata nella sua interezza, mostra, oltre che una imprescindibile conseguenza scaturita dalla riflessione su Dio, la quale impedisce di sostenere assolutamente l'esistenza del libero arbitrio, anche una altrettanto imprescindibile necessità, legata anche alla riflessione sulla nostra condotta umana, di dover riconoscere una restante ineludibile libertà del nostro arbitrio, non nei suoi fondamentali rapporti con Dio, ma col mondo. In verità né il mondo protestante né quello cattolico hanno del tutto accantonato la discussione, che riguarda l'etica oltre che la religione; eppure in questo ultimo àmbito non esiste più nulla di assolutamente incompatibile tra le parti in causa, che organizzano le divergenze o i contrasti solo secondo l'esigenza di chiarirsi i rapporti con Dio quindi col mondo...
La filosofia è stata lanciata in una analoga discussione proprio dalla discussione teologica, avendo avuto il merito quest'ultima di porre in condizione i filosofi di dare un senso alle elucubrazioni già prima esistenti in materia. Ma non tutti gli ambienti della filosofia e della cultura hanno accettato il ruolo della teologia. In particolare i diverbi nati su base scientifica hanno segnato negli ultimi decenni i confronti. Cosa c'è da dire a riguardo? Che tali diverbi, nella loro indistricabile opposizione, segnano la necessità di riconoscere un àmbito proprio alla stessa discussione, legato cioè alla riflessione sul Principio Assoluto ovvero Dio. Insomma senza fare i conti con la teologia, per quanto fumosa o insostenibile possa apparire essa a molti, non è possibile offrire nessun tipo di risultato a favore dell'una o dell'altra tesi sull'argomento; e se discussione e risultati sono necessari, ed in definitiva la sono anche per la politica, allora è pure necessario riconoscere alla spiritualità e alla religione una funzione insostituibile anche per la ricerca intellettuale. E' stata peraltro una conclusione di alcuni psicologi l'aver definito la immancabile presenza di un riferimento a qualcosa di assoluto nel definire qualcosa sull'arbitrio; e tale riferimento non si risolve nella stessa psicologia anzi si realizza a partire da altro.
Questo si deduce avvalorando la disputa teologica tra cristiani sull'arbitrio: che questa non ha avuto esiti assoluti, e che tutte le altre sullo stesso argomento non possono fare a meno di rifarsi alla teologia per dire qualcosa di sensato... Non a caso gli Stati che agivano nell'orbita principale del cattolicesimo o del protestantesimo giungevano a soluzioni etiche diversificate ma non opposte, ed anzi quelli legati alla ortodossia cristiana si trovavano a conciliarle o ad averle già conciliate, a modo proprio; ma lo stesso potrebbe dirsi in relazione a islam, ebraismo, buddhismo, induismo... anche se in materia l'interesse maggiore è stato nei rapporti tra cristiani riformati e non riformati... E questo significa che non si può ridurre tutto a formulette logiche o a rigidi ragionamenti... Ed è questa la conclusione cui dovrebbero giungere tutti i filosofi, ma anche gli scienziati, e con questi i tecnici: per discutere sulla cosa bisogna volgersi a contemplare la totalità e l'infinito, secondo metodi che la filosofia da sola non può garantire; perché se si vuol stabilire qualcosa sulla libertà bisogna confrontarla con la massima grandezza possibile per il nostro intelletto.
La ambivalenza delle dichiarazioni di Arminio, pubblicamente diviso tra cattolici e riformati, la intolleranza di Lutero, la ostinazione di Erasmo, sono per il mondo filosofico degli esempi tipici. Certo la disputa nella religione cristiana ha mostrato quale parte debole quella cattolica, liberista; ma l'esito non è stato la negazione della libertà. La politica ne seguì: nessuno Stato moderno occidentale ha costruito le proprie legislazioni postulando una responsabilità assoluta dell'uomo; a far da guida in questo processo di formazione furono i Governi dei Paesi che avevano scelto per sé la Riforma, che introdusse il Diritto alla Modernità. Ma ciò non segnò la fine delle visioni differenti, tantomeno della politica cattolica.
Attualmente la opposizione tra sostenitori o negatori del libero arbitrio è furiosa negli ambienti dominati da scientismi e tecnicismi. Per codesti ambienti varrebbe il riferimento a delle vere scienze e a delle vere tecniche, che rispettivamente affermano l'importanza pratica, anche per lo sviluppo del pensiero, del senso del sacro (si considerino antropologia, psicologia, sociologia), e negano la possibilità di una procedura tecnica priva di connotazioni rigorose che solo la scienza può fornire completamente. Ciò significa che bisogna tornare a valutare il rapporto con l'Assoluto, anche nella scienza giuridica e nelle tecniche dei processi... senza ostracizzare nessuna delle parti in causa nella discussione sull'arbitrio, ma senza restare nell'indefinitezza; infatti dei risultati sono stati ottenuti e bisogna solo prenderne atto.

MAURO PASTORE
In questo mio messaggio qui sopra dicevo dell'importanza della disputa cristiana sulla libertà dell'arbitrio, del rapporto con l'Assoluto che, data la nostra sempre restante ignoranza, non ci consente di ritenere la nostra responsabilità assoluta; ma non dicevo della nostra relazione col Negativo, che ci obbliga, data la nostra sempre restante incomprensione, a ritenere la nostra irresponsabilità relativa.
La riflessione cristiana sull'arbitrio oltre che teologica è stata demonologica, cioè volta allo studio del negativo non quale oggetto determinato, similmente alla teologia con Dio. La metafora di Lutero, rozza ma efficace, dell'asino che può essere cavalcato o da Dio o da Satana, descrive prontamente la base ideologico-religiosa della nuova concezione che si affermò nella modernità e che, per accettazione o riformulazione, di fatto si cominciò a far propria anche da parte degli Stati (anche cattolici).
Ecco una preziosa applicazione pratica di quanto ho detto, per il mondo della Legge. Alle specificazioni maggiori dei casi giudiziari, fenomeno legislativo tipico dell'epoca moderna, possono corrispondere le ulteriori specificazioni delle condizioni interiori ed esteriori al momento di un'azione. Le prime dovrebbero esser accertate fino ad annoverare il rapporto con l'Assoluto, le seconde verificate fino a riferire la relazione col Negativo...
Tutto questo non impedisce di affermare, in un senso diverso, una restante libertà dell'arbitrio; ma questa nozione non può essere usata come prima, come se non vi fossero altre affermazioni diverse.
Purtroppo attualmente la maggioranza, anche nei posti di potere, tende a pensare il mondo sulla base di una concezione primitiva e parziale delle cose ed anche circa libertà e limiti umani. Non affermo con ciò che lo Stato debba indagare sulle motivazioni ultime dell'animo umano o debba accertare fatti reconditi del mondo impossibili anche a raccontarsi... Però, invece che avvalersi massicciamente di considerazioni sugli istinti e sulla materialità, da parte dei magistrati si potrebbe pensare più profondamente alle disposizioni di spirito e alle coincidenze sfavorevoli (esiste anche la psicologia transpersonale e la statistica non ordinaria, non si tratta di escludere la scienza). Questo è soltanto un esempio tra tanti.

Mauro Pastore
#469
Citazione di: PhyroSphera il 14 Settembre 2023, 16:06:20 PMLa ambivalenza delle dichiarazioni di Arminio, pubblicamente diviso tra cattolici e riformati, la intolleranza di Lutero, la ostinazione di Erasmo, sono per il mondo filosofico degli esempi tipici. Certo la disputa nella religione cristiana ha mostrato quale parte debole quella cattolica, liberista; ma l'esito non è stato la negazione della libertà. La politica ne seguì: nessuno Stato moderno occidentale ha costruito le proprie legislazioni postulando una responsabilità assoluta dell'uomo; a far da guida in questo processo di formazione furono i Governi dei Paesi che avevano scelto per sé la Riforma, che introdusse il Diritto alla Modernità. Ma ciò non segnò la fine delle visioni differenti, tantomeno della politica cattolica.

Una precisazione che sento doverosa per chi aveva letto un mio messaggio dove dicevo del teologo riformato Arminio e del suo operato in merito alla questione dell'arbitrio.
Mi risovveniva oggi di quanto da me scritto qui su, apprendendo su un sito inglese che Arminio avesse dichiarato che la sua dottrina era per tutta la cristianità ma non per i cattolici. Forse non considerava che i cattolici del suo tempo e dei suoi ambienti fossero cristiani o forse pensava che vi fosse una barriera tra lui e loro. Di fatto però la sua dottrina era un avvicinamento alle posizioni teologiche cattoliche. Vero è che questo creava ancora più contrasto in un certo senso; in un altro senso però era occasione per un ripensamento. Ad esempio, uno può scrivere per certuni, ma sperare che pure altri poi leggano.
Mi premeva specificare questo per non creare confusione culturale.

Mauro Pastore 
#470
Si legga la notizia al seguente link:
https://www.fanpage.it/innovazione/scienze/lo-scienziato-cinese-che-fatto-nascere-i-bambini-geneticamente-modificati-torna-a-lavorare-sul-genoma-umano/

Davvero l'umanità, che oltretutto nella maggior parte dei casi si mostra incapace di un'etica adeguata alle possibilità tecniche già esistenti, può intervenire senza conseguenze negative sulla composizione del nostro codice genetico? Molti sostengono che tante mutazioni genetiche già avvengono per caso o per altri fattori, come le radiazioni solari, i quali non sarebbero evenienze migliori del nostro ingegno o potrebbero essere negative o proprio dannose. Ma davvero sapremmo riorganizzare il nostro patrimonio genetico senza lasciare che il sole o altro del nostro ambiente naturale contribuisca? E davvero saremmo capaci di riconoscere i casi cattivi, senza confondere con essi quelli buoni? Mediante quali conoscenze si agisce e si vuole o vorrebbe agire sulla nostra genetica?
In realtà la nostra scienza è solo agli inizi e io penso che è assai inadeguata anche solo per questo a garantire qualcosa in questa faccenda. Ma c'è di più. La scienza è sopravvalutata da moltissimi, sempre più numerosi e sempre più facoltosi cittadini, e altre forme di conoscenza sono relegate ai margini o classificate come illusioni, purtroppo con sempre maggiore superficialità e prepotenza.
Negli ambienti della scienza e della tecnica si fanno equazioni pseudoscientifiche tra elementi del codice genetico e condizioni biologiche senza aggiungervi ipotesi necessarie sulle relazioni ambientali. In verità è lo stesso ipotizzare che aprioristicamente viene rifiutato o ridotto, secondo una mentalità che attribuisce a ciò che è plausibile direttamente valore di verità. Invece che ipotizzare che le presunte "malattie genetiche" possano essere in realtà problemi non ancora conosciuti di disadattamento o di ambientalità inadatta, si è sicuri che il problema dipenda dal gene e dunque solo per un pregiudizio; e senza preoccuparsi di che cos'altro cambia con la mutazione prodotta. Il rischio più grave, non direttamente evidente è questo: una programmazione genetica potrebbe avere successo solo per circostanze ambientali sconosciute, venute meno le quali i soggetti geneticamente modificati potrebbero finire in una condizione peggiore di prima.
Dunque in tal caso è assolutamente necessario non presumere; ma la mentalità diffusa anche negli ambienti della scienza e della tecnica tende a sopravvalutare entrambe, a trascurare o finanche ignorare tutto il resto che non si sa... E a volte c'è intenzione di creare mutamenti non a scopo medico, mossi da illusioni ancora peggiori, convinti stupidamente su calcoli di capacità e incapacità in realtà impossibili a farsi con una vera scienza. Tanti infatti, troppi, non pensano proprio che nell'interpretare una scienza si possa finire vittima di coincidenze, il cui inganno può essere evitato solo se intervengano altri saperi — ottenibili con una filosofia adeguata — le cui garanzie sono diverse e i cui risultati non accertabili ma solo verificabili.
Sicché sono secoli che le scoperte degli scienziati e le tecniche da esse derivate illudono: il fatto che il notissimo aggregato materiale di neutroni, protoni ed elettroni sia stato dai fisici chiamato "atomo", ricorrendo a un termine della lingua greca che indica indivisibilità, e che poi si sia scoperto che tale aggregato non è affatto indivisibile, senza più voler cambiare parola anzi di fatto tendendo a uno spostamento semantico non rispettoso della stessa cultura greca, è emblematico ed è solo la 'punta di un iceberg'.
È decisivamente significativo che la filosofia sia saccheggiata senza riguardo, che si trattino le considerazioni non scientifiche con supponenza e ignoranza, illudendosi che un dato scientifico possa costituire già un sapere; e la tendenza ad amplificare i dati scientifici anteponendo alla stessa scienza una fitta programmazione e attuazione tecnologica aumenta a dismisura rischi ed errori. Se questa banda di illusi volesse o peggio dovesse proteggere l'umanità da un provvisorio e scientificamente non rilevabile capriccio del sole, essa sarebbe capace, finito il capriccio della nostra unica stella, di esporci tutti quanti all'estinzione. Ugualmente potrebbe accadere con le bestie e le piante... Ed il problema sussiste già.

Mauro Pastore
#471
Citazione di: Jacopus il 30 Marzo 2024, 11:00:08 AMCaro Mauro Pastore.
Te la puoi cantare e suonare come vuoi ma quando attacchi in modo protervo e intransigente le "persone" e non argomenti le tue idee, che restano dei proclami bigotti, è ovvio che eviti il confronto, che non fai filosofia ma semplice dottrina teologale. Prova a rileggere i tuoi interventi , se non credi a quello che dico. Io ora ti sto pagando con la tua stessa moneta ma non è il mio stile.
Non hai compreso tutto dei miei messaggi e anzi hai frainteso qualcosa. Io non ho attaccato proprio nessuna persona e non si può argomentare più di tanto se l'interlocutore non vuol proprio prendere in considerazione tutto l'argomento presentatogli. Per capire i miei messaggi bisogna saper essere critici senza riporre fiducia assoluta in nessi tra filosofia e scienza che sono del tutto non necessari e che impediscono di valutare una scienza per intero.
A volte gli scienziati fanno pensieri ridotti e distorti sulla loro stessa scienza e la filosofia non deve illudersi.

Mauro Pastore 
#472
Citazione di: Jacopus il 28 Marzo 2024, 23:37:44 PMScrivere in modo dozzinale e presuntuoso del pensiero di una persona che non si conosce è tipico di coloro che sono dogmatici e superstiziosi. Se cerchi il battibecco insulso non è questo il posto per praticarlo. Cerca di elaborare un pensiero e argomentare, a sparare sentenze sono tutti buoni e più buoni degli altri coloro che hanno un atteggiamento poco incline al confronto.
La filosofia ha anche la sua saggezza e indicare la non saggezza dell'interlocutore non significa voler avviare una questione, tantomeno personale. Non sono io a fare dogmi su ciò che non è dogmatizzabile e quindi non sono io che evito il confronto.

Mauro Pastore
#473
Citazione di: Ipazia il 27 Marzo 2024, 21:14:06 PMNessun dogma. Si tratta dei riscontri migliori dell'episteme di cui disponiamo. Se ce ne sono di migliori, sono assai interessata a conoscerli.

Evitando possibilmente la fallacia della mancata dimostrazione di tutto ciò che potrebbe esistere, ma di cui non abbiamo alcun riscontro oltre l'immaginazione.
Io ti consiglio di valutare il metodo ermeneutico. Dalla ermeneutica contemporanea giunge la possibilità di un rapporto emancipato con la scienza.

Mauro Pastore 
#474
Citazione di: bobmax il 27 Marzo 2024, 20:09:20 PMInfatti.
È la morte del pensiero determinato.

Ma quando ami, pensi?
Io non dicevo la morte del pensiero determinato, dicevo la fine del pensiero della verità.

Mauro Pastore 
#475
Citazione di: Ipazia il 29 Marzo 2024, 05:36:40 AMSe lo facesse sarebbe metafisica. Essendo fisica non può porre limiti alla sua falsificabilità. Ma se fosse veramente un assioma insuperabile (come 0 K o c), dimostrerebbe soltanto i limiti della realtà e non la invalidazione del metodo scientifico.
La eziologia non è tutto. La indeterminazione scoperta da Heisenberg è fisica, non metafisica. Falsificabilità da parte del filosofo significa ipotesi contraria ma non a livello scientifico... Cioè le teorie scientifiche pur non essendo saperi non sono solo strumenti per la tecnica ma riferimenti alla realtà. Si può mettere in dubbio che tale indeterminazione esista e che la fisica quantistica sia una scienza, ma se la si verifica e la si riconosce, si deve pure riconoscere il suo contenuto. La superabilità di una scienza non è la sua insignificanza; d'altronde i dati delle scienze non sono mai assoluti... Restando al nostro discorso, la indeterminazione non è solo un modo di dire adatto per il lavoro dei tecnici.

Mauro Pastore
#476
Molti anni sono passati da quando acquistai il libro di Jean Baudrillard "La società dei consumi". Mi ero ripromesso di leggerlo sùbito e con tanta attenzione, ma rimasi inibito dalla breve nota informativa sulla copertina: in fondo conoscevo già quell'argomento, anche la relativa dimostrazione, presentatami tempo addietro da un noto professore universitario in vena di azioni generose. Mi venne in mente, dopo lunghi istanti, qualcosa che un poeta, Alfonso Gatto, morto in un tragico incidente autostradale, aveva detto: 'Io non sono un consumista, sono un consumato'. Questo era forse il motivo per cui io ero del tutto ritroso a iniziare la lettura del libro di Baudrillard: pensavo che nonostante tutto la questione era peggiore di quel che il filosofo francese potesse immaginare. Certo il fenomeno del consumismo è centrale nella riflessione sociologica della Età del Postmoderno... Ma quella singola frase, forse anche la notizia della morte del suo autore, dicevano già tanto.

Meditare sul consumismo, soprattutto io credo (e non sono il solo) sul suo essere in realtà un problema comune a tutti gli schieramenti politici, sia di destra che di sinistra — c'era anche in Unione Sovietica — è ancora adesso un esercizio necessario.
La reificazione dovuta alla diffusione e affermazione di esso, tramite l'induzione di bisogni che non sarebbero necessari, è diversa da quel che ha tentato di far credere la vulgata socialista e, nonostante lo sforzo di mistificazione del capitalismo selvaggio, non è neppure una invenzione.
La Scuola di Francoforte ha insistito sul potere impositivo delle comunicazioni di massa nel regime capitalistico, ma non risulta che abbia appuntato l'attenzione sulla richiesta del popolo di sinistra di avere a disposizione sempre più cose e di tutti i generi e solo per arrivare a una parificazione materiale assoluta, per diventare tutti come i tanto osteggiati ma pur sempre ammirati ricchi borghesi. Del resto non c'è bisogno di Marx ed Engels e dei loro avversari per capire la questione. A scuola si studiava il Verismo, i romanzi di Giovanni Verga, la (in un certo senso) enigmatica passione per la "roba" che quella nobile scrittura poneva in risalto per chi non volesse essere troppo ottimista sui futuri democratici. Oggi, con tanta comunicazione di pensieri, diffusa via internet anche tra chi senza aspirazioni intellettuali e assurta a mercato per il consumo, siamo anche di fronte a ciò che un grande psicologo, James Hillman, definiva una vera e propria obesità della mente... Ma non è tutto.
Mentre il consumismo continua ad affermarsi, nei paesi "più evoluti" molta gente ha tanto bisogno di antibiotici per curarsi dalle aggressioni dei virus esagitati dall'inquinamento generalizzato ma non ha i soldi per crescere uno o più di un figlio. Certo, sul Pianeta gli umani sono diventati in tantissimi. In India più di un miliardo di persone e poche migliaia di tigri! Milioni e milioni di persone consumano latte, uova e carne che le belve non selezionano più in mutua, segreta e amichevole collaborazione con i pastori; dalle produzioni intensive cibi meno nutrienti, spesso biologicamente compromettenti...

C'è indubbiamente qualcosa di satanico in questo cerchio terribile, al di là delle colpe di ingenti masse e delle responsabilità di pochi singoli. Chi volesse risolvere il problema con la sola razionalità, si troverebbe in difetto di potere; peggio ancora se restando entro il cerchio degli avvenimenti mondani. Esiste infatti una catena di eventi in cui malvivenza generalizzata e cattive circostanze ambientali si intrecciano indistricabilmente.
Cosa accadrà alla politica, in tanta mancanza di saggezza? Verrà consumata, sparirà dalle Terre Occidentali e da vasta parte del globo, ne rimarrà qualcosa di decisivo? E alla filosofia? Si deciderà, a fronte di tanta diabolica coincidenza, di unire l'impegno politico a quello religioso, la riflessione filosofica a quella teologica, si tornerà, da parte di tutti i coinvolti in questa catastrofe, alla fede in una salvezza che viene da ciò che non solo non è bene comune da consumare, ma è Altro, Mistero?


Mauro Pastore
#477
Citazione di: Jacopus il 27 Marzo 2024, 21:37:00 PMNon si tratta di dogmi ma di classificazioni che permettono di rendere la scienza, tecnologia. Si può riflettere sulla vita secondo un sapere filosofico teso a scoprire le affinità fra essenze molto diverse ( come un ragno ed una pietra) ed è una modalità di pensiero valida ed importante. Ma altrettanto valida è la modalità che distingue vita da non-vita perché solo in questo modo si sono scoperti i meccanismi universali della vita, che la pietra per quanto composta dagli stessi atomi del ragno, non possiede. Senza questa classificazione non esisterebbe la farmacologia moderna, la medicina moderna, la bioingegneria. Quindi ben vengano lo sguardo ampio e lo sguardo ristretto. La patologia si instaura quando uno di questi due sguardi diventa dominante.
Farsi dei dogmi sbagliati e poi convincersi di non averne, è una strada tragica che può percorrere il pensiero, che porta a una condizione peggiore della cattiva superstizione.

Mauro Pastore 
#478
Citazione di: Ipazia il 28 Marzo 2024, 09:27:58 AMPerchè, non disturbandola con la misurazione, non sappiamo cosa fa e come si comporta. Per conoscerla dobbiamo disturbarla, con le conseguenze del caso. Tertium non datur.

Non tutte le misure disturbano a tal punto lo stato fisico di un sistema, altrimenti non saremmo in grado di misurare nulla. A livello macroscopico abbiamo strumenti e metodi di misura precisi che non fanno collassare il sistema.

Un esempio di collasso del sistema di misura è dato dalla microscopia ottica quando ci si avvicina a situazioni in cui i materiali distorcono a tal punto i raggi luminosi da impedire la lettura, facendo collassare il sistema di misura: vetrino- microscopio-fisiologia ottica umana.
Il principio di indeterminazione non è una misura del limite di sperimentabilità, è proprio un principio che afferma una indeterminazione nella materia. Esso non esprime la nostra incapacità di determinare un fenomeno, bensì il fatto che la materia non è tutta sottoposta a un meccanismo di causa e effetto.

Mauro Pastore 
#479
Citazione di: Ipazia il 26 Marzo 2024, 14:52:09 PMErrore. Basta un minimo di verifica geologica per sapere che il carbonio e i suoi composti inorganici esistevano prima di qualsiasi ente biologico, che su questo elemento, insieme ad altri, ha costruito la sua impalcatura materiale. Rimettendolo poi nell'ambiente in forma organica, biologica e fossile.

Non è una cosa, quello che ho detto, che si deduce dalla geologia e dalla storia della vita raccontata dogmaticamente come fai tu, cioè secondo premesse che sono anche ciò che si vorrebbe dimostrare.

Mauro Pastore 
#480
Citazione di: sapa il 26 Marzo 2024, 15:41:16 PMPerdonami, non è che ti segua più di tanto. Per capirci: secondo te il principio di Archimede, il primo esempio che mi viene in mente, non è un sapere? Allora, forse è meglio che ci intendiamo prima di tutto su cosa si intende per sapere  ::)
Quel che noi sappiamo attraverso i dati non è a sua volta scientifico. Scienza e sapienza sono distinte. È una questione anche filologica, ma è intuitivo: sapere significa anche esser capaci, avere scienza no

Mauro Pastore