Tale domanda, si pone sia a livello filosofico, sia a livello processuale, però con "intime" connessioni tra i due "aspetti".
***
IL DUBBIO FILOSOFICO
In estrema sintesi:
I)
Alcuni filosofi optano per il "dubbio sistematico", e, cioè, per lo "scetticismo assoluto"; come, ad esempio, Gorgia, il quale scrisse: "La verità non esiste, anche se esistesse non saremmo mai in grado di conoscerla, ed anche se riuscissimo a conoscerla non saremmo mai in grado di comunicarla!"
Il che, almeno a mio parere, è abbastanza esatto sotto l'aspetto "noumenico" (ovvero "metafisico"), circa il quale possiamo sicuramente nutrire "convinzioni" o "fedi", ma non "certezze".
II)
Altri filosofi, invece, optano per il "dubbio metodico", e, cioè, per lo "scetticismo relativo", che si differenzia da quello "assoluto" in quanto usa il dubbio solo come metodo per mettere alla prova le conoscenze in nostro possesso e giungere così a certezze più difficilmente dubitabili; è il procedimento metodologico seguito da Cartesio, il quale, attraverso l'esercizio del dubbio, si propone di approdare a delle conoscenze indubitabili.
Il che, almeno a mio parere, è abbastanza esatto sotto l'aspetto "fenomenico" (ovvero "fisico"), sebbene si tratti pur sempre di certezze relative.
***
IL DUBBIO PROCESSUALE
Al riguardo, occorre distinguere tra processo civile e processo penale.
--------------------------------------------------------------------------
1)
PROCESSO CIVILE
Nel processo civile, per superare il "dubbio", e pervenire alla "verità" (o, se si preferisce, alla "certezza") processuale, ci si avvale di:
A)
Presunzioni legali:
a)
"Relative", cioè che ammettono prova contraria, come, ad esempio, la "presunzione di paternità", in base alla quale il marito della madre si ritiene padre del figlio concepito durante il matrimonio.
b)
"Assolute", cioè che non ammettono prova contraria, come, ad esempio, la "presunzione di concepimento" in costanza di matrimonio, nel quale caso il figlio si presume concepito durante il matrimonio, se nato quando sono trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione dello stesso e non ancora trecento giorni dalla data del suo annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili.
In tale secondo caso, in sostanza, la legge postula una VERITA' ed una CERTEZZA "assolute", le quali, però, non lo sono affatto sotto il profilo filosofico (e neanche scientifico); perchè, se è vero che "è massima di esperienza che è estremamente <<improbabile>> che un bambino nasca 300 giorni dopo il concepimento, ovvero prima di 180 giorni da questo" ("Diritto civile ragionato" Luigi Maria Sanguineti pag.521), però questo non è affatto <<impossibile>>!
B)
Presunzioni semplici:
Le presunzioni non stabilite dalla legge sono, invece lasciate alla prudenza del giudice civile, il quale, sia pure "al di qua di ogni ragionevole dubbio":
- in genere, può ammettere solo presunzioni che abbiano i requisiti della gravità, precisione e concordanza (in base all'art.2729 c.c.);
- in alcuni particolari casi, può ammettere anche presunzioni che <<non>> abbiano i requisiti della gravità, precisione e concordanza (come nel caso di accertamento induttivo, in base all'art.39 DPR 600/73 secondo comma).
In questi casi la legge non postula una VERITA' ed una CERTEZZA "aprioristichee", ma lascia decidere al giudice cosa sia "vero" e cosa sia "falso"; per cui, in ordine allo stesso caso, un giudice può decidere in un modo, ed un altro giudice può decidere in un altro modo.
Il che, sotto il profilo filosofico, richiama un po' il principio più famoso del pensiero di Protagora, "l'uomo (in questo caso il giudice) è la misura di tutte le cose" (anthropos metron panton chrematon).
--------------------------------------------------------------------------
2)
PROCESSO PENALE
Al riguardo, occorre premettere che, in questo caso, è la stessa normativa processuale penale a "qualificare" il tipo di dubbio che deve essere superato; cioè, quello "ragionevole".
Ed infatti, l'"attuale" art. 533 del Codice di Procedura Penale, a differenza di altre Procedure Giurisdizionali, prevede che il giudice possa pronunciare una "sentenza di condanna", soltanto "se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio!" (NOTA 1)
La Corte di Cassazione, al riguardo, ha precisato che, con l'introduzione di questo principio, il legislatore ha sancito che la condanna "penale" dell'imputato è possibile soltanto qualora vi sia la "certezza" della responsabilità dell'imputato, mentre, diversamente, si impone la assoluzione senza "se" e senza "ma" (NOTA 2).
Il che, è MOLTO diverso da quanto accade in campo civile; e "pour cause", perchè, se viene condannato, l'imputato non rischia solo di rimetterci denaro, ma anche la sua libertà personale!
***
Già: ma cosa significa "ragionevole"?
O meglio, cosa significa "di là di ogni ragionevole dubbio"?
Vuol dire essere "convinti" della responsabilità dell'imputato, ovvero esserne "certi"?
Ed invero, non è esattamente la stessa cosa!
Ed infatti, io posso benissimo essere "convinto" della colpevolezza di qualcuno, però non necessariamente posso anche esserne "certo"!
Come "quisque de populo", invero, io posso benissimo essere "convinto" della colpevolezza o dell'innocenza di Tizio, pur non essendone "certo"; il giudice ed i giurati (nelle Corti di Assise), invece, devono esserne "certi", almeno sotto il profilo processuale!
***
Però così spostiamo soltanto il problema, in quanto:
- il giudice di primo grado può essere "convinto" di aver raggiunto la "certezza" circa la colpevolezza dell'imputato;
- il giudice di appello, invece, può "convincersi" del fatto che non esiste alcuna "certezza" al riguardo.
Cioè, detta filosoficamente, la stessa "certezza" è comunque oggetto della "convinzione" dell'organo giudicante!
***
Al riguardo, in una importante sentenza, Pietro Grasso sembra quasi cercare un nesso tra il dubbio e la certezza filosofiche, e quelle processuali (penali), scrivendo:
"Il controllo affidato alla Corte di Cassazione sulla struttura e sulla congruenza logica della motivazione involge anche l'osservanza del principio dell' "oltre il ragionevole dubbio", che non può dirsi certamente rispettato quando la pronuncia di condanna si fondi su un accertamento giudiziale non sostenuto dalla certezza razionale, ossia da un grado di conferma così elevato da confinare con la certezza" (sentenza della Cass. Pen. I Sez. del 14 Maggio 2004).
Cioè, la ricostruzione del fatto, attraverso la valutazione rigorosa e logica della prova, non può che essere quella che esclude in maniera categorica altre ipotesi alternative.
***
Per cui, seguendo tale filone ermeneutico, in sostanza quello processuale assomiglia molto (almeno per certi aspetti) allo "scetticismo metodologico" di Cartesio, e non allo "scetticismo sistematico" di Gorgia; il che è anche abbastanza ovvio, altrimenti non verrebbe mai penalmente condannato nessuno, salvo in caso di flagranza o di prove scientifiche inconfutabili (però, pare nemmena quella del DNA lo sia)!
***
Tuttavia, in relazione ad uno stesso fatto, possono aversi due diversi "processi" in parallello, i quali, fisiologicamente, -giusta quanto sopra detto-, "debbono" e "possono" condurre a conclusioni completamente diverse.
***
Ad esempio, uno dei metodi più utilizzati per accertare l'evasione fiscale dei ristoranti, è sempre consistito nella verifica del "conto della lavanderia"; cioè, se un ristorante contabilizza 3.000 pasti serviti in un anno, mentre, dal "conto della lavanderia", risulta che in un anno sono state lavate 9.000 tovaglie, può nascere il sospetto che il proprietario del ristorante abbia occultato dei ricavi.
In base a tale sospetto, qualora con l'accertamento amministrativo fiscale venga superata la soglia della punibilità penale, il contribuente verrà assoggettato a "due" distinti processi:
a)
Uno tributario, nell'ambito del quale il giudice, probabilmente, potrebbe ritenere valida la presunzione del conto della lavanderia, in base all'"id quod plerumque accidit", e, quindi, emettere "sentenza di condanna".
b)
Uno penale, nell'ambito del quale il giudice dovrebbe sicuramente ritenere invalida la presunzione del conto della lavanderia, in quanto non è sufficiente ad escludere in maniera categorica altre ipotesi alternative ( ad esempio, che quel ristorante ha dei clienti particolarmente sporcaccioni, per cui, in media, tocca cambiare loro almeno tre tovaglie a pasto), e, quindi, emettere "sentenza di assoluzione".
***
Qual'è la "verità processuale"?
A seconda dell'orientamento politico dei vari giornali, se entrambe la sentenze sono passate in giudicato, alcuni quotidiani proclameranno che ormai il soggetto è stato riconosciuto definitivamente "innocente" (in base alla sentenza penale), mentre altri proclameranno che ormai il soggetto è stato riconosciuto definitivamente "colpevole" (in base alla sentenza tributaria).
***
Qual'è la "verità filosofica"?
Ciascuno può trarla per conto proprio dalle "motivazioni" delle due sentenze (non certo dal loro semplice "dispositivo"), ma si tratterà pur sempre di un giudizio "soggettivo"; per quanto tendente più o meno alla realtà "oggettiva" dei fatti, e, cioè, in misura inversamente proporzionale ai pregiudizi (soprattutto politici) di ciascuno.
***
NOTA 1
Fino a 13 anni fa, in Italia, le cose non stavano esattamente così, poichè l'attuale testo dell'art. 533, co. 1, c.p.p., è stato introdotto soltanto nel 2006, in forza dell'art. 5 della l. 20 febbraio 2006, n. 46; in precedenza il "ragionevole dubbio" sulla colpevolezza dell'imputato ne comportava soltanto il proscioglimento a norma dell'art. 530, comma 2, c.p.p..
NOTA 2
Vedi, per tutte, Cass. n. 43324/2005, omissis; Cass. n. 41052/2005, omissis; Cass. n. 41176/2005, omissis; Cass. sez. 6^, n. 1518/1997 Rv. 208144; Cass. sez. 2^, n. 3777/1995, Rv. 203118)
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IL DUBBIO FILOSOFICO
In estrema sintesi:
I)
Alcuni filosofi optano per il "dubbio sistematico", e, cioè, per lo "scetticismo assoluto"; come, ad esempio, Gorgia, il quale scrisse: "La verità non esiste, anche se esistesse non saremmo mai in grado di conoscerla, ed anche se riuscissimo a conoscerla non saremmo mai in grado di comunicarla!"
Il che, almeno a mio parere, è abbastanza esatto sotto l'aspetto "noumenico" (ovvero "metafisico"), circa il quale possiamo sicuramente nutrire "convinzioni" o "fedi", ma non "certezze".
II)
Altri filosofi, invece, optano per il "dubbio metodico", e, cioè, per lo "scetticismo relativo", che si differenzia da quello "assoluto" in quanto usa il dubbio solo come metodo per mettere alla prova le conoscenze in nostro possesso e giungere così a certezze più difficilmente dubitabili; è il procedimento metodologico seguito da Cartesio, il quale, attraverso l'esercizio del dubbio, si propone di approdare a delle conoscenze indubitabili.
Il che, almeno a mio parere, è abbastanza esatto sotto l'aspetto "fenomenico" (ovvero "fisico"), sebbene si tratti pur sempre di certezze relative.
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IL DUBBIO PROCESSUALE
Al riguardo, occorre distinguere tra processo civile e processo penale.
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1)
PROCESSO CIVILE
Nel processo civile, per superare il "dubbio", e pervenire alla "verità" (o, se si preferisce, alla "certezza") processuale, ci si avvale di:
A)
Presunzioni legali:
a)
"Relative", cioè che ammettono prova contraria, come, ad esempio, la "presunzione di paternità", in base alla quale il marito della madre si ritiene padre del figlio concepito durante il matrimonio.
b)
"Assolute", cioè che non ammettono prova contraria, come, ad esempio, la "presunzione di concepimento" in costanza di matrimonio, nel quale caso il figlio si presume concepito durante il matrimonio, se nato quando sono trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione dello stesso e non ancora trecento giorni dalla data del suo annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili.
In tale secondo caso, in sostanza, la legge postula una VERITA' ed una CERTEZZA "assolute", le quali, però, non lo sono affatto sotto il profilo filosofico (e neanche scientifico); perchè, se è vero che "è massima di esperienza che è estremamente <<improbabile>> che un bambino nasca 300 giorni dopo il concepimento, ovvero prima di 180 giorni da questo" ("Diritto civile ragionato" Luigi Maria Sanguineti pag.521), però questo non è affatto <<impossibile>>!
B)
Presunzioni semplici:
Le presunzioni non stabilite dalla legge sono, invece lasciate alla prudenza del giudice civile, il quale, sia pure "al di qua di ogni ragionevole dubbio":
- in genere, può ammettere solo presunzioni che abbiano i requisiti della gravità, precisione e concordanza (in base all'art.2729 c.c.);
- in alcuni particolari casi, può ammettere anche presunzioni che <<non>> abbiano i requisiti della gravità, precisione e concordanza (come nel caso di accertamento induttivo, in base all'art.39 DPR 600/73 secondo comma).
In questi casi la legge non postula una VERITA' ed una CERTEZZA "aprioristichee", ma lascia decidere al giudice cosa sia "vero" e cosa sia "falso"; per cui, in ordine allo stesso caso, un giudice può decidere in un modo, ed un altro giudice può decidere in un altro modo.
Il che, sotto il profilo filosofico, richiama un po' il principio più famoso del pensiero di Protagora, "l'uomo (in questo caso il giudice) è la misura di tutte le cose" (anthropos metron panton chrematon).
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2)
PROCESSO PENALE
Al riguardo, occorre premettere che, in questo caso, è la stessa normativa processuale penale a "qualificare" il tipo di dubbio che deve essere superato; cioè, quello "ragionevole".
Ed infatti, l'"attuale" art. 533 del Codice di Procedura Penale, a differenza di altre Procedure Giurisdizionali, prevede che il giudice possa pronunciare una "sentenza di condanna", soltanto "se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio!" (NOTA 1)
La Corte di Cassazione, al riguardo, ha precisato che, con l'introduzione di questo principio, il legislatore ha sancito che la condanna "penale" dell'imputato è possibile soltanto qualora vi sia la "certezza" della responsabilità dell'imputato, mentre, diversamente, si impone la assoluzione senza "se" e senza "ma" (NOTA 2).
Il che, è MOLTO diverso da quanto accade in campo civile; e "pour cause", perchè, se viene condannato, l'imputato non rischia solo di rimetterci denaro, ma anche la sua libertà personale!
***
Già: ma cosa significa "ragionevole"?
O meglio, cosa significa "di là di ogni ragionevole dubbio"?
Vuol dire essere "convinti" della responsabilità dell'imputato, ovvero esserne "certi"?
Ed invero, non è esattamente la stessa cosa!
Ed infatti, io posso benissimo essere "convinto" della colpevolezza di qualcuno, però non necessariamente posso anche esserne "certo"!
Come "quisque de populo", invero, io posso benissimo essere "convinto" della colpevolezza o dell'innocenza di Tizio, pur non essendone "certo"; il giudice ed i giurati (nelle Corti di Assise), invece, devono esserne "certi", almeno sotto il profilo processuale!
***
Però così spostiamo soltanto il problema, in quanto:
- il giudice di primo grado può essere "convinto" di aver raggiunto la "certezza" circa la colpevolezza dell'imputato;
- il giudice di appello, invece, può "convincersi" del fatto che non esiste alcuna "certezza" al riguardo.
Cioè, detta filosoficamente, la stessa "certezza" è comunque oggetto della "convinzione" dell'organo giudicante!
***
Al riguardo, in una importante sentenza, Pietro Grasso sembra quasi cercare un nesso tra il dubbio e la certezza filosofiche, e quelle processuali (penali), scrivendo:
"Il controllo affidato alla Corte di Cassazione sulla struttura e sulla congruenza logica della motivazione involge anche l'osservanza del principio dell' "oltre il ragionevole dubbio", che non può dirsi certamente rispettato quando la pronuncia di condanna si fondi su un accertamento giudiziale non sostenuto dalla certezza razionale, ossia da un grado di conferma così elevato da confinare con la certezza" (sentenza della Cass. Pen. I Sez. del 14 Maggio 2004).
Cioè, la ricostruzione del fatto, attraverso la valutazione rigorosa e logica della prova, non può che essere quella che esclude in maniera categorica altre ipotesi alternative.
***
Per cui, seguendo tale filone ermeneutico, in sostanza quello processuale assomiglia molto (almeno per certi aspetti) allo "scetticismo metodologico" di Cartesio, e non allo "scetticismo sistematico" di Gorgia; il che è anche abbastanza ovvio, altrimenti non verrebbe mai penalmente condannato nessuno, salvo in caso di flagranza o di prove scientifiche inconfutabili (però, pare nemmena quella del DNA lo sia)!
***
Tuttavia, in relazione ad uno stesso fatto, possono aversi due diversi "processi" in parallello, i quali, fisiologicamente, -giusta quanto sopra detto-, "debbono" e "possono" condurre a conclusioni completamente diverse.
***
Ad esempio, uno dei metodi più utilizzati per accertare l'evasione fiscale dei ristoranti, è sempre consistito nella verifica del "conto della lavanderia"; cioè, se un ristorante contabilizza 3.000 pasti serviti in un anno, mentre, dal "conto della lavanderia", risulta che in un anno sono state lavate 9.000 tovaglie, può nascere il sospetto che il proprietario del ristorante abbia occultato dei ricavi.
In base a tale sospetto, qualora con l'accertamento amministrativo fiscale venga superata la soglia della punibilità penale, il contribuente verrà assoggettato a "due" distinti processi:
a)
Uno tributario, nell'ambito del quale il giudice, probabilmente, potrebbe ritenere valida la presunzione del conto della lavanderia, in base all'"id quod plerumque accidit", e, quindi, emettere "sentenza di condanna".
b)
Uno penale, nell'ambito del quale il giudice dovrebbe sicuramente ritenere invalida la presunzione del conto della lavanderia, in quanto non è sufficiente ad escludere in maniera categorica altre ipotesi alternative ( ad esempio, che quel ristorante ha dei clienti particolarmente sporcaccioni, per cui, in media, tocca cambiare loro almeno tre tovaglie a pasto), e, quindi, emettere "sentenza di assoluzione".
***
Qual'è la "verità processuale"?
A seconda dell'orientamento politico dei vari giornali, se entrambe la sentenze sono passate in giudicato, alcuni quotidiani proclameranno che ormai il soggetto è stato riconosciuto definitivamente "innocente" (in base alla sentenza penale), mentre altri proclameranno che ormai il soggetto è stato riconosciuto definitivamente "colpevole" (in base alla sentenza tributaria).
***
Qual'è la "verità filosofica"?
Ciascuno può trarla per conto proprio dalle "motivazioni" delle due sentenze (non certo dal loro semplice "dispositivo"), ma si tratterà pur sempre di un giudizio "soggettivo"; per quanto tendente più o meno alla realtà "oggettiva" dei fatti, e, cioè, in misura inversamente proporzionale ai pregiudizi (soprattutto politici) di ciascuno.
***
NOTA 1
Fino a 13 anni fa, in Italia, le cose non stavano esattamente così, poichè l'attuale testo dell'art. 533, co. 1, c.p.p., è stato introdotto soltanto nel 2006, in forza dell'art. 5 della l. 20 febbraio 2006, n. 46; in precedenza il "ragionevole dubbio" sulla colpevolezza dell'imputato ne comportava soltanto il proscioglimento a norma dell'art. 530, comma 2, c.p.p..
NOTA 2
Vedi, per tutte, Cass. n. 43324/2005, omissis; Cass. n. 41052/2005, omissis; Cass. n. 41176/2005, omissis; Cass. sez. 6^, n. 1518/1997 Rv. 208144; Cass. sez. 2^, n. 3777/1995, Rv. 203118)


