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Messaggi - maral

#496
Scienza e Tecnologia / Re:Qua stiamo sbroccando!
04 Dicembre 2016, 13:13:55 PM
Vale qui la pena di citare queste parole di un famoso pubblicitario e scrittore, Federic Beigbeder che in "26900 lire", in un impeto di provocatoria sincerità, scrive:
"Sono un pubblicitario: ebbene sì, inquino l'universo. Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai. Io vi drogo di novità, e il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C'è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma."
#497
Citazione di: The Eater Of Dreams il 02 Dicembre 2016, 01:45:47 AM
Molto banalmente, uno può "saper fare" anche senza che il prodotto del suo saper fare sia retribuito (=lavoro), no?
Sì, ma occorre che venga riconosciuto come un saper fare. La retribuzione è un aspetto di questo riconoscimento che diventa sempre più fondamentale in un contesto come quello attuale, in cui il riconoscimento finisce con l'essere monopolizzato dal denaro come medio assoluto di accesso al mondo (con questo non nego che vi possano essere resistenze soggettive, ma tali resistenze sono sempre più vanificate e riassorbite nel significato pubblico e universale dell'economia). Di questo va tenuto conto, perché si ha un bel da dire che ognuno va riconosciuto semplicemente per quello che è, di fatto non è mai così, nemmeno nel riconoscimento di se stessi (che non è mai rivolto al proprio puro esserci, ma a ciò che ci si sente capaci o incapaci di fare e per questo fa sentire di esserci) tanto è vero che chi perde il proprio lavoro (quel lavoro in cui trovava un'identità fosse pure alienante) prima o poi cade in depressione acuta se non trova un'altra occupazione a cui dedicarsi con impegno (un'occupazione vera, non un simulacro passatempo che la modernità ha creato con le sue "mode" hobbistiche), fino a potersi riconoscere per quello che pubblicamente sa fare. Leggevo proprio recentemente dell'incidenza che ha avuto sulla salute mentale e conseguentemente sulle speranze di vita media la crisi del mercato del lavoro: non è una questione solo economica (l'economia della sussistenza regalata come un'elemosina pubblica non la può risolvere) sia per chi  ha perduto il lavoro, sia per chi lo cerca e non lo trova.

CitazioneMa se quel qualcuno è d'accordo con me, dov'è l'indegnità? A questo punto sospetto anche io che la controversia si riduca un po' a una questione di "invidia" nei confronti di chi può eventualmente permettersi di non lavorare (sempre senza sottrarre ad altri quelle risorse in assenza del loro consenso), sentimento che va a inquinare il discorso "morale" andando di fatto a costituire un "moraleggiamento", più che altro...come d'altra parte accade per tanti altri temi sociali.

Può darsi, ma ancora una volta, che c'entra con la dignità? Se uno vuole devastarsi psichicamente, nel rispetto dell'incolumità altrui, puoi consigliargli di fare altrimenti per il suo bene, ma poi stop

Certamente la dignità sta in ciò che sentiamo di essere, ma ciò che sentiamo di essere è il prodotto di ciò che facciamo. E' sempre ciò che si fa (e quindi ciò che non si fa) rispetto al significato che il contesto riflette sui modi di fare che determina il sentimento di dignità di se stessi. Una cultura predatrice certamente riconosce come persona degnissima chi si dedica con successo alla rapina e lo eleva ai vertici dello stato sociale, Una visione del mondo economico-finanziaria può riconoscere come persona degnissima chi si occupa solo di denaro vivendo sul lavoro altrui che trasforma quel denaro in risorsa utilizzabile, in un ambito nichilista stare tutto il giorno a fissare il vuoto può risultare la cosa più opportuna da fare e lo stato depressivo venir considerato come ideale di dignità in cui riconoscersi. In ogni caso c'è sempre un fare e l'immagine che quel fare riflette rendendosi pubblico, e in quanto pubblico oggettivamente condivisibile in quell'ambito in cui trova effettiva condivisione.


CitazioneNon riesco a cogliere come sei giunto all'ultima conclusione, per cui se uno non ritiene che il lavoro rappresenti la fonte della dignità, dovrebbe svuotarsi di senso la sua intera esistenza;

Dalla considerazione che in ciò che il nostro fare produce generando risposte che lo riflettono troviamo comunque il senso di noi stessi, non c'è alcun senso che metafisicamente lo preceda, l'essere come tale non ha nessun significato, è una pura tautologia (e per questo è oggettiva in modo assoluto).


CitazioneLa pretesa che tutto questo abbia un significato più grande, o forse proprio un qualche tipo di significato, mi sembra una delle classiche risposte adattative messe in atto da una creatura scagliata nell'esistenza, dotata di coscienza e costretta fisicamente a chiedersi "perché?".

E non è poco, questo lavoro del chiedersi perché, che non si risolve nel fatto che non si trovi risposta esaustiva. Anzi, proprio in quanto nessuna risposta esaustiva può mai essere data, continuiamo a cercare significati e il lavoro ci impegna a produrre resti (qualcosa che ci resta), consentendoci di vivere sentendoci vivi. In questi resti consiste la remunerazione fondamentale del lavoro. Poiché solo l'uomo lavora (né gli dei né gli animali lo fanno, a meno che questi ultimi non siano costretti dall'uomo come mezzi per il suo lavoro), proprio perché solo l'uomo è gettato nel mondo.
#498
Citazione di: The Eater Of Dreams il 01 Dicembre 2016, 13:41:14 PM
Non dover dipendere da altri? Lavorare al massimo significa rendersi indipendenti dai propri genitori, ma sempre "dipendente" in senso assoluto rimani. Dipendente dallo Stato, dipendente dalla clientela che ti paga se lavori in privato, ecc.; comunque la tua sopravvivenza è subordinata ad "entità" altre.
Certo, ognuno di noi dipende sempre e comunque dagli altri per il proprio riconoscimento identitario, non siamo autarchici, l'identità in cui ci riconosciamo non è qualcosa che ci appartiene come innata e la natura non riconosce nessuna dignità agli individui che in essa esistono per il puro fatto di essere (l'essere non conferisce senso), occorre sempre la possibilità di un riconoscimento sociale prodotto dal nostro modo di fare e da quello che sappiamo fare, non nasciamo con dentro un'identità innata, in sé e per sé. La differenza sta nella misura in cui il mondo sociale nel quale ci si trova a esistere ci mostra o ci nega questa identità conferendole o negandole dignità. Identità che, come dicevo, è sempre limitata e parziale, è sempre un processo in corso, non un'essenza stabilita. Nel momento in cui il prodotto del nostro fare è riconosciuto noi possiamo riconoscerci in esso, sentire in esso la nostra identità  in via di definizione senza che una compiuta definizione appaia mai stabilita.

CitazioneEsempi terra terra: se il mio stile di vita prevede che io per sostentarmi scippi le vecchiette, è difficile pensare di poterlo definire un modo di vivere degno. Ma se invece dispongo di risorse economiche la cui fruizione non crea problemi a nessuno, e dedico il mio tempo alle mie passioni o semplicemente a fissare il muro, che problema c'è?
Anche in questo caso la dignità riguarda un riconoscimento sociale per quello che fai rispetto a quello che non fai. Il disporre di risorse economiche implica che qualcuno, lavorando al posto tuo, dia un significato d'uso a quelle risorse economiche, qualcuno di cui, vivendo di rendita, comunque utilizzi il lavoro. Quanto a passare il proprio tempo a fissare il muro credo che sia un lavoro che solo pochissimi possano permettersi di fare senza ritrovarsi dopo poco tempo psichicamente distrutti (passare giornate in cella di isolamento senza fare nulla è devastante quanto e più che essere condannati ai lavori forzati).

E' interessante comunque come al diventare del lavoro umano sempre più superfluo e meno autonomo corrisponda una sottrazione di valore al lavoro stesso in quanto tale. Il problema è che si riesce sempre meno a trovare senso in qualsiasi cosa si faccia, cosicché non resta davvero più niente da fare, solo sperare di crepare prima possibile per eliminare la noia irrimediabile e insopportabile di esistere in totale disimpegno.
#499
Citazione di: davintro il 01 Dicembre 2016, 11:37:29 AM
non direi che con il lavoro "si diventa se stessi", ma che con esso esprimiamo in forme oggettivate e sociali un'identità che ci costituisce aprioristicamente e interiormente.
E' solo facendo che si può sentire un'identità, la nostra identità che il contesto degli altri ci riflette in risposta al nostro fare e al nostro modo di fare. Non c'è alcun senso di identità se non in quello che abbiamo fatto che determina ciò che resta ancora da fare. Il problema nasce quando non si trova il senso di quello che si è fatto e non lo si trova poiché il mondo non ce lo riflette come qualcosa che abbia significato in cui possiamo riconoscerci, in cui possiamo stare per un po' identici a noi stessi. E' questo il motivo dell'alienazione che può produrre il lavoro, non perché io sono sempre lo stesso, come se il "me stesso fosse una sorta di ente metafisica in sé stante, ma se in quello che faccio posso sentirmi da me stesso, attraverso la risposta degli altri, riconosciuto. Facendo, letteralmente produco ciò che mi resta come immagine di me stesso, ma a volte in quell'immagine non sento di poter corrispondere. L'identità è un processo continuo del fare, è sempre un processo in atto e non è mai una cosa compiutamente realizzata, se non nel momento in cui si muore, quando non resta più niente da fare. 
Il lavoro non alienante è allora quello in cui il prodotto di ciò che ho fatto contiene qualcosa in cui gli altri vedono me come soggetto che sa fare, se questo non accade non posso sentire in me alcuna identità.
L'aspetto economico del lavoro è importante (e lo è per tutti) come elemento di riconoscimento, diventa alienante quando è intesa come l'unico elemento di riconoscimento possibile (come tu stesso dici nella tua risposta). Il delitto che abbiamo commesso è stato quello di subordinare ogni fare al denaro ed è in questa totalità di senso solo monetaria che pretende di definire completamente quello che siamo in cui ci si ritrova alienati.
Lo stesso concetto di "tempo libero" è un assurdo prodotto nell'epoca dell'industrializzazione, non c'è un tempo libero e uno occupato, ma un tempo unico in cui qualsiasi cosa si fa, siamo chiamati a riconoscerci a mezzo di ciò che facciamo. Così il cosiddetto !tempo libero" è ormai diventato ancora più alienante di quello occupato, è il tempo in cui siamo utilizzati come unità di consumo, ove il consumo è una sorta di lavoro ombra che manco ci rendiamo conto di compiere e che non ci lascia nulla.
Una società in cui non si fa nulla e non si è più capaci di fare nulla è una società di disperati, proprio come accade in un'azienda in cui ti mettono in un ufficio senza darti nulla da fare, in attesa che la tua disperazione ti obblighi ad andartene se vuoi conservare la tua salute mentale.
 

#500
Mi chiedo come possa sussistere un essere senza un "dover essere". Il lavoro è la fatica che si fa per tentare di diventare se stessi e lo si compie con gli atti che pubblicamente si compiono con gli altri e per gli altri e che ci riflettono (ci permettono di riconoscerci) per quello che siamo.
Credere di essere senza il lavoro di "dover essere" è consegnarsi come schiavi a chi solo intende definirci in oggetto, ossia come oggetti a disposizione.
#501
Della serie un nemico da odiare e sterminare ci salverà
Citazione di: Fharenight il 30 Novembre 2016, 17:31:09 PM
Eh sì, purtroppo per quanti ragionamenti vogliamo proporre, gira e rigira, l'autolesionismo di noi occidentali viene sempre a galla,

Autolesionismo? Con il nostro tenore di vita affamiamo sfruttando l'80% del mondo in cui armiamo, quando ci fanno comodo, i gruppi più violenti e i tiranni più sanguinari ... che sia questo il nostro autolesionismo?

CitazionePerché gli islamisti ci odiano così tanto? Qualsiasi cosa l'occidente abbia fatto al mondo arabo-islamico nei passati 200 anni non giustifica l'odio nei nostri confronti.

Magari è per quello che facciamo adesso più che per quello fatto nei 200 anni passati (anche se pure quello di 200 anni fa non è poco)

Citazionenoi europei, non siamo più abituati a ragionare con la categoria "nemico"
Già si sa che ci vuole proprio un nemico da odiare a morte per rimettere le cose in carreggiata.
CitazioneSe può essere vero che l'islam è una religione con grandi differenze regionali, il nocciolo essenziale rimane lo stesso, ovvero Maometto è l'ultimo profeta di Dio e il messaggio trasmessogli nel Corano è l'unica verità rivelata. Il sistema valoriale islamico si fonda su tre forme di disparità che hanno forgiato e forgiamo ancora adesso la cultura musulmana: il fedele è superiore all'infedele, il padrone allo schiavo, l'uomo alla donna. Derivate dal codice dell'Arabia di 14 secoli fa si contrappongono alla democrazia e alla tolleranza, metterle in discussione vuol dire mettere in discussione l'essenza stessa dell'islam, quindi democrazia e islam non sono congruenti, salvo modificare l'essenza del secondo in modo che aderisca al primo.

Meno male che abbiamo un profondo conoscitore dell'essenza dell'Islam che ci spiega qual è il suo nocciolo essenziale, un po' come quando si diceva che l'essenza degli ebrei stava nel loro essere mostruosi subumani usurai o quella dei comunisti noti per essere divoratori di bambini. il nocciolo delle questioni va sempre spiegato.
CitazioneMaometto era maschio, dominatore, fedele ad Allah.
Maometto era un orfano (condizione ai tempi molto vicina alla schiavitù), un cammelliere analfabeta, che fu profondamente suggestionato dal messaggio ebraico e cristiano e pensò di adottarlo per contrastare il politeismo delle potenti famiglie mercantili che dominavano ne La Mecca del tempo gestendone il santuario pagano. Tra l'altro il nuovo credo monoteista fu proclamato proprio a difesa dei diritti degli orfani e delle vedove sfruttate e trovò subito una larga diffusione tra le donne, infatti fu proprio una ricca vedova mercante dei tempi a sposare e sovvenzionare Maometto diventandone la prima moglie, probabilmente senza quella donna l'Islam non sarebbe mai nato.
CitazioneLa storia dell'islam è piena di congiure e complotti.
Quella del cristianesimo invece no... e quella del colonialismo occidentale nemmeno ... e quella attuale che vede il potere finanziario dominare affamando l'intero globo neppure.
CitazioneA questo risentimento aggiungete Israele, ovvero un pugno di ebrei, persone di serie "B" agli occhi di un islamista
Gli ebrei sono state persone di serie B per i Cristiani ben più che per l'Islam. Per secoli ebrei e musulmani hanno convissuto pacificamente nel Medio Oriente, mentre i cristiani non si facevano pena di scannare gli Ebrei in piazza per santificare le feste. Poi le cose sono cambiate dopo il crollo del nazismo, quando le potenze vincitrici, gli ex imperi coloniali e le potenze nate grazie alla tratta degli schiavi (come gli USA), hanno avuto la buona idea di pulirsi la coscienza appoggiando i sionisti e creando una nazione sionista in Palestina che perseguiva il sogno mitico della Grande Israele: dall'Egitto alla Siria. Non sono state forze diaboliche a determinare questa situazione, ma gli interessi economici dell'Occidente e questo gli Islamici lo sanno bene.
Quanto al "grande Satana" americano non è il solo, anche Reagan, campione del neoliberismo parlava dell'URSS come dell'impero del male. I miti demoniaci quando servono, servono a tutti.

CitazioneLa cura dunque è più islam, e di quello puro, non meno islam o islam "moderato", un ossimoro, una categoria inventata dall'ottimistico occidente.

L'Islam moderato e tollerante  c'è sempre stato, e c'è pure adesso per miliardi di Mussulmani che non seguono il delirio Wahabita, peraltro tranquillamente sostenuto dagli interessi occidentali.

CitazioneCi sono infatti molti in Europa e in America convinti che siano state le nostre azioni passate a scatenate il loro odio, dunque un po' ce lo meritiamo
Quelle presenti pesano senza dubbio di più. Il nuovo colonialismo finanziario del "mercato globale" e degli "esportatori di democrazia" con contorno di bombe e corruzione sistematica ha effetti ben più devastanti.
Come definire i massacri compiuti da "bombe intelligenti" su civili, donne e bambini se non come "male"? Come definire le torture nelle carceri di super sicurezza istituite contro ogni principio "occidentale" e con la più lercia ipocrisia presso tiranni pelosi "amici" dell'Occidente se non come male?
Citazioneper lui è impensabile che la molla che spinge il nemico all'odio e all'azione sia l'irrazionalità, o se volete parafrasando la Arendt, la banalità del male
Cosa c'entra l'irrazionalità con la "banalità del male"? La banalità del male è un frutto dell' Occidente, nel razionalissimo Occidente, è l'incapacità radicale di qualsiasi sentire morale ed è un fenomeno perfettamente tecnologico.
CitazioneBeh, forse è proprio vera l'espressione secondo la quale "il nemico non si può comprendere". Piaccia o meno, un nuovo pensiero insopportabile si affaccia: noi occidentali abbiamo un nemico, vuole la nostra rovina, la nostra fine. Dopo le catastrofi del XX secolo è risorta una nuova ideologia che mira al potere mondiale e che per ottenerlo è disposta a distruggere tutto quello che l'occidente, con sforzi secolari, ha prodotto.
Già, il più grande progetto di sfruttamento e distruzione del mondo intero.
CitazioneEd è allarmante vedere che l'occidente non riesce a trovare un accordo sul tipo di pericolo che ciò rappresenta. Noi pensiamo in termini di pensione, loro di secoli e secoli: quali figli domineranno la terra? Il culto del dubbio può condurre all'autodistruzione. Nella guerra tra fanatici e dubitaristi chi credete che vincerà? Consiglio per la lettura: Lee Harris, "The suicide of reason".

Lee Harris, "Il suicidio della ragione".
Già, il suicidio della ragione che Lee Harris evidentemente ha già compiuto in se stesso: la sicurezza matematica di vincere considerando un paio di miliardi di musulmani nostri nemici giurati, convinti, una volta che ci saremo fatti odiare anche dai più moderati, che con la nostra tecnologia ci libereremo di tutti loro (ovviamente con i muraglioni, i droni teleguidati e i proclami "armiamoci e partite"). Oh, pardon dimenticavo, i musulmani moderati non esistono, sono tutti bestie assatanate, come dimostra Maometto, finito in pasto a Belzebù.

CitazioneL'islam non è una religione. Perlomeno non lo è in confronto con le altre religioni monoteiste. Non lo è in rapporto all'originario significato di "religione" e alla sua intrinseca utilità per l'intera umanità.
Al massimo potrebbe essere definita "una ideologia politica totalitaria e totalizzante, prepotente, violenta e repressiva che si serve della religione per meglio soggiogare i popoli, prendendo spunto dalle religioni monoteiste che l'hanno preceduta".
L'Islam è una grande religione, che è stata capace storicamente di creare regni di grande tolleranza e civiltà quando l'Europa era in preda alla furia distruttrice barbarica e ai peggiori oscurantismi religiosi. E oggi il pensiero islamico rappresenta ancora un baluardo per miliardi di diseredati contro la perversione di quel pensiero unico globalizzato e mercantilistico che riduce l'essere vivente a pura unità neutra di consumo. Chissà, forse è per questo che è tanto necessario odiarlo, come un tempo l'impero del male sovietico di reaganiana memoria.
#502
Scienza e Tecnologia / Re:Qua stiamo sbroccando!
30 Novembre 2016, 12:31:09 PM
E' evidente che in un contesto in cui la funzione dell'individuo è fondamentalmente quella di smaltire quanto più rapidamente possibile il prodotto onde generare scarsità pur in condizioni di sovrapproduzione, compito primario della tecnologia non può che essere l'ottimizzazione continua di questo modo di funzionare. E questo determina una "psicologizzazione" tecnologica sempre più evidente, rivolta a ridurre il soggetto da essere vivente a unità consumatrice standard del tutto oggettivabile, dunque misurabile e perfettamente controllabile.
La visione degli zombie che si muovono nel cosiddetto "tempo libero" tra ipermercati e supermercati, eterodiretti nelle loro emozioni come cani di Pavlov appare certamente corretta, più difficile rendersi conto che quei "cani di Pavlov" siamo proprio noi, nel momento in cui perdiamo consapevolezza del continuo e portentoso sforzo tecnologico che ci condiziona continuamente, mentre rende questa condizione sempre più inavvertita e la situazione che determina quanto di più desiderabile e irrinunciabile.
Le feste natalizie, come tutte le feste ormai, sono diventate da tempo uno dei momenti di grande impegno tecnico in tale direzione, un'occasione quanto mai favorevole per l'impegno e lo sviluppo tecnologico.
#503
La dignità che offre il lavoro è quella di non dovere dipendere da altri (altre persone o organizzazioni) per il proprio mantenimento, di sentirsi individui adulti e autonomi in grado di procacciarsi da soli quanto necessario per vivere e quindi di sentirsi liberi in quanto capaci. Detto questo non vi è dubbio che il lavoro possa esercitare l'effetto contrario soffocando anziché promuovere la propria autonomia, soprattutto da quando, con l'affermarsi della visione economica dell'esistenza, della produzione industriale e del conseguente consumismo, è stato identificato con il lavoro salariato e con l'alienazione da esso prodotto.
#504
Attualità / Re:violenza di genere
28 Novembre 2016, 22:27:19 PM
Ho trovato molto interessante la lettura di "gender" di Ivan Illich di recente ripubblicazione (qui nella versione scaricabile online: http://www.pensierocritico.eu/files/illich-ivan---il-genere-e-il-sesso.pdf. Illich sottolinea la crisi nel rapporto uomo donna verificatosi con il passaggio dalla cultura vernacolare di genere a quella economico sessista dello sviluppo industriale in cui la coppia maschio femmina si trova sempre più subordinata alla capacità di produrre solo per il mercato da cui finisce per dipendere totalmente per la soddisfazione di ogni bisogno, svolgendo un lavoro ombra (non remunerato e non riconosciuto) in cui i due sessi si trovano a competere con notevole svantaggio proprio per la dimensione femminile. In questi termini, i cui presupposti possono essere più o meno accettati,  la violenza nel rapporto tra maschio e femmina non pare certo diminuire con quello che si intende per "progresso", anzi sembra prodursi esattamente il contrario, mentre la frustrazione, nascosta da false illusioni di parità sessuale, aumenta per entrambi.

Casi simili a quello da te citato li ho riscontrati varie volte e soprattutto nell'ambito delle classi più agiate, ove la donna che finisce con l'essere vittima della violenza del coniuge maschile diventa complice del suo stesso carnefice in nome della disponibilità economica e della posizione  invidiabile che questi, spesso stimato professionista di successo, le garantisce, conferendole così un'identità per la quale lei è disposta a pagare fino a mettere masochisticamente a rischio la sua vita.
#505
Attualità / Re:violenza di genere
28 Novembre 2016, 14:49:03 PM
La visione della donna idealmente esente da ogni atto di violenza, è evidentemente il prodotto specifico di quella visione cristiana prodottasi in Occidente soprattutto a partire dal Basso Medioevo che trova nella figura della Madonna, il riferimento archetipico. Il sacro femminile viene qui depurato sia del suo elemento autenticamente generativo che di quello distruttivo ad esso implicito, limitandolo da un lato a quello di accuditrice vergine e sommamente amorevole del Figlio, dall'altro a quello puramente seduttivo da cui il maschio-figlio deve  difendersi e la difesa consiste sia nella violenza contro colei che seduce demonizzando, sia nella sublimazione della donna in Madonna, ossia nella santificazione della seduzione femminile in una figura idealizzata che ricalca di nuovo i tratti di un'assoluta purezza celebrata poeticamente. Da un lato quindi un demone strega da schiacciare e bruciare, dall'altro una purezza assoluta da venerare, mentre la capacità generatrice e pertanto letale del femminile viene sottratta in nome della religione prima e della scienza poi, finché maschio e femmina costituiscono sempre meno una complementarietà di genere e sempre più un'eguaglianza economica di sessi solo biologicamente diversi: l'uguaglianza dell'unità produttiva e consumatrice. In tal modo la tanto deprecata e deprecabile violenza di genere (quella che ancora esiste in quelle parti del mondo "barbariche" che ancora non si sono doverosamente convertite alla nostra "civiltà") diventa violenza di sistema, giustificata dal suo sguardo oggettivo che parifica ogni differenza che non riguardi il conto di quanto, maschio o femmina, consumando si produce in termini monetizzabili. Ma questa stessa "oggettivazione" pubblica apre le porte a una violenza privata peculiare del mondo occidentalizzato, in cui maschio e femmina si fanno reciproca violenza, ognuno nelle modalità in cui eccelle e, incapaci di vedere alcuna complementarietà reciproca, si singolarizzano in un'autonomia sempre più eterodipendente dal contesto tecnologico, economico e sociale in cui solo possono a volte sognare di esistere come individui.
#506
Attualità / Re:sogni
27 Novembre 2016, 08:48:38 AM
Quello che intendevo dire è che noi possiamo avere un futuro (ciò che è da fare perché ancora non c'è) solo a partire dalla rappresentazione del nostro passato (ciò che appare già fatto e quindi non c'è più se non nelle storie che ci raccontiamo l'un l'altro e a noi stessi), ma sia futuro che passato sono nel presente e dal presente prodotti, da questo bilico presente del fare che comprende il nostro pensare, sentire, ricordare e sognare. I nostri occhi sono rivolti al passato perché è solo il passato (il già fatto) che vediamo, pur procedendo all'indietro, verso un futuro che immaginiamo, ma non vediamo e in questo procedere a ritroso sono i nostri sogni generati dalla memoria che ci guidano. Il futuro è l'altra faccia del passato e futuro e passato sono entrambi nell'accadere del presente. Negando il sentimento del passato svanisce pure il futuro. Senza ricordo non ci può essere futuro, non ci può essere aspettativa, speranza, desiderio e attesa nel sogno che viviamo.
#507
Certo, la vita della madre è determinata dal contesto sociale in cui vive (e questo vale per qualsiasi nostro atto), ma è essenziale che la società riconosca questa vita di madre che è lei a esercitare in quanto è lei a portare in grembo il figlio la cui vita è parte della sua vita, non il medico che l'assiste, non il prete, non "la società". La società allora abbia a cura la madre e abbia cura della sua scelta che la sua vita, socialmente condizionata, a sua volta determina. Il patto sociale consiste in questo, non nella prevaricazione a vantaggio della componente più astratta e quindi più potente.
#508
Attualità / Re:little boxes
26 Novembre 2016, 19:29:38 PM
Già, cosicché una volta realizzata possa apparire in tutta la sua soffocante, crudele e tanto tranquilla e ordinata "asfitticità" e ancora una volta il sogno di demolire quelle scatolette in cui ci si trova parcheggiati in attesa dell'uso quotidiano pianificato prenda il sopravvento.
In fondo ogni muro è un irresistibile invito ad abbatterlo, e ogni muro abbattuto è un irresistibile invito a costruirne uno nuovo per potersi sentire al riparo mentre lo si abbatte di nuovo.
#509
Attualità / Re:sogni
26 Novembre 2016, 19:18:24 PM
In realtà i nostri sogni hanno sempre gli occhi mentre procediamo sono sempre rivolti al passato, ai resti del nostro passato trattenuti nel presente della memoria. E' quindi il passato che accade nel presente come racconto di atti compiuti che ci permette di immaginare un futuro, ossia letteralmente di averne immagine. Ma né il passato né il futuro ci sono, essi sono solo immagini del presente che accadendo distingue legandoli insieme ciò che è stato fatto da ciò che resta da fare. Avere un futuro significa sentire di avere ancora qualcosa che resta da fare nel sogno di un presente che in ogni istante ci sta sognando. 
#510
Attualità / Re:little boxes
26 Novembre 2016, 11:01:57 AM
Queste scatolette mi ricordano un po' il box dove si parcheggia l'auto in attesa di usarla e forse hanno la medesima funzione: uno spazio fisico ben protetto e attrezzabile in cui l'intimità separata con se stessi inquieta del suo terribile vuoto da riempire.