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Messaggi - Apeiron

#496
Secondo me sì, siamo responsabili. Abbiamo facoltà di scelta e dobbiamo rispondere alla scelte che facciamo.

@sgiombo. Non so spiegarti la questione del "salto" perchè non riesco, con le mie attuali conoscenze, a riuscire a capire come "qualcosa" riesca ad "affrancarsi" dalla catena causale di cause e conseguenze (ossia ad avere un controllo parziale su tale catena). Il "salto" di cui parlo è proprio questa capacità di avere un controllo parziale... controllo parziale che secondo le attuali conoscenze è del tutto impossibile!

Di per sé non ci vedo personalmente non vedo nulla di "illogico". Però ammetto che le varie scoperte scientifiche in un certo senso finiscono per rendere questo "salto" sempre meno probabile   :)

Comunque il tuo punto di vista sul problema mente-materia è molto interessante e originale ;)
#497
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
28 Novembre 2017, 13:11:08 PM
Citazione di: Sariputra il 28 Novembre 2017, 01:03:04 AM@Apeiron Qual'è il punto di arrivo di tutto questo studio attorno al Dhamma? E c'è un punto d'arrivo? Ci sarà mai una fine? Sono domande legittime ma che riguardano lo studio 'esteriore' delle scritture e non lo studio interiore. Lo studio interiore richiede di studiare questo corpo e questa mente, perché è in questo corpo e in questa mente che nascono le nostre brame egoistiche, le nostre invincibili avversioni e le nostre illusioni di trovare nelle cose una soddisfazione duratura. Questo è per il buddhismo il vero studio, la retta pratica del Dhamma... Studiare i testi senza praticare sila e samadhi ci porta solamente ad essere una specie di mestolo in una zuppiera.: sta dentro la zuppiera tutto il giorno ma non conosce il sapore della minestra. Senza la pratica del non attaccamento, della rinuncia, lo studio filosofico dei sutra, del Canone, ecc. non serve a molto. Possiamo avere una buona conoscenza teorica, conoscere la psicologia buddhista, la sua logica, ecc. ma tutto questo rischia di non produrre alcun risultato. Buddha stesso invita a studiare il Dhamma ma poi a rinunciare ad agire male con il corpo, la parola e la mente; a coltivare invece atti benevoli, parole benevoli e pensieri benevoli... Achaan Chah soleva ripetere che l' Ottuplice Sentiero si compone di otto fattori e che questi fattori non sono altro che il nostro corpo: due occhi, due orecchi, due narici, una lingua e un corpo. Questo è il Sentiero, e chi segue il Sentiero è la mente. Per questo sia lo studio che la pratica si trovano nel nostro corpo, nella nostra parola e nella nostra mente. Visto così il Sentiero, termini come nichilismo o eternalismo perdono la loro capacità di irretire il nostro pensiero che tende sempre a contrapporre concetti. L'insegnamento meno compreso è quello del 'lasciar andare', detto anche 'lavorare con una mente vuota'. Questo è un linguaggio tipicamente budhista. Se lo interpretiamo secondo il senso comune andiamo fuori strada e pensiamo veramente che possiamo fare quel che ci pare. Invece dovremmo figurarcelo come se stessimo portando sulle spalle un macigno e dopo un pò cominciassimo a sentirne il peso...ma non ci risolviamo a posarlo. Quindi continuiamo a sopportare il peso. Se viene qualcunoa dirci di gettarlo via ci impauriamo ed esclamiamo:" Ma se lo getto via, non mi resta nulla!". Anche se quell'altro ci elencasse tutti i vantaggi del posarlo continueremmo a pensare e a dubitare: "Se lo butto, veramente non mi resta niente !". E così passiamo la vita... In realtà se , per caso prendendo sul serio l'Insegnamento , lo posiamo, immediatamente ci sentiamo meglio, incredibilmente più leggeri e ci diciamo:"Quanto stupido sono stato a portare per tanto tempo sulle spalle un simile macigno?"... Uno può venirci a dire di posare il peso, ma se non ci crediamo, se dubitiamo e siamo finanche 'innamorati' del peso, non ne vediamo proprio lo scopo. Tutto ci sembra assurdo. In fin dei conti la vita è proprio portare pesi, ci diciamo...lo fanno tutti, perchè no?...E restiamo aggrappati al peso che ci piega... Capire che è inutile portarsi dietro dei pesi e che 'lasciar andare' produce sollievo e libertà è un esempio di conoscenza di sé. Anche i sutra buddhisti possono diventare un grosso peso da portare. Questa non è la pratica corretta... :)

Concordo. O più precisamente: è proprio il fatto che la conoscenza è infinita che impone il "lasciarsi andare al mistero", all'Ineffabile in qualche sua forma. Quindi sì in un certo senso questa infinità di domande è per così dire la "prova" che ad un certo punto bisogna "cessare" di farsele. Mi può andare bene che da questo punto di vista uno "rinunci" alla ricerca concettuale, alla logica ecc e accetti dunque di smettere di ricercare. In fin dei conti anche una ricerca infinita di conoscenza è "dukkha" perchè in un certo senso non ha alcun scopo che continuare a cercare conoscenza.

Però questo è un ragionamento che può fare chiunque. Uno può "fregarsene" di cercare con questa "scusa". E sinceramente non sono in grado di "condannare" tale scelta. Ci mancherebbe: anzi a vedere "all'atto pratico" come sono i buddhisti seri - fossimo tutti così ;)  dal punto di vista etico, tanto di cappello. Dal punto di vista di conoscenza della mente umana idem.

Dal punto di vista filosofico c'è a mio giudizio una grossa incompletezza. Non è possibile ricavare dalla lettura della dottrina (i suttas) secondo me una dottrina completa (o coerente). O più precisamente se è coerente allora è nichilismo (che in realtà ad alcuni può anche andare bene, d'altronde l'essere completamente nichilisti a livello di verità ultima non condiziona alcun modo l'avere una buona etica. In fin dei conti se si vede che tutti gli esseri sono imprigionati nasce la compassione. Inoltre la non-esistenza è certamente migliore di un'infinita esistenza che non ha alcun senso (samsara)). Se invece non è nichilismo allora è incoerente (e ciò in fin dei conti non toglie alcun "merito" alla dottrina buddhista) così com'è. Nel caso induista invece se la liberazione è vista come unione con Brahman probabilmente c'è incoerenza, però mi lascia un senso di completezza ben diverso (dato dal postulato dell'esistenza di una "cosa"). Sinceramente arte, filosofia, scienza ecc mi suggeriscono peersonalmente che il Summum Bonum sia un "ente", qualcosa, una realtà, una "sostanza" e non meramente la non-esistenza, il riconoscere che tutto è senza sostanza, senza significato ecc Capisco però che santi (con questa parola intendo persone di impeccabile morale) possono in fin dei conti fregarsene di queste "speculazioni", però in fin dei conti Schopenhauer scrisse: "non è necessario per un filosofo essere un santo che per un santo essere un filosofo: così come una persona molto bella non necessariamente è uno scultore e uno scultore non è necessariamente una persona molto bella". Quindi il solo fatto che il Buddha abbia sbagliato nella sua filosofia non deve assolutamente togliere la stima nei suoi confronti, anche nel caso in cui il buddhismo è nichilismo. Su questo voglio essere estremamente chiaro. Ma a livello personale l'analisi testuale mi suggerisce appunto che il buddhismo è una religione per "santi nichilisti". Una religione che se praticata con la massima serietà e in completo accordo con i principi del Dhamma dà questo risultato: si diventa santi (si pratica in fin dei conti l'amore universale) e al contempo ci si "libera". Solo queste due cose per un buddhista, contano. Personalmente ritengo che tale scelta di vita sia coerente, possibile e ammirevole (chi in fin dei conti non può ammirare Buddha, Sariputta, Ananda, Khema, Uppalavanna ecc ?). In fin dei conti che il nirvana sia o meno coincidente con il nulla o sia semplicemente un modo diverso per affermare il fatto che "tutte le cose nascono e periscono", che sia o meno coincidente con l'affermare che "non esiste a livello ultimo niente di sostanziale" in effetti è una questione di mero interesse speculativo o di analisi testuale. Forse, anzi, i migliori buddhisti non si fanno questi "problemi", intuiscono in modo corretto la "dottrina", hanno un'etica impeccabile e si avvicineranno alla liberazione da questa ciclo di trasmigrazioni. Anzi, forse, a differenza di (quasi) tutti gli altri religiosi del mondo sono veramente "senza sé" perchè in fin dei conti ritenere che sia importante che esista un "assoluto" (o che la realtà sia "completa" e che questo "assoluto" non sia una mera finzione, punto sul quale la dottrina buddhista in fin dei conti pare essere d'accordo con il materialismo moderno) è una mera pretesa, un ostacolo alla perfezione.

Quindi forse i maestri Zen con la loro trascendenza rispetto al linguaggio non hanno tutti i torti  ;) o forse semplicemente le pieghe del tempo hanno fatto il resto... oppure non ci sono mai stati "esseri perfetti". Oppure... in fin dei conti "il problema è la scelta" (citazione dalla trilogia Matrix ;) ).

P.S. Tutto questo per dire che da quando è iniziato il topic sulla questione "ultima" del buddhismo, ossia su cosa sia il vero obbiettivo della filosofia buddhista, se ci sia qualche cosa di positivo dietro alla fin troppo chiara negatività, in realtà non ho fatto alcun progresso. Di certo ho capito i dettagli, ho capito l'importanza dell'etica, la santità come fine della pratica, ma curiosamente sul fine di tutta questa tradizione ho solo visto molta confusione. Forse in realtà non c'è nemmeno confusione - la filosofia riduzionista di Wittgenstein vede la filosofia come qualcosa che "lascia tutto com'è". Quindi forse la confusione esiste solo tra chi, per così dire, "pretende troppo" - quando la brama è vista come la causa della sofferenza. Mi si lasci però, per comodità, citare la Metta Sutta, che forse al lettore interesserà molto di più dei dubbi di chi cerca "una sostanza", perdendo tempo ;) Di seguito da https://www.piandeiciliegi.it/it/testi-e-documenti/52-metta-sutta ecco la Metta Sutta:


Questo dovrebbe fare chi pratica il bene
e conosce il sentiero della pace:
essere abile e retto,
chiaro nel parlare,
gentile e non vanitoso,
contento e facilmente appagato;



non oppresso da impegni e di modi frugali,
calmo e discreto, non altero o esigente;
incapace di fare
ciò che il saggio poi disapprova.


Che tutti gli esseri
vivano felici e sicuri:
tutti, chiunque essi siano,
deboli o forti,
grandi o possenti,
alti, medi o bassi,
visibili e non visibili,
vicini e lontani,
nati o non nati.


Che tutti gli esseri vivano felici!
Che nessuno inganni l'altro,
né lo disprezzi
né, con odio o ira,
desideri il suo male:


Come una madre
protegge con la sua vita
suo figlio, il suo unico figlio
così, con cuore aperto,
si abbia cura di ogni essere,
irradiando amore
sull'universo intero;
in alto verso il cielo,
in basso verso gli abissi,
in ogni luogo, senza limitazioni,
liberi da odio e rancore. Fermi o camminando,
seduti o distesi,
esenti da torpore,
sostenendo la pratica di Metta;
questa è la sublime dimora.


Il puro di cuore,
non legato ad opinioni,
dotato di chiara visione,
liberato da brame sensuali,
non tornerà a nascere in questo mondo.
(Karaniya Metta Sutta - Sutta Nipata, 1.8 )

Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere (l'unica cosa forse che si deve imparare...)
#498
@sgiombo non è una contraddizione, è un "salto logico" (personalmente nel fatto d'essere "autonomi" non vedo di per sé contraddizioni. Ovviamene l'esistenza di un ente autonomo chiaramente è incompatibile con l'attuale conoscenza scientifica  ;) ). La cosa è un po' diversa. Comunque ammetto che non riesco a spiegare questo "salto", anche se magari in futuro sarà possibile "dimostrare" che "emerge" ad un certo punto la capacità di fare scelte che sono "autonome".  

La tua posizione sul fenomeno-noumeno mi ha fatto ricordare questo passo di Schopenhauer:
"Presa come filosofia, ella sarebbe inoltre materialismo: ma questo porta fin dalla nascita, come abbiamo veduto, la morte nel cuore, perché passa sopra al soggetto e alle forme della conoscenza; le quali nondimeno vanno premesse tanto per la più bruta materia, da cui il materialismo vorrebbe muovere, quanto per la materia organica, a cui vuol pervenire. Imperocché «nessun oggetto senza soggetto» è il principio, che rende per sempre impossibile ogni materialismo. Sole e pianeti, senza un occhio che li veda e un intelletto che li conosca, si possono bensì esprimere a parole: ma queste parole sono per la rappresentazione un sideroxylon. È vero d'altra parte che la legge di causalità e l'osservazione e la ricerca della natura, che su quella si fonda, ci conducono necessariamente alla certezza che ogni più perfetto stato organico della materia ha seguito nel tempo uno stato più grossolano: che cioè gli animali sono comparsi prima degli uomini, i pesci prima degli animali terrestri, le piante anche prima dei pesci, la materia inorganica prima della organica; che quindi la materia primitiva ha dovuto traversare una lunga serie di modificazioni, innanzi che il primo occhio si aprisse. E tuttavia l'esistenza del mondo intero rimane sempre dipendente da questo primo occhio che si è aperto – fosse pure stato l'occhio di un insetto – come dall'indispensabile intermediario della conoscenza, per la quale e nella quale esclusivamente il mondo esiste, e senza la quale esso non può nemmeno essere pensato: perché il mondo è semplicemente rappresentazione; e tale essendo, abbisogna del soggetto conoscente come fondamento della sua esistenza. Anzi, quella medesima lunga successione di tempi, riempita da innumerevoli trasformazioni, attraverso cui la materia si elevò di forma in forma fino all'avvento del primo animale conoscente, può esser pensata soltanto nell'identità di una coscienza: di cui essa costituisce la serie delle rappresentazioni e la forma della conoscenza. Senza quest'identità, tale successione perde ogni senso e non è più nulla. Così vediamo da un lato l'esistenza del mondo intero dipendere di necessità dal primo essere conoscente, per quanto sia quest'ultimo ancora imperfetto; e dall'altro lato con la stessa necessità questo primo animale conoscente dipendere in tutto e per tutto da una lunga catena anteriore di cause e di effetti, alla quale esso viene ad aggiungersi come un piccolo anello. Queste due opposte vedute, a ciascuna delle quali siamo invero condotti da una pari necessità, si potrebbero dire anch'esse un'antinomia nella nostra facoltà conoscitiva..." (Mondo Come Volontà e Rappresentazione, Tomo I, Libro I)

Secondo me una qualche forma di panpsichismo evita questo paradosso (anche se chiaramente ammetto di brancolare nel buio a riguardo della "mente" che può avere un sasso  ;D  di certo a differenza dell'animale non è strettameente parlando cosciente!)
#499
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
27 Novembre 2017, 16:15:37 PM
Grazie Sari, le risposte sono in verità molto chiare  :)  

A Savatthi. Un bramano cosmologo si recò dal Benedetto e,ivi giunto, lo salutò con rispetto. Dopo averlo salutato, si sedette accanto. Appena seduto, disse al Benedetto: "Allora, Maestro Gotama, tutto esiste? "
"'Tutto esiste' è la forma più alta della cosmologia, bramano."
"Allora, Maestro Gotama, niente esiste? "
"'Niente esiste' è la seconda forma della cosmologia, bramano."
"Allora tutto è Unicità? "
"'Tutto è Unicità' è la terza forma della cosmologia, bramano."
"Allora, tutto è Molteplice? "

"'Tutto è Molteplice' è la quarta forma della cosmologia, bramano. Evitando questi due estremi, il Tathagata insegna la via di mezzo del Dhamma"

https://www.canonepali.net/2015/05/sn-12-48-lokayatika-sutta-il-cosmologo/

Certe volte non capisco se l'ontologia buddhista sia semplicemente il "senso comune" (e quindi in sostanza la filosofia è l'errore del mondo per un buddhista) o se in realtà ci sia qualcosa di più. "Un albero è un albero". Lo dice anche uno che non ha mai meditato, non ha mai studiato e non gli interessa nulla di questi temi. Ma dunque supponiamo che il Buddha avesse un'ontologia. Certe volte comunque non riesco a capire alcune risposte del Buddha. "Evitando questi due estremi, il Tathagata insegna la via di mezzo del Dhamma" - cosa vuol dire?  ;D
Ad esempio l'insieme dei 31 piano dell'esistenza: esistono o non esistono? Risposta: "evitando i due estremi, il Tathagatha insegna la via di mezzo" LOL

Non esiste un "sostrato" ontologico, né esistenza né non-esistenza...

Certe affermazioni mi sembrano complete assurdità. Non ci posso fare niente.

"profondo...è questo Dhamma, difficile da vedere, difficile da realizzare...oltre i limiti della ragione..deve essere sperimentato dal Saggio" (MN 72)

Sì però è anche vero che il non-senso ha esattamente in comune con "l'incomprensibile" il fatto che la ragione non ci può arrivare.
Quindi:
Se intendi 'capire' intellettualmente il Nibbana direi che...no! Non si può capire. Ma si può sperimentare come uno stato reale...parlare 'intorno al Nibbana' è sempre quel famoso dito che indica la luna...e aggiungo: per fortuna che è così. Che cosa "misera" sarebbe il NIbbana se potessimo 'racchiuderlo' in una formula, una frase, un pensiero...  


Posso capire che ad esempio il "drago che vola sopra Padova" (menzionato un anno fa circa) non esiste. Ovviamente non cerco una comprensione completa del "Dhamma" e del "Nibbana". Cerco però una comprensione parziale di esso, così come ad esempio non comprendo cos'è un tumore senza studiare (molti anni) medicina, però lo comprendo in parte se una persona me lo spiega. "Nascondersi" dietro a "evitando i due estremi..." non significa nulla a livello di ragione. Perchè in fin dei conti un albero "esiste" finché non cade - non c'è nulla di problematico ad usare l'estremo dell'esistenza, certamente davanti ad un albero nella mia mente di "uomo mondano" non vedo un'esistenza eterna o permanente. Ad ogni modo stando alla descrizione del Nibbana:
"Nibbana è felicità...precisamente dove non ci sono sensazioni è felicità."
La ragione ci dice una cosa chiara ed inequivocabile se non si ammette l'esistenza di una "sostanza", un'"essenza" alla base dei fenomeni: se tolti i condizionamenti non c'è un "sostrato", una "cosa", che normalmente viene "rivestita" dai condizionamenti. Il messaggio è chiaro e non ci sono ambiguità, visto che in fin dei conti anatta significa proprio che "non esistono "sostanze"". Ossia che linterpretazione "nichilista" è l'unica logicamente impeccabile. Non c'è davvero niente nei discorsi che possa contraddirla, visto che appunto "tutti gli aggregati sono impermanenti" - "non c'è alcun sé né negli aggregati né fuori da essi". Quindi sì - bisogna infine riconoscerlo - l'analisi dei testi fatta con razionalità la dice lunga: il nirvana è la non-esistenza.


A questo punto ritengo che il filosofo "buddhista" o ammette dunque questo oppure è costretto a dire che la ragione è completamente inutile nei riguardi della comprensione anche solo parziale del Nibbana, ossia del scopo ultimo della sua religione/filosofia. Quindi rimangono due alternative.

1) Il nirvana è la non-esistenza. Perfettamente logica e coerente: in fin dei conti l'esistenza è sofferenza. Quindi la non-esistenza non è la sofferenza. In fin dei conti la non-esistenza è preferibile alla tortura anche per un non-buddhista. E il buddhismo è estremamente chiaro nel dire che qualsiasi tipo di vita è "sofferenza". Il nirvana in fin dei conti è la "cessazione dell'esistenza": tolte le cause dell'esistenza (che è sofferenza), l'esistenza cessa. Termina. Fine.

2)il nirvana "esiste" ma è "ineffabile". Illogico. Passaggi come questo: "profondo...è questo Dhamma, difficile da vedere, difficile da realizzare...oltre i limiti della ragione..deve essere sperimentato dal Saggio" (MN 72). Ad ogni modo personalmente non ho alcuna difficoltà a comprendere la "coproduzione condizionata" (Y è causato da X, tolto X cade Y), il perno della filosofia buddhista. Non mi sembra nemmeno così "oltre i limiti della ragione". Ovviamente rimane comunque la possibilità che dietro ci sia "qualcosa". Ad ogni modo si può ammettere che qualcosa "sfugga". Ma a questo punto la filosofia è completamente inutile. Si può al massimo prendere come assioma che "il nirvana è ineffabile".

Non vedo un'alternativa tra queste due. Quindi:
"Io la vedo così: se studi il funzionamento dell'universo usa la logica fino in fondo, usala tutta. Se pratichi il Dhamma usa la logica fino al punto in cui il tuo 'cuore' ti dirà che puoi dimenticartene ( per un pò... ).
Non vedo contrapposizione tra le due cose. Si può usare la logica dove serve e praticare il Dhamma dove serve ...non ci sono due praticanti uguali su questa terra. Non penso che il Dhamma sia semplicemente credere alle parole di un asceta morto 2.500 anni fa."

Da un punto di vista "umano" è un ottimo consiglio, di cui ti ringrazio. Non credo che personalmente riuscirò a metterlo in pratica (almeno in questa vita  ;D ) ma il lettore interessato può certamente utilizzarlo.

Ma ahimé devo dire che la logica al massimo stabilisce solo che "il Nibbana è la liberazione dalla sofferenza". Niente di più. E a rigore di logica l'unica vita "nobile", proposta dal buddhismo, è cercare la "liberazione della sofferenza". Quindi capisco il mio collega fisico Ajahn Brahm, in fin dei conti. Ovviamente è immorale lasciar soffrire anche sé stessi indefinitivamente. L'esistenza ciclica è una successione di esperienze che in senso ultimo non soddisfano ed è un "male" continuarle. La fisica e la filosofia non danno una "vera felciità", la quale non esiste. Ergo: siccome l'esistenza è sofferenza (e quindi è "male") bisogna fare di tutto per liberarsene. La liberazione avviene quando non si vuole più niente, quindi la "cessazione dell'esistenza" è in fin dei conti un obbiettivo coerente con chi ritiene che l'esistenza è sofferenza. Lo stesso pensare che il nirvana non sia il nulla in fin dei conti è teorizzare, impegnare la mente di concetti. Ergo per un "liberato" "esistere" o "non esistere" è completamente indifferente.

Se il nirvana è invece "ineffabile", come suggeriscono alcuni testi... Beh allora comunque la logica, che causa solo dubbi e distoglie dal percorso (l'entrata nella corrente richiede che il dubbio venga abbandonato...), è un male. Quindi in fin dei conti è inutile studiare approfonditamente i discorsi, visto che:
[Upasiva:]
Colui che si estingue:
non esiste,
o eternamente
è libero dal dolore?
Ti prego, saggio, spiegami
come questo fenomeno è stato da te ben compreso.
[Il Buddha:]
Colui che si estingue
non ha più forma
ciò che dicono gli altri —
per lui non esiste.
Quando tutti i fenomeni sono fatti distrutti
ogni loro significato
è stato anch'esso distrutto.

https://www.canonepali.net/2015/06/snp-5-6-upasiva-manava-puccha-le-domande-di-upasiva/

Quindi probabilmente queste mie perplessità sono semplicemente una perdita di tempo (e ahimé quanto ne ho perso!)  ;D apparentemente i dibattiti sul "fine ultimo" del buddhismo sono totalmente inutili. Personalmente protendo per l'alternativa dell'ineffabilità, però purtroppo l'alta alternativa è coerente con i testi canonici, secondo me e con la motivazione dell'estinzione della sofferenza.
Forse è stato anche voluta questa ambiguità per due motivi.
1) in questo modo vengono attrati sia gli "eternalisti" che i "nichilisti", visto che in fondo i testi hanno questa ambiguità.
2) in realtà si riconosce l'ineffabilità della realtà ultima proprio col "Nobile Silenzio", ossia non dicendo niente ma confutando solamente le altre prospettive. In questo modo si spiegano affermazioni per le quali il "Tathagatha" non può essere misurato.
#500
CitazioneMa o la tua qualità morale, interagendo con tutto il resto, determina necessariamente la tua azione, oppure, oppure questa dipende dal caso.

Non riesco a scorgere alcun "tertuim" logicamente possibile, non contraddittorio col resto del ragionamento (salvo quel "misto" di caso -comunque caso fortuito, privo di valenza etica,nella misura in cui "vige"!- e determinismo che é il "divenire ordinato o deterministico debole" -id est: "divenire disordinato o indeterministico debole"- ossia probabilistico statistico.

Forse perchè l'attuale matematica è troppo arretrata per dare un concetto soddisfacente?  ;)


CitazioneD' accordo, ma il fatto che la scelta avviene in un determinato istante presente e che sia solo probabilisticamente prevedibile (in pratica, di fatto) non toglie che:

o é deterministica (prevedibile in linea teorica, di principio),

oppure casuale (imprevedibile anche in linea teorica, di principio).

Di nuovo: hai scelto di limitarti a questi assiomi. Scelta comprensibile e rispettabile ma non è l'unica possibile. Per la nostra attuale matematica un'alternativa che possa essere una "libera scelta" è assurda.

CitazioneSì, vi sono lassi di tempo in cui non abbiamo punto coscienza, ovvero non percepiamo alcuna sensazione fenomenica, né materiale, né mentale (allo stesso modo svanisce anche la materia: "esse est percipi", B. & H).

Ok, quindi se sparissero un giorno tutte le coscienze, la materia svanirebbe? (anzi magari non avrebbe nemmeno senso di parlare di "tempo" - ovvero sparite tutte le coscienze sarebbe la Fine)

CitazioneD' accordo.
Anche le mie contro il pampsichismo non sono, inevitabilmente, che congetture alquanto "campate in aria": già dobbiamo (se vogliamo spiegarci il mondo; secondo me ovviamente) ammettere per fede che altri uomini e e animali abbiano coscienza e che ci sia un noumeno che comprende noi stessi come entità soggetti, oltre oggetti fra altri oggetti, di esperienza fenomenica cosciente e che i cervelli corrispondono alle coscienze; parlare ulteriormente del noumeno e dei suoi eventuali rapporti con "altro di cosciente" é qualcosa di inevitabilmente molto "precario" e insicuro.

Già. Guarda a caso le questioni più interessanti in fin dei conti sono tutte ai limiti - se non oltre - delle nostre capacità  :(
#501
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
26 Novembre 2017, 19:45:13 PM
Una domanda è d'obbligo sulla questione del nichilismo. Non credo che in realtà sia stata toccata in questo topic.

Qual è la vera (o "principale") motivazione per cui una persona cerca il Nibbana?

Vuole solo liberare sé e gli altri dalla sofferenza? Ossia l'obbiettivo è estinguere la sofferenza (in generale)?
O è valorizzare l'esistenza?

La risposta dà luce sulla questione buddhismo-nichilismo ;)

Credo che sia importante la seguente riflessione.

https://www.canonepali.net/2015/06/snp-1-8-karaniya-metta-sutta-lamore-universale/ Metta sutta... qui non c'è nessuna traccia di nichilismo e mi pare che si valorizzi sia l'esistenza e si dice che anche la sofferenza (dukkha) può avere valore. Quindi no, per me buddhismo non è nichilismo. Quello che non mi convince però è questo completa ricerca della cessazione della sofferenza prima di ogni cosa. Mi sembra che contraddica anche la "Metta Sutta".

Con buona volontà (metta) per il cosmo intero,
si coltivi un cuore illimitato:
Senza odio.


Per un essere così c'è importanza dunque di estinguere la propria sofferenza? Per il cosmo intero... Bodhisattva?
Davvero è così importante stabilire se si è vero "atta" o "anatta" per un essere del genere?
"Metta" dà valore all'esistenza.

https://www.canonepali.net/2015/06/an-11-16-metta-sutta-lamore-universale/. Secondo questa sutta:
"Monaci, per colui che coltiva, sviluppa, insegue, prende per base, stabilizza, consolida ed intraprende bene la liberazione della coscienza attraverso l'amore universale, può aspettarsi undici benefici. Quali undici?
Dorme placidamente si sveglia placidamente, non vi sono incubi nel suo sonno. È caro agli esseri umani, caro agli esseri sovrumani. I deva lo proteggono. Né fuoco né veleno né armi possono toccarlo. La sua mente si concentra velocemente. Il suo colorito è chiaro. Muore senza paura o confusione e – non raggiunge il Nibbana – rinasce sempre nei mondi di Brahma.
Ecco gli undici benefici per colui che coltiva, sviluppa, insegue, prende per base, stabilizza, consolida ed intraprende bene la liberazione della coscienza attraverso l'amore universale, può aspettarsi undici benefici."

"Non raggiunge il Nibbana..." E cosa gli interessa se ama il cosmo intero?? A volte in queste frasi mi sembra incontrare contraddizioni. Metta/karuna vorrebbero il bene per tutti. Il rigido monachesimo e la pratica personale impongono che si cerchi la liberazione personale.
A me sembra di vedere un contrasto. Forse i Mahayana con la loro dottrina del Bodhisattva e la natura di Buddha hanno appunto cercato di conciliare le due cose.

Mah è uno dei grandi misteri del buddhismo.

Ad ogni modo "è davvero umanamente possibile avere una buona volontà per il cosmo intero?"

Risposta: uno stato del genere è impossibile da tenere per sempre quindi è meglio non desiderarlo.

O forse Buddha ha un messaggio ancora più "strabiliante": anche una "vita eterna" in un reame "deva" non ci soddisferebbe per tutta l'eternità. (Ovviamente non tutto ciò che eterno è per forza piacevole. Un'eterno mal di testa non è il massimo, per esempio. Quindi "anicca" - impermanenza - non è l'unica causa di "dukkha", la sofferenza)

Quindi il Nibbana è meglio di ogni esistenza individuale. Tuttavia a differenza del Sari trovo la posizione buddhista molto ambigua. Mi pare che in fin dei conti sono possibili le seguenti interpretazioni: nirvana=nulla, nirvana="cosa" incondizionata fuori dal samsara, nirvana= samsara "vissuto" in modo diverso, nirvana= mente eterna...
Il che confonde e mi pare una cosa assurda che sia tutto così fumoso. Eppure agli antichi indiani bastava ascoltare un discorso ed era fatta. Perchè? Forse solo un contemporaneo del Buddha poteva capirlo? Mah, possibile.
#502
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
26 Novembre 2017, 12:28:39 PM
Grazie della risposta Sari  ;)  

Il punto è che un "ignorante uomo mondano" come me quando direziona "metta" o "karuna" a qualcuno non ha in mente che quel "qualcuno" è un "processo" ma "metta" e "karuna" funzionano proprio perchè - a livello dell'uomo mondano - si pensa che ci sia un "tu" reale.  Se invece davanti a un "essere" contemplo la sua inesistenza intrinseca - se sono un ignorante uomo mondano - riesco a direzionare verso di "esso" una buona azione? Probabilmente un "arahat" (o forse anche un "vincitore della corrente") sì ma uno che sente per la prima volta che gli esseri sono "vuoti" ha certamente un po' di perplessità in proposito, motivo per cui anche tu dicevi che "anatta" è la fine del percorso e non l'inizio. Concordo comunque con te sul fatto che dal punto di vista "ontologico" siamo "processi" più che "cose".

Nota personale: personalmene quando contemplo la mia inessenzialità do meno importanza a parole come "sii un'isola per te stesso" o ad altri insegnamenti "etici". E anche la meditazione sul fatto che "il corpo non è mio, non è il mio sé, non sono io...la mia coscienza non è mia, non è il mio sé, non sono io" ecc in genere mi da l'effetto di "dissociarmi" dalla realtà. Credo che il "vero sé" che circola nel buddhismo mahayana sia un insegnamento che serve proprio a questo. Altrimenti in fin dei conti Sam Harris, Bathcelor, i buddhisti secolari ecc non hanno tutti i torti quando affermano che le neuro-scienze hanno "confermato" la teoria del Buddha e che il Buddha era una sorta di "materialista" che è stato, per così dire, frainteso per millenni.
Comunque la mia lettura personale non vede il buddhismo come nichilismo. Infatti non credo che "Nirvana=nulla" e che l'insegnamento etico è tanto importante come quello "filosofico" (se non di più), visto che quello filosofico se "gestito male" può dare molti problemi.

Ergo: nuovamente l'unico modo per uscire da questo empasse secondo me è capire che alcune cose non si possono capire ;) anche se per un "logico" è una cosa tremendamente difficile da accettare (e in effetti non l'ho ancora fatto ;))  

P.S. Ho modificato il post perchè in esso c'era troppa "avversione". Ogni tanto ci casco ancora: finisco per dire cose in cui ho l'illusione di sapere quando invece non so. Chiedo perdono.
#503
CitazioneMa il fatto che sia "necessaria" secondo l'ordine degli eventi (necessaria né più né meno del movimento delle palle da biliardo...), non ne fa una scelta meno nostra, di cui saremmo meno responsabili (noi non siano meno "noi" per il fatto di esserlo necessariamente, anzi!): ed é anzi appunto per questo che ne siamo responsabili e ne assumiamo il merito o la colpa, per il fatto che dipende necessariamente (e non aleatoriamente) dalle nostre qualità morali e non dal caso esattamente come il movimento della palla da biliardo dipende necessariamente (e non aleatoriamente) dalla sua massa, dalla forza di gravità, dall' energia e dalla direzione con cui é stata colpita e non dal caso.


Qui concordo con te: se l'azione non dipendesse "necessariamente" da noi, non avrebbe senso parlare di responsabilità, visto che in caso contrario potremo "nasconderci dietro" al fatto che è stato il "caso" a causare tutto ciò. Quando ammetto l'esistenza del libero arbitrio non ammetto alcunché di aleatorio: sono io che faccio X_1, penso Y_1 e dico Z_1. Il punto è che a differenza del determinismo credo che ho l'alternativa di fare X_1 al posto di X_2. E qui viene il "bello": le mie qualità morali mi faranno per così dire avere una "predisposizione" di scegliere X_1 o X_2, ma la scelta la faccio sempre nel presente. Ergo se "X_1" è non passare col rosso e "X_2" è passare col rosso e sono di fretta se ho una "buona indole" difficilmente deciderò di passare col rosso (e viceversa se non ho una buona indole) ma comunque "tutto si decide" in quel momento  :) ovviamente se "non passo col rosso" dipende in modo necessario dalla mia scelta e quindi non posso nascondermi dietro il caso. Inoltre concordo che sarò più incline a fare determinate azioni rispetto ad altre proprio per la mia "qualità morale", che dipende da una miriade di fattori!

CitazioneA me pare che così stiano le cose e non si si possa far niente.
Ma il fatto che così stiano le cose e non si si possa far niente include il fatto che chi é (necessariamente) generoso e magnanimo (necessariamente) agisce bene, chi é (necessariamente) gretto e meschino (necessariamente) agisce male, che chi ha (necessariamente) una grande forza di volontà compia (necessariamente) sforzi "eroici", chi é (necessariamente) una "pappamolla" (necessariamente) subisce passivamente di tutto di più, ecc. (l' avverbio tra parentesi non mi sembra poi così importante).

Direi io: il fatto che chi è generoso e magnanimo tende ad agire bene, chi è gretto e meschino tende ad agire male ecc. La scelta però avviene nel momento presente.

CitazioneMa per me il dormire senza sogni é "nulla di cosciente", essendo, come ben dici, per me  la coscienza sinonimo di mente; ma anche di sensazioni materiali).
 
Sì, certamente, al contrario del pampsichismo, ammettere coscienza fenomenica in corrispondenza solo di parte e non di tutto il divenire del noumeno é asimmetrico.
Ma, tenendo comunque conto che parlare del noumeno oltre il "minimo sindacalmente indispensabile" per spiegarci i fenomeni che viviamo, é comunque qualcosa di "molto "arrischiato" (in termini di sua possibile verità o falsità, se non addirittura di sua effettiva comprensibilità o sensatezza), mi sembrerebbe più ragionevole che il pampsichismo; soprattutto per la inevitabile "arbitrarietà mereologica" per la quale la "realtà indistinta o grezza considerata in toto" può essere "ritagliata" fra diversi enti ad libitum, in "un' infinità" di maniere anche reciprocamente alternative (oltre che complementari): in che senso un' atomo del mio cervello potrebbe essere soggetto di una pur effimera esperienza cosciente, ma anche la molecola di cui fa parte potrebbe essere essere soggetto di un' altra esperienza cosciente, e così pure la cellula che contiene la molecola, e anche il tessuto di cui fa parte la cellula, ecc.?

Curiosità/domanda: quindi ritieni la mente "svanisca" quando non si sogna  :) ?
Ad ogni modo la differenza pratica tra le due nostre posizioni è molto piccola e sottile. Capisco la tua perplessità sull'arbitrarietà mereologica, però in fin dei conti alla fine cos'è ad esempio "l'ente corpo umano" se non un insieme composto di parti? Se perdo un arto il mio corpo può considerarsi "lo stesso" di prima o meno? Secondo me anche dal punto di vista materiale c'è un'arbitrarietà. Dal punto di vista mentale invece possiamo chiedersi se ad esempio perdo la mia memoria sono lo stesso di prima o sono divero? Se perdo la capacità di udire la mia coscienza è cambiata o meno? Così come il corpo è in fin dei conti considerato un'unità in virtù della relazione tra le parti, anche la nostra mente forse potrebbe essere considerata un'unità in modo simile al corpo. Spesso in fin dei conti accade che mentre sto compiendo un'azione ricordo un fatto totalmente diverso e mi toglie la concentrazione. Se fossi veramente "unitario" forse non ci sarebbero questi conflitti. Ma la nostra unità mentale forse non è diversa da quella del corpo - e che quindi la nostra autocoscienza "emerga" proprio come il corpo emerge. Ma questo è negare "l'essenzialità" dell'io. Se invece ammetto che ho in me una "sostanza" allora posso pensare che in me è presente un "io" definito e separato. Nella fisica quantistica posso rappresentare una funzione d'onda nello spazio delle posizioni (e in questo caso il suo modulo quadro in un punto è la densità di probabilità di trovare la particella in quel punto) e anche nello spazio dei momenti (e in questo caso il suo modulo quadro per un determinato valore della quantità di moto è la densità di probabilità di trovare la particella con una tale quantità di moto). Le due descrizioni sono diverse ma della stessa cosa. Quindi per un ragionamento simile anche l'atomo per me "è mente" così come è "particella", anche se la sua "mente" è ad un livello completamente rudimentale e la cosa che può avvicinarsi di più è l'esperienza che abbiamo del sonno senza sogni. Ovviamente sono solo speculazioni che potrebbero essere fraintese come pseudoscienza ma in realtà quello che sto dicendo non suggerisce alcunché di paranormale  ;)



SGIOMBO
Ma lascia che a mia volta mi compiaccia nuovamente con te per il tuo dialogare correttamente e costruttivamente, senza "svicolare" o "menare il can per l' aia" o "cambiare le carte in tavola", essendo anche disposto a cambiare opinione se razionalmente convinto (ovviamente cerco di fare così anch' io, per quanto mi é possibile).
Discutere con te é un vero piacere!

APEIRON
Il compiacimento è reciproco  :)


P.S. (off-topic ma potrebbe essere interessante) Non è intervenuto alcun "mentalista" - ovvero chi prende la posizione che la mente sia l'aspetto fondamentale della realtà, il che in un forum di filosofia mi sorprende  ;D. Ritengo personalmente una prospettiva molto interessante anche il mentalismo. Comunque questo video Ted di Donald Hoffman (scienziato cognitivo) https://www.ted.com/talks/donald_hoffman_do_we_see_reality_as_it_is?language=it ritengo che sia una versione moderna e interessante dell'"idealismo". Nel mio caso ritengo che sia vero che esistono sia la mente che la materia ma concordo con quanto dice Hoffman che "quello che vediamo, udiamo..." è una rappresentazione della realtà. 
#504
@sgiombo anzitutto ti ringrazio del compiacimento  :) comunque lasciami puntualizzare un paio di cose.


SGIOMBO


CitazioneSecondo me fraintendi e non concordi con me.
Infatti per me non siano morali perché condizionati estrinsecamente (se lo siamo al punto di essere costretti ad agire o non agire, responsabile del nostro agire o meno sarebbe evidentemente chi ci costringe e non noi: per me se non potessimo (e quando di fatto non possiamo) "fare quello che vogliamo" non avrebbe alcun senso parlare d'etica; a nostro riguardo), ma perché intrinsecamente condizionati (dalle mostre qualità etiche, più o meno buone o cattive, per l' appunto, e non dal caso).


APEIRON

Non sono più convinto di ciò che ho detto poco fa, lo ammetto  ;D in sostanza il mio discorso era: se fossimo onnipotenti (se fossimo "liberi di fare ciò che vogliamo e di volere ciò che vogliamo") allora saremo "oltre la morale" in quanto "possiamo fare ciò che vogliamo". In realtà questo è banalmente falso se si ritiene che alcune azioni sono "giuste" e altre "no". Chiedo perdono dell'errore   ;D 

Ad ogni modo ritengo che le nostre qualità etiche siano condizionate da molti fattori sia esterni che interni (non a caso per esempio dopo un dialogo con un'altra persona posso cambiare). Se il mio carattere fosse "incondizionato" questo mutamento dipenderebbe solo dalla mia volontà. Il che ha come "infelice" esito che in questo caso potrei anche decidere di non imparare ad essere "buono". Quindi "fortunatamente" siamo "condizionati"!

La critica che muovevo al "determinismo" (concordo che "fatalismo" è un termine un po' brutto, però non riesco a trovare un termine che includa tutte quelle filosofie che negano la libertà del volere) era che in realtà non abbiamo alcun potere di mutare le nostre qualità in quanto non appena scegliamo di mutare in realtà la nostra scelta di mutare è "necessaria" secondo l'ordine degli eventi (necessaria né più né meno del movimento delle palle da biliardo...). E se c'è il parallellismo tra mente e materia allora anche i nostri pensieri in realtà sono "inevitabili". Di certo nel caso del determinismo si può avere una "crescita" però in realtà anche tale crescite è inevitabile. Così come è inevitabile il mio eventuale regresso ad uno stato meno "moralmente" elevato e così via. Tutto è inevitabile e rigido.

Quello che non mi torna è proprio questa "inevitabilità" portata al (logico) estremo.


SGIOMBO


CitazioneMa che significa "mente non senziente"?
MI sembra una contraddizione.
Il computer ha il suo modo di trattare algoritmicamente  l' "informazione" (in senso tecnico, non come sapere consapevole) come il cervello ha il suo.
Ma i trattamenti algoritmici di informazioni sono eventi fisici "regolari" esattamente come tutti gli altri, compresi quelli riguardanti gli atomi di idrogeno; e solo degli eventi degli animali (comportamenti finalizzati) mi sembra ragionevole ipotizzare che possano essere "accompagnati da" coscienza.

Non mi sembra che ammettere che solo a determinati casi del divenire del noumeno (soggetti di coscienza; corrispondenti fenomenicamente* alla vita di animali vista** da altri animali) e non ad altro corrispondano esperienze fenomeniche coscienti: l' ipotesi mi sembra stia bene in piedi malgrado la negazione (o per lo meno la sospensione del giudizio, trattandosi di cose malcomprensibili) di coscienza nel resto del noumeno stesso.


APEIRON
La cosa che può avvicinarsi di più a "mente non senziente" è la mente che "rimane" quando dormiamo senza sogni (anche in questo caso in fin dei conti processiamo le informazioni e reagiamo all'ambiente), solo che chiaramente un atomo non può "svegliarsi" ;D  a causa della nostra "autocoscienza" ovviamente non ci è possibile "immaginarci" tale stato, così come abbiamo difficoltà ad immaginarci quando dormiamo senza sognare. Quando tu dici che la coscienza (che per te è sinonimo di mente) è presente sono negli animali (e nell'uomo) mi sembra di trovare una "rottura di simmetria" (  ;D ) tra i due aspetti (materiale e mentale) del tuo sistema. Quindi se pensi all'evoluzione del Cosmo in cui chiaramente al Big Bang non c'erano animali vuoi dire che la mente è emersa? Se rispondi "sì" non ho nulla da criticarti, solo che in tal caso non puoi più dire che è "parallelismo". Ti prego dunque di chiarire questo punto  ;) per me c'è una sorta di gradazione nell'aspetto mentale e la materia inanimata h aper così dire il grado "minimo" di mente (ovviamente non posso portarti una prova empirica di ciò, semplicemente mi sembra un ragionamento che torna "per simmetria"). Ovviamente è una mia teoria però è anche vero che il buon Spinoza sarebbe, credo, d'accordo ;)




CitazioneMa, da buoni filosofi, dobbiamo cercare "verità" (presunte) che necessariamente non contraddicano le nostre "intuizioni" o non invece la verità quale che sia (sia pure in contrasto con le "nostre" intuizioni?



Concordo. Però secondo me talvolta quando riconosciamo la nostra "limitatezza" possiamo prendere una posizione "ragionevole" quando pare essere particolarmente opportuna  ;) d'altronde ad esempio anche le stesse teorie scientifiche prima esistevano come "speculazioni" (talvolta sembravano piuttosto assurde) e dopo sono state ben formalizzate (anche se ammetto che in questo caso la situazione è diversa  ;D ).



Su Schopenhuer è famosa la sua "citazione" attribuitagli da Einstein (non credo che sia "letterale" ma comunque non è una descrizione errata del suo pensiero). "Noi siamo liberi di fare quello che vogliamo, ma non siamo liberi di volere ciò che vogliamo". Secondo me invece in parte siamo sia liberi di volere ciò che vogliamo che liberi di fare ciò che vogliamo ;)
#505
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
25 Novembre 2017, 13:12:47 PM
Sì sulla questione della libertà sei stato molto comprensibile  ;)  anche perchè hai evidenziato che la parola "libertà" ha significati diversi e ciò causa confusione. Essendo il buddhismo "non fatalista" dice che la nostra libertà d'agire è "condizionata" dall'"ambiente esterno". Per esempio non posso scegliere di volare, viaggiare nel tempo o di teletrasportarmi su Andromeda. Però non è neanche vero che siamo "schiavi del fato" (il sistema di Schopenhauer crolla proprio qui: accettando lui il fatalismo di fatto è "impossibile" liberarsi se non si è già "destinati" ad essere liberati - quindi la sua "via d'uscita" in realtà è una mera descrizione - se ti va puoi leggere la discussione https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/siamo-responsabili-delle-nostre-azioni/90/, più precisamente il mio pensiero lo trovi nelle (mie) risposte a pagina 6 e pagina 7...). Però in realtà anche se siamo in questo senso liberi siamo soggetti a sofferenza, "cattiveria" nostra e altrui, avversioni, attaccamenti ecc quindi in realtà questa "libertà condizionata" non ci soddisfa in quanto appunto non siamo veramente "liberi" - ossia non troviamo la "pace" che cerchiamo. Quindi in sostanza il buddhismo ci dice che appunto possiamo avere la (vera) libertà che cerchiamo - l'incondizionato Nibbana - che però otteniamo quando "lasciamo andare", ossia in ultima analisi quando "lasciamo andare" le pretese che nascono dalla nostra "libertà condizionata".

Riguardo alla questione del nichilismo. Sì concordo con te che il buddhismo con testi come quello che hai citato di N(yaponika?) Thera non può essere accusato di nichilismo, anzi. Il problema però è che agli occhi degli occidentali (in particolare, ma non solo) "spogliare" la realtà ultima di tutti i concetti fa in modo che parole come "rifugio, incondizionato" ecc sembrino solo "adornamenti del nulla". Ormai sono completamente convinto (grazie Sari  ;) ) che il Nirvana è una "Realtà trascendente" perchè infatti il "nulla" sarebbe condizionato dal "sentiero buddhista" e non "incondizionato". Però a partire dall'ottocento si è cominciato a virare verso la negazione della trascendenza e di conseguenza anche le religioni e e le filosofie orientali sono state interpretate in questo modo (d'altronde l'equazione Nibbana=Nulla fu forse sostenuta solo nell'antichita dalla scuola buddhista Sautrantika ma ormai ne dubito e credo che sia un'invenzione "moderna" che piace a chi non ammette l'esistenza di realtà "oltre i nostri limiti investigativi"). Schopenhauer invece - bisogna dargli questo merito - fu uno dei pochi a capire che dietro alla "povertà" concettuale in realtà si "nascondeva" una Realtà Ultima.
Il buddhismo più che altro ha un problema logico tra "etica" e "non-sé" (anatta): per esempio se mi convinco che gli "esseri" a livello di realtà ultima "non esistono" potrei cadere nel nichilismo (rischio in realtà condiviso da tutte quelle scuole di pensiero che non ammettono l'esistenza in senso ultimo dell' "individuo", quindi di fatto è un rischio presente anche tra i monisti). Inoltre "rimuovendo" anche la possibilità di identificarsi "col tutto" il buddhismo dà l'impressione - a livello dottrinale - di essere una sorta di "fuga". Però, secondo me, già il fatto che si dia un'importanza così forte a "karuna" e a "metta" (compassione e amore) fa in modo che il buddhismo non sia nichilista né a livello del "nibbana" né a livello dell'etica. Ammetto che anche per me è incomprensibile l'esistenza dell'azione libera senza l'esistenza di qualche "centro" che controlla le azioni. Quindi sull'(in)esistenza dell'individuo "a livello di realtà ultima" ho ancora forti dubbi anche se la "metafisica" (e non solo, anche la "fisica") suggerisce proprio questo.

D'altronde è anche vero che "profondo...è questo Dhamma, difficile da vedere, difficile da realizzare...oltre i limiti della ragione..deve essere sperimentato dal Saggio" (MN 72). "Oltre i limiti della ragione"... Credo che la "fede" nel buddhismo inizi proprio dal capire che è "oltre i limiti della ragione" e dall'accettazione che questi inevitabili dubbi verranno col tempo e (tanta  :-[ ) pratica superati. Quindi la parola "nichilismo" per il buddhismo è completamente fuori luogo avendo esso un'etica della "compassione universale" (compassione rivolta a tutti gli esseri senzienti  ::) ) e una Realtà Ultima (il Nibbana). Di certo però è una dottrina che rischia più di un'altra di essere scambiata per "nichilismo".

P.S. Buona guarigione Sari!
#506
@Phil, non hai frainteso se la intendi in questo modo. Non sto dicendo che abbiamo una libertà "incondizionata/assoluta", bensì abbiamo una libertà "condizionata", ovvero le nostre scelte sono sì libere però sono estremamente condizionate dall'ambiente, dai processi del nostro organismo ecc. Il fatalismo (che in realtà può non esseere determinista. Anche se tutto andasse a caso d'altronde non avremo "libertà") non mi piace perchè mi pare una visione estrema e apertamente contraddittoria rispetto alla nostra "intuizione" di sentirci "liberi di scegliere" e (secondo me) rispetto alla "ragione pratica". Ovviamente siccome nessuna legge della fisica lascia spazio a questa "via di mezzo", la mia posizione non è strettamente parlando "razionale", bensì "solo" ragionevole.

@sgiombo, però fai conto che il mio "assurdo" significa appunto che rispetto alla nostra attuale conoscenza è "assurdo". Può darsi che in futuro si scopra qualche indizio che ci faccia capire che una "libertà condizionata" c'è. La fisica è tutta scritta in modo matematico (Spinoza sarebbe fiero di ciò) e "immettere" la libertà umana in un sistema matematico ritengo che sia impossibile. Però è impossibile (o assurdo) da un punto di vista "razionalistico" perchè fin dall'inizio non si ammette che possano esistere questi "salti logici" nella realtà (e tra l'altro tra dialettica hegeliana, coincidientia oppositorum, catuskoti, la moderna logica paraconsistente ecc non mi sorprenderebbe che anche la realtà si comporti in modo, per così dire, "illogico"). Vorrei poi precisare come il fatalismo in effetti ha senso sia nel caso del probabilismo (o in genere dell'indeterminismo) che nel caso del determinismo - in ogni caso è impossibile "affrancarci" dalla catena di cause ed effetti. Detto questo "constato" l'insanabile differenza e rispetto il tuo dissenso - "respectful disagreement" direbbero gli anglofoni  ;)

Concordo però con te che in un certo senso se avessimo il "libero arbitrio totale" senza restrizioni e senza condizioni saremo a-morali in quanto non avremo alcuna restrizione nel nostro comportamento. Quindi è proprio il fatto che la nostra libertà è condizionata, ossia che le nostre azioni (a livello di pensiero, parola o azione concreta) hanno conseguenze e sono in (grossa?) parte a loro volta causate da altri fattori, che ha senso parlare di etica. Se potessimo "fare quello che vogliamo" non avrebbe alcun senso parlare d'etica. Quindi sì il "fatalismo" è in parte corretto nel mettere in chiaro la catena causale (deterministica o meno) ma, per così dire, è (per me) incompleto. Non a caso ho una buona stima in realtà dei "fatalisti" come lo furono Spinoza, Schopenhauer ecc. Forse te l'ho già chiesto ma hai mai letto Schopenhauer (in particolare "Il Mondo come Volontà e Rappresentazione", "sulla libertà del volere umano", "sul fondamento della morale" - che ritengo essere i suoi capolavori)? In caso ti consiglio fortemente di leggerlo.  ;) Tra l'altro anche se la sua conoscenza delle filosofie e religioni indiane è - devo ammetterlo - un po' superficiale, in realtà le ha, secondo me, comprese più di quello che solitamente gli interpreti ammettono.


Riguardo infine alla questione della "mente". Direi di dire che l'uomo è autocosciente. Gli animali sono senzienti (chi più, chi meno. Una formica lo è meno di un cane, ovviamente.). "Il resto" invece ha una mente "non senziente". Per esempio, possiamo dire che la "mente" del computer è il suo "software". In sostanza l'evidenza che ci sia una "mente" (estremamente elementare! non sono un animista  ;D ) anche nell'atomo di idrogeno è che anch'esso "elabora" le informazioni, interagisce con il suo ambiente, ha comportamenti regolari, redistribuisce la sua energia ecc. Alcuni per esempio stanno pensando che l'intero universo possa essere paragonato ad un "computer quantistico" (non sono d'accordo visto che l'uomo è ben più sviluppato di un computer quantistico e dei fenomeni inanimati). Quindi se ci pensi l'idea secondo me non è così balzana come sembra. Anche perchè se non ammetti l'esistenza della mente negli enti inanimati crolla il parallellismo psico-fisico. Se sparisse tutta la vita senziente nel cosmo dovrebbe sparire anche l'"attributo" mentale dell'universo e rimarrebbe solo quello "materiale". Non credo che tu sostieni questo.
#507
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
24 Novembre 2017, 15:47:20 PM
@Sari, ho una domanda. Altrove ho scritto questo: "Per esempio il buddhismo nega l'esistenza dell'io a livello di realtà ultima ma al contempo afferma il libero aribitrio, cosa che per me è fuori dalla mia comprensione (e credo che ciò lo facciano anche l'Advaita Vedanta, il daoismo ecc). Sinceramente io sono convinto che il libero arbitrio descriva qualcosa di "reale" e non solo "convenzionale" mentre sull'esistenza dell'"io individuale" a causa della mia attrazione ai vari sistemi filosofi buddhisti, vedanta ecc  non so ancora esprimermi. Però ecco ritengo che il libero arbitirio (e quindi la responsabilità) si riferiscano a qualcosa di "reale"." Ossia nel caso del buddhismo le azioni umane siano "libere" pur non essendoci "qualcuno" che le faccia a livello di realtà ultima. Il che per me è completamente incomprensibile (ovviamente non sto dicendo che ciò falsifica il buddhismo). Anzi potrebbe essere la ragione per cui "profondo...è questo Dhamma, difficile da vedere, difficile da realizzare...oltre i limiti della ragione..deve essere sperimentato dal Saggio" (MN 72).

Confermi che nel buddhismo appunto esista il libero arbitrio? (ossia che esistano azioni "libere" ma non esista "in senso ultimo" anche "l'io". Altrimenti se così non fosse sarebbe "fatalismo" e non "buddhismo")
Però la "distorsione" che facciamo a causa di questo "libero arbitrio" è che ci sia un "io" reale a livello della realtà ultima a farlo. E quindi il "meccanismo" del samsara è mantenuto in essere proprio a causa di questa illusione per la quale un'azione in qualche modo "libera" sia causata da un "ente" (reale nel senso ultimo). Rinunciare dunque all'"io" significa anche di fatto rinunciare anche al "libero arbitrio", ossia rinunciare alla propria libertà, la quale in fin ci soddisferebbe solo se fosse "assoluta", cioè se potessimo scegliere senza alcuna influenza esterna, ossia se avessimo il controllo completo dell'esterno. Avendo noi solo un controllo incompleto (e condizionato) per "ottenere" la "vera libertà" dobbiamo alla fine rinunciare anche a questa libertà "relativa". In sostanza siamo per così dire "invitati" a scegliere di "rinunciare" al controllo incompleto/libertà relativa ma la possibilità di fare questa scelta è in fin dei conti data dall'esistenza di questa libertà relativa/controllo incompleto. L'unico modo per raggiungere quella "libertà incondizionata" che cerchiamo è paradossalmente quella di rinunciare alla libertà relativa stessa e all'io ;) devo dire che è un tema che ricorre molto nelle varie religioni seppur chiaramente in forme diverse.
E la "fortuna" di essere umani nel buddhismo è la seguente: grazie al fatto che possiamo capire questa cosa possiamo scegliere di rinunciare al nostro potere di controllare le cose e quindi in ultima analisi rinunciamo anche al libero arbitrio e il samsara cessa.
Credi che sia un'interpretazione corretta?

Ossia per così dire il Nibbana lo si "ottiene" quando si rinuncia a ciò che ci permette di scegliere di rinunciare. In sostanza posso scegliere di "lasciar andare" proprio quell'autonomia che mi permette di capire che la "perfetta liberazione" la trovo solo rinunciando all'autonomia (parziale) stessa. Certamente è un paradosso!

Però "le parole vere sembrano paradossali" (Dao-De-Jing, 78)
#508
@sgiombo. L'insanabile dissenso nasce dal fatto che tu sei uno "spinozista" e io no  ;)  Le nostre posizioni chiaramente non possono essere conciliate in quanto per me è impossibile convincere un "razionalista" dell'esistenza di un tertium, il che ovviamente è assurdo da un punto di vista logico. Ma è anche vero che la "ragione pratica" - ossia la ragione che si occupa dell'etica - nasce proprio dall'esigenza di "gestire" proprio la questione della responsabilità. E "automaticamente" quando si giudica un comportamento è chiaro che (secondo me) nascano in modo automatico "idee" come l'azione morale e la conseguenza dell'azione morale. Supponi dunque di tornare all'esempio del "semaforo rosso": se passo col rosso è "giusto" che mi becco la multa, se non passo col rosso invece è "giusto" che non venga punito (in questo caso siccome la responsabilità me la becco solo quando trasgredisco la legge). Ovviamente se io passo col rosso commetto un'infrazione mentre se non lo faccio io non commetto l'infrazione e la mia "coscienza morale" in caso io abbia compiuto il "crimine" mi dice "non avresti dovuto farlo". Chiaramente questo non dimostra né l'esistenza di un tertium tra determinismo e indeterminismo e nemmeno l'esistenza di un agente che possa "controllare" le sue azioni, motivo per cui la tua posizione è "logicamente corretta". Spinoza d'altronde aveva "costruito" esattamente in questo modo la metafisica del mondo ed è partito dal postulato che non ci fossero salti logici nella natura, ossia che tutto poteva essere spiegato (cosa che pensarono anche Hegel e Schopenhauer. Sinceramente non mi ricordo cosa pensava Marx su questa questione ma mi pare che anche Engels - che ha fondato l'aspetto "teorico-metafisico" del marxismo - fosse sostanzialmente d'accordo). Oggi l'idea in realtà è condivisa da molti fisici per i quali, anche se in molti ritengono che a livello quantistico sia in vigore l'indeterminismo probabilistico, ritengono che l'idea di "libero arbitrio" sia completamente assurda. Ergo si hanno due alternative: o il libero arbitrio è una illusione - o più precisamente è un'idea che nasce dalla nostra sostanziale ignoranza del funzionamento della nostra mente - oppure il libero aribitrio è reale, come ci suggerisce la "forma" delle idee che vengono prodotte dalla ragion pratica. Il punto è che se si ammette che il libero arbitrio è solo una illusione epistemologica a mio giudizio le azioni sono inevitabili e quindi i giudizi sono anch'essi illusori. Spinoza potrebbe dire che la "liberazione" è proprio riconoscere che appunto in fin dei conti tutto avviene in modo necessario e che la "perfetta realizzazione" è proprio questo. Io invece ritengo che il libero arbitrio descrive qualcosa di reale, ossia che per così dire abbiamo per così dire "la scelta" - Spinoza che toglie ogni valore ontologico alla scelta ovviamente direbbe che sono un illuso. Ad ogni modo in qualche modo ritengo anche io che il "perfetto realizzato" è "spontaneo", perchè a questo punto in un certo senso (che ammetto di non comprendere) ha "rinunciato" al libero arbitrio, ossia alla tendenza di controllare ecc (da qui l'importanza della rinuncia/resa). Tuttavia a mio giudizio l'etica descrive qualcosa di ontologico e non ha solo valore di "approssimazione". Se qualcuno è interessato o non gli sembra chiaro quanto sto dicendo, posso espandere questo argomento ancora (mi rivolgo a "qualcuno" perchè credo che sia una questione interessante - d'altronde abbiamo fatto già sei pagine di discussione  ;D )


Riguardo invece alla "mente"... a causa del parallellismo psico-fisico qui ritengo che così come il corpo ci sembra "un'unità" astratta dal resto delle cose anche per la mente valga un principio simile e che quindi non esista davvero un "centro" mentale che definisca il "mio io" (questa posizione ricorda l'anatta, il principio del "non-sé", del buddhismo). E così la complessità del corpo è in "corrispondenza biunivoca" alla complessità della mente e nel caso del corpo umano c'è secondo anche libero arbitrio (che ovviamente si riflette anche sul mondo materiale). Ritengo quindi che al corpo "X" si associ una mente "Y" che sia speculare per complessità. Ma siccome non credo che esistano "particelle isolate" (ovvero "incondizionate", libere dai condizionamenti) allora nemmeno le particelle sono degli "io". Motivo per cui la loro identità è solo qualcosa di "convenzionale" (come tra l'altro lo è anche la nostra). Ergo è errato dal punto di vista meta-fisico dire che sia noi esseri umani che le particelle abbiano un "io", ma è corretto dire che noi esseri umani abbiamo un senso dell'io, nato dal fatto che siamo talmente complessi da poterci pensare separati. Sinceramente non so come riuscire a far stare in piedi il mio sistema metafisico visto che a causa della mia credenza nel libero arbitrio ritengo anche con un "sistema complesso" come l'uomo riesce ad avere autonomia, pur non avendo un "centro" (il quale sembra essere automatico da postulare se si postula il libero arbitrio). Sinceramente non so come chiudere il cerchio e quindi a dire il vero sull'esistenza "ontologica" dell'io (nell'uomo - e anche negli animali) riservo dubbi. Nella pratica tuttavia vivo come se avessi un io. Quindi boh  :) (tra l'altro l'esistenza del libero arbitirio senza l'esistenza dell'"io" è uno dei problemi irrisolti - per me - del buddhismo...)


@Phil, ti sorprenderà ma non conosco Patanjali (sulle scuole non buddhiste della filosofia indiana ho solo letto letteratura secondaria al massimo, quindi non so molto ;) ). Ad ogni modo credo che nella filosofia indiana la "convenzionalità" sia un po' più "reale" (scusa il gioco di parole ma non so veramente come dirlo) di quello che pensiamo noi. Per esempio il buddhismo nega l'esistenza dell'io a livello di realtà ultima ma al contempo afferma il libero aribitrio, cosa che per me è fuori dalla mia comprensione (e credo che ciò lo facciano anche l'Advaita Vedanta, il daoismo ecc). Sinceramente io sono convinto che il libero arbitrio descriva qualcosa di "reale" e non solo "convenzionale" mentre sull'esistenza dell'"io individuale" a causa della mia attrazione ai vari sistemi filosofi buddhisti, vedanta ecc  non so ancora esprimermi. Però ecco ritengo che il libero arbitirio (e quindi la responsabilità) si riferiscano a qualcosa di "reale". Ovviamente la mia posizione ha una debolezza abbastanza evidente, nel senso che non è "logicamente consistente" in quanto non è possibile nel mio sistema far derivare il libero arbitrio. D'altronde al Buddha si attribuisce questa frase "profondo...è questo Dhamma, difficile da vedere, difficile da realizzare...oltre i limiti della ragione..deve essere sperimentato dal saggio" (MN 72)  
#509
@Kobayashi l'oltre-uomo è colui che vede la realtà all'infuori delle illusioni, delle convenzioni, delle razionalizzazioni ecc. Siccome per N. la vera essenza della vita (almeno a livello psicologico ma secondo me lui è andato un po' oltre...) è la "volontà di potenza", allora l'oltre-uomo diviene una sorta di "centro" da dove questa "energia" si "irradia". L'oltre-uomo è colui che si esprime perciò "autenticamente" senza alcun "ostacolo". Da qui nasce a mio giudizio la confusione: perchè in genere anche il "santo" (in diverse tradizioni) è colui che vede la "realtà così come è", è spontaneo (nel senso che non ha più nessun "ostacolo") però non è uno che in genere può essere visto come uno che si "appropria". TUTTAVIA è anche interessante notare che in un certo senso anche questi "santi" sono guerrieri, ma solamente contro "il male" che è presente in loro stessi. Quindi sì c'è molta somiglianza, la lettura di N. certamente per certi versi è liberante ecc ma non riesce a darmi l'idea che quello sia il fine (né per me, né per nessun altro).

La questione che sollevi tu sullo "scarto" tra l'uomo comunemente inteso come "violento" e l'uomo che ha superato i propri difetti secondo me nasce appunto da questa sua "visione" di come è la "vera essenza della vita". Perchè è vero che tu puoi interpretare tutta la sua filosofia come una "lotta spirituale" (come fanno in realtà alcuni interpreti negando il lato "violento" della filosofia N.), però il fatto che il fine della sua filosofia è proprio la realizzazione della volontà di potenza (e quindi del conflitto ecc) fa sospettare che per N. è il conflitto il vero "sommo bene" (in quanto la negazione di esso è una illusione) rende possibile affermare che l'oltre-uomo per N. è proprio colui che "si afferma" e quindi simile sia al guerriero aristocratico che all'uomo virtuoso del Rinascimento - e infatti lui stesso tende a precisare come "artisti" e "guerrieri" sono appunto quelli più vicini all'idea dell'oltre-uomo. Volendo anche i "santi" sono anch'essi oltre-uomini (non dimentichiamoci che N. apprezzava in realtà anche Gesù e Buddha - nonché i "cristiani seri", ossia coloro che sono coerenti - nella Genealogia scrive: "tutto il rispetto per l'ideale ascetico onesto") però avendo rigettato ogni base universale dell'etica e nel contempo avendo posto come "vera realtà" l'affermazione (che può prendere diverse forme) N. secondo me è costretto ad apprezzare allo stesso modo gli artisti, i guerrieri, i santi ecc con tutte le conseguenze che ciò implica (d'altronde parliamo di un uomo che ammirava sia Buddha che Napoleone). Ergo non vedo nella filosofia di N. alcun indizio per cui ad esempio un artista come Beethoven è preferibile ad un uomo che "esprime" la sua "vitalità" nel combattimento (con tutte le problematiche che possono seguire da questo). Quindi rispondendo alla tua domanda direi che per N. l'oltre-uomo può essere benissimo entrambi gli esempi che tu porti ma non solo!

Ovviamente io non sono d'accordo con questa visione delle cose pur riconoscendo che ha dei suoi meriti visto che d'altronde i "santi", i "saggi" e i "virtuosi" spesso parlano di una "guerra spirituale". Le somiglianze ci sono, però questa "affermazione" (che di fatto è il "percorso" con cui diventano santi, virtuosi o saggi) in genere dai virtuosi non è vista come il fine, bensì come il mezzo. Per cui secondo me la "volontà di potenza" e la "morale" (religiosa o meno) devono collaborare per fare in modo che si "avanzi" nel percorso verso il raggiungimento del fine, ossia della "liberazione". Diciamo che per me N. ha scambiato il fine col mezzo, da qui appunto sorgono le ambiguità di cui tu parli. N. si è fermato appunto a vedere la "lotta" e non ha visto quello "che c'è oltre" (cosa che personalmente mi riesce estremamente difficile avendo per così dire "obbligato" me stesso a rimuovere ogni illusione... tra l'altro ho un conflitto interiore abbastanza forte in questo momento e di certo non "mi augurerei" che questo sia il fine. :( Ritengo che il fine sia qualcosa di simile alla "cessazione" di ogni conflitto e di ogni tendenza all'affermazione ossia qualcosa di simile al nirvana buddhista che mi sembra la più coerente descrizione di questo "stato", anche se in realtà sono pieno di perplessità e di dubbi anche su questo). Comunque la polimorfia del pensiero di N. la si vede anche nella diversità delle interpretazioni che anche in questo forum vengono fuori. E qualunque sia quella "giusta" credo che la migliore qualità di N. da ammirare sia la sua dedizione e perseveranza a "scoprire la realtà" e il suo impegno a "equilibrare la filosofia e la vita". Personalmente comunque tra i vari tipi di "conflitto" che ci sono l'unico che a mio giudizio per così dire è necessario è quello "interiore" (conflitto che ritengo estremamente difficile e in cui ahimé si può anche perdere :( )
#510
@Phil per certi versi anche le proprietà di liquidi "non esistono" e sono il prodotto della nostra ignoranza (ovvero perchè ci fanno comodo), visto che non esistono a livello "fondamentale". Ma ciò tuttavia non rende meno reali né le proprietà del liquido né la stessa etica. Infatti producono entrambi effetti empirici e sono molto ultili nella descrizione dei fenomeni.

@sgiombo, non sono d'accordo sul discorso del determinismo. Voglio dire che se quando faccio un'azione, la faccio "per necessità" allora il concetto di "responsabilità morale" è completamente privo di senso (motivo per cui Spinoza non mi soddisfava). Sul resto puntualizzo che la "mente" che hanno, secondo me, gli oggetti "inanimati" è una mente "priva del senso di sé", quindi non è una coscienza. E come emergono i processi coscienti così emerge anche il senso del sé (per il parallellismo...). Viceversa non mi è chiaro nel tuo caso come possa emergere il "senso del sé" (ovviamente questo è off-topic, quindi non so se sia legittimo continuare. Per me andrebbe bene farlo, ma non voglio andar contro le regole  ;D ). Così mentre gli oggetti inanimati si muovono spontaneamente, noi abbiamo invece la "mediazione" della coscienza che da appunto il "tertium" tra il determinismo e l'indeterminismo.