Citazione di: maral il 05 Gennaio 2017, 09:55:48 AMCitazione di: davintro il 04 Gennaio 2017, 23:22:07 PMIn ciò trovo diversi punti di dissenso. I limiti della mente umana, come scritto prima, impediscono certamente di giungere allo stesso livello del sapere di una mente divina e assoluta, ma non impediscono di giungere a una visione parziale ed imperfetta di tale mente.E pertanto errata, ma sempre con la pretesa di essere quella giusta. Chi dice che tale mente è sovraspaziale e sovratemporale si trova comunque nel tempo e nello spazio, altrimenti non potrebbe dire assolutamente nulla, dunque la mente sovraspaziale e sovratemporle è comunque stabilita dalle dimensioni spaziali e temporali dalle quali (temporalmente e spazialmente) ci si immagina la loro assenzaCitazioneIl punto è che accanto alla constatazione dei limiti, si potrebbe anche riconoscere un legame analogico tra l'uomo e Dio,che permette all'uomo di poter speculare sulla natura divina pur restando in una posizione inferiore e subordinata. Questa analogia è data dal fatto che ciò che si può predicare dell'uomo lo si può predicare anche di Dio, ma in misura, nell'uomo, depotenziata rispetto a Dio.Ma anche questa è una concezione posta a priori dall'uomo: c'è analogia tra me, uomo, e Dio; e chi lo dice? Io, uomo che sono certo finito, ma grazie a questa analogia con differenze solo quantitative posso parlare a proposito dell'infinito! L'infinito non ha solo una differenza solo quantitativa rispetto al finito, non è che tanto finito, faccia l'infinito.Citazionetra Dio e logica non ci può essere contrapposizione, perchè la logica è solo, per così dire, un concetto, un insieme di regole formali con cui il pensiero considera la realtà non una realtà che potrebbe entrare in concorrenza con Dio.E chi lo dice: l'uomo, Dio? La logica stessa? "La logica è solo un insieme di regole formali", e dici poco! le regole formali sono quelle che danno forma, che ci permettono di vedere, concepire e definire le cose, Dio compreso quando pretendiamo di rappresentarcelo! Già Aristotele aveva capito che nella forma c'è la sostanza. Questo Dio, principio primo dell'essere, che è la realizzazione somma della ragione, è creato dalla ragione, dunque è la ragione (ovviamente umana, dato che non ne conosciamo altre) che diventa così il principio primo dell'essere, Dio compreso. Ma lo fa di nascosto, perché ovviamente la ragione sa del suo limite e dunque non può presentarsi per quello che è, ma con una maschera divina sì, proprio come il ventriloquo che fa parlare il pupazzo.Citazionesaremo 4 gatti a pensare che molti assunti dei sistemi metafisici della classicità o del medioevo siano tuttora validi.Ma per forza che sono cambiati! E' cambiato il mondo che li concepisce, sono cambiati i modi di pensare, di sentire, di vivere! Forse che quei 4 gatti riescono a sentire e pensare come si sentiva e si pensava nel mondo classico e medioevale? Forse che si trovano fuori dal tempo così da vedere le cose come stanno e senza tempo, sub specie aeternitatis? Se tutti noi siamo figli del passato è ancor più vero che il passato è figlio del presente, è figlio del nostro modo di pensare e sentire che adesso e solo adesso così lo concepisce e se lo immagina. Quei "quattro gatti" non sostengono idee di secoli e millenni passati, ma idee di adesso che si agganciano con tanta nostalgia a un passato immaginato adesso per raffigurarsele eterne. E questo è inevitabile, perché nessuno sta fuori dal mondo in cui vive, non c'è specula o eremo che possa isolarlo, anche se vivendoci può immaginarsi di godere di uno sguardo che tutto sovrasta. E questa pretesa ce l'ha sia lo scientismo moderno, che chi si fissa sulle eterne verità teologiche di Agostino e Tommaso, perché questo pretendere di essere nella verità oggettiva è comunque un pretendere "umano, troppo umano", a testimonianza del suo umano non poter esserci mai. La differenza solo è che, dati i tempi e i contesti, il primo, nonostante si appoggi sulla stessa superstizione della verità in oggetto, appare ora ben più credibile dei secondi, a eccezione forse, che per quei quattro gatti.
Perchè una visione parziale dovrebbe essere in quanto tale errata? Se una persona conosce il mio nome e la mia città di provenienza, ma non conosce la mia famiglia, i miei amici, le mie idee, il mio stato d'animo, si può dire che certamente ha una visione parziale ed imperfetta del mio essere complessivo, ma non per questo, entro i limiti di tale parzialità non potrebbe formulare giudizi veri su ciò che di me conosce, il mio nome, la mia città. I limiti spaziotemporali sono costitutivi dell'uomo, ma l'uomo non si identifica del tutto con essi,altrimenti sarebbe solo un nulla, negatività. Invece l'uomo ha una sua positività, un insieme di potenzialità conoscitive, pratiche che lo rende partecipe dell' Essere e in quel modo simile, non identico, all'Essere nel senso pieno e perfetto del termine, Dio. I limiti spaziotemporali impediscono alla mente umana di accedere alla visione "sub specie aetarnitatis", quella dove in un solo istante si coglierebbero tutti gli eventi della storia, passato, presente, futuro, ma in virtù delle potenzialità positive possiamo comunque sapere qualcosa di Dio. Tommaso mi pare chiaro e inceppibile su questo punto all'inizio della Summa: ci sono degli aspetti della natura di Dio che la ragione può conoscere e dimostrare autonomamente (teologia naturale) e altri che restano misteriosi e che possiamo solo accettare per fede nella rivelazione (teologia rivelata) Questo paradigma del "o tutto o niente", tipico della teologia negativa, non lo condivido...
Tanti finiti non fanno l'infinito, ma la totalità dei finiti invece lo fa. E perciò la distinzione finito-infinito resta meramente quantitativa, la visione infinita, comprendente la totalità dei finiti, si distingue dalla visione di un singolo soggetto finito per essere (infinitamente appunto), più ampia, "più", dunque una superiorità quantitativa che non produce differenze qualitative, non muta l'univocità semantica della categoria (potenza, conoscenza, amore...) a cui applichiamo questi predicati, finitezza o infinità. Il pennello di Van Gogh non cessa di essere un pennello se mi metto ad usarlo io, resta inalterato il suo senso, la sua funzionalità, la sua capacità di imprimere colori su una tela. Cambia certamente la modalità di utilizzo, abissalmente più raffinata, efficace, abile se usata da Van Gogh che da me...ma resta pur sempre un pennello. Vero che la totalità dei finiti segna un confine discreto, ben preciso, tra stadio della finitezza e dell'infinito, che non si tratta di un semplice "più o meno" ma non tutte le distinzioni discrete corrispondono a distinzioni qualitative. Dunque finita, o infinita, divina o umana,la potenza, la conoscenza restano qualitativamente tali, e tale costanza qualitativa, semantica permette di impostare il discorso analogico, per il quale possiamo emettere giudizi su alcuni aspetti, non tutti, di Dio, in virtù del fatto che le categorie del giudizio mentengono lo stesso significato, sia in Dio che nell'uomo. Pensare che tali categorie siano unicamente appannaggio dell'uomo, sì che sarebbe un discorso antropocentrico, "umano troppo umano"...
Certamente il mondo cambia, ma bisogna chiarire il rapporto tra la mutevolezza del mondo e il tipo di verità a cui ci si riferisce. I giudizi sulla teologia si riferiscono a dei concetti che (a prescindere dal giudicare gli enti esistenti o meno) corrispondono a degli enti il cui significato rimanda a un piano di trascendenza rispetto alla contingenza spaziotemporale. La sfera dei principi fondamentali dell'essere, a prescindere dall'effettiva esistenza degli oggetti con cui possiamo"riempire" questo piano, Dio, l'anima ecc. attiene a un piano sovratemporale (altrimenti non sarebbero principi) e dunque non può mutare col mutare con i tempi. Un conto è l'ovvia constatazione di quanto il contesto storico-culturale influenza le nostre opinioni un conto la pretesa che esistano tante verità quante siano i contesti. La verità non è adeguazione alle opinioni, alla doxa, ma alle cose stesse oggettive, e segue la natura di tali cose, la verità riguardo i principi fondamentali del reale ne condivide i caratteri di necessità ed eternità, mentre la verità sulle cose relative e mutevoli saràessa stessa soggetta a contestualizzazione e mutamento. Proprio in questo consiste il compito della razionalità filosofica: rendere la conoscenza sempre meno vincolata ai pregiudizi storici soggettivi, che legano l'uomo alla contingenza per lasciar essere con meno filtri possibile il darsi fenomenico delle "cose stesse" nella loro oggettività. Il legame storicamente impossibile da spezzare con la contingenza fa sì che la visione delle cose stesse nella loro essenza non pervenga mai al massimo livello, alla visione "sub specie aeternitatis", fa sì che tale sforzo di aderenza all'oggettività sia una spinta inesausta, uno "streben" direbbero i romantici tedeschi, ma la verità così intesa, il sapere assoluto resta l'ideale regolativo della ricerca, l'orizzonte teleologico, mai adeguabile, ma meta ideale verso cui la conoscenza cerca di essere più possibile adeguata. C'è una differenza abissale tra la posizione della verità assoluta come ideale regolativo della ricerca filosofica e la presunzione dell'effetivo possesso nella storia di tale verità. E se la verità assoluta coincide con lo stadio della conoscenza divina, bene dice Edith Stein che "chi cerca la verità cerca Dio senza saperlo"