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Messaggi - Apeiron

#481
@Christian,
i temi di cui parli sono molto profondi e riguardano un livello sociale che vanno oltre la portata della filosofia di Nietzsche, anche se Nietzsche ha certamente scritto molto di filosofia politica e temi simili. Riguardo alla prima parte del tuo messaggio ritengo che - secondo me - l'a-moralismo nicciano in un contesto sociale crea veri e propri "disastri" in quanto non può dare alcun "giudizio morale" contro il "conflitto" (non si può dire che Nietzsche l'uomo approvasse tale conflitto, però è una cosa che segue dalla sua filosofia... Comunque è interessante notare che sia Nietzsche che Schopenhauer non si consideravano "l'espressione" della loro filosofia e Schopenhauer è stato "ignorato" anche per questo). Il che è piuttosto inquietante, se ci pensi: rimuovendo ogni "idolo" Nietzsche ha lasciato andare ogni restrizione e quindi ha lasciato tutto al "caso", come ben dici tu. Ah e "la legge del più adatto" nel contesto darwiniano è una mera tautologia nel senso che nel "darwinismo" le specie e gli individui mutano in continuazione e sopravvivono se riescono ad adattarsi alle condizioni (o se ovviamente le condizioni sono "favorevoli"), il che è tautologico. Però l'evoluzione darwiniana è  cieca, irrazionale e quindi ai nostri occhi "sembra non avere senso". Dall'altro lato però la spinta all'evoluzione nasce dalla "tendenza a continuare a vivere" e quindi paradossalmente l'evoluzione ha un "fine". Il problema - Darwin ci dice - è che sia nel mondo animale che in quello umano le risorse sono limitate e gli individui desiderano risorse differenti e quindi di fatto il conflitto è inevitabile. La "vittoria" però non avviene in linea del tutto generica per l'individuo che "è più forte" o "più meritevole" in quanto possono sempre avvenire eventi accidentali a destabilizzare il tutto, ovvero a mutare le condizioni in modo che "il più forte" diviene il più debole. E questo lo si nota ovunque, nell'economia e nel mercato, nella "scalata sociale", nella politica ecc: tutti sono in competizione e il risultato della competizione talvolta pare casuale anche se - secondo me - se uno analizza bene "le condizioni ambientali" la componente "arbitraria" si riduce moltissimo. E in questa componente "arbitraria" ci sono le decisioni individuali ecc. Dunque "promuovere il conflitto" secondo me è promuovere una cosa che è una dolorosa necessità nel mondo animale (dove non ci si può far niente) e una cosa evitabile nel mondo umano (visto che, in fin dei conti il "vincitore" spesso è frutto del Caso, inteso come il risultato di "meccanismi" indipendenti dagli "agenti decisionali"). Nietzsche non parlerebbe mai di "fine ultimo" perchè è ben consapevole di questo Caso. E qui ci sta tutta l'incompletezza del pensiero nicciano: nessuno si può davvero "accontentare" di questo "Caso". Ergo a mio giudizio si reintroducono le cose che Nietzsche disprezzava, moralità e metafisica su tutte, proprio per riuscire ad "orientarsi" nel Caso (e ovviamente si deve anche ritenere che "parlino" di qualcosa di "reale", altrimenti non si è usciti dalla "crisi nicciana").

Riguardo alla seconda parte del tuo contributo... Riguardo al resto concordo con te che la "volontà di potenza" non è da "buttare via in blocco" perchè in fin dei conti è questa "vitalità" che ci fa vivere. Come ho già detto la volontà di potenza può ad esempio essere utile perfino a promuovere l'altruismo, la "lotta interiore", ovvero proprio i "valori nobili" comunemente intesi. Ergo l'approccio nicciano giustamente ci fa notare l'ipocrisia dell'imposizione di "valori" che "soffocano" la vita, ma al contempo si "dimentica" che è proprio grazie a questi valori che la vita raggiunge la sua "pienezza" (non a caso molti valori sono condivisi nel cristianesimo, nell'induismo, nel buddhismo, nel daoismo ecc ecc) e la sua "massima espressione". E anche se ti sembrerò forse troppo "individualista" ritengo che quello che manca nel nostro occidente è proprio una "sana" tendenza all'auto-dominio, all'essere "timorosi" ("timore e tremore"), all'essere "passivi", "ricettivi", "calmi" ecc e che il "pensiero positivo" di oggi sia una sorta di errore che nasce dal non voler vedere i problemi che abbiamo nella nostra interiorità. Curiosamente nella Chiesa Cattolica dove la religione era "sentita" (NON nel senso del fanatismo, nell'altro più nobile senso...) c'era questo lavoro su sé stessi. Dove però la meta-fisica, l'etica, la trascendenza ecc non erano e non sono sentite questo lavoro su sé stessi non viene fatto. Sarà un caso?  ::) ovviamente secondo me, non lo è. Riguardo all'umanesimo c'è lo stesso problema: aver tolto la "base" della moralità si passa facilmente dal bigottismo/ipocrisia al "caos vitalistico" e l'uomo per vivere una vita autentica non ha bisogno di nessuno dei due estremi, ma della "via di mezzo"  ;D

Aggiunta: ovviamente se dico che questi valori sono "realtà", intendo che almeno si riferiscono "indirettamente" a qualcosa di "reale". Non sono meri castelli d'aria. Se credessi che fossero "meri concetti" sarei ovviamente d'accordo con Nietzsche. E sono d'accordo con Nietzsche fino a quando la morale/etica non viene pensata come qualcosa di "vissuto liberamente", "liberamente scelto" ovvero quando l'etica/morale
non viene "sentita da dentro", ovvero quando diventa qualcosa di "veramente reale" e non "detto/imposti da altri". Quando invece l'etica/morale (e anche la meta-fisica) sono viste come "realtà" (in un certo senso) credo che la filosofia di Nietzsche venga, per così dire, trascesa. [Però credo anche che per certi individui l'unico modo di farli "rigare dritto" - ovvero per non farli diventare dei pericoli - sia proprio quello di imporre la moralità. Ergo tutti questi discorsi in fin dei conti nella realtà quotidiana devono essere fatti con moltissima attenzione] [Ad ogni modo credo di avere una forte affinità per la parte "meta-fisica" della filosofia di Platone. Più precisamente ritengo che i "valori etici", la matematica ecc siano veramente qualcosa che si riferiscono a qualcosa di "reale", oltre i fenomeni e che non siano "meri concetti" della mente umana. Quindi il mio punto di vista è molto peculiare ed estrememente poco popolare e condiziona la mia lettura della questione ;) ]


P.S. Personalmente ritengo ad esempio che la "cristianità" (almeno in alcune sue forme) è molto più ricca e più "vitale" di quella criticata da Nietzsche. In essa ci sono molte cose che si tendono a non vedere per una sorta di "paura della religione". Però chiaramente se si è contrari ad ogni tipo di "trascendenza" a-priori non si possono apprezzare.

EDIT: [credo che usare la parola "metafisico" sul discorso del nazismo sia fuorviante. Più precisamente è vero che ci hanno fatto una "metafisica" e un "occultismo" sopra, però d'altro canto temi come "il conflitto", la "lotta", la (loro) eugenetica ecc erano state "ispirate" (ovviamente in modo distorto*) dalla funesta interpretazione del darwinismo unita all'altrettanto funesto spirito nazionalistico che andava di moda dalla seconda metà dell'ottocento... secondo su questa faccenda l'esoterismo e l'occultismo hanno inciso molto meno delle idee che ormai erano presenti in tutta Europa da più di un secolo.

*distorto perchè chiaramente nel regno animale (dove il darwinismo ha più validità) ovviamente le specie viventi non lottano tra di loro per imporsi sulle altre ma semplicemente per "vivere". La violenza e il conflitto nascono per una dolorosa necessità e non certo perchè le specie animali hanno il concetto di "razza", "superiorità" in quanto nel mondo animale non si formano questi concetti ecc]
#482
Se sostituiamo il termine "immortalità" con "vita futura" credo che possiamo vedere il problema in questi termini: ovvero come un'antinomia della Ragione Pratica.

La ragione pratica ci dice che il "giusto" dovrebbe essere "premiato" e l'"ingiusto" dovrebbe essere punito (non sto pensando in questo momento alla tradizionale dicotomia tra Inferno Eterno e Paradiso Eterno...).

Se la morte significa la fine della vita allora "blocca" questo meccanismo di "premio" e "punizione", ovvero la morte "annulla" la possibilità di continuare a premiare i "giusti" e punire gli "ingiusti" (da qui il detto "la morte rende tutti uguali"). Ergo un ingiusto potrebbe ricercare nella morte proprio come un modo per "rifugiarsi". Sia per il giusto che per l'ingiusto la morte sarebbe in fin dei conti "neutra", o addirittura come diceva Socrate nell'Apologia:
"Se la morte è assenza totale di sensazioni, come se si dormisse un sonno senza sogni, oh, essa sarebbe un guadagno meraviglioso". [ovviamente il contesto era in confronto alla possibilità di sofferenze di varia natura...]

A questo ogni speranza di differenziare l'ingiusto dal giusto però cessa (e la ragione pratica impone che i giusti dovrebbero essere premiati ecc). Ovviamente questo vale anche per le concezioni della "vita dopo la morte" per le quali il giusto e l'ingiusto hanno lo stesso destino (es. l'Ade della mitologia greca, lo Yurei giapponese e forse lo Sheol (?) del primo giudaismo ecc)

Viceversa se la morte non è la fine della vita allora è possibile continuare che il meccanismo di "premio" e "punizione" continua. A questo punto l'ingiusto non potrebbe più pensare di "liberarsi dalla responsabilità" con la morte mentre il giusto verrebbe (se l'aldilà segue i "dettami" della ragion pratica) in qualche modo "premiato". Tuttavia in questo caso la "bontà" diverrebbe semplicemente "prudenza" in quanto ha sempre in vista il premio e la punizione (sarebbe in un certo senso da "stupidi" comportarsi male - ergo un malvagio potrebbe in un certo senso potrebbe evitare di comportarsi male col solo pensiero di "prendere il premio").

Ricapitolando: se la morte è la "fine" allora "rende uguali" l'ingiusto e il giusto rompendo la "speranza" della retribuzione ricercata dalla ragione pratica. Se la morte non è la fine allora la giustizia potrebbe non essere intesa come "bontà d'animo" ma come semplice "prudenza" andando contro l'intuitivo "principio" del "bene disinteressato" (fare del bene in quanto bene, senza interesse "egoistico"). Ritengo che la questione della vita dopo la morte (spesso confusa con "immortalità" ma non è detto che necessariamente la "vita futura" sia "senza fine") una vera e propria "antinomia" della ragione pratica e ritengo il fatto che non sappiamo cosa ci aspetta dopo la morte come moralmente importante.

Ad ogni modo il pensiero di continuare ad esistere, secondo me, non è così "rassicurante" a meno che non ci si aspetti che necessariamente la prossima vita sia migliore di quella attuale (cosa non vera in quasi tutte - se non tutte - religioni che prevedono una vita dopo la morte). Sinceramente è anche "molto comodo" pensare che non ci sia vita dopo la morte, visto che un "sonno senza sogni" non è poi così male come diceva Socrate. Invece sono proprio i possibili "sogni" che rendono la morte qualcosa che fa "paura". [e in un certo senso possono dare anche più significato alla vita attuale perchè ci si sente "inseriti in un contesto più grande" che richiede anche più "impegno" per così dire ecc ecc come si vede il discorso secondo me è molto complesso, molto di più del solo "desiderio di sopravvivenza" ecc]

Amleto (Shakespeare):
To be, or not to be, that is the question: Whether 'tis nobler in the mind to suffer The slings and arrows of outrageous fortune, Or to take arms against a sea of troubles, And by opposing end them? To die, to sleep... No more, and by a sleep to say we end The heartache and the thousand natural shocks That flesh is heir to: 'tis a consummation Devoutly to be wished. To die, to sleep. To sleep, perchance to dream. Ay, there's the rub, For in that sleep of death what dreams may come When we have shuffled off this mortal coil Must give us pause.There's the respect That makes calamity of so long life...


[Traduzione:] Essere, o non essere, questo è il dilemma: se sia più nobile nella mente soffrire i colpi di fionda e i dardi dell'oltraggiosa fortuna o prendere le armi contro un mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine? Morire, dormire... nient'altro, e con un sonno dire che poniamo fine al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali di cui è erede la carne: è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire, dormire. Dormire, forse sognare. Sì, qui è l'ostacolo, perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale deve farci riflettere. È questo lo scrupolo che dà alla sventura una vita così lunga.

P.S. Su questo tema, in particolare sulla distinzione tra "prudenza" e "bontà" segnalo questa pagina (in inglese) http://www.friesian.com/wisdom.htm

P.S.P.S. Sulla questione della vita dopo la morte nel primo giudiaismo non concordo che secondo i giudei alla morte c'era la non-esistenza. Credo che la "vera" posizione sia invece più ambigua visto che si parla di "ombre", di un luogo dove non si loda il "Signore" ecc. Vedi: http://www.laparola.net/testop.php?riferimento=Salmo%206%3A5%3B%20115%3A%2017 .... La posizione mi sembra molto più ambigua di quella descritta da Angelo Cannata e InVerno... anzi non mi sembra che la morte coincidesse con l'"annientamento", quanto quasi come un'esistenza in cui c'è una "lontananza da Dio".
#483
@sgiombo, forse sono sembrato un "estremista" in questi ultimi miei messaggi (non era la mia intenzione - però quando uno è la pecora nera può dare l'impressione di esserlo  ;D ) ma non volevo dire che uno scienziato deve vivere solo di "ricerca". Quello che semplicemente volevo far notare è che la scienza (nonché la metafisica e per certi versi la spiritualità stessa) ha come obbiettivo la ricerca della "verità". Invece l'epicureismo - che mirava alla "pace della mente" - perseguito seriamente e fino in fondo non ti fa di certo "arrischiare" in "imprese" dalla dubita possibilità di successo. Si ricordano solo i vittoriosi nella scienza ma c'è moltissima gente - e in questi moltissimi ahimé ci sono anche degli Einstein - che passano l'intera vita a cercare (con molto stress) invano. Un epicureo non "approverebbe" una vita simile. E nemmeno in realtà uno stoico e uno scettico: in tutti i casi il "summum bonum" è l'ataraxia e l'aponia. Qualsiasi attività che può disturbare tale stato è "bollata" automaticamente come "qualcosa da evitare" (ovviamente se si vuole essere epicurei, stoici o scettici fino in fondo). Viceversa se uno vuole essere "scienziato" fino in fondo deve essere disposto a rinunciare - almeno temporaneamente - alla sua "pace interiore". Idem per la metafisica. O per la filosofia se è intesa come "critica". Personalmente ritengo che l'eudaimonia e la "pace interiore" siano due nobilissimi obbiettivi ma dobbiamo anche, per così dire, meritarceli e secondo me la "verità rende liberi" - ergo uno per raggiungre un'eudaimonia più autentica di quella del "vivere tranquillamente" come generalmente è inteso deve "faticare".

Riguardo a Schroedinger ed Einstein: sì hai ragione non hanno vissuto solo di studio e anzi hanno avuto una vita molto movimentata. Però avevano una visione del mondo molto complessa e di certo né "relativista" (per loro la scienza era un modo per contemplare la "Verità" anche se ovviamente "senza raggiungerla") né "materialista" e nemmeno "riduzionista". Schroedinger in particolare era molto attratto dalla filosofia Vedanta e da Schopenhauer. Einstein parlava del "Dio di Spinoza", che non è semplicemente la "materia" come alcuni interpreti dicono. Quello che ho visto tra i fisici a partire dalla generazione di Feynman è in sostanza il passaggio da una visione "misteriosa" della realtà ad una sempre più "riduzionista" che ha il suo estremo nel "zitto e calcola" (cosa che fino agli anni '50 avrebbe fatto rivoltare i fisici della generazione di Einstein, Bohr...). Dici che il loro stile di vita era ben poco "ascetico" e ti posso dare ragione ma non era quello che volevo dire io. Quello che oggi manca (mi sembra) è una sorta di "apprezzamento" del "misterioso" che mi lascia sempre più perplesso. La "seconda navigazione" Platonica, per esempio, mi ha fatto sognare e mi ha lasciato un senso di "ammirazione" (non so come definirlo) che non percepisco minimanente nella filosofia, per esempio, epicurea o "contemporanea". E rimanendo in topic non riesco nemmeno ad immaginare che uno cerchi veramente tecniche contemplative e meditative come i monaci del deserto per semplicemente "stare meglio". Scegli - secondo me - una vita simile perchè sei "attratto" da qualcosa di "più elevato". Motivo per cui immaginarsi di "usare" tecniche simili in un contesto dove "trascendenza", "oltre" ecc sono semplici "fantasie" mi pare completamente impossibile (al massimo si usano per la psicoterapia - ovvero per stare meglio). Comunque uno scienziato può essere epicureo, buddhista o scettico (per carità) però se fosse un "vero" buddhista, epicureo o scettico la scienza non la perseguirebbe. Ovviamente ci sono anche i moderati  ;D  un platonico (per esempio) può essere un matematico e anzi può ricevere una spinta all'impegno proprio dalla "convinzione" che sta indagando qualche "verità" nascosta. Per un epicureo invece la matematica è semplicemente solo un'invenzione di qualche "particolare mente".

Riguardo al rapporto solitudine-dialogo ritengo che per una buona filosofia servano entrambi: con la solitudine si approfondisce e si diventa (paradossalmente) oggettivi, col dialogo si evitano erroracci o fanatismi. Riguardo alla filosofia platonica a me interessa la sua metafisica e in particolare la sua teoria delle forme (o meglio la sua "tendenza" all'universale che "percepisco" anche nella più alta forma di scienza). Molto meno la sua filosofia politica, che ritengo piuttosto superficiale (non puoi pretendere con un libro come la "Repubblica" di fondare uno stato, per esempio...). Non ho detto che la sua filosofia era la "migliore di tutte" bensì ho detto che allora la filosofia ha raggiunto forse il culmine della "libertà" (Speusippo, discepolo e nipote di Platone che gli succedette alla guida dell'Accademia, rifiutò la teoria platoniana delle forme sostenendo che tra forme ed oggetti concreti non c'era un rapporto causale. E lo stesso era "platonico"...).  Comunque secondo me senza una "società filosofica" non so quanto progresso si faccia nella ricerca della Verità.
#484
@sgiombo l'epicureo rinuncia alla scienza e alla ricerca della verità per un semplice motivo: minano l'imperturbabilità (ataraxia). L'epicureo è colui che per evitare i disordini dell'anima si rifugia nel "giardino" e fa una vita ritirata. Di certo non si mette a inventarsi la relatività generale, essendo un lavoro estremamente stressante  ;) è certamente un punto di vista certamente interessante e rispettabile. Ma ci soddisfa veramente? è davvero sufficiente a darci quella "pienezza" di vita che cerchiamo? se Einstein fosse stato epicureo avrebbe lavorato giorni e giorni combattendo con conti che non tornavano, idee che difficilmente si potevano "scrivere" in forma matematica ecc? Secondo me evidentemente no! La seria ricerca scientifica e filosofica è faticosa e di certo "perturba" la mente. Posso concordare che la pace della mente è "il fine" però prima secondo me si "deve" ricercare. Se fossimo tutti epicurei probabilmente non staremo nemmeno qua a discutere ecc


Ad ogni modo si possono usare certamente le tecniche meditative (e simili) del passato per rafforzare il proprio carattere. Ma la totale rinuncia alla metafisica, intesa come rinuncia alla volontà di scoprire "la verità", "il bene" ecc non riesco proprio ad accettarla (vedasi la celeberrima frase di Socrate - e vedi il fatto che, per esempio, il buddhismo mi affascina ma non mi convince. Di certo se non mi importasse nulla della conoscenza e volessi liberarmi dal "male di vivere" probabilmente sarei buddhista, epicureo, stoico ecc semplicemente ho un punto di vista sulla realtà che mi "costringe" per così dire a "cercare".).
Secondo me la filosofia è la ricerca della verità e del bene e ritengo di trovare nei dialoghi platonici questo spirito di ricerca per antonomasia! E vorrei far notare che sono dialoghi, ovvero la ricerca era fatta insieme. Questo è uno dei motivi per cui la "pratica (esclusivamente) solitaria" non mi convince e quello che sto notando è che l' "indifferenza" alla metafisica (e alla filosofia in generale) di questi tempi toglie ogni speranza. Anzi, ad essere sincero credo che i due momenti in cui si è filosofato meglio furono i tempi di Socrate e Platone e tra i fisici dei primi cinquant'anni del '900.
Secondo me conoscenza e pace della mente devono essere coltivate assieme e sinceramente così mi sembra che molti saggi antichi facevano (non è forse per questo che Platone, Buddha, Zhuangzi ecc connettevano la "pace della mente" con un qualche tipo di conoscenza? e tale conoscenza non era "vissuta"? E non avrebbe senso farlo assieme? Un po' come i "dialoghi"?). Oggi si tende a vederle separate e secondo me non è per niente una cosa buona.
#485
@Kobayashi,

quando Platone parlava delle Idee parlava di qualcosa che secondo lui era "più reale" degli oggetti materiali. La "teoria" delle Forme era solamente uno strumento per arrivare alla "contemplazione" delle stesse. Quello che contava, per Platone, era la "visione" delle Forme (vedi, per esempio, la metafora del Sole della Repubblica). La metafisica era legata indissolubilmente alla spiritualità e studiare la filosofia aveva lo scopo di "raggiungere l'eccellenza (arete) e l'esistenza autentica (eudaimonia)". Una volta raggiunto l'obbiettivo la filosofia cessava. Oggi la nostra concezione di "metafisica" è quella di una "teoria" (tra l'altro Platone ha scritto dialoghi, ovvero uno stile che di sistematico ha pochissimo. Aristotele è già diverso...). Allora invece parole come "verità", "bene" ecc erano tutte "realtà concrete" e la filosofia era uno strumento per "raggiungerle". Oggi invece con l'anti-metafisica e simili cose si perde di vista anche l'obbiettivo. Ad esempio perchè cercare l'eccellenza (arete) se credo fin da subito che sia una sorta di "chimera"?

E lo stesso si può dire per i platonici, per gli stoici e forse anche per gli epicurei. Lo si può dire anche per i cristiani "seri" (ovvero chi ci mette "l'anima") e per gli orientali. Tutti questi credevano profondamente nella realtà del loro obbiettivo (o almeno credevano che ad esempio era "giusto" emulare - se non si poteva raggiungere - l'arete...). Metafisica e spiritualità si adattavano l'una all'altra, il progresso da una parte si rifletteva sull'altra. Ma una volta raggiunto l'obbiettivo il teorizzare cessava. Però allo stesso tempo la metafisica era ritenuta essere un valido modo per indagare la realtà: restando a Platone le "forme" erano reali, dopotutto. Ma dubito che la sola "teorizzazione" fosse lo scopo della metafisica, anzi. Nella metafisica nell'antichità ci si metteva "l'anima", era una ricerca reale e vissuta. Ma questa "ricerca" con era mai il fine, ma un mezzo. La metafisica aveva un carattere "liberatorio", ci si sentiva imprigionati nell'ignoranza. Si ricercava per quello e non per il fine di creare "castelli in aria". L'impressione che oggi ho è che chi rifiuta tout court la metafisica (e la spiritualità) lo faccia perchè ritenga che essa sia solo finzione. Questa convinzione è difficile da eliminare, visto che ormai riteniamo che tutti gli scopi che si sono messi storicamente i "metafisici" sono semplicemente chimere. 

Comunque l'epicureismo mi sembra una filosofia di vita che non contiene alcuna trascendenza, nulla di "sovrannaturale" e si adatta alle esigenze concrete molto più, per esempio, della filosofia di Nietzsche. Direi che la filosofia di Epicuro va bene per chi non "crede" più nella metafisica. Però un epicureista coerente e serio rinuncia a molte cose, scienza compresa...

P.S. Tengo a precisare che spesso certi messaggi sono anche di autocritica ;)
#486
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
11 Dicembre 2017, 14:59:33 PM
@fdisa,

perfetto  :)  spesso si fa molta confusione su questi temi.

Rovelli mi piace molto. Credo che la sua teoria sia la cosa più simile alla "genesi dipendente" del buddhismo mai apparsa in campo scientifico. Una teoria certamente affascinante e probabilmente è sulla strada giusta. Però sia lui che il buddhismo (come viene usualmente esposto perlomeno) mi lasciano con un senso di "incompletezza" (e quando dico così non è una semplice "perplessità intellettuale" ma è qualcosa di profondo e poco piacevole). Eppure le teorie più "coerenti" e "razionali" sembrano tutte incomplete - quelle più "complete" spesso si perdono nel non-senso.  Ho un "sentore" che ci sia un "di più" e che questo "di più" sia anche legato proprio alla fisica, al fatto che (per esempio) le leggi della fisica sono qualcosa di tanto "concreto" quanto la materia stessa.

Un "orientale" direbbe che è tutta "proliferazione concettuale", però secondo me Platone in un certo senso (quale non so dirtelo) ci ha visto giusto. E la tendenza che vedo nella società occidentale a rinnegare in toto il platonismo mi lascia molto perplesso.

Ovviamente il mio potrebbe essere tutto un delirio  ;D

Precisazione (per il lettore): il buddhismo - per gli orientali - non è nichilismo (vedere il topic). Quello che sto dicendo io è che dalla mia analisi della dottrina emerge un'incompletezza (però è anche vero che ciò che rende completa la dottrina può essere implicito o detto in termini indiretti). Ad ogni modo non sono di certo la migliore fonte di apprendimento del Dhamma... ;D
#487
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
11 Dicembre 2017, 12:49:07 PM
@fdisa,

il problema di queste discussioni è che si finisce per entrare nella semantica e non se ne esce più  ;D

Ripartiamo dall'esempio di "Tizio è a destra di Sempronio".
Sempronio dice: "Tizio è a destra"
Caio (un altro soggetto) dice: "la frase è incompleta. in realtà bisogna dire "Tizio è a destra di Sempronio"".

Ergo sulla frase "Tizio è a destra di Sempronio" sono d'accordo tutti e tre. Quindi è una "verità universale", nel senso che è condivisa da tutti. Se poi vogliamo distinguere tra "universale" e "assoluto" possiamo farlo, se "assoluto" è un termine che proprio non ci va giù  ;) in quanto "assoluto" suggerisce che la "verità" sia una "cosa" mentre "universale" sigifica sempliemente che è "vera per ogni soggetto". Nel mio "vocabolario" il "relativismo" non ammette nemmeno verità universali visto che in fin dei conti una verità universale è una verità su cui sono d'accordo tutti i soggetti. Motivo per cui il "buddhismo madhyamaka" lo considero personalmente una forma di "assolutismo" (anche se sarebbe meglio dire "universalismo"), visto che dice che tutte le cose esistono in dipendenza da altre cose (e nel caso del buddhismo madhyamaka - il cui più famoso sostenitore è Nagarjuna - la realizzazione di ciò ha anche valore "soteriologico" cosa che nel "relativismo occidentale" invece non c'è). Spesso le discussioni si basano proprio sulla non-condivisione del "vocabolario". Se mi dici che "ogni verità è relativa - questa è l'unica verità universale" però sbagli in quanto "Tizio è a destra di Sempronio" è una "verità universale". Se dici "ogni verità è relativa - questa è l'unica verità assoluta" sbagli ugualmente in quanto (per quanto detto prima) "assoluto" denota un valore ontologico.



Quindi il "relativismo" che personalmente rispetto è uno che ammette la possibilità di "verità universali", ossia è il "relativismo ontologico". Però poi rimangono problemi* di varia natura che eludono questi discorsi.



*N.B. Ora se ogni cosa esiste in "dipendenza da altro", ovvero ogni esistenza è "relativa" è chiaro che non ci sono nemmeno "punti di vista assoluti" e la "verità" non ha certamente un "aspetto ontologico". Punto di vista che rispetto ma sinceramente non condivido perchè mi sembra un  involontario nichilismo "mascherato". In particolare negando la "sostanzialità" dei soggetti e delle "verità" si dice che a livello ultimo non esiste niente  ;) Ad ogni modo se sei interessato a Nagarjuna e al buddhismo madhyamaka ti consiglio il Mūlamadhyamakakārikā di Nagarjuna (a mio giudizio avere un saggio antico che è d'accordo con quanto si sta proponendo lo ritengo un ottimo aiuto  ;D ). In questa sezione del Forum c'è anche un topic sul buddhismo https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/buddhismo/  se ti va di leggerlo vedi anche che qui nel Forum c'è un ottimo filosofo (Sariputra) che ha (secondo me ;)) una posizione praticamente identica a quella del scuola madhyamaka.
#488
KOBAYASHI

Vi chiedo: è possibile immaginare un ritorno della filosofia alla sua saggezza antica, alla fondazione per esempio di vere e proprie scuole filosofiche o cose di questo tipo?

È immaginabile secondo voi una filosofia che abbandonando la sua ossessione per la conoscenza teorica inizi a costruire concretamente nuovi "custodi interiori", guardiani di un io sempre più smarrito?


APEIRON


La "crisi" è un momento di grande cambiamento, improvviso. Oggi nella società occidentale stiamo attraversando una crisi molto profonda, però non vogliamo vederla: questo perchè abbiamo una quantità incredibile di informazioni, passatempi ecc tutto questo ci sta facendo perdere la cognizione della crisi che stiamo attraversando e che è iniziata ben prima di Nietzsche, in realtà - anzi secondo me (contrariamente a quanto i nicciani in questo Forum dicono ) Nietzsche è stato travolto da questa crisi e non l'ha superata. La crisi però era già presente verso la fine del Medioevo quando tra eresie, inquisizioni, riforme, contro-riforme ecc si stava iniziando a vedere che il primato della "credenza" (non uso il termine "fede" perchè "fede" denota un'esperienza vissuta) - ossia una determinata interpretazione di una dottrina - aveva fallito miseramente. Il colpo di grazia lo diede la scienza prima e l'Illuminismo poi. La realtà si "svuotò" di angeli, demoni ecc e si "ridusse" a ciò che è empiricamente visibile (e nient'altro). Che ne è di quella realtà che un tempo era così concreta fatta di cose "celesti", di "aldilà", di "immortalità"? Dove è finita? Chi è stato ad eliminare quella realtà? I filosofi moderni?


Cartesio "dimostrò" Dio e dopo "si servì" di Dio per "giustificare" la conoscenza, Spinoza ha "deificato" l'esistenza, Berkeley ha posto Dio come "creatore" di tutto... Poi arrivò Hume e "Dio" e "il mondo vero" presero un brutto colpo. Arrivarono Kant e Schopenhauer e ritornò in auge "il mondo vero", però in una forma molto "astratta" nel primo e in una forma "poco appetibile" nel secondo. In particolare Schopenhauer non solo lo fece ritornare ma affermò che l'introspezione e lo studio del nostro corpo (affermazione inaudita!) erano la "chiave" per accedere ad esso. Arrivò Nietzsche... e "puf". "Il mondo vero diventò una favola"! Cosa è rimasto dopo Nietzsche: una realtà di puro conflitto, una realtà dove una prospettiva doveva "affermarsi" sull'altra e chi non si affermava "spariva", niente più "anima" e solo "materia" ecc. E così l'uomo divenne, nel tempo, dall'essere "al centro dell'univero" a "carne senziente" (perdonate l'espressione ma l'ho sentita un po' di anni fa in una serie tv). Così dunque quel mondo che era più reale del nostro sparì, diventò "favola". E la filosofia? Cos'è la filosofia - e non solo essa ma anche la spiritualità e la scienza  - se non un confronto dell'uomo col Mistero? Non vedete dove voglio arrivare? Quando l'uomo si affrancò della "religione" anche la filosofia gradualmente si impoverì e il "mondo vero" diventò di fatto "favola". Ci sorprendiamo davvero se oggi la filosofia ci sembra "sterile" (come la tradizione "analitica" americana) o un "gioco di parole" (come spesso è quella "continentale")? Qui abbiamo filosofi che partono dal presupposto che stanno costruendo favole e castelli d'aria! Oggi si scrive e si "filosofa" ancora ma il risultato sono o una spiegazione di ciò che si sa già dalla scienza (lo "scientismo"), oppure si filosofa per "divertimento", oppure si fa un "sistema formale", oppure si "decostruisce la decostruzione"... Altro che i demonizzati Cartesio, Spinoza! Perchè molti filosofi famosi contemporanei non mi lasciano alcun senso di ispirazione? Ah già: il "mondo vero" è una favola e ora non credo più alle favole, visto che sono "adulto". Aveva ragione "l'uomo della strada" quando mi diceva: "la realtà è il lavoro, il mangiare...il "concreto". Con la filosofia non si mangia, folle!".

Ma non solo avviene questo. Avviene anche che lo "spirito moderno" viene utilizzato per interpretare la saggezza antica. Scopriamo che il buddhismo non credeva in origine alle rinascite (ma è stata la "massa" a creare tale credenza), riteneva che il nirvana era la non-esistenza e che in sostanza insegna la stessa cosa delle neuroscienze moderne. Platone, Aristotele ecc erano pensatori di "basso livello". Democrito invece era un genio perchè aveva "scoperto" l'atomo. Zhuangzi non mirava alla trascendenza. In sostanza il "mondo vero" è una storiella che si si sono inventati i risentiti, gli ammalati, le masse superstiziose e i pazzi. D'altronde empiricamente non c'è alcuna prova che esista niente che "il mondo ordinario".

Ti chiedi dunque se ritornerà la saggezza antica e la pratica filosofica? Oggi? Oggi si "deve lavorare", bisogna essere "concreti"! Oggi ogni cosa vale l'altra. Le parole del Buddha (ad esempio) sono semplici stringhe di informazioni nell'immenso mare di informazioni della cultura moderna. Chi ha tempo per la saggezza? Dirai: il singolo. "Io" posso ritagliarmi del tempo, riflettere, cercare la "verità" ecc. Ma non è l'intera società "indifferente"? Cosa può fare il singolo quando a nessuno frega niente di ciò? Nessuno oggi crede più all'anima, a Dio, alle rinascite, al nirvana, alla verità, al bene, all'anima, allo spirito, all'energia vitale, all'interconnessione, al noumeno dietro al fenomeno, alla cosa-in-sé, alla vacuità, all'anima mundi, al dao, al dharma, al dharmakaya, all'incondizionato, al diavolo, all'angelo, al maligno, alla "mysterium tremendum", al "totalmente altro", all'ineffabile, l'eudaimonia... queste parole hanno ancora significato, per noi, oggi?

Beh rimane la persona! Posso cercare l'eudaimonia e cercare la "vita autentica". Ma è qualcosa di concreto e tangibile? No. Favola pure questa. Anzi le neuroscienze ci dicono che anche la personalità è una favola!

Ossessione teorica? Da quando la filosofia è diventata solo "teoria"? Molto recentemente, in realtà. Quando venne detto che "il mondo vero è divenuto favola". Il "Mysterium Tremendum" è sparito. Ma crediamo davvero che Platone, Aristotele ecc pensavano di fare qualcosa di "teorico"? No perchè filosofia e spiritualità sono sempre state connesse fino a quando... beh fino a quando sparì il "mondo vero", ovvero l'oggetto della filosofia stessa. La filosofia che nasce dalla meraviglia, ovvero dalla percezione di qualcosa di più grande. Riguardo alla scienza lascio parlare Einstein:
"Quale varietà di stili nel tempio della scienza! E come diversi sono gli uomini che lo frequentano e diverse le forze morali che ve li hanno condotti! Più di uno si dedica alla scienza con la gioia di rendersi conto delle proprie superiori facoltà intellettuali: per lui la scienza è lo sport preferito che gli permette di vivere una vita intensa e di appagare le sue ambizioni. Ve ne sono anche molti i quali, unicamente allo scopo utilitario, vogliono portare la loro offerta alla effervescenza del cervello. Basterebbe che un angelo divino cacciasse dal tempio gli uomini di queste categorie e l'edificio rimarrebbe vuoto in modo inquietante, se non vi restassero alcuni uomini del presente e del passato: di questo numero fa parte il nostro Planck ed è questa la ragione per cui lo amiamo... Io credo con Schopenhauer che l'impulso più potente che li spinge verso l'arte e la scienza è il desiderio di evadere dalla vita d'ogni giorno con la sua dolorosa crudezza e il suo vuoto senza speranza di sfuggire alle catene dei desideri individuali più sensibili fuori del loro io individuale, verso il mondo della contemplazione e del giudizio obiettivo"

Davvero dobbiamo dare la colpa alla "teoria" o alla "metafisica". Non è forse vero che l'anti-metafisica, l'avversione alla spiritualità e alla religione, il materialismo dominante, l'ossessione con la "concretezza" ecc sono i veri colpevoli dell'attuale deserto spirituale?

Anche perchè la spiritualità è anche lotta, fa paura: l'Eternità fa paura, per esempio. Diciamo ad esempio che l'aldilà è una consolazione... Non ti sembra terribile l'Eternità? Ci penso spesso e mi sembra così buia che quasi desidererei che non ci fosse Eternità. Credere che dobbiamo vivere per sempre e non cessare mai di esistere. Sembra come se la Morte di cui tutti hanno paura perché ci lancia in un mondo sconosciuto sia un sollievo rispetto a uno stato di esistenza così interminabile (Emily Dickinson).

Ecco perchè non credo che sia possibile "recuperare" la saggezza antica nel mondo moderno. Non è "concreta" (nel senso che lo intendiamo oggi), fa paura, timore e tremore ecc. Quale uomo da solo riesce ad affrontare questa sfida? Chi si stupisce nel leggere un dialogo di Platone (il "grande metafisico") a vedere quella ricerca della verità senza compromessi?  O almeno non è possibile recuperare la saggezza e renderla un'associazione. La spiritualità e la filosofia affrontano l'ignoto e l'infinito - come può l'uomo nella sua solitudine affrontare l'ignoto e l'infinito?

@green, il problema NON è la "formalità" della teoria filosofica. Il problema è che si è deciso che quello che si fa sono semplicemente "castelli in aria". Un Platone non è il "metafisico" che intendiamo oggi.

Riassunto: Perdonate il lungo post. Però sinceramente quando leggo che il problema è la "teoria" (o la metafisica) "mi cadono le braccia". Mi sembrano critiche completamente fuori luogo che nascono dal pretendere in modo poco "relativistico" di poter "giudicare" le epoche passate con i concetti di oggi.
Come se Platone, Aristotele, Plotino, Niccolo Cusano, Spinoza (nomi a caso...) andassero contro alla filosofia? La metafisica NON è solo imposizione. A mio giudizio è proprio il contrario: è il rifiuto incondizionato della metafisica e della trascendenza (con i loro aspetti "sublimi" e "tremendi") a rendere impossibile un ritorno alla saggezza antica. Forse è proprio la metafisica, la teoria, l'etica, la trascendenza ecc che servono per far ritornare la saggezza.
O forse lo farà l'arte (che ormai è l'unica a mantere il "numinoso" in vita, ovvero come "esperienza sentita dall'interiorità") a "salvare il mondo". D'altronde "la bellezza salverà il mondo"  ::)  ::)  e l'arte spesso è una disciplina solitaria!

Vedetela così: la metafisica è una zattera (metafora presa dal buddhismo). Una zattera per attraversare il fiume... uno strumento. La metafisica non serve per assoggettare la vita ma è al servizio della vita. Serve per arrivare all'eudaimonia, la vita autentica. O almeno così la pensava, per esempio, Plotino.

P.S. Si dice spesso che la scienza "va contro" la metafisica. Ovvero che l'anti-metafisica è dovuta alla scienza. Personalmente non la vedo per niente in questo modo (al massimo la scienza rende scettici sui sistemi metafisici già presenti ma non vieta di certo di crearne nuovi...). Ma è anche vero che sono una pecora nera tra i fisici in quanto mi interesso di metafisica e di spiritualità... e a quanto pare lo sono anche qui dentro visto che in fin dei conti sono un "metafisico" LOL
#489
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
08 Dicembre 2017, 17:18:07 PM
Citazione di: fdisa il 08 Dicembre 2017, 16:09:56 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Ottobre 2017, 22:42:15 PMMy two cents "Tutto è relativo, e questo è il solo principio assoluto". Appunto già qui si vede l'aporia, la contraddizione interna. Dire prima che "tutto è relativo", arrivare a dire che è un "principio assoluto" e poi dopo aver lanciato il sasso si nasconde la mano (osservazione che non vuole offendere, è solo per ridere) - con questo intendo che si vuole assolutizzare il relativo ;D
Grazie per la sua risposta! La citazione in apertura è per l'appunto una provocazione ;) L'argomentazione vera e propria è nel §4, in cui si sostiene che l'autodistruzione è apparante, perché é un sottoinsieme di un meta-discorso che la include. L'infinità dei meta discorsi rende infine non contestabile l'assolutezza del relativismo, per quanto sia apparentemente un'aporia.

@fdisa,

Il problema è che stai ponendo una teoria epistemologica: il relativismo epistemologico è privo di senso (a differenza di quello ontologico). Poniamo per esempio che io sto alla tua destra. Se tu dici "Apeiron è a destra" dici un'affermazione incompleta perchè il concetto di "destra" è di per sé relativo, ovvero si deve dire che "Apeiron è a destra di fdisa". "Apeiron è a destra" è vero per fdisa ma potrebbe essere falso per Tizio che si trova a destra di me. Però "Apeiron è a destra di fdisa" è vero per ogni soggetto che comprende il significato di "essere a destra di" in quanto nella proposizione hai già specificato il sistema di riferimento. Lo stesso avviene in fisica: "l'automobile viaggia ai 100km/h" è una frase strettamente parlando "relativa", però "l'automobile viaggia ai 100km/h rispetto all'autovelox" è una proposizione valida universalmente. Una volta che hai specificato la prospettiva la proposizione non è più "relativa", bensì ha una validità universale.

Oppure altro esempio. I numeri complessi non sono un sistema "ordinato", ovvero non è possibile definire, presi due elementi dell'insieme, una relazione di maggiorazione, che indico con ">" ("i > 5" - dove i è l'unità immaginaria - non ha senso). Quindi la frase "per ogni coppia di numeri complessi è possibile definire una relazione di maggiorazione" è falsa in quanto contraddice la definizione di "numero complesso". Però allo stesso tempo se considero il sottoinsieme dei numeri reali allora è possibile definire la relazione di maggiorazione, ergo ""5 > 1" è vera nel sottoinsieme dei numeri reali dell'insieme dei numeri complessi" diventa una "verità universale". Una volta che hai specificato il contesto la "verità relativa" diventa assoluta. "Tizio è più alto di Caio e della stessa altezza di Sempronio secondo la mia misurazione" è una "verità universale" anche se con un'altra misura risulta che "Sempronio è più alto di Caio" (e a questo punto si indaga il motivo per cui c'è una contraddizione tra le misure). Quindi una volta che hai specificato il contesto in cui una "proposizione è vera" la proposizione cessa di avere una verità relativa ma diventa a tutti gli effetti "universale".

Dunque anche se ammettiamo il problema dell'infinità delle prospettive - ad esempio poniamo che un'infinità di soggetti dia una descrizione diversa di qualcosa - comunque epistemologicamente quando si dice "secondo la mia prospettiva ..." si enuncia una "verità assoluta". Il relativista quindi non si accorge che in sostanza specificando la "relatività" delle "verità" finisce per trasformare le proposizioni relative in assolute.

Diverso è, per esempio, il "relativismo ontologico" della scuola buddhista Madhyamaka - se non interpreto male. In questa filosofia ogni "cosa" ha un'esistenza relativa, ovvero esiste in quanto "dipendente" da cause (le quali a loro volta dipendono da altre cause ecc ad infinitum...). Quindi l'esistenza è in questo caso relativa e ciò vale per ogni cosa, tuttavia il fatto che "ogni cosa ha un'esistenza relativa" è dal punto di vista epistemologico una "verità universale". Quindi se dal punto di vista ontologico puoi, volendo, costruire una metafisica "completamente relativistica" non lo puoi fare dal punto di vista epistemologico, in quanto appunto in questo caso "ogni cosa non ha un'esistenza indipendente" è una verità universale ecc  

Dal punto di vista linguistico puoi fare volendo come dal punto di vista ontologico. Però se dici che "nel linguaggio L vale la proposizione X" stai facendo una affermazione assoluta...Semmai è più interessante vedere se non è possibile "costruire" un meta-linguaggio che comprende tutti i linguaggi ma questo con il relativismo epistemologico non c'entra molto. Anzi se dimostro che non è possibile costruire tale meta-linguaggio faccio un'affermazione assoluta.

Ripeto in matematica, in fisica, nell'epistemologia (=filosofia della conoscenza) ecc il relativismo è una posizione che è esclusa a-priori. Ciò non è vero per esempio in ontologia, dove puoi avere, volendo, "relativismi ontologici" (come per esempio la "teoria" Madhyamaka - se non l'ho capita male).
#490
Citazione di: sgiombo il 03 Dicembre 2017, 14:53:28 PM
Citazione di: Apeiron il 03 Dicembre 2017, 14:23:30 PM@sgiombo, sì ne abbiamo già parlato e le nostre "convinzioni" (se così possiamo definirle) su questo argomento sono differenti. Spero che il "linguaggio severo" non ti sia risultato offensivo. Esso è dovuto all'"ardore" della ricerca. Per Aepiron. Leggo il tuo intervento dopo l' invio del mio. Mi scuso innanzitutto io per primo per la mia tendenzialmente strabordante vis polemica (che assolutamente non vuole essere offensiva;men che meno verso un interlocutore di correttezza esemplare come te.

Tranquillo :) non ho avvertito una particolare polemica da parte tua. Solo che adesso non sono molto in "vena" di discutere  ;) 

Anicca/impermanenza in azione  :(
#491
@sgiombo, sì ne abbiamo già parlato e le nostre "convinzioni" (se così possiamo definirle) su questo argomento sono differenti. Spero che il "linguaggio severo" non ti sia risultato offensivo. Esso è dovuto all'"ardore" della ricerca.

@Phil, ti rispondo solo a questa domanda: "Deve essere il libero arbitrio a fondare l'etica, oppure l'etica a rendere inconfutabile, presupponendolo, il libero arbitrio?"

Sì perchè per sua natura il "dovere" etico necessita anche la "libertà" di "non seguirlo". Più precisamente se non potessimo "scegliere" il male allora la distinzione tra male e bene sarebbe meramente convenzionale secondo me. In sostanza è un "dovere" qualitativamente diverso rispetto al fatto che "il sasso deve cadere" oppure al fatto che "l'elettrone deve seguire una legge probabilistica" o altre forme di indeterminismo. C'è una differenza qualitativa che rende l'etica, per così dire, "superiore" ad altre discipline. Questa almeno è la mia opinione e il motivo per cui tengo a precisare che l'etica si riferisce a qualcosa di "reale" e non qualcosa di esclusivamente soggettivo anche se chiaramente l'etica vera e più alta secondo me non è formata da "leggi esterne", bensì è qualcosa di "interiore" e "sentito da dentro" (e mi si permetta di dire che l'osservazione emprica pur non "giustificando" l'etica è importantissima. Visto che in fin dei conti è empiricamente che vediamo che, per esempio, gli assetati soffrono per mancanza d'acqua e quindi "dobbiamo" dare loro da bere...).


Mi spiace ma ora sono piuttosto esausto e non continuo la discussione (almeno per un po'). Leggerò con piacere il dibattito tra di voi  ;)
#492
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
02 Dicembre 2017, 18:33:46 PM
Karuna e Prajna...

Cosa ci può essere più distante tra la "compassione" (karuna) e la "saggezza" (prajna)? Per l'"occidentale medio" karuna e prajna - intesa come conoscenza - sono due cose distinte. Uno può essere "sapiente" ma non compassionevole e viceversa uno può avere la compassione ma non essere "sapiente". Questa, almeno, è la "logica" occidentale.

La logica di molte filosofie cinesi e indiane invece ci dice essenzialmente che in realtà le due vanno a "braccetto". Non si può avere una senza l'altra. Perchè? Ebbene per il fatto che la filosofia indiana ha sempre visto la somiglianza nella differenza. Il mito della trasmigrazione, per esempio, ci fa capire che un animale deve essere rispettato perchè in fin dei conti anche io ero di quella specie in una vita precedente e quindi non sono né superiore né inferiore ad esso. Certamente oggi la mia forma è diversa, certamente oggi sono più intelligente, più astuto ecc ma in realtà la differenza tra noi due è meramente di forma e non "di essenza". Ma prajna e karuna in fin dei conti non sono presenti anche nella conoscenza occidentale?

La biologia ci mostra come noi esseri umani a dispetto delle differenze individuali siamo estremamente simili. Non uguali, vero ma simili. Abbiamo molto in comune e quindi se mettiamo più in risalto le somiglianze vediamo che l'altro non è diverso da noi e quindi così come io voglio essere rispettato, allo stesso modo lui vuole essere rispettato. Questa non è "compassione" bensì saggezza, prajna. Non è vero che "l'amore rende stupidi", come talvolta si sente, l'amore (metta, karuna...) in realtà parte dalla comprensione, dalla saggezza: questo è il grande equivoco dell'occidente ossia l'aver "creato" una distinzione tra sapienza e compassione - unione che per un indiano è ovvia. Anche per chi non crede nelle rinascite il mito della trasmigrazione può in fin dei conti ricordare l'evoluzione delle specie: le specie si trasformano le une nelle altre, quindi non sono in senso ultimo diverse tra di loro. Questa intuizione proprio dell'oriente ha avuto nel Neoplatonismo il "corrispettivo" occidentale. La realizzazione cioè che l'altro essere in realtà "non è diverso" da noi e da qui in fin dei conti giunge la compassione. 

Dunque è proprio qui che noi occidentali sbagliamo. Crediamo che etica e metafisica siano qualcosa di distinto, due discipline che non comunicano. Crediamo che "conoscere noi stessi" porti solamente alla conoscenza, appunto, di noi stessi e non dell'altro. E qui in fin dei conti si vede la differenza tra la nostra idea di "progresso" e quella indiana di "ciclicità": per noi il nostro tempo è "migliore" mentre per gli indiani il nostro tempo non è essenzialmente diverso da quelli precedenti e quindi non ha nemmeno senso confrontarli.

Prajna: conosciamo noi stessi e vediamo che, per esempio, cerchiamo il bene. Per semplice istinto di sopravvivenza, ad esempio, cerchiamo di assetarci. Ma Prajna ci aiuta anche a vedere la non-differenza con "l'altro".
Karuna: dalla comprensione dunque arriva la compassione: perchè dunque vedo che entrambi (ad esempio) desideriamo il bene e quindi riconosco che è "giusto" comportarmi in un certo modo anziché in un altro. 

Prajna e Karuna, pur essendo diversi, in realtà sono se presenti entrambe tendono a rafforzarsi l'una con l'altra. Perchè? Prajna eleva Karuna dal mero sentimentalismo dandole una "giustificazione" razionale, Karuna eleva Prajna dandole significato. E così uno che le possiede entrambe sarà capace di progredire nel cammino e continuerà a perfezionarsi, ovvero ad aumentarle entrambe. In fin dei conti una "karuna" che è giustificata da "prajna" tende meno ad essere legata allo stato emotivo passeggero mentre una "prajna" motivata da "karuna" prende "anima", ovvero non è più una sterile conoscenza. Prajna e Karuna formano una simbiosi.

E forse in fin dei conti è per questo motivo per cui chi tende a "diminuire l'egoismo" per così dire "abbraccia il cosmo". La sua identità comincia ad essere meno legata alla sua forma. La volontà di prevaricare diminuisce perchè karuna la spegne. Così chi "impoverisce" la propria identità, riconoscendo il fatto che "non è distinto", ossia chi dà meno importanza al suo "io" tende allo stesso tempo a essere compassionevole. Ergo ci si può immaginare che se uno comprende a fondo dunque la non-differenza estinguerà sempre di più il senso dell'io/mio - fino ad arrivare... all'anatta. D'altronde finché non mi accorgo di questa "non-differenza" in fin dei conti tendo a voler affermarmi. E "realizzo" questa "non-differenza" proprio in questo modo...

Quindi, per così dire, il punto di arrivo non è vedere che "tutto è vuoto", bensì vedere che "tutto è pieno (di valore)" - l'anatta non significa dunque il collasso dell'io come lo intendiamo normalmente, bensì la sua dissoluzione come quella di un pezzo di zucchero in un bicchiere d'acqua. Ma questa dissoluzione è invero un collasso. Ma questa pienezza in fin dei conti la si vede proprio nella vacuità: se ci fosse qualcosa, qualche distinzione vera nel senso ultimo allora non si potrebbe dire che "tutto è pieno"...

Aldilà delle differenze dottrinali mi sembra di vedere che questo messaggio è chiaro sia nel buddhismo theravada che in quello mahayana. E non solo nel buddhismo...
#493
Sul discorso libertà-responsabilità concordo perchè se non ci fosse libertà allora i giudizi morali sarebbero semplici descrizioni arbitrarie. In fin dei conti se non c'è libertà, non c'è nemmeno merito, non ha senso parlare di ricompensa, punizione ecc in fin dei conti uno che è "virtuoso" e ha "lavorato su sé stesso" era "destinato" ad essere così. Perchè dunque ammirarlo? Siamo in questo caso veramente diversi da marionette o automi?

La libertà c'è ma è condizionata. Se sono chiuso in una stanza non posso uscire, quindi non sono assolutamente libero di muovermi. Non sono libero di volare. Non sono libero dal condizionamento sociale, non sono libero dalle malattie ecc è una libertà ristretta, ma c'è. E tra l'altro questa libertà "condizionata" è causa, per noi, di molta sofferenza. Il fatto che la libertà sia condizionata è la causa, in fin dei conti, della nostra miseria e quindi in un certo senso non siamo liberi. Non è possibile per noi controllare la realtà. Anzi senza andare distanti non controlliamo  nemmeno il nostro stesso corpo visto che è destinato ad ammalarsi, decadere ecc. Motivo per cui la "libertà" condizionata che abbiamo è una sorta di "prigione". Secondo me è essenziale la libertà per la morale, per l'etica. Se tutto fosse fuori dal nostro controllo allora meriti, ricompense ecc sono concetti completamente privi di senso.

Tuttavia quando sono consapevole sono "libero" di fare qualcosa o qualcos'altro.

La scienza secondo me non può dimostrare l'esistenza del "libero arbitrio" perchè non è possibile definire un esperimento che riesca a "rilevarlo".
#494
@Il_Dubbio da un punto di vista pragmatico la questione non ha importanza. Possiamo accettare che siamo "liberi" e andare avanti (un po' come ha fatto Kant se lo conosci  :) ). Da un punto di vista logico le obiezioni di sgiombo sono impeccabili: a meno che non ci sia questo "salto" che "generi" una realtà "libera" (in parte) sono impeccabili. E lui di conseguenza (come Spinoza e Schopenhauer) prende tutte le conseguenze di ciò.

Rimane dunque da "scegliere" come fare: rinunciare alla responsabilità morale mi pare piuttosto assurdo dal punto di vista "pratico-esistenziale" (semmai si può essere aperti a ridefinirla a seconda dei contesti e delle esigenze, un po' come farebbe, credo, Angelo Cannata). A questo punto però dobbiamo, da "filosofi", nuovamente concepire una morale quando tutto va contro alla nostra "convinzione" di essere liberi. Si può fare come sgiombo e accettare che essa sia illusoria (e in un certo senso che la vera libertà è riconoscere che sia illusoria, a la Spinoza, Schopenhauer...). Viceversa si può invece ritenere di essere liberi e responsabili. Ma nuovamente è completamente assurdo pensare che il "mondo esterno" e i processi "interiori" non ci influenzino. Non siamo in realtà, in senso ultimo, artefici del nostro destino se con ciò intendiamo una libertà "incondizionata". Siccome personalmente ritengo che la libertà (intendo il "salto", il libero arbitrio) sia essenziale per parlare di responsabilità ovviamente sono nella posizione molto goffa di postulare una cosa che non esiste per dare una giustificazione a-posteriori alle mie convinzioni.

Poi tra l'altro potremo ad esempio riuscire a "dimostrare" l'esistenza del libero arbitrio? Scientificamente, per esempio, come potremo dimostrare l'esistenza del libero arbitrio? Che osservazione potrebbe farci concludere della sua esistenza?
Furono queste domande che costrinsero Kant ad accettare il libero arbitrio e l'esistenza di un "agente" in quanto dal punto di vista fenomenico è impossibile "dedurre" l'esistenza (o meno) del libero arbitrio (e personalmente anche a dimostrare la sua non-esistenza... ovviamente questo vale anche per l'unicorno rosa che vive in un mondo a noi inacessibile... però ritengo che il libero arbitrio sia una questione ben più importante dell'unicorno rosa anche se come animale è affascinante  ;D ). Si possono fare ipotesi, si possono creare modelli ma come potremo in fin dei conti dedurre dall'osservazione dei fenomeni (che è la base della scienza) il libero arbitrio? Più che altro la facilità con cui viene definito illusione solitamente deriva dall'incapacità diffusa al giorno d'oggi di ammettere l'esistenza di qualcosa solo perchè non c'è evidenza empirica (è da notare però che sgiombo, Spinoza, Schopenhauer e altri hanno ragioni ben più profonde di questa per rifiutare il libero arbitrio ;)). Sinceramente questa tendenza ad ammettere l'esistenza solo del concreto senza avere un minimo di apertura a realtà "non deducibili" dall'empiria mi sembra piuttosto un limite del pensiero moderno o addirittura (almeno in certi casi, ma ritengo in più casi di quanto si pensi) una "scusa" per non indagare a fondo la realtà...
#495
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
29 Novembre 2017, 19:34:11 PM
Citazione di: Sariputra il 28 Novembre 2017, 14:56:35 PMNon direi che è una "scusa" ma piuttosto una consapevolezza, e questa consapevolezza è posta alla fine di un cammino, non all'inizio. Ricordiamoci che stiamo parlando di un percorso spirituale, in cui l'elemento dottrinale deve calarsi nella pratica, perché solo nella pratica trova la sua verifica. Se pensiamo che dalla lettura dei testi sacri sorgono sempre innumerevoli interpretazioni ( pensiamo solo alla Bibbia o al Corano, che in più vengono considerati addirittura ispirati o dettati dalla divinità stessa che si adora...), che spesso generano divisioni e conflitti, ci rendiamo conto che la sola lettura e interpretazione di un testo, in cui il significato di moltissimi termini si è praticamente perduto nei secoli che sono passati, e il 'brodo culturale' in cui è sorto è totalmente diverso dal nostro attuale, abbiamo ben evidente davanti a noi la difficoltà... La pratica però ha la capacità di svelarci alcune cose che la sola lettura non può cogliere. A mio parere, tolta la melassa agiografica , in tutti i sutra buddhisti si respira la stessa aria. I fondamenti della dottrina sono comuni. Le sottolineature che ne hanno fatto attraverso i secoli persone diverse che se ne sono interessate non sono altro che le inevitabili differenze date dalla nostra diversità. Se, dopo appena 150 anni, abbiamo già una marea di interpretazioni del pensiero di un filosofo come Nietzsche che, con tutto il rispetto, non è un Buddha... ;D Più è complesso un pensiero, più genera inevitabilmente interpretazioni, a volte assai divergenti. Più è complessa una pratica da vivere e più ci sono inevitabili alzate di scudi... Nel caso di un Sentiero spirituale non abbiamo solo la difficoltà di interpretare correttamente i testi ( e per me non ci sarà mai un'interpretazione accettata da tutti...come avviene d'altronde anche per la Bibbia e altri testi), ma c'è la difficoltà ancor maggiore ( molto maggiore, secondo me...) di metterli in pratica, sì da avere un'intima coerenza esistenziale, che è quello che divide la spiritualità dal semplice conoscere.


Anzitutto ringrazio il Sari per la sua pazienza  ;D

"Vi è quella dimensione dove non c'è terra, né acqua, né fuoco, né vento; non vi è la dimensione dell'infinità dello spazio, né la dimensione dell'infinità della coscienza, né la dimensione del nulla, né la dimensione di 'né-percezione-né-non-percezione'; non vi è questo mondo, né un altro mondo, né sole, né luna. E lì, io dico, non vi è giungere, né andare, né rimanere; né scomparire né sorgere: non è fisso, né si evolve, senza sostegno (oggetti mentali). Questa, solo questa, è la fine della sofferenza." (Udana 8.1)

Dhammapada, 92: "Come gli uccelli non lasciano orme nell'aria la sua mente non si aggrappa alle tentazioni che gli si offrono. La sua rotta
è lo stato di liberazione senza tracce invisibile agli altri.
"

Ci sono sicuramente passi che alludono a una "realtà ultima" come quelli sopra citati. Sono tutti allusivi e poetici... Forse dopotutto c'è qualcosa di "positivo" dietro alla negatività  ::)  ::)  ::)

comunque sì... hai ragione è normale che ci siano interpretazioni conflittuali.  Forse il buddhismo è l'"apofatismo" al suo estremo...

Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere (o si può parlare solo in modo allusivo??  ::)  ::)  ::))