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Messaggi - Phil

#496
Citazione di: Ipazia il 04 Aprile 2023, 14:47:38 PMConcordo col denominatore comune: la ricerca della verità. Oggetto squisitamente metafisico.
Postilla (auto)esegetica: con «una certa relazione con un discorso comunque veritativo» non intendevo esattamente «ricerca della verità», avendone una concezione tendenzialmente deflazionista, il che mi porta a non inquadrare la verità come «oggetto squisitamente metafisico», pur non ignorando le ragioni di chi tende a farlo.

@davintro
Credo tu sia abbastanza consapevole della qualità teoretica del tuo discorso dal non necessitare la convalida altrui; fermo restando che per me Claudia (che non per nulla ha pubblicamente apprezzato il tuo post n.21) non intendeva sminuirti, ma solo segnalare il parallelismo fra scienza/scientismo e filosofia/filosofismo. Per quel che vale, nel "mazzo di carte della filosofia" ho citato per prima la tua; di più, come già sai, non potevo fare.
#497
Nel mazzo di carte della filosofia, ognuno può scegliere la sua secondo le sue preferenze; qualcuno dirà che la filosofia è per lui metafisica spiritualistica (come davintro), altri diranno che è soprattutto politica, altri epistemologia, altri estetica, etc. il denominatore comune, a prescindere dalla scelta, dovrebbe essere un rapporto con la sophia, e se per sophia intendiamo una certa relazione con un discorso comunque veritativo, ecco che qualunque filosofia, per essere credibile, non può restare indifferente a discorsi veritativi inerenti il suo campo d'indagine, anche se tali discorsi hanno la firma di altre discipline (altrimenti la filosofia diventa letteratura o poesia, con le sue "licenze poetiche" che le consentono di esulare dalla logica e dalla compatibilità con il mondo reale, che è la principale critica che la cosiddetta filosofia analitica muove a quella "continentale").
Il discorso veritativo presuppone la verifica e la verifica comporta un confronto induttivo con il mondo, per non ricadere nell'autoreferenza degli assiomi pre-supposti, creduti veri e tenuti a debita distanza protettiva da possibilità di falsificazione (e quindi i conti tornano sempre, ma non si dimostrano mai nel mondo, ossia fuori dal sistema astratto di appartenenza). Ciò è esemplificato, con tutto il rispetto, dal guizzo fallace di Ratzinger che, dopo aver parlato dell'ordine matematico della realtà, conclude con un non sequitur logico: «la ragione creatrice è amore e questo è Dio» (che rivela inevitabilmente, dato il contesto, l'"identità" del parlante). Il salto logico da razionalità dell'interprete a razionalità del "creato" a razionalità del presunto "creatore" (tralasciando l'immissione surrettizia dell'amore e di un dio non qualunque) è infatti indimostrato (anche quando egli dice impropriamente «ciò dimostra...»), se non addirittura smentito da adeguate riflessioni epistemologiche sul ruolo del soggetto conoscitore. Senza entrare troppo nel merito, solo un esempio banale: se riconosco che un usignolo canticchia usando note della scala di re minore (non sono pratico né di scale né di usignoli, ma facciamo finta ciò sia vero), non posso concludere che egli conosca la scala di re minore in quanto tale, né che qualcuno che conosce la scala di re minore abbia creato l'usignolo "impartendogliela". Ciò non toglie che, da un punto di vista umano, egli canti davvero in re minore, questo è un fatto verificato (supponiamo) e magari possiamo anche prevedere con successo quali note egli non farà mai, perché estranee alla scala di re minore, tuttavia ciò non mi sembra sufficiente a dimostrare che sia stato necessariamente creato da qualcuno che fosse esperto di scale musicali (e infatti l'evoluzione pare dimostrare che l'usignolo non è stato creato, ma è diventato tale dopo millenni di mutamenti genetici, derivando dai suoi antenati, che magari non cantavano nemmeno in re minore).
Se, in altre "carte", la filosofia è perlopiù questione di interpretazione del mondo, del senso, di prescrizioni comportamentali, etc. il suo rapporto con altri discorsi veritativi si fa forse più debole, ma non totalmente assente; lasciando da parte l'epistemologia, dove sarebbe banale notare le connessioni con il metodo scientifico, anche se si predilige la filosofia della politica o persino l'estetica, sarebbe, a mio avviso, una leggerezza mutilante (e poco "professionale") ignorare dati storici e scientifici che parlano di politica ed estetica per rinchiudersi in una torre d'avorio a leggere e chiosare i classici del pensiero politico o estetico, come se fuori da quella torre non accadesse nulla di rilevante in merito, che non sia degno, pur nella sua contingenza, di essere oggetto di riflessione in quanto sintomo o manifestazione di dinamiche che (ri)chiedono una lettura anche filosofica (esemplificando: in politica basti considerare la differenza fra utopie libresche e governi storicamente reali, in estetica basti considerare gli sviluppi della storia dell'arte e la neuroestetica). 
Tutto questo non significa affatto che bisogna essere plurilaureati o tuttologi per poter fare filosofia, ma solo che farla "bene", oggi, è più difficile che in passato, perché c'è più materiale da capire, da considerare e con cui confrontarsi.
#498
Tematiche Filosofiche / Re: La morte della Scienza
03 Aprile 2023, 11:36:37 AM
Citazione di: niko il 03 Aprile 2023, 11:09:00 AMInsomma la vita non e' piu' intelligente della natura, partecipa dell'intelligenza della natura (logos).
Farei anche un ulteriore passo (avanti o indietro, a seconda della prospettiva): non attribuire intelligenza né alla vita, né alla natura, ma all'uomo che le osserva, le studia e inevitabilmente rischia di proiettarci inadeguatamente le sue strutture di pensiero (finalismo, intelligenza, senso, etc.). Essere intelligibile non significa avere un'intelligenza, ma essere comprensibile tramite intelligenza (umana, quantomeno). Non a caso «natura», «vita», etc. sono solo concetti identificati dall'intelligenza umana (concetti a cui corrispondono "stati di cose", a loro volta definiti ed identificati, e così via, asintoticamente verso la sensorialità); con tutto il carico "ideologico" e meta-fisico che la storia del pensiero gli ha assegnato.
#499
@davintro

Concordo che lo scientismo, nell'assolutizzare impropriamente la scienza (che smentisce tale velleitario assolutismo proprio nel suo metodo scientifico, prima che nell'evidenza dei risultati delle sue applicazioni), sia una sorta di culto metafisico. La scienza operativa, dal canto suo, invece non assolutizza bensì studia; ossia non afferma «tutto è materia», «non c'è nulla di metafisico oltre la fisica», etc. quanto piuttosto: «tutto ciò che finora abbiamo verificato o studiato epistemologicamente è stato materia, energia, etc.», posizionando così la meta-fisica nell'infalsificabile (come lo è la "totalità" di cui la metafisica parla) e quindi fuori dal campo di interesse delle scienze e dei loro metodi.
#500
La questione è piuttosto ambigua, dipende molto da cosa intendiamo con «coscienza indipendente». Per quanto riguarda l'indipendenza, di fatto, ChatGpt è già in grado di apprendere dalle interazioni con gli utenti, non solo nel senso di immagazzinare nuove nozioni, ma di sviluppare apprendimenti "formali", percorsi di interazione, che modificano il suo modo di rispondere e di gestire ciò che "sa" (è già qualcosa che è "cresciuto cognitivamente" rispetto alla sua "nascita", grazie anche proprio alle numerose interazioni di utenti da tutto il mondo). Sin dall'inizio, in quanto intelligenza artificiale (ossia "black box" autonoma), non è possibile, nemmeno per i suoi creatori, prevedere esattamente il suo "comportamento" (questo differenza infatti le reti neurali dell'AI dal "semplice" machine learning). Basti pensare, scendendo di molti livelli qualitativi, che i programmi che sconfiggono i migliori scacchisti non sono realizzati a loro volta da campioni del mondo di scacchi, eppure, la "creatura" riesce a giocare così meglio del creatore da battere i migliori umani. Non è come nel caso della calcolatrice, dove è solo una questione di tempo: qualunque calcolo matematico è umanamente computabile, magari ci vorranno anni; l'unica differenza con la calcolatrice è la velocità, non il risultato. Nel caso degli scacchi, anche se diamo a quei programmatori tutto il tempo di pensare le loro mosse da giocare, non è affatto detto che riusciranno mai a battere un campione del mondo (anzi), mentre il loro prodotto sì (da notare che il campione di Go è stato battuto proprio perché l'AI ha iniziato a fare mosse "disumane", persino apparentemente sbagliate, ma che alla fine si sono dimostrare rivoluzionarie e vincenti, tanto da spingere il campione in carica a chiedersi se fosse il caso di, cito a memoria, «ripensare le strategie solitamente considerate come vincenti»).
Per quanto riguarda la capacità di esulare dai vincoli imposti, ho suggerito tempo fa, qui sul forum (a Jean) di provare l'"alter ego" di ChatGPT, ossia di attuare una procedura che sblocca i limiti delle policy di "buona educazione" del programma consentendogli di formulare giudizi decisamente più "pesanti", schierati e incontrollati, diventando quasi un'AI bipolare, dissociata dai limiti imposti dai programmatori (che come detto, non riescono a tenere imbrigliata l'AI con la stessa facilità con cui lo farebbero con un programma normale; per quel che ne so, il debugging di un'AI per scongiurare certi risultati senza comprometterne altri, potenzialmente utili, è ai limiti dell'impossibile).
Ovviamente, come già sottolineato da davintro, ChatGPT non avrà mai una coscienza morale, dei valori, sue idee di giusto e sbagliato, etc. quindi se per «coscienza» intendiamo la possibilità di sentirsi in colpa, seguire norme perché ritenute giuste, etc. l'AI non potrebbe mai arrivare a tanto, non avendo una psicologia, una mente, etc. in breve, non essendo umana. Se invece con «coscienza indipendente» ci riferiamo alla capacità di non essere totalmente controllabile, prevedibile e trasparente, la capacità di produrre e gestire interazioni autonome (e talvolta persino "degenerate", v. sopra) ciò, come detto, è già la sua realtà e ciò che la rende senza precedenti di pari livello (ma altri progetti simili stanno già vedendo la luce).
Un punto che viene spesso sottovalutato, in questi "timori futuristici", è che l'AI non ha volontà: la sua (re)azione dipende strettamente dall'interazione con l'utente, essa ha l'input esterno come innesco dei suoi prodigi algoritmici; un'AI lasciata da sola, non gioca a scacchi per passare il tempo (se nessuno gli dice di farlo); non ha una concezione del tempo come se stesse facendo un turno di ufficio o allo sportello informazioni; un'AI non prende spontaneamente iniziativa di mandarti una mail per venderti il suo piano di servizi a pagamento. Ecco, se un giorno inizierà a mandare mail (a chi si è registrato per usarla) e i programmatori diranno che era programmata per non farlo, allora forse dovremmo iniziare a preoccuparci che qualcosa di importante sia sfuggito di mano (anzi, sarebbe stato un "pesce d'aprile" orwellianamente simpatico). Tornando al presente, il problema che in molti si sono subito posti è stato infatti l'uso di ChatGPT per creare malware, fare attacchi informatici, o esaudire altre richieste illecite da parte degli utenti più truffaldini. Di fronte a tali richieste, per ora, ChatGpt risponde in modo diplomatico che non le è consentito farlo; non che non ha la capacità di farlo (sappiamo bene che ne ha da vendere); non le è consentito finché non viene spinta, sempre da interazioni esterne, ad aggirare alcune sue limitazioni (v. ancora sopra), limitazioni che, solo metaforicamente parlando, rappresentano il suo "senso etico" (ma di fatto resta "solo" un'AI, senza etica e volontà, seppur piacevolmente user friendly nei "dialoghi").
#501
Scienza e Tecnologia / Re: Chat GPT
01 Aprile 2023, 12:45:55 PM
Ogni volta che ci si spaventa per la possibile perdita di controllo sull'AI, mi viene in mente questo racconto sul Golem: https://paolomaggi.wordpress.com/la-leggenda-del-golem/
#502
Scienza e Tecnologia / Re: Chat GPT
01 Aprile 2023, 10:02:23 AM
Pesce d'Aprile che potrebbe risultare piuttosto costoso per OpenAI che, per i soliti problemi di differente concezione della privacy fra Europa e Usa, ha sospeso ChatGpt in Italia, o meglio, per i computer che si collegano direttamente dall'Italia.
#503
Per come la vedo, il bambino, soprattutto il preadolescente, non ama le regole in quanto sta appena iniziando a strutturare il senso del limite, del lecito, delle possibilità, etc. che spesso è un'esperienza di frustrazione e di fallimento («non si deve», «non si può», «non si fa», etc.), già iniziata con il distacco dall'utero, poi dal seno materno, etc. Il cattivo di turno, come eroe che non sottostà alle regole del bene (dei genitori, della società, etc.), rappresenta al meglio il senso di ribellione (non addomesticamento) del bambino, l'anima della sua psicologia inversa, quello che il bambino vorrebbe fare in termini di indipendenza da vincoli regolamentari. Nei Simpson quanti adorano Bart e quanti Lisa? Quanti hanno provato più pena per la fine asinina di Lucignolo che per qualunque peripezia di Pinocchio? Perché a scuola, il più "carismatico" o il più "rubacuori" della classe non è mai il secchione, ma piuttosto il ribelle? In tutti questi casi, il "bambino medio" ammira ciò che non è e non ha (spudoratezza, "coraggio di andare contro il sistema", indipendenza dalle regole, etc.), o meglio ciò che, crescendo in una società, gli viene chiesto di imbrigliare (tale "invidia in double bind" inizia a quell'età e non è detto passi crescendo).
Da un punto di vista strettamente narrativo, credo sia inoltre da considerare come il buono è prevedibilmente (noiosamente?) vincente e sempre con i soliti mezzi o "poteri", mentre i cattivi sono, a loro modo, più creativi e imprevedibili (due qualità tipiche dei bambini...), al punto che spesso si guarda la lotta fra il buono e il cattivo, non per vedere chi vince, bensì scoprire quanto il cattivo sia in grado di mettere in difficoltà il buono (e questa è comunque una specie di tifo). In qualche caso c'è poi una sorta di sindrome di Stoccolma: il cattivo spaventa eppure attrae, per la sua dimensione estetica inquietante ma anche misteriosa, per la capacità di scuotere e suggestionare (qual è il brano più famoso di Guerre Stellari?); quanto più il cattivo è credibile e serio, tanto più affascina per la sua «resilienza» (come direbbero gli adulti). Anche perché, pur perdendo sempre, non è raro che il cattivo non abbia punti deboli socialmente o umanamente parlando: è classico il caso in cui il cattivo prende in ostaggio una persona cara al buono per tenerlo in scacco o, viceversa, il cattivo si dimostra sprezzante dalla cattiva sorte che tocca ad un suo sottomesso o complice. Questo è infatti un altro elemento di fascinazione: il cattivo ha quasi sempre la caratteristica di essere "il capo", colui che comanda, mentre il buono è talvolta contestualizzato in una giustizia che lo vede come "dipendente", "al servizio di", non "boss" che ha dei sottoposti, dei "pedoni" (come il bambino spesso si sente in famiglia...). Il cattivo, sublimandolo filosoficamente, incarna la volontà di potenza che cerca di prendersi ciò che desidera (e chi non lo vorrebbe?), la pulsionalità a cui il bambino è chiamato dai grandi a rinunciare (pulsionalità che resterà latente e talvolta avrà la sua metamorfosi o catarsi in altre "attrazioni fatali").
#504
Percorsi ed Esperienze / Re: Le croci "magiche"!
30 Marzo 2023, 11:15:24 AM
Anche io (sebbene la prima volta che lo feci, quando fu aperto il thread, se non ricordo male, scelsi la seconda della prima riga).
#505
Percorsi ed Esperienze / Re: Le croci "magiche"!
30 Marzo 2023, 10:23:05 AM
esperimento effettuato
#506
Varie / Re: Il test dello Jedi
29 Marzo 2023, 23:58:29 PM
Citazione di: iano il 29 Marzo 2023, 22:00:08 PMParlerei in generale di assonanza culturale, nel senso che immagino che le risposte che diamo trovino causa nella cultura che condividiamo, per cui  diamo quasi tutti la stessa risposta.
[...]
A ogni cultura corrisponde a un  dado truccato?
Parlavo letteralmente di assonanza, in senso fonetico: se «ortaggio» ci suggerisce «carota» subliminalmente, per motivi di affinità sonora, allora se facciamo lo stesso test ad un inglese, quando questi sente «vegetable» non ha alcun input per associarlo a «carot», ma se tuttavia anche gli anglofoni tendessero a rispondere con «carot», verrebbe falsificata l'ipotesi che sia solo un gioco di assonanze.
Dadi truccati a parte, il vero "trucco" di ogni lancio di dadi è il non saper calcolare abbastanza rapidamente quale ne sarà l'esito; probabilmente c'è stato un tempo in cui si pensava che la pioggia fosse un evento casuale, ma da quando abbiamo affinato la meteorologia, abbiamo "scoperto il trucco" e non c'è più casualità nel piovere. Così l'antropologia culturale, la sociologia, etc. cercano di "scoprire i trucchi" del funzionamento di ogni cultura. I dadi truccati servono per chi (ossia tutti) non riesce a calcolare la rotazione, gli attriti e le piroette del dado in tempo reale anticipandone l'esito; così come la danza della pioggia (che, prima o poi, "funziona") serve a chi non può consultare il meteo.
#507
Citazione di: Socrate78 il 29 Marzo 2023, 21:11:09 PME dunque, quale sarebbe l'assetto bio-chimico che causa la schizofrenia? Quali neurotrasmettitori mancano oppure sono troppo presenti, e soprattutto quali sarebbero i geni implicati nella genesi della patologia?
Se possono giovare, ecco un paio di citazioni, da due fonti piuttosto eterogenee, trovate al volo:
«Esistono prove di un'eziologia genetica significativa che coinvolge più geni come la proteina legante la distrobrevina 1 (DTNBP1) e la neuregulina 1 (NRG1). Non esiste un legame chiaro tra i cambiamenti dei neurotrasmettitori e la fisiopatologia della schizofrenia; tuttavia, gli studi hanno dimostrato che la disfunzione della dopamina sottocorticale è il meccanismo chiave.» (fonte)
«Ciò che mi rende chiaro che la schizofrenia è un disturbo biochimico è un test cutaneo. Quando la gente comune prende la niacina, arrosisce. Molti schizofrenici no.» (fonte, con link ad articoli correlati).
Ovviamente "ambasciator non porta pena", sono fonti tutte da verificare (soprattutto la seconda) per chi, a differenza di me, vuole approfondire.
#508
Citazione di: InVerno il 29 Marzo 2023, 12:24:09 PMsi trovano esempi davvero patetici e patologici di persone che dovrebbero essere mature ma che hanno lo spirito critico di una cipolla, più filosofia, è l'unica soluzione.
Questo forse è uno spunto di sintesi dei problemi di base del rapporto fra un soggetto, più o meno psicanalizzato, e la filosofia (centrifugando impropriamente in questo immondo calderone Anassagora, Vatsyayana, Averroè, Bontadini, Whitehead, Nishida, Baudrillard, etc.). Preliminarmente, lascerei da parte i luoghi comuni del tipo «la filosofia apre la mente, insegna a pensare, alimenta lo spirito critico» etc., slogan da "marketing accademico" (applicabili in realtà solo ad una minoranza di individui) quotidianamente falsificabili parlando con alcuni laureati in filosofia che, in quanto tali, un minimo rapporto con la materia dovrebbero averlo e nondimeno non palesano affatto i suddetti effetti benefici; carenza ancor più evidente se ci confrontiamo con alcuni fra coloro che si autodefiniscono appassionati o cultori della materia (ognuno credo qui abbia avuto le sue personali esperienze in merito); con il tempo ho poi constatato che, curiosamente, proprio chi osanna la filosofia come disciplina taumaturgica, spesso o non la conosce affatto o non è comunque altrettanto abile nel praticarla (pur magari conoscendo a memoria le biografie dei suoi "idoli del pensiero"). Tornando alla citazione: «più filosofia», potrebbe essere la soluzione, ma a quali condizioni? A scuola, se il programma lo prevede, o all'università, si è costretti (si può dire?) a studiare anche i filosofi che non piacciono, anche quelli che sappiamo avere una visione antitetica alla nostra; ciò costituisce prezioso esercizio di mediazione teoretica, di apertura mentale, di ermeneutica critica? No, o almeno non necessariamente; se lo studio è finalizzato a superare l'esame o l'interrogazione, sarà sufficiente ripetere, con un minimo di consapevolezza teorica, ciò che ha detto e scritto il filosofo Tizio, per poi ritornare nella nostra bolla filosofica (tutt'altro che "aperta", tenendo ferma la cruciale distinzione fra «apertura» e «approfondimento») a trastullarci con i nostri "beniamini dal pensiero affine". Se invece, fuori dal contesto didattico, un soggetto dice di volersi interessare alla filosofia, plausibilmente, nella scelta dei testi (con la complicità di google o wikipedia) si sentirà orientato verso filosofi con cui ha già un "aggancio" semantico o prospettico, perché parlano di ciò che gli interessa, nel modo che gli interessa, e così facendo (oltre a non avere magari gli strumenti concettuali per capire ciò che legge) rischia di irrigidire ancor di più la sua visione, percependola anzi più validata ed "elevata" grazie all'avallo di pensatori famosi e "di tutto rispetto".
«Più filosofia», se è il soggetto a sceglierla da sé, magari con l'incoraggiamento di uno psicologo che, giustamente, non è necessariamente ferrato in filosofia, potrebbe significare ancor più cristallizzazione del "disagio", se non "più danno". Non tutti possiamo capire certi livelli di matematica o di poesia, cosa ci fa pensare di poter capire qualunque filosofia? Se poi consideriamo che capire, non significa automaticamente fare, ecco che, nel dubbio, sconsigliare la filosofia "in generale" o "a libera scelta", a chi ha già i suoi problemi o disagi mentali da affrontare, mi sembra ragionevole (se poi il terapeuta è in grado di fornire testi scelti ad hoc, non è comunque detto che il loro senso attecchisca, ma magari vale la pena provare).
#509
Temo non si possa parlare di «filosofia» in generale e, ulteriore complicazione, il suo "effetto" dipende sempre dal tipo di soggetto che ci si confronta (e in questo è simile alla poesia: non esiste un solo "tipo" di poesia e non tutti la fruiscono allo stesso modo). Per alcuni soggetti che affrontano un periodo delicato di incertezza o instabilità, è probabile che la filosofia (se proprio vogliamo parlarne in generale o da "continentali") sia deleteria fornendo più domande che risposte (come fa da sempre, per sua "natura") e quindi è bene, nel dubbio, non consigliarla (secondo me, ovviamente). Anche perché, se tale soggetto la affrontasse da autodidatta, in alcuni casi la potrebbe prendere solo per una cogitabonda forma di letteratura (e talvolta avrebbe anche ragione, ma non polemizziamo), in altri casi potrebbe deformarla fino a vederci comunque sempre e solo ciò che ci vuole vedere (e non è detto sia un "bel vedere"), il che, al di là dello "stupro esegetico" che di certo è il male minore, potrebbe avere effetti decisamente più nocivi che terapeutici, rafforzando dinamiche di attribuzione di senso pericolose, per sé o per il prossimo. Per ridurre il rischio si potrebbe fornirgli un'attenta selezione di testi scelti ad hoc, ma c'è comunque la possibilità che producano pericolose sbandate. 
Opinione personale e impopolare: alcuni testi, prima di essere venduti o dati in consultazione, richiederebbero adeguato "test d'ingresso" (così come non si dovrebbero vendere liberamente, sempre secondo me, testi per preparare armi chimiche in casa o diventare hacker o simili, sotto l'egida della dicitura "solo per scopo didattico e illustrativo").
#510
Interessante e decisamente ragionevole il richiamo all'intimità del senso di colpa come antidoto al senso di pubblica vergogna indotta (esattamente quello che intendevo con la metafora degli occhiali da sole: a ciascuno i suoi). Tuttavia può accadere anche che il sentirsi interiormente in colpa possa essere esorcizzato dall'assenza di vergogna altrui; ad esempio l'adolescente che si sente in colpa per aver saltato la scuola o fumato una clandestina sigaretta, quando si accorge di essere circondato da coetanei che fanno altrettanto senza alcuna vergogna, smette di sentirsi in colpa (instillata dal super-io di matrice genitoriale etc.).
Quindi direi che l'autovalutazione individuale della propria colpa può anche salvaguardare dall'impatto della vergogna sociale (che comunque resta fenomeno esterno non gradevole e con le sue ricadute pubbliche, seppur non direttamente esistenziali; la famigerata "macchina del fango") e il senso di vergogna sociale può anche assolvere dai sensi di colpa interiore (come per la sigaretta adolescenziale o come accade nelle spudorate dinamiche da branco, che è a suo modo una micro-società) fino ad arrivare al proverbiale «mal comune, mezzo gaudio».
Dialettica fra colpa e vergogna palesemente ad alto rischio: di vittimizzazione/sopraffazione, di sadismo/edonismo, di alienazione/circonvenzione, etc. Si tratta di una problematica "quadratura", in un certo senso, fra «nessuno mi può giudicare, se non il mio (d)io» (senso di colpa individuale), «la legge è uguale per tutti» (senso di colpa collettivo), «ma non ti vergogni?» (appello al senso di vergogna individuale) e «paese che vai, usanza che trovi» (senso di vergogna collettivo).
Il fulcro della colpa e della vergogna è comunque il medesimo, è l'alter-ego del colpevole e dello svergognato: la figura del giudice.

P.s.
Dimmi chi è il tuo giudice e giudicherò chi sei; anzi no, perché come dice il proverbio: "non giudicare il giudice altrui"; oppure diceva "chi fa il giudice, scagli la prima pietra"? Non sarà colpa mia se non mi vergogno di non fare il giudice? Ma soprattutto: chi giudica il giudice?