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Messaggi - doxa

#496
Riflessioni sull'Arte / Re: Cenacolo vinciano
02 Aprile 2023, 22:49:23 PM
Vi segnalo che nel mio secondo post per errore ho scritto:

"Nel 1494 Ludovico il Moro volle far decorare i lati minori del rettangolare convento dei frati domenicani", anziché 

 "refettorio". :(  
#497
Riflessioni sull'Arte / Re: Cenacolo vinciano
02 Aprile 2023, 21:27:01 PM
Per ulteriori dettagli ricolloco la foto del Cenacolo vinciano


 
 Leonardo da Vinci, Ultima Cena, 1495-1498, ex refettorio del Convento domenicano collegato alla basilica di Santa Maria delle Grazie
 
 La scena raffigurata da Leonardo è intuibile che derivi dal quarto vangelo, quello di Giovanni: c'è il "dialogo" tra Pietro e Giovanni e, diversamente dai tre vangeli sinottici, non c'è il calice sulla tavola, che viene ricordato durante la Messa per la consacrazione dell'ostia: "Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: 'Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati' " (Mt 26,27).
 
 Guardando l'immagine, sulla destra di Gesù c'è l'apostolo Tommaso col dito puntato verso l'alto. La sua figura è anatomicamente sproporzionata, ha un braccio troppo lungo, e pare collocata nell'unico spazio disponibile in modo un po' forzato. Secondo recenti scoperte sui disegni preparatori dell'opera, Leonardo per ricordarsi i nomi degli apostoli li aveva scritti sotto ciascuna figura, perciò si suppone che l'artista avesse dimenticato di inserire Tommaso e che abbia dovuto rimediare in tal modo.
 
 Altro dettaglio, dalle finestre dipinte sullo sfondo s'intravedono le montagne di colore "avio" (azzurro unito al grigio).
 
 La prospettiva creata dalla disposizione del tavolo, dagli arazzi raffigurati alle pareti e dal soffitto a cassettoni, induce lo sguardo dell'osservatore verso questo paesaggio naturale, esterno al Cenacolo.
 
 Nel suo "Trattato di pittura" Leonardo descrive la cosiddetta "prospettiva aerea", usata nel Cenacolo per realizzare i vari piani del dipinto. Tale prospettiva è qui rappresentata dallo spazio architettonico e dalla diversa cromia: colori "caldi" e tonalità "fredde", come il verde e l'azzurro.
 
 Testimonianza del modo di lavorare dell'artista per realizzare il dipinto con l'Ultima Cena l'abbiamo dal noto scrittore e vescovo Matteo Bandello (1485 – 1561), che in quegli anni era nel convento domenicano per motivi di studio. Nella novella 58, del 1497, scrisse:
"Soleva [...] andar la mattina a buon'ora a montar sul ponte, perché il Cenacolo è alquanto da terra alto; soleva, dico, dal nascente sole sino a l'imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare e il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì che non v'avrebbe messa mano e tuttavia dimorava talora una o due ore del giorno e solamente contemplava, considerava ed essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L'ho anco veduto secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava, partirsi da mezzo giorno, quando il sole è in lione, da Corte vecchia ove quel stupendo cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Grazie ed asceso sul ponte pigliar il pennello ed una o due pennellate dar ad una di quelle figure, e di solito partirsi e andar altrove".
 
 Leonardo non amava la tecnica della pittura ad affresco la cui rapidità di esecuzione, dovuta alla necessità di stendere i colori prima dell'asciugatura dell'intonaco, era incompatibile con il suo modus operandi, fatto di continui ripensamenti, aggiunte e piccole modifiche, come testimonia anche il brano di Bandello.
 
 Gli ultimi restauri hanno permesso di comprendere il suo procedimento nell'attività: dopo aver steso un ruvido intonaco e steso le linee principali della composizione con una specie di sinopia, lavorava al dipinto usando la tecnica tipica della pittura su tavola.
 La preparazione era composta da carbonato di calcio e magnesio, uniti da un legante. Prima di stendere i colori passava sulla parete un sottile strato di biacca, per far risaltare gli effetti luminosi dei colori, che venivano stesi a secco.
 
 All'inizio del 1498 l'Ultima Cena era compiuta. Lo sappiamo da una lettera scritta il 4 febbraio 1498 da fra' Luca Bartolomeo de Pacioli, noto come Luca Pacioli (matematico ed economista, fondatore della ragioneria contabile), che nel 1497 accolse l'invito di Ludovico il Moro lavorare a Milano. In questa città il Pacioli conobbe l'artista toscano, al quale chiese di realizzare dei disegni in acquerello di 60 solidi geometrici, da inserire nella "Summa de Arithmetica, Geometria, Proportioni et Proportionalita e della Divina Proportione", che scrisse anche con la collaborazione di Leonardo, poi pubblicata alla fine del 1498.
 
 Causa la guerra iniziata dal re di Francia Luigi XII contro il ducato di Milano e la rivolta del popolo milanese oppresso dalle tasse, l'1 settembre 1499 Ludovico il Moro fuggì da Milano. Scapparono anche i cortigiani. Pure Leonardo da Vinci e il Pacioli lasciarono la città per recarsi a Mantova.
 
 segue
#498
Riflessioni sull'Arte / Re: Cenacolo vinciano
02 Aprile 2023, 20:42:28 PM

L'Ultima Cena è quella che Gesù fece con gli apostoli durante la Pasqua ebraica nel cosiddetto "Cenacolo", nella zona del Monte Sion, a Gerusalemme.
 
 Il racconto degli eventi dell'ultima cena di Gesù è presente nei Vangeli sinottici e in quello di Giovanni.
 
 Leonardo per questo dipinto trasse ispirazione dal Vangelo di Giovanni (13, 21 – 26). Ha rappresentato Gesù mentre è a tavola con i 12 apostoli ed annuncia che uno di loro lo tradirà. E' il momento più drammatico della cena: 
"In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà. I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse" (Gv 13, 21 – 22).
 
 Ogni apostolo si domanda, e chiede agli altri, chi può essere il traditore: Leonardo si concentra sull'effetto che le parole di Gesù provocano sugli apostoli, sulla loro reazione.
 
 L'agitata scena raffigura Cristo al centro della tavola, ha le braccia distese, è contornato dai discepoli, disposti in quattro gruppi di tre apostoli.
 
 Il primo discepolo da sinistra è Bartolomeo, che si trova all'estremità del tavolo e sembra alzarsi di impeto all'annuncio di Cristo: egli, infatti, poggia le mani sulla mensa e protende il corpo verso Gesù.
 
 Vicino a lui c'è Giacomo Minore, che vediamo di profilo mentre tocca la spalla del più anziano Andrea, il quale alza le mani, come a volersi discolpare da qualsiasi sospetto di tradimento.
 
 Andrea con la mano sinistra, quasi a chiedere conforto, tocca la spalla del fratello Pietro, che con la mano destra impugna il coltello

 
[img]http://https://cenacolovinciano.org/wp-content/uploads/2019/06/Museo-Cenacolo-Vinciano-Dettaglio-Ultima-Cena-Pugnale-Pietro.jpg[/img]
Dettaglio del coltello
Simon Pietro con la mano sinistra tocca Giovanni e lo incita a chiedere a Gesù chi sia il traditore: "Di', chi è colui a cui si riferisce?" (Gv 13, 24)
 E Giovanni reclinandosi verso Gesù gli dice: "Signore, chi è?" .Rispose allora Gesù: 
'È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò'. E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone" ((Gv 13, 25 – 26).
 
 Giuda è raffigurato mentre poggia il gomito sul tavolo . Nella mano tiene la sacca contenente i 30 denari che ha ricevuto per il tradimento.
 
 Sulla destra, di Gesù c'è Giacomo Maggiore, che apre con sdegno le braccia mentre Tommaso, proteso verso Cristo, lo esorta a parlare tenendo l'indice della destra puntato in alto.
 
 Filippo si è alzato in piedi e, rivolto verso Cristo, porta le mani al petto con un'espressione di dolore sul volto.
 
 Vicino a lui c'è Matteo, che ruota le braccia verso Cristo. Il suo volto, però, è girato nella direzione opposta e rivolto verso Simone e Giuda Taddeo per richiamare la loro attenzione alle parole appena udite.
 
 Giuda Taddeo appare stupito. La sua mano sinistra poggia sulla tavola col palmo aperto, mentre con la destra l'apostolo indica sé stesso.
 
 L'anziano Simone, infine, con atteggiamento più pacato siede a capotavola e si rivolge a Giuda Taddeo e a Matteo.
 
 segue
#499
Riflessioni sull'Arte / Re: Cenacolo vinciano
02 Aprile 2023, 18:59:05 PM
Nel 1494 Ludovico il Moro volle far decorare i lati minori del rettangolare convento dei frati domenicani.

Su uno dei lati il pittore milanese Donato Montorfano dipinse la "Crocifissione", terminata nel 1495.

Sull'altro lato minore del refettorio Leonardo da Vinci tra il 1494 e il 1498 dipinse "Ultima cena" o "Cenacolo" (460 x 880 cm), usando la tecnica mista a secco su intonaco, incompatibile con l'umidità dell'ambiente.
 

 
Su un doppio strato di intonaco, Leonardo applicò sul muro a secco la tempera mescolata all'olio. Tale modo di procedere permise all'artista di ottenere qualità di chiaroscuri più raffinati e di ritoccare e modificare l'opera giorno dopo giorno in base a ripensamenti successivi. Ma proprio per tale motivo l'affresco fu vulnerabile e non fu possibile il tentativo di rimuovere il dipinto dalla sede originaria senza danneggiarlo definitivamente.

I restauri hanno permesso di capire che l'artista, dopo aver steso un intonaco ruvido, e disegnate le linee principali della composizione con una specie di sinopia, lavorò al dipinto usando una tecnica tipica della pittura su tavola.

Leonardo usò le espressioni dei volti, dei gesti e la postura dei corpi degli apostoli per manifestare le loro emozioni, come la rabbia, la paura, lo stupore e il dolore.
Leonardo scrisse:

"I moti delle parti del volto, mediante gli accidenti mentali,
sono molti; de' quali i principali sono ridere, piangere, gridare, cantare
[...] ira, letizia, malinconia, paura".

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#500
Riflessioni sull'Arte / Cenacolo vinciano
02 Aprile 2023, 18:29:35 PM
Comincia la "Settimana Santa" e Venerdì ci sarà la "Celebratio passionis Domini".
L'evento fa volare il mio pensiero a Milano e al "Cenacolo vinciano".

Milano, Basilica di Santa Maria delle Grazie, prospetta sull'omonima piazza; sulla destra si vede un tratto di Corso Magenta.

Questa chiesa, dell'Ordine dei frati predicatori Domenicani, è adiacente al convento  con l'ex refettorio (diventato proprietà del Comune di Milano), nel quale si può ammirare il dipinto leonardesco dedicato all'Ultima Cena (o Cenacolo).
Questo complesso religioso fu avviato nel 1460. In quell'anno il conte Gaspare Vimercati (uno dei più influenti personaggi dell'entourage di Francesco Sforza, come consigliere di guerra, comandante delle milizie e gestore "di fatto" delle finanze sforzesche) concesse l'area in precedenza usata dal Vimercati per l'alloggiamento dei suoi reparti militari. Su quel terreno c'era anche una cappella dedicata alla Madonna delle Grazie.
Il Vimercati elargì ai Domenicani il denaro necessario per la costruzione del convento e la chiesa, che, come la cappella, fu dedicata  a Santa Maria delle Grazie.
Il progetto fu redatto dall'architetto Guiniforte Solari. I lavori cominciarono nel 1463.
Il convento fu completato nel 1469, la chiesa nel 1482.
Nel 1492 la basilica fu ingrandita perché il duca di Milano, Ludovico Maria Sforza, detto "il Moro",  la scelse per farne il mausoleo della propria casata.
Nel progetto di ampliamento forse partecipò il noto architetto Donato Bramante.
Furono aggiunte absidi di forma circolare, la cupola, un chiostro, un refettorio più grande per il convento.
La chiesa è caratterizzata da sette cappelle di forma quadrata, le quali sono disposte su ciascun lato: esse sono state realizzate quasi tutte dal Solari, ad eccezione dell'ultima dedicata alla Vergine delle Grazie.


veduta parziale dell'interno basilicale

Nel convento ci sono tre chiostri: quello sul lato nord è adiacente alla chiesa. Invece il refettorio è nel lato sud: nel suo interno è possibile ammirare "La crocifissione" (dipinto realizzato dall'artista milanese Donato Montorfano) e la celebre "Ultima Cena", realizzata da Leonardo da Vinci.


il "Cenacolo" com'era prima del restauro

 

"Ultima Cena" dopo i lavori per il restauro
 
L'ultimo intervento di restauro ha permesso di recuperare solo in parte il dipinto originale, rovinato sia a causa degli inadatti materiali utilizzati dall'artista sia per colpa dei vari restauratori che nei secoli XVII e XVIII eseguirono alcune ridipinture "estetiche". Ad esempio, quasi tutta la testa di Giuda è rifatta, dell'originale viso di Giovanni ne resta solo un decimo (le scaglie più chiare della parte alta del viso), e di Pietro solo la parte della fronte e dello zigomo.

Nel 1517, secondo la testimonianza di Antonio de Beatis, "è excellentissima, benché incomincia a guastarse non so se per la humidità che rende il muro o per altra inadvertentia".

Nel 1568 Giorgio Vasari scrisse che il dipinto è "tanto male condotto che non si scorge più se non una macchia abbagliata".

Per Francesco Scannelli, che descrisse il Cenacolo nel 1642, non erano rimaste dell'originale che alcune tracce delle figure, e anche quelle così confuse che solo a fatica se ne poteva ricavare una indicazione del soggetto. Proprio perché considerato ormai perduto, i Domenicani del convento nel 1652 non esitarono ad aprire una porta per dare accesso alle cucine, tagliando le gambe di Gesù e di due apostoli.

Tra il 1796 e il 1801 il refettorio venne adibito a scuderia per i cavalli dei soldati napoleonici, i quali alcuni di loro scagliarono pietre contro il dipinto che distrussero i corpi degli apostoli. Con punte metalliche sfregiarono anche gli occhi. Successivamente inesperti restauratori ridipinsero tutta l'opera.

Infine, il 16 agosto 1943, nel corso della seconda guerra mondiale, il convento di Santa Maria delle Grazie venne bombardato e il refettorio quasi completamente distrutto; il Cenacolo si salvò perché protetto da una impalcatura di tavole di legno e sacchetti di sabbia.
 

 
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#501
Tematiche Filosofiche / Re: Narciso
30 Marzo 2023, 22:31:22 PM
Il "narcisismo interiore" rappresentato dal mito di Orfeo ?

Narcisismo  collegato alla creatività e scollegato dall'amore ?

Che ne pensi dell'amore tra Narciso e l'oreade Eco ?


Nicolas Poussin: Eco e e Narciso, 1629

#502
Aspirante ha scritto
CitazioneIo non sono così sicuro che questa sia l'unica vita che abbiamo. Che senso avrebbe? Secondo me questa vita è una delle tante, effetto di quelle precedenti e causa di quelle future.
Ciao Aspirante, ma è proprio necessario credere o illudersi che dopo questa vita ce ne siano altre ? Nel tuo caso come risarcimento !

Sperare  di continuare a vivere post mortem con altre modalità serve soltanto a non accettare la finitudine e ad alimentare la necessità  dell'oltrevita, della consolazione religiosa di qualsiasi tipo.

So che dovrò morire ma non ne faccio un dramma. Così vuole la natura e così sia. Non ho bisogno di sperare o credere nell'aldilà o in vite successive.  ::)
#503
Ultimo libro letto / Re: Il sorriso di Caterina
23 Marzo 2023, 21:15:13 PM
/2

Il prof. Carlo Vecce lo scorso 19 marzo sul settimanale "Domenica" del quotidiano "Il Sole 24 Ore" ha pubblicato un articolo per la presentazione del suo libro, titolato "Il sorriso di Caterina. La madre di Leonardo" (Giunti editore).

L'autore ha preferito la forma romanzata per unire realtà e fantasia, quando serve, per sopperire alla mancanza di documenti probatori.

La commovente presentazione è un soliloquio di Vecce, che immagina di parlare con Caterina, la madre di Leonardo da Vinci.

L'articolo è questo:

"Caterina. Sei lì in piedi, e mi guardi. Non parli, perché sai che non capirei nulla di quella tua lingua antica come il mondo, la lingua di un popolo perduto che forse anche tu hai dimenticato. Preferisci restare così, in silenzio. Quello che hai da dire, sai comunicarlo benissimo senza parole. Con quegli occhi azzurri e profondi come il cielo delle tue montagne.

Ricordo la prima volta che ti ho vista. Non ti cercavo. Sei arrivata tu, quasi per caso. Ero sepolto in un archivio, la testa dentro le carte di un notaio fiorentino vissuto qualche secolo fa. Un tipo meticoloso, preciso, noioso: era il suo mestiere. Scrittura ordinata, sempre uguale. Ma quel giorno la penna correva per conto suo, dal calamaio alla carta, e ogni tanto la mano tornava indietro, cancellava, correggeva. Un giorno agitato, per lui, quel 2 novembre 1452, pochi giorni prima della festa di san Leonardo, il santo che libera i carcerati e gli schiavi. Il notaio sta rogando infatti la liberazione di una schiava, a istanza della gentildonna sua padrona: 'Caterina filia Jacobi, schlava seu serva de partibus Circassie': (= Caterina figlia di Jacob, originaria della Circassia).

Eri tu, Caterina, presente per dare la tua muta accettazione, e poi te ne sei andata, caricando su un carretto le povere cose che la padrona ti ha donato insieme alla libertà: una lettiera, una cassa con due serrature, una còltrice, un paio di lenzuola e una coperta. Nient'altro possedevi, perché, fino a un'ora prima, eri anche tu un oggetto posseduto da qualcun altro.

Non riuscivo a credere a quello che leggevo. Quel notaio era ser Piero da Vinci, il padre di Leonardo, avuto da una donna chiamata Caterina. Di lei si sapeva poco o nulla: e cioè che aveva venticinque anni quando partorì Leonardo il 15 aprile 1452, e che poi l'hanno maritata a un contadino di Vinci dal nome poco raccomandabile, l'Accattabriga, e che ha avuto altri figli da lui, e che a più di sessant'anni ha avuto il coraggio di partire e andare da suo figlio, a Milano, per morire tra le sue braccia.

Niente è più segreto di un'esistenza femminile, e nessuna esistenza sembra più segreta di quella della madre di Leonardo, come se di lei fosse stato tutto sistematicamente cancellato, dimenticato. Perché? Nessuna traccia, nessun legame col territorio di Vinci prima del 1452, niente di niente. Da dove veniva? Girava anche l'ipotesi che fosse una schiava. Non ci avevo mai creduto. Mi sembrava assurdo. La madre di Leonardo da Vinci, il più grande genio della storia, una schiava, una straniera? Che ci faceva una schiava a Firenze, nello splendore della civiltà del Rinascimento?

Sei tu, Caterina? È veramente possibile che il 2 novembre 1452 fossi tu lì «presentem et acceptantem» con la forza della vita e dell'amore, e in braccio il piccolo Leonardo di nemmeno sei mesi, che frignava perché voleva il latte? E che di fronte a te ci fosse quel notaio che era anche suo padre, il tuo Piero, che cercava di scrivere vincendo l'emozione? E tu lo guardavi e ti chiedevi che cosa c'era dentro il suo cuore? Mi sono fermato, ed è stato in quel momento che, per la prima volta, ti ho vista."

Dovevo capire, continuare a cercare. Negli anni, ti ho inseguita ovunque, e ho inseguito tutti i nomi che trovavo in quei documenti: la tua padrona; il cavaliere che ti aveva affittata come balia nello splendido palazzo fiorentino dove hai fatto l'amore con Piero e che è oggi il Museo Galileo; l'avventuriero che ti aveva portato a Firenze.

Ho cercato di dare un volto e una voce a ognuno di loro, ho cercato di legare le loro storie in un'unica storia: la tua storia. Una storia incredibile, impossibile, che si avvolgeva all'indietro senza fine, nel tempo e nello spazio: da Venezia a Costantinopoli, da Trebisonda alle colonie genovesi del Mar Nero, fino al Mare d'Azov e alla foce del Don, all'ultimo avamposto veneziano della Tana, punto d'arrivo della Via della Seta settentrionale, luogo d'incontro e scontro di popoli e civiltà, gli Sciti,i Bizantini, i Mongoli, i Tartari dell'Orda d'Oro, i Russi, i Turchi.

Il tuo mondo mitico e selvaggio si estendeva al di là di tutto questo, al di là della Storia, sulle valli e sugli altipiano del Caucaso scavati dalla forza di acque primordiali, fino alla doppia cima bianca dell'Elbruz, il sacro Oshamako.

Sei nata libera su quelle montagne, hai imparato ad amare la vita e le creature e a capirne i linguaggi, a cavalcare e tirare con l'arco, a danzare l'islamey. E' così che ti ho immaginato, luminosa come la principessa Bela di Lermontov.
Poi un giorno, come Bela, hai perso la libertà. Qualcuno ti ha trascinato dentro la storia. Hai attraversato il mare, ma non era un viaggio di piacere. Non eri più un essere umano, eri diventata una merce, registrata sui libri contabili come una "testa". E a questo punto la tua storia non ha più niente di esotico e fascinoso. E' la storia della schiavitù, lo scandalo, lo specchio nero della globalizzazione, lo sfruttamento del lavoro umano e delle risorse naturali, l'omologazione e la cancellazione delle culture, delle lingue, delle libertà.
E' cominciata allora, sulle navi dei mercanti in giro per il Mediterraneo, ed è andata avanti sull'Oceano, nel nuovo mondo scoperto da Colombo. E' questo che ci sconvolge, Caterina.

La tua storia, la storia di una ragazza a cui era stato rubato tutto, la libertà, il futuro, i sogni; è la realtà di oggi, e tu ci costringi a guardarla in faccia, una buona volta, ad aprire gli occhi.

E Leonardo, tuo figlio ? E' italiano solo a metà. Per l'altra metà, forse la migliore, è figlio di una schiava, una straniera al gradino più basso della scala sociale e umana, una donna scesa da un barcone e venuta da chissà dove, senza voce né dignità, che non sapeva né leggere né scrivere e che a stento parlava la nostra lingua.

Leonardo non appartiene in esclusiva a una singola nazione o civiltà. Appartiene a tutta l'umanità.

E tu, Caterina, cosa hai donato a quel piccolo bastardo bello come il sole e puro come l'acqua, oltre alla vita e all'amore ? Il tuo più grande desiderio: lo spirito di libertà, che per lui è diventata libertà assoluta di ricerca della verità e della bellezza, al di là di ogni costrizione, confine, pregiudizio morale o sociale.

E poi, l'amore per l'altra grande madre, la natura, e per la vita in tutte le sue forme, le piante e gli animali, le piccole persone del creato, i cavalli e gli uccelli del cielo.
E forse ancora la straordinaria disposizione all'immaginazione creatrice, come quando raccontavi al bambino le saghe del mondo favoloso da dove eri venuta, e gli facevi vedere, con gli occhi della fantasia, la tua altissima montagna sacra, Oshamako la montagna dell'Annunciazione.
Ma sarà il tuo sorriso, dolce e ineffabile, il dono più bello, che lui ha serbato in fondo al cuore. Con l'illusione di ritrovarlo, un giorno nel volto di una donna chiamata Lisa" (= Monna Lisa, la Gioconda).
#504
Ultimo libro letto / Il sorriso di Caterina
23 Marzo 2023, 21:11:38 PM
Dal 15 marzo è in vendita il libro titolato "Il sorriso di Caterina. La madre di Leonardo" (pagg. 528, euro 19), scritto da Carlo Vecce, docente di letteratura italiana all'Università di Napoli, studioso di Leonardo da Vinci.

Il prof. Vecce ha rinvenuto nell'Archivio di Stato di Firenze un documento notarile del 2 novembre 1452 che in parte modifica la biografia di Leonardo da Vinci, che nacque ad Anchiano (frazione del Comune di Vinci) il 15 aprile 1452 e morì ad Amboise (un Comune francese) nel 1519.

L'atto notarile fu rogato da Piero da Vinci, padre di Leonardo, su istanza di Ginevra d'Antonio Redditi, moglie di Donato di Filippo di Silvestro Nati, proprietaria della schiava di nome Caterina "filia Jacobi eius schiava seu serva de partibus Cirassie".


Questa Caterina era la ragazza che poi divenne la madre di Leonardo.

Il documento attesta la liberazione dal vincolo schiavile della giovane da parte della sua padrona, donna Ginevra.

Quindi la madre di Leonardo, diversamente da quanto creduto fino a poco tempo fa, non era un'umile ragazza della campagna toscana, ma originaria della Circassia, regione del Caucaso e giunta a Firenze come schiava.

L'autore del libro ha idealmente ricostruito il viaggio di Caterina dalle montagne del Caucaso fino al Mare d'Azov, alla foce del fiume Don. Qui venne fatta imbarcare e dopo aver attraversato il Mar Nero, nel 1439 arrivò a Costantinopoli dove fu comprata da mercanti veneziani.

Giunta a Venezia, nel 1442, quando aveva circa 15 anni, venne acquistata come schiava dal suddetto commerciante Donato Nati, che a Firenze abitava a ridosso della chiesa di San Michele Visdomini.

Il Nati poi dette la ragazza "in affitto" al notaio Piero da Vinci, perché le serviva come balia a Maria, la sua prima figlia.

Caterina riceveva 18 fiorini all'anno, un costo elevato in quell'epoca per la mansione servile, ma secondo il prof. Vecce bisogna tener presente che la ragazza veniva anche "usata" sessualmente dal notaio, che aveva l'abitazione a Firenze nel Palazzo Castellani, oggi sede del Museo Galileo Galilei.

Leonardo fu il primogenito del notaio Piero ma non di Caterina, perché in precedenza la ragazza aveva avuto un figlio da un altro, secondo quanto scritto nelle "Ricordanze" dal letterato umanista Francesco di Matteo Castellani.

In seguito Caterina sposò Antonio Butti, detto "attaccabrighe", e visse vicino a Vinci, dando alla luce altri cinque figli: quattro femmine e un maschio. In totale ebbe 6 figli, compreso Leonardo.

Quando le morì il marito, la donna si trasferì a Milano e visse con il figlio, scienziato ed artista, in quegli anni al servizio di Ludovico il Moro.

In uno scritto del 16 luglio 1493 Leonardo dice che la madre è con lui.

L'anno dopo annota che è morta tra le sue braccia e che per il funerale spese 120 soldi.

Fu sepolta a Milano, forse nella chiesa di San Francesco Grande, che custodiva le reliquie di alcuni santi e vi furono sepolti numerosi appartenenti di famiglie nobili milanesi, come i Borromeo, i Moriggia e i Corio.

In quel tempo Leonardo era impegnato in questa chiesa per dipingere nella Cappella dell'Immacolata Concezione la seconda versione della "Vergine delle rocce", commissionata dalla locale Confraternita dell'Immacolata Concezione di Maria.

Nel 1806 sia la chiesa sia l'annesso convento francescano furono demoliti per consentire la costruzione di una caserma, che attualmente sta subendo la ristrutturazione perché in parte serve come ampliamento dell'Università Cattolica.

Durante gli scavi al di sotto della caserma sono tornati alla luce i resti della chiesa di San Francesco Grande, vari luoghi di sepoltura e le volte di alcune cappelle, fra le quali quella dedicata all'Immacolata Concezione. Di questa sono emersi il muro al quale era addossato l'altare, il pavimento, la cripta (con confusi resti umani di antiche sepolture, forse anche di Caterina), i frammenti di cielo stellato dipinto sulla volta dagli Zavattari: una famiglia di pittori, attivi in Lombardia nel XV secolo. Avevano a Milano la loro bottega d'arte.

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#505
Riflessioni sull'Arte / Re: Agnus Dei
21 Marzo 2023, 21:41:28 PM
Ciao Taurus, grazie per le tue informazioni che mi permettono di ampliare la conoscenza in merito.

A proposito dell'apostolo ed evangelista Giovanni, puoi darmi chiarimenti sul versetto 23, capitolo 18 dell'Apocalisse ?

"In te non brillerà più luce di lampada,
e non si udrà più in te voce di sposo e di sposa;
perché i tuoi mercanti erano i prìncipi (=governanti)  della terra
e perché tutte le nazioni sono state sedotte dalle tue magie".
 
Magie in che senso ?

Ho letto che la parola "magia" entrò a far parte del vocabolario greco in seguito ai contatti con la Persia: nella religione zoroastriana, il mago era un sacerdote esperto in pratiche taumaturgiche e astrologiche.

Erodoto, (Storie I, 101) informa che i maghi appartenevano ad una specie di setta  deputata a svolgere, per conto del re, riti funebri, divinazione e profezie.
 
Nell'antica Grecia un rituale simile al capro espiatorio era denominato "pharmakos" (plurale "pharmakoi"). Mirava ad ottenere la "purificazione" mediante l'espulsione dalla città di un individuo, ugualmente detto "pharmakos" (= maledetto).

Nei casi di crisi socio-economica, politica, religiosa o di una calamità naturale sceglievano uno o due individui come "capro espiatorio". Questo  veniva percosso oppure  espulso dalla comunità, forse  a volte uccisi.

Il rito di purificazione aveva la funzione di scongiurare le conseguenze nefaste nella polis. Esso consisteva nella cacciata dai confini della città di due uomini o di un uomo e una donna. Di solito venivano scelti  tra chi aveva commesso un grave reato. L'usanza era scaturita dall'opinione che si potesse trasferire il male (fisico e/o morale)  sopra un oggetto, un animale o un individuo che, poi, doveva essere  allontanato e/o ucciso.

Il poeta e filologo Callimaco di Cirene (310 a. C. circa – 235 a. C. circa) narra che ogni anno veniva scelto un individuo, nutrito a spese pubbliche, poi con le sassate veniva espulso dalla città.

Dallo scrittore ellenico Istro (III secolo a.C.) e dal grammatico Ellàdio (IV secolo d.C.)  si apprende che ad Atene e in altre località della Ionia durante le feste denominate "Thargelia", in onore di Apollo,  il 6 e il 7 del mese Thargelion (maggio) erano soliti espellere dalla comunità una coppia di persone che avevano commesso dei reati affinché la città fosse purificata.  

Il rituale comprendeva  anche un sacrificio in onore della dea Demetra e una processione.

Col tempo il termine Pharmakos venne ampliato di significato  e derivò il termine pharmakeus,  per indicare  una pozione magica, una droga,  ma anche il guaritore, il mago.

Un'altra variante semantica  è "pharmakon" che significa pianta curativa, veleno o droga. Da questa variante deriva il termine moderno "farmacologia".

Nell'Ellade venivano distinti  tre diversi tipi di magia :la pharmakéia, la maghéia e la goetéia.

Pharmakéia:  era quella collegata alla conoscenza delle erbe e dei loro principi medicamentosi (gli attuali erboristi). I cosiddetti "maghi" (maschi e femmine) si dedicavano come attività lavorativa alla farmacopea.  Per curare i malanni usavano erbe medicinali da somministrare ai pazienti e praticavano riti e rituali per invocare l'intervento di varie divinità al fine di guarire l'individuo.

Maghéia: era l'attività di derivazione ermetica, orientale, cabalistica, tramite la quale l'uomo colto poteva avvicinarsi ai misteri divini, alla ricerca della conoscenza e della perfezione.

Goetéia: era invece la cosiddetta "magia nera", tramite la quale si commettevano anche dei crimini.

Un diffuso pregiudizio nei confronti delle donne voleva che queste fossero le più capaci nella  di goetéia; pregiudizio che continuò nel Medioevo tra le popolazioni,  anche per "merito" dei clerici e tenuto presente nei tribunali dell'Inquisizione.

Nell'antica Roma c'era il terrore delle streghe; ne è testimonianza il racconto che fa Trimalcione ai suoi commensali durante la cena descritta da Petronio Arbitro nel Satiricon, in cui un ragazzo muore e il suo corpo viene martoriato dalle streghe. Petronio conclude dicendo: "Esistono donne che sanno cose che noi non immaginiamo nemmeno, maghe notturne capaci di capovolgere l'ordine naturale delle cose".

Pure Apuleio nelle "Metamorfosi" descrive una donna nell'atto di compiere riti magici nel chiuso del suo antro-laboratorio dove "Fanno bella mostra membra in gran copia strappate ai cadaveri dopo il compianto funebre e persino dopo la sepoltura".

In ambito cristiano,  negli Atti degli Apostoli è citato il mago  Simone:  "C'era da tempo in città un tale di nome Simone, dedito alla magia, il quale mandava in visibilio la popolazione di Samaria, spacciandosi per un gran personaggio. A lui aderivano tutti, piccoli e grandi, esclamando: "Questi è la potenza di Dio, quella che è chiamata Grande" (At 8, 9 – 10).

Il mago Simone dopo aver ascoltato le prediche del diacono Filippo si convertì al cristianesimo e decise di farsi battezzare. Successivamente, volendo aumentare i suoi "poteri", offrì  del denaro agli apostoli Pietro e Giovanni: Simone, vedendo che per l'imposizione delle mani degli apostoli veniva dato lo Spirito, offrì loro del denaro, dicendo: "Date anche a me questo potere, affinché colui al quale imporrò le mani riceva lo Spirito Santo".  Ma Pietro gli disse: 'Il tuo denaro vada con te in perdizione, perché hai creduto di poter acquistare con denaro il dono di Dio' " (At 8, 18- 20).

Dal nome di questo cosiddetto "taumaturgo" e dal suo tentativo di poter commercializzare in modo peccaminoso beni sacri spirituali deriva il sostantivo "simonia": questa parola allude alla compravendita di cariche ecclesiastiche o l'acquisizione di beni spirituali in cambio di denaro.

Dante Alighieri nella "Commedia" collocò i simoniaci fra i dannati nella terza bolgia dell'ottavo cerchio nell'Inferno (Canto XIX).  Sono condannati a restare capovolti all'interno di fori nella roccia, con una fiamma rossastra che brucia sui loro piedi. Quando sopraggiunge un nuovo dannato entra in uno dei fori e fa  sprofondare in basso gli altri. Tale pena segue questo  contrappasso: come in vita "calpestarono" lo Spirito Santo  vendendo i posti ecclesiastici, ora lo Spirito Santo (sotto forma di fiamma) brucia loro i piedi.
 

Gustave Doré, Dante e Virgilio nel cerchio dei simoniaci.
#506
Riflessioni sull'Arte / Agnus Dei
19 Marzo 2023, 17:47:39 PM

Francisco de Zurbaràn, Agnello di Dio, 1635 – 1640, olio su tela, Museo del Prado, Madrid.

Sfondo nero e una tavola grigia,  sulla quale è posato un agnello di razza merinos con le zampe legate in una postura sacrificale. L'animale sembra rassegnato al suo ferale destino.

Al luminoso vello si oppone lo sfondo tenebroso. È il modo in cui l'artista spagnolo ha raffigurato il "peccato" a cui si oppone la vera luce, quella che dà vita. Gesù/Dio è infatti Colui che toglie il peccato del mondo.

Dell'Agnus Dei,  diffuso soggetto devozionale nel '600,  il pittore  Zurbaràn  dipinse alcune versioni, per esempio l'agnello con l'aureola sul capo, simbolo di beatitudine.


Francisco de Zurbaràn, Agnus Dei, 1635-1640, Museum Of Art, san Diego (Stato della California, U.S.A.)

Il  mansueto agnello con le zampe legate ha l'aureola sul capo come segno di divinità: è l'Agnus Dei, che obbedì al volere del Padre per la salvezza dell'umanità dal peccato.

Vi faccio leggere quanto scrisse  il giornalista e saggista Goffredo Fofi in un articolo sul quotidiano "Avvenire"  del 14 aprile 2017  titolato "Il monito dell'Agnus Dei di Francisco de Zurbaran". Condivido l'opinione di Fofi.

"Farò la figura dell'ingenuo, ma della bellissima festa della Pasqua c'è una cosa che mi ha sempre disturbato: il massacro degli agnelli e dei capretti, a migliaia, forse addirittura a milioni, che accompagna il pranzo domenicale, la festa della Resurrezione. 

Il sacrificio di Gesù mi è chiaro, e mi è abbastanza chiara la simbologia che lo accompagna nei riti della tradizione cristiana, ma non riesco ad accettare che ne debba conseguire la sofferenza e la morte dei animali che sono le più innocenti, probabilmente, tra le creature viventi. 

Agnelli e capretti sono i piccoli di due specie vegetariane (come vegetariano è l'asino che porta Gesù a Gerusalemme) ma che, proprio per questo, per la loro mitezza e scarsa aggressività da cui consegue la loro difficoltà a difendersi, sono da sempre, nell'ordine imperfetto della natura, le più facili prede delle specie carnivore, uomini compresi, ma sono anche, sempre per la loro mitezza, oggetto di singolari attenzioni umane, dei pastori e non solo, proprio perché emblema dell'innocenza. 

Anche i pastori più buoni e più amanti del loro gregge sono abituati a ucciderli e mangiarli o a venderli perché altri li uccidano e li mangino, come accade massicciamente proprio in questi giorni. 

E' la loro innocenza e il loro candore ad aver scelto gli agnelli (e i capretti) come simbolo dell'innocenza di Gesù, perché il suo sacrificio ricorda il loro, e in qualche modo lo rispecchia. 

Una delle pitture più sconvolgenti è per me, dalla prima volta che ne vidi una riproduzione, l'Agnus Dei di Zurbarán, un quadro di piccole dimensioni che mostra un agnello le cui zampe sono legate insieme da una corda, e che attende senza reagire, candido e puro, che arrivi qualcuno a ucciderlo (sono state "incaprettate" legando loro insieme mani e piedi, nell'uso mafioso e nel linguaggio giornalistico che ne è derivato, molte vittime del crimine, in ambiente appunto di tradizione pastorale). 

L'Agnus Dei è Gesù, l'agnello sacrificale. Ma mentre questo dovrebbe allontanarci dal massacro degli agnelli, accade da secoli che per la Pasqua si sia noi a sacrificare gli agnelli, per mangiarceli (e questo accade in molte altre religioni). 

Credevo da piccolo che uccidendo l'agnello si tornasse a uccidere Gesù, e continuo a non capire perché, per evocare quel sacrificio, se ne dovessero compiere tanti e tanti altri, ogni anno, a danno delle più innocenti tra tutte le creature del regno animale, e credevo fosse invece dovere del cristiano proteggere e amare e salvare l'innocente agnello, come un modo per onorare Gesù. 

Gli antropologi e teologi hanno certamente delle risposte, ma ciò nonostante io continuo a sognare che a Pasqua, e sempre, si uccidessero meno innocenti, sia umani che animali, e che anzi non si uccidesse nessuno. Mentre la nostra epoca continua a coniugare, con nuova estrema violenza la barbarie tecnologica (l'atomica) senza affatto rinunciare alle barbarie primordiali".
#507
Ultimo libro letto / Re: Capro espiatorio
19 Marzo 2023, 14:58:02 PM
 
Buongiorno  "Ricercatore".  :)

Ricercatore anche sinonimo di "trovatore" compositore ed esecutore di testi poetici e melodie ? 

Si, hai ragione, per leggere "Il capro espiatorio" di René Girard ci vuole pazienza. Spazia su vari temi, a volte in modo prolisso.

Per argomentare nel mio thread mi son limitato a quello nell'ambito giudaico-cristiano.
Ciao
#508
Ultimo libro letto / Re: Capro espiatorio
19 Marzo 2023, 12:34:41 PM
Ciao Bob,
la motivazione metafisica ? Fa venire il mal di testa !  ;D

Aiutami a capire. Perché nella scelta del "capro espiatorio" subentra la menzogna: "sempre presente nel voler colpire l'innocente" ?

Se la scelta è condizionata,  il problema mi sembra che sia psicologico e antropologico, non filosofico, non metafisico.

Sto pensando a Gustave Le Bon e al suo noto libro "Psicologia delle folle". L'autore analizza il ruolo ambivalente delle masse che non hanno la visione d'insieme di un evento e si lasciano trascinare da un leader nefasto:  sono pronte a farsi uccidere per il trionfo di un ideale oppure ad uccidere o a distruggere come vile atto vandalico.

La domanda è: perché ? La motivazione è psicologica o metafisica ? A me sembra psicologica.

Anche se la menzogna"  serve "a deviare la colpevolezza da me ad un altro", la questione rimane psicologica non metafisica.

Hai aggiunto ?

CitazioneNon sono infatti io, proprio io, il colpevole dei mali del mondo?

Il mondo che non è come dovrebbe essere, non sarà forse a causa mia?

Un fardello gravoso da reggere. È allora facile cadere nella tentazione di attribuire la responsabilità ad un altro.

Il capro espiatorio è una espressione della difficoltà del molteplice nell'accettare di essere
Uno.

La parte che ho quotato mi fa pensare alla psicopatologia, al masochismo, a quei  ferventi cattolici che si colpevolizzano per i mali del mondo e non alla metafisica.

Un bel saluto
#509
Ultimo libro letto / Re: Capro espiatorio
18 Marzo 2023, 19:04:28 PM
Dal Vangelo di Luca 23, 1 – 5):

1"Tutta l'assemblea si alzò, lo condussero da Pilato
2e cominciarono ad accusarlo: Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re.
3Pilato lo interrogò: Sei tu il re dei Giudei?. Ed egli rispose: Tu lo dici.
4Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: Non trovo nessuna colpa in quest'uomo.
5Ma essi insistevano: Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui".

Dal Vangelo di Giovanni (18, 22 – 23): "...una delle guardie che gli stava vicino dette uno schiaffo a Gesù, dicendo: 'Così rispondi al sommo sacerdote?' Gesù gli rispose: 'Se ho parlato male, dimostra il male che ho detto; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?' ".

L'evangelista Giovanni introduce il personaggio della moglie di Pilato per rendere a costui più difficile la decisione se salvare o meno Gesù.

La moglie chiede al marito di resistere alle richieste della folla. 

In questo modo l'apostolo Giovanni vuole evidenziare che Pilato è fra due poli di attrazione mimetica: da un lato la moglie che vuole salvare Gesù, dall'altro la folla. Nonostante il legame tra moglie e marito, è la folla a vincere.

Pilato ha il potere di liberare Gesù ma la folla influisce sulla sua decisione ed ecco l'unanimità dell'assassinio collettivo.

Affinché la rappresentazione persecutoria raggiunga la massima efficacia, bisogna che avvenga nelle circostanze più difficili e sfavorevoli alla verità.

Ai Vangeli interessa indicare l'unanimità dei persecutori.

Secondo Girard i Vangeli rivelano il meccanismo del capro espiatorio e la sua natura inconscia.

La frase che definisce l'inconscio collettivo di tipo persecutorio è: "Padre mio, perdonali perché essi non sanno quello che fanno" (Lc., 23, 34).

A Gerusalemme l'apostolo Pietro rivolgendosi alla folla disse: "Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi" (At 3, 17). In questa frase sono evidenti due aspetti:

Caifa, sommo sacerdote, chiese di far morire Gesù di Nazaret anziché avere ripercussioni contro Israele da parte delle legioni romane. Ciò che dice il sacerdote è la motivazione del capro espiatorio. Si deve limitare al massimo la violenza: uno al posto della nazione.

Caifa si dimostra un capo affidabile e sicuro perciò viene assecondato nella sua richiesta di far morire Gesù.

La decisione politica dell'autorità preminente prevale, ma in periodo di crisi accade il contrario. E' la folla a prevalere. La fusione tra autorità e popolo avviene tramite il capro espiatorio.

La folla è potente e le autorità si inchinano ad essa e le cedono le vittime che reclamano, come fa Pilato. In questo modo le autorità vengono assorbite dalla folla.

I conservatori vogliono consolidare tutte le autorità costituite, sono sensibili alle minacce di violenza provenienti dalla folla, mentre per i rivoluzionari è il contrario, essi sacralizzano le violenze della folla.

L'evangelista Matteo racchiude in una frase l'insieme del procedimento per giungere alla scelta del capro espiatorio: "Dovunque sarà il cadavere, là si raduneranno gli avvoltoi" (Mt., 24, 28).

I Vangeli non utilizzano il termine "capro espiatorio", ma "agnello di Dio".

Un altro esempio di capro espiatorio è l'antico profeta ebreo Giona. Durante la tempesta, la sorte designa Giona come vittima che i marinai gettano in mare per salvare sé stessi e la nave.

The end
#510
Ultimo libro letto / Re: Capro espiatorio
18 Marzo 2023, 18:53:12 PM
L'antropologo René Girard afferma che il denominatore comune dei miti consiste in due transfert:

il primo, detto transfert di aggressività, consiste nella lapidazione o nell'espulsione della vittima, per avere in cambio un beneficio concreto per l'intera comunità che è la ricomposizione della crisi e la successiva pace (anche se temporanea);

il secondo, detto transfert di divinizzazione, consiste nella venerazione della vittima immolata da parte della comunità riappacificata, una venerazione giustificata dal potere conciliatorio del capro.

Se il transfert che demonizza la vittima è forte, la riconciliazione che ne consegue è improvvisa e rapida.

Le tregue conseguite con il meccanismo vittimario sono temporanee, di breve durata, per questo il ricorso al capro espiatorio è frequente e dà vita a una serie di violenze ininterrotte.

Secondo Girard è necessario l'intervento esterno di qualcuno che sia capace di svelare il processo vittimario rendendo i membri dei gruppi consapevoli del male commesso e della sua inutilità.

L'individuo che si incarica di far luce sul meccanismo vittimario deve essere un estraneo o un membro del gruppo che sia capace di essere arbitro al di sopra delle parti. Questo soggetto è, per Girard, il Cristo.

Questo antropologo offre una lettura importante del Cristianesimo, indicandolo come il punto di svolta culturale che porta una nuova visione del sacrificio perché svela l'innocenza della vittima.

Le società primitive erano strutturate in modo tale da non dubitare della colpevolezza e della vittima.

Nell'ebraismo e nel cristianesimo questa credenza sparisce perché la vittima è presentata come innocente: è questa la vera rottura tra l'universo mitico e quello ebraico-cristiano, la rivelazione del sistema del capro espiatorio. Ci mostrano una vittima contro la quale tutta la comunità si è riunita, ma che è una vittima innocente.

Secondo Girard "le tenebre" sono la metafora per indicare la condizione di accecamento della folla in preda a frenesia che non sa quello che fa. Ecco perché Cristo in punto di morte chiede perdono per i suoi aguzzini che non sanno quello che fanno: in quel momento sono incapaci di comprendere il male che stanno per commettere.

"Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno" (Lc, 23, 34).

Gesù descrive l'incapacità della folla scatenata di ragionare in modo razionale. I persecutori credono di "far bene" e sono convinti di agire per la verità e la giustizia, credono di salvare in tal modo la loro comunità.

I Vangeli gravitano intorno alla passione di Cristo, al dramma del capro espiatorio, della vittima.

I Vangeli respingono le persecuzioni, così facendo distruggono le culture che ne derivano.

Il potenziale delle rappresentazioni persecutorie diventa più debole se si individuano i meccanismi psicologici che sottendono al capro espiatorio.

Se questi meccanismi vengono resi noti perdono di efficacia, e l'individuo crederà sempre meno alla colpevolezza della vittima.

"Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me" (Gv 15, 18 e 20 – 25);

"Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine" (Lc 22, 37); ecc..

I persecutori odiano senza una causa ma non ne sono coscienti.

Nei salmi penitenziari le vittime urlano nel momento della loro persecuzione, i loro nemici li circondano e li colpiscono.

segue