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Messaggi - maral

#511
Non credo che "natura" sia un termine astratto, lo è se depurata con l'intento classificatorio delle scienze "oggettive". La natura è ciò che accade (il terrore, l'angoscia profonda e la meraviglia) nel momento in cui qualcosa in essa prende coscienza di tutto quello che c'è sentendosene contemporaneamente inclusa ed esclusa. La natura è il mondo che ci presenta la sua immane e irriducibile resistenza, ma che proprio in virtù di questa resistenza ci consente di sentire la nostra possibilità di costruire in esso una possibilità di resistenza ove poter per un po' progettare di abitare rimanendo. Essa nutrendoci ci distrugge e distruggendoci ci nutre. Questa è la sua ambiguità e la sua profonda contraddizione, una contraddizione che si risolse originariamente nell'immagine di un immane ciclo cosmico o nell'oscillazione di una pulsazione che sempre si ripete inghiottendo e generando continuamente ogni sua parte. La natura è il tema del racconto mitico dell'esistenza che ci tramandiamo per poter in esso sopravvivere.
#512
Attualità / Re:Un Trump per l'Italia
26 Novembre 2016, 10:05:22 AM
Sulla degradazione mercantilistica economica dell'Occidente non nutro dubbi, ma che il rimedio sia l'ennesimo pagliaccio cialtrone con il parrucchino arancione anziché il Priapo o il mascellone, il baffetto o il baffone di turno sì e parecchi.
La tigre sdentata, resa placida e mansueta dalla pappetta quotidiana che il custode le propina, ogni tanto si mette a sognare di tigri sanguigne e feroci che facciano finalmente ordine e pulizia e il mercato, padrone del recinto, volentieri l'accontenta poiché tutto fa parte dei suoi giochi e il circo Barnum è sempre aperto per il pubblico vociante da menare per il naso a sue spese e tragedie mentre si inscena la farsa.
#513
Attualità / Re:sogni
25 Novembre 2016, 22:58:54 PM
Mi sembra interessante notare che l'economia è considerata come la gestione delle risorse in condizioni di scarsità delle stesse. La scarsità è il parametro fondamentale su cui si basa il primato economico. Forse è per questo che la capacità di sognare e credere ai propri sogni, per una società basata su una prospettiva economica, è da tenere accuratamente sotto controllo rigoroso e ridotta ai minimi termini di modo che la propria miseria appaia costantemente come l'unica realtà.
#514
Attualità / Re:Femminicidio: degenerazione del uomo
25 Novembre 2016, 22:33:33 PM
Bè mi sembra quanto meno singolare sostenere che il "femminicidio" sia un'invenzione dei giornali che invece passerebbero sotto silenzio i casi in cui sono le donne a uccidere gli uomini. E perché mai? Quale vantaggio ne avrebbero questi giornali?
Non credo che in nome di una comune umanità di genere "neutro" non si debba riconoscere il fatto evidente che sono molto di più gli atti di violenza palese che il maschio umano commette sulla femmina che non viceversa e soprattutto che questi atti di violenza e prevaricazione tendano ad aumentare in forma privata ancor più che pubblica proprie nelle società maggiormente fondate sul paradigma socio economico attuale in cui i sessi, che non trovano più una complementarientà di genere, entrano costantemente in competizione. E la donna ha la peggio in quanto, dietro un apparente riconoscimento di parità neutra (siamo tutti consumatori equivalenti per il mercato), questo mondo così economicamente impostato, è essenzialmente costruito sulla prospettiva sessuale maschile paradossalmente ben di più che in ogni precedente cultura. Dunque il maschio si sente comunque quanto mai giustificato per la sua violenza proprio da quel contesto culturale che ipocritamente e solo del tutto superficialmente lo condanna.
#515
Citazione di: cvc il 24 Novembre 2016, 08:39:40 AM
Mi sorge un dilemma: che differenza c'è fra Diogene e un punkabbestia? Entrambi sono per l'anarchia, vivono di espedienti in condizioni simili ad animali, disprezzano le convenzioni sociali, sono scabrosi, insultano chi non la pensa come loro o non gli da ciò che chiedono. È per me come un rompicapo, perché io stesso nutro ammirazione per Diogene e repulsione per i punkabbestia? Forse perché il primo è un'idealizzazione di un uomo vissuto duemila anni fa in condizioni particolari e questi me li ritrovo nel presente fra i piedi e devo evitarli perché mi irritano profondamente? Ammetto di sentirmi un po' confuso al riguardo. Forse perché il primo aveva una posizione ideologica e il secondo è invece più interessato all'aspetto pratico della sua condizione, che gli consente di vivere come un parassita. È ciò che è stato contestato ai cinici successori del movimento che proprio per questo si estinse, venendo relegato ad "arte di masturbarsi in pubblico".
Però faccio fatica a fare una netta distinzione, probabilmente perché qualcosa mi sfugge.
E' un dilemma interessante, ma a cui non so rispondere se non che ci sono più di duemila anni di distanza tra un Diogene e un punkabbestia e una differenza enorme di contesti e quindi di significati. Di Diogene sappiamo ben poco, a parte qualche aneddoto resta una figura quasi leggendaria, i cinici li conosciamo soprattutto attraverso le parole di altri, epicurei e stoici, in particolare Epitteto che traccia un profilo del cinico ideale, dal punto di vista di uno stoico ovviamente. In realtà, come fa notare Foucault, gli atteggiamenti dei cinici sono sempre risultati socialmente repulsivi: la povertà estrema perseguita come valore, la ricerca  dell'umiliazione pubblica, il vivere di elemosina (cosa considerata per un greco dei tempi estremamente disonorante, quanto la schiavitù), la sporcizia del corpo (poi ripreso come valore da un certo ascetismo cristiano, ma in un'ottica ben diversa) e soprattutto l'atteggiamento indisponente, fino alla provocazione più irritante fatta per mostrare l'irrilevanza di qualsiasi posizione socialmente riconosciuta, la messa in luce della falsità di qualsiasi gerarchia sociale e il concetto di natura intesa come pura animalità. Tuttavia la filosofia dei cinici, quelli alla Diogene, era basata sul "cambiare la moneta", per mostrarne la vera faccia. Non so se i punkabbestia siano guidati dal medesimo intento o, piuttosto, dalla considerazione del fatto che nessuna moneta ha valore, quindi non ha senso né il cambiarla né il conservarla, giacché ogni esistenza partecipa del suo fondamentale essere niente, non essendoci proprio alcuna verità che è poi la verità che aleggia sotto il fondamentale nichilismo dei tempi attuali. Forse Diogene non si trovava ancora a fare i conti con il nichilismo e poteva ancora immaginarsi e praticare un modo diverso di vivere e agire come qualcosa che fa differenza in valore, anziché una sottostante completa e radicale indifferenza per tutto. O forse un punkabbestia incarna l'unico modo possibile per essere coerentemente cinico nei tempi attuali.
#516
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
21 Novembre 2016, 23:30:58 PM
Citazione di: green demetr il 21 Novembre 2016, 06:38:33 AM
DAVINTRO scrive "Ed ho sperimentato la quiete nella almeno parziale soluzione del problema nell'idea che, nella "peggiore" delle ipotesi, considerando tutto l'apparato percettivo come illusorio, il riconoscimento del non arbitrario ma passivo accadere nella mia mente di tali percezioni illusorie presupponesse pur sempre l'esisitenza di un Qualcosa  di altro dal mio Io che interviene su di esso infondendo nella mia coscienza quelle immagini. Anche nella più estrema separazione della percezione soggettiva dalla realtà oggettiva, non sarei solo, ma ci sarebbe questo Qualcosa con cui essere in una sorta di relazione, al di là del caratterizzarlo in termini personali (genio ingannatore, Dio benevolo comunicatore di sogni ecc..) o impersonali, è qualcosa di irriducibile all'Io"

Il punto è che se esiste un oggetto, una variabile, una realtà "irriducibile al soggetto", vuol dire che ESISTE ANCORA un soggetto.

Quello che rimarrebbe da pensare è dunque cosa diventi questa irriducibilità all'interno dello stesso soggetto.

Ma appunto da qui partirebbero le varie scuole analitiche, posizioni moniste, dualiste, miste (radicali o moderate che siano).

Cosa manca però rispetto al SOSPETTO? Manca proprio il soggetto! Che cosa noi intendiamo quando noi diciamo "IO", in che senso si verrebbero ad instaurare rapporti con l'oggetto? Ovvero il soggetto è sempre lo stesso??
La soluzione del problema soggetto sta nell'oggetto e nella distanza.
E' chiaro, Davintro, quando scrive quello che hai citato, dà il suo io già come "punto 0", dice "la mia mente" senza porsi il problema di cosa sia "la mia mente" e il "mio io", parte da lì e li tiene fermi, anche se sospetta che dietro al gioco fantasmatico di immagini che si trova davanti qualcosa di consistente, qualcosa che offre resistenza a quell'uno che sono io, un altro ci debba pur essere. Non si accorge che questa "mia mente" e questo "mio io" e lo stesso io a cui rimanda la parola "io" fa parte del medesimo gioco fantasmatico, è anch'esso immagine, ma di che? E allora ecco che tu intervieni a ricordarglielo.
Come Cartesio Davintro ha già stabilito da dove cominciare; si comincia da "io", io che sto pensando e dubitando, come potrei mai dubitare di me soggetto di questo dubitare dato che so di essere proprio io in oggetto a pensare e a dubitare?
D'altra parte, tolto di mezzo l'io, tolti di mezzo tutti gli oggetti, vanificata la permanenza di questo e di quelli cosa ci resta? La fisica direbbe il vuoto quantistico, lo spirito nichilista del XX secolo direbbe il nulla: tutto non è che un'oscillazione del nulla, la negazione assoluta che non afferma e non nega nulla, nulla resiste al nulla, nemmeno la nicciana volontà di potenza.
Proviamo (e dico solamente "proviamo") a partire in modo diverso, proviamo ad esempio a partire da qualcosa che accade (prima che ci sia un oggetto che è la "mia mente", il "mio io"), io non ci sono, ma qualcosa accade, o meglio c'è un accadere che si staglia sul nulla, come una sorta di bagliore o di tuono o un tepore improvviso. Non ci sono ancora io, non c'è nemmeno l'oggetto (non c'è il lampo, non c'è il tuono, è solo per tentare di farmi capire a chi ha già un io pensante e dubitante e non può staccarsene che uso questi termini e nemmeno c'è un tempo e uno spazio, perché non c'è distanza). Questo è l'inizio, poiché questo accadere non ha ancora posto né un soggetto né un oggetto, ma istantaneamente, accadendo li richiama e li richiama al suo "orlo" ai bordi del nulla cosicché tra loro vi sia una distanza, la giusta distanza che mantiene uno spazio per un certo tempo, in questa distanza c'è un tempo e quell'originario accadere diventa subito accaduto che attende il suo riaccadere in cui soggetto e oggetti possono mantenersi ai bordi, separati e legati dalla giusta distanza.
Quando il bambino vede e tocca per la prima volta il seno della madre e ne sente le parole senza capirle, forse è proprio questo che percepisce: l'inizio, un puro accadere che lo chiama a essere, a venire letteralmente al mondo quando ancora non c'è (non può esserci) né io né mondo, non c'è il bambino e non c'è il seno, poiché il seno è il bambino e il bambino è il seno, solo noi, a partire dal sogno del nostro io, vediamo un seno e un bambino, separati dalla giusta distanza che li mantiene distinti, io e l'altro, entrambi all'orlo di un nulla che non è nulla.
Quell'attimo non ha ancora tempo né spazio, ma è in sé il tempo e lo spazio e ogni discorso che si tenti di fare su di esso lo tradisce, ma ogni vera parola lo evoca e lo chiama, come il pianto di un bambino chiama la madre, quando il seno non gli è offerto e, mostrandogli così la sua resistenza, suggerisce una permanenza dell'oggetto nell'ingiustizia del suo sottrarsi, ma poi ritornando lo rassicura e consente al bambino di cominciare a permanere come soggetto.
La chiave è la giusta distanza tra due poli estremi che rimangono l'uno nel richiamo dell'altro, entrambi prospicenti su un nulla di un infinito accadere in cui infiniti diversi accadere ripetono il reciproco chiamarsi simultaneo di mondi e di io, cosicché qualcosa accadendo possa apparire accaduto e da questo accaduto qualcos'altro possa ancora accadere.
La giusta distanza non è solo una distanza spaziale, ma è nel ritmo e nel suono ripetuto che ancora non è parola, ma che potrà farsi parola, sogno, storia e discorso.
A morire non sono io, ma è l'altro che non ritorna e quando ogni altro non ritorna, io muoio e allora i molti tornano a essere l'uno, ove non c'è distanza, quindi non ci sono né soggetti né oggetti.
#517
Attualità / Re:Migranti
20 Novembre 2016, 17:21:28 PM
Per premiare e punire le condotte sul nostro territorio occorrerebbe a mio avviso cominciare con il prendere in esame le nostre condotte sul nostro territorio di modo che possano essere istituite ad esempio coerente per chi in questo territorio è chiamato a integrarsi. In un paese in cui l'arte di arrangiarsi, la corruzione, lo scarso senso civico che si manifesta anche in un'evasione fiscale da primato appena le circostanze lo permettono, accompagnato da una burocrazia vessatoria e asfissiante fino alla demenza suona come una pretesa ridicola quella che siano i migranti a dare per primi prova di buona condotta, a meno che non li si intenda come massa di polli da spennare da avere a disposizione.
Probabilmente la Germania si accaparra gli stranieri più qualificati perché è un paese, almeno fino a un certo punto, più qualificato.
#518
Attualità / Re:Migranti
20 Novembre 2016, 13:23:33 PM
Il commento di CVC all'articolo di Caperna mette bene in luce il punto fondamentale della contraddizione e quindi della debolezza della posizione di Pallante, peraltro da me condivisa. Noi siamo il risultato di questo mondo che tanto deprechiamo, nei nostri modi di fare, di pensare e anche di vederne i limiti e criticarlo, auspicando un mondo altro. Questa prospettiva di "mondo altro" non è che il prodotto di questo mondo e chi non è entrato ancora in questo mondo, chi se ne sente ancora tenuto ai margini, desidererà solo "migrare" in questo mondo (che rappresenta in modo tangibile il suo sognato "mondo altro"), nel privilegio che esso riserva ai propri abitanti e non nel "mondo altro" che solo chi gode del privilegio di questo mondo può ritenere auspicabile, salvo, beninteso, che in questo stesso mondo altro, non siano messi in discussione i privilegi di chi abita questo mondo.
Ha poco senso dire ai migranti restatevene a casa vostra, ai vostri villaggi, alle vostre economie di sussistenza, alle vostre tradizioni, alla vostra povertà, tanto più felice della nostra ricchezza e tanto più salubre per il pianeta, poiché noi lodiamo quella povertà dalla posizione della nostra ricchezza materiale che solo dal momento in cui ci si abita dentro con grande consapevolezza da parte di pochi, può essere sentita nella sua miseria globale, altrimenti questa predicazione suona risibile, proprio come può venire derisa l'idea di progettare l'economia di grandi città come Roma o Milano sul baratto di quello che ognuno produce nel proprio orticello.
E allora CVC propone una soluzione spiccia, ma di grande tradizione: accogliamo nel nostro (agli occhi loro) paradiso i meritevoli che poi si renderanno conto dell'inferno in cui si sono cacciati e respingiamo i farabutti. Ma purtroppo i farabutti non hanno scritto in fronte "sono un farabutto" e questo già di per sé rende le cose complicate, ma non solo, è una soluzione di potenza che funziona nella misura in cui i farabutti restano pochi e isolabili e non mi pare che questo sia quello che accade o che sia mai accaduto. La storia è stata fatta sempre dai farabutti, compreso quando a migrare eravamo noi (Cotez, Pizzarro e via dicendo fino a oggi) e colonizzavamo migrando nell'intero pianeta con le nostre cannoniere, le nostre malattie, le nostre tecnologie che sterminavano, in nome dei nostri superiori  ideali eretti a vessillo per tutti e delle nostre croci alte sui pennoni e sui patiboli a vessillo del Dio dell'amore e della carità (e oggi le cose non sono certo cambiate, salvo per le croci e la disponibilità a mettersi realmente e non solo virtualmente in gioco per quello che le nostre tecnologie ci consentono con i loro magici bottoni).
Il punto è che i valori forti a cui giustamente si appella donquixote, sono forti e irrinunciabili solo se si fanno (essi) sentire tali e non si creano dal nulla, ma dalla situazione in cui concretamente si vive, non sono semplicemente decidibili e non possono esserci se ci sono stati e non ci sono più per quanto li si invochi con grande e comprensibile nostalgia.
#519
Citazione di: cvc il 19 Novembre 2016, 22:07:38 PM
Non è.che la natura non sia in conflitto, la natura comprende tutte le parti (i contendenti) del conflitto. L'uomo è in conflitto in quanto prigioniero della propria individualità. Ma il dilemma è se l'individualità è un valore o un disvalore. Ed essendo, secondo me, entrambe le cose, è qui che si gioca per il senso dell'esistenza.
Detta come qui ha scritto CVC il discorso suona più comprensibile.
Si potrebbe considerare quindi che la natura si manifesta come il prodotto di tutti i conflitti delle sue parti, che sono in conflitto proprio in quanto parti. La peculiarità della parte "uomo" della natura si potrebbe dire che è il trovarsi in conflitto con se stesso e forse è questo ciò che si può intendere con "individualità", o meglio, essere in conflitto con se stessi è un tratto naturale, fondamentale e peculiare dell'individualità umana. E qui il gioco del valore e del disvalore si fa molto complesso e sottile, poiché se il trovarsi in conflitto con se stessi fa la differenza esso costituisce un termine di valore per l'uomo, ma poiché ogni conflitto in quanto tale implica la sua soluzione e presenta la necessità di un superamento esso è al contempo un disvalore. In questo senso l'uomo che è in quel tratto di natura che vede il conflitto come conflitto con se stessi, mira continuamente a uscire dalla sua natura, per ritrovarcisi sempre.
#520
Attualità / Re:Migranti
19 Novembre 2016, 22:52:18 PM
Pallante ha perfettamente ragione nell'individuazione delle cause economiche che determinano il fenomeno migratorio. Ma questo implica che sono le cause che vanno affrontate e non gli effetti e sulla volontà/capacità di affrontare queste cause restano molti dubbi. E' davvero possibile il ritorno a un'economia di sussistenza dall'economia di mercato senza che questo si riduca ad alcuni fenomeni del tutto marginali che possono sussistere in virtù dell'economia di mercato che li usa?
E' assurdo scagliarsi contro i migranti che, come dice Pallante, sono in realtà i meri effetti di un panorama economico globale nato e costruito in Occidente, basato sulla schiavitù disponibile e volontaria, ancora più assurdo suddividere tra migranti politici e migranti economici, ancora più assurdo pensare che le cose si risolvano con i muri (per cui se chi non li vuole è tacciato di essere ipocrita, chi li vuole è semplicemente idiota), ma quali speranze può mai avere la "decrescita felice" pur individuando le cause giuste, se non affronta politicamente e a fondo la domanda sulla sua effettiva perseguibilità? Non basta certo raccontarci che il tale si è messo a coltivare cavolfiori nel suo orto per dimostrare la fattibilità dell'economia di sussistenza in un mondo intriso e dominato da quella di mercato.
Il nostro mondo, i nostri modi di esistenza e noi stessi sono davvero disponibili a una decrescita? Sappiamo cosa significa rispetto all'economia di mercato che ci ha allevati e cresciuti, che ancor più intensamente alleva e cresce i nostri figli, oltre a vagheggiare la sua immagine ideal utopistica?
#521
Continuo a non capire come può la natura non essere in conflitto e l'uomo esserlo palesemente. L'uomo non è un elemento di natura, un'espressione della natura? O cos'altro si pensa che sia?
#522
Eppure ti assicuro Green che l'ultimo Foucault è in perfetta linea con il Foucault di "Storia della sessualità", "Storia della follia"  e "Sorvegliare e punire": si tratta di partire dalla prassi come momento istituente la teoresi e non il contrario e in questo è in perfetto accordo anche con Sini (di cui cercherò anch'io di andare a sentire la lectio magistralis di domani, tra l'altro ho conosciuto personalmente Sini nel corso di alcuni incontri sul tema degli sviluppi attuali della biologia e ho avuto modo di discutere con lui per iscritto, una persona estremamente cordiale e disponibile al confronto, sempre disposto a rispondere in perfetta coerenza con il suo pensiero filosofico).
Perché la necessità di una filosofia fondata sulla prassi (una filosofia in primo luogo morale e politica quindi)? semplice, perché la metafisica ha concluso la sua via, la stessa metafisica che nasceva da Eraclito e da Parmenide, la metafisica fondata non sul fuoco fisico, ma sul logos (mi ha appassionato la lettura recente di "La parola e il silenzio" di Sini da cui ho tratto molto su riflettere) e sulla discussione pubblica. La morte della metafisica significa il trionfo del nichilismo? No, è la stessa metafisica che conduce al nichilismo come suo inevitabile esito, è la metafisica il terreno di cultura migliore del seme nichilistico e non il suo antidoto, dunque si parte dalla prassi, ma non una prassi metafisicamente istituita, assoluta, come vorrebbe un certo pragmatismo anglosassone, ma da una prassi concreta, una prassi che viaggia attraverso le sue forme storiche ed ermeneutiche, e in materia di prassi concreta i cinici furono maestri. Sono i performers della filosofia i cinici, intesa nella forma di "parresia": ossia del parlar franco fino ad agire per come si pensa, fino a provocare (anzi per provocare, secondo l'intento cinico) di modo da ricostituire quell'unità che sul piano del puro pensiero, del pensiero che galleggia su sovrumane altitudini, è fallita e nello stesso tempo proporre la propria "disgustosa" coerenza come pharmacon per tutti (la grande mania dell'Occidente, peraltro sempre ben poco coerente e quindi ben poco veritiero). Il cinico è padrone di sé, è libero perché povero e dunque dipendente da ogni altro, è sovrano perché è come Eracle, figlio di Zeus e sempre in combattimento, fino al suo ultimo istante di vita.
Nelle sue ultime lezioni, Foucault (se non hai letto "Il coraggio della parola" te lo consiglio, è piacevolissimo anche nello stile colloquiale) osserva che "parresia" è una forma di verità, diversa dalle altre: dalla verità profetica tipica del mito, dalla verità sapienziale tipica della teoresi filosofica, dalla verità tecnica tipica degli specialisti, dei professori e dei sofisti. La parola franca si esprime nella dimensione politica, rivolta alla polis e nella dimensione individuale, come faceva Socrate, scendendo in strada, interrogando tutti per chiedere cosa sapessero della verità. L'analisi di Foucault sulla parresia parte dai tre grandi dialoghi platonici sugli ultimi momenti della vita di Socrate, ma si sofferma particolarmente sul "Lachete", un dialogo molto significativo quanto apparentemente inconcludente in termini teoretici. Il problema da cui si parte nel "Lachete" è quello della giusta educazione dei figli, e, da questo tema, i protagonisti (Lachete, Nicia e Socrate) arrivano a discutere sul significato del coraggio senza arrivare a concludere nulla in merito, ma una cosa comunque si conclude: che Socrate, poiché è colui che più di ogni altro si dimostra capace di vivere coerentemente con quello che dice è colui che si occuperà dell'educazione dei figli di Lisimaco e dello stesso Lisimaco che aveva posto all'inizio il problema dell'educazione: Socrate infatti è coerente, la verità di Socrate sta nel come egli agisce e pratica, Socrate sa cos'è il coraggio perché lo ha dimostrato con le sue azioni, da soldato sul campo di battaglia e ora lo mostra con il suo parlar franco fino in fondo a ogni cittadino potente o miserabile che sia. I cinici porteranno alle estreme conseguenze questo medesimo assunto, lo porteranno in strada come filosofi di strada, scandalizzando con la loro verità esibita fino a cercare l'umiliazione pubblica e c'è molto del cinico nella figura dell'asceta e nella storia dell'ascetismo cristiano (la differenza la farà quando al coraggio della verità si sostituirà il dovere dell'obbedienza e al "mondo altro" e alla "vita altra" che il cinico indica praticandola, l' "altro mondo" e l' "altra vita" a cui il monaco aspira), c'è molto del cinico (e forse pure dell'asceta) in fondo nello stesso Nietzsche, nel suo Zarathustra che scende dalle vette tra gli uomini per venire deriso.
Come ho detto il cinico è un performer della verità, un clown o un buffone se vuoi, ma coerente con la rappresentazione che va giocando e in questa coerenza (coerenza dell'attore che agisce davanti a tutti per mostrare a tutti la verità non con la parola, ma con gli atti, sulla scena senza temere gli sberleffi che rilancia al pubblico, mostra cosa, una volta tramontata la metafisica, può ancora essere positivamente la verità: un puro atto di estrema coerenza con ciò che si è (così si diventa ciò che si è, dopotutto). E' in questo mostrare la verità dandole un corpo, il proprio corpo vivente, che il cinico disturba tutti quelli per cui, come scriveva Nietzsche nella sua visione degli ultimi uomini, basta un salutino alla mattina e uno alla sera, per il resto sperando sempre nella buona salute.
(lo immaginavo Green che ti avrei sorpreso con questo topic ... verità profetica la mia :) )
#523
Tematiche Filosofiche / Re:Coscienza
18 Novembre 2016, 22:16:43 PM
Citazione di: altamarea il 18 Novembre 2016, 08:26:38 AM
Anziché aggrovigliarsi sul Se e l'Io penso che sia opportuno cercare di spiegare ai "non addetti ai lavori" filosofici nel forum la differenza tra encefalo, cervello, mente e coscienza.


Alla mia nipotina direi che l'encefalo (= dentro la testa) contiene le strutture cerebrali all'interno della scatola cranica.


Una parte dell'encefalo si chiama cervello, che è l'organo principale del sistema nervoso centrale.

Nel cervello c'è la mente, dal cui funzionamento emerge il nostro essere, i pensieri, le idee, i sentimenti, il linguaggio, la coscienza: con questa s'intende la consapevolezza che il soggetto ha di sé e dei propri contenuti mentali.
Localizzare la mente nel cervello mi pare improprio (e mi rifaccio a Bateson, anche se tra i neurologhi non pare sia più di moda, se mai lo è stato). Nel senso che la mente non è una cosa, ma un evento relazionale significante che coinvolge diverse cose tra le quali il cervello a cui è essa a dare significato. Ma mentre la mente può spiegare il cervello, il cervello da solo non esprime né può esprimere alcuna mente, occorre anche un corpo e un mondo. Separare il cervello dal corpo con la sua esperienza vissuta e dal mondo per cercare in esso l'attività mentale rende impossibile il trovarla. E trovo che proprio questa separazione istituisca una sorta di metafisica che non è capace di riconoscersi come tale e pertanto è molto pericolosa. Si ritiene di fare appello alla materia concreta e tangibile, mentre si fa appello a continue astrazioni che si interpretano non come mappature del reale fondate su strumenti ed esperienze in determinati ambiti di significati, ma come la realtà stessa, la realtà oggettiva e in sé del fenomeno: lì ci stanno i neuroni e le sinapsi con i loro segnali elettrochimici e questo basta, spiega tutto, mentre effettivamente non spiega niente.
L'oggetto fondamentale della mente è il significato, non i neuroni e le sinapsi (che a loro volta sono prodotti da una mente mentre si rappresenta in un determinato ambito di senso dettato da un certo modo di esistere presente). Nei termini del significato si potrà anche tentare di comprendere cosa si intende per stati interni ed esterni, cosa si intende per "esterno" e "interno", cosa tutt'altro che ovvia e banale, ma estremamente problematica. Il mio corpo è insieme esterno ed interno, contiene la mente e insieme ne è contenuto, le categorie del dentro e fuori qui perdono di senso.
Questo importantissimo aspetto le neuroscienze, tutte prese dalla mappatura del cervello anziché dalla domanda sul significato di quello che stanno indagando, paiono non occuparsene minimamente, come se la sfera del significato nella sua originarietà primaria fosse di competenza spiritualistica, non fosse questione materiale, mentre lo è eccome. La stessa concezione di materia andrebbe investigata: cos'è la materia, come la si interpreta e cosa vuol dire assumere posizioni materialiste? Se si intende che materia è le cose come stanno si sta facendo una metafisica spiritualista in cui la coscienza non "pone se stessa a oggetto della propria riflessione", ma intende far passare una pre assunzione come una conclusione per rendere superflua qualsiasi effettiva riflessione su di sé. Salvo che ovviamente in questo modo non riesce a concludere proprio nulla e allora, come sempre in campo metafisico, ci si puntella al principio di autorità, anche se non più riferito ad Aistotele, ma allo scienziato di fama specialistica al nome riconosciuto dal consesso dei suoi pari, custodi dell'Idea platonica del metodo.

Non vi è dubbio che
CitazioneL'espressione "funzioni superiori" non indica nulla di oggettivo, ma riflette un nostro giudizio di valore"
, da un punto di vista oggettivo tutto si equivale. proprio in quanto lo si vorrebbe poter osservare in sé, mentre il valore lo istituisce la differenza nell'ambito in cui emerge, dunque il valore è sempre un risultato di contesto e allora è chiaro che occorre capire il contesto che non siamo noi a scegliere per capire cosa in quel contesto ha coerentemente valore, ma sempre tenendo presente che esso non è un valore assoluto sia che si tratti dello spirito trascendente che della materia immanente, entrambi risultati di un modo di pensare il mondo che a volte ha valore, altre no. Allora si può anche capire che il motivo di un'opposizione a ciò che la scienza con il suo metodo presenta per verificabile e dunque vero non è solo un attaccamento nostalgico a vecchie tradizioni spiritual trascendenti ormai tramontate, ma esattamente il contrario, è la refrattarietà a ogni tentativo di riprenderne "l'anima" semplicemente cambiandone il nome: prima c'era il Grande Spirito, ora c'è la Grande Materia, ma in fondo nulla è cambiato, la pretesa è sempre la medesima, perché si è incapaci e non si vuole soffermarsi sui significati delle cose, sulla loro realtà effettiva, bastano le cose, spirituali o materiali che siano. Ed è così che la coscienza, che è relazione significante prodotta dal suo stesso significare e non una cosa osservabile fisicamente e quindi misurabile come un'attività elettrochimica neurone per neurone, diventa del tutto incomprensibile, perché non è quella cosa lì. 
#524
Attualità / Re:Voglio una pistola
18 Novembre 2016, 14:27:02 PM
Un paio di osservazioni per la gentile sig.a Verdeidea (io invece non sono una signora ma un maschietto, giusto per presentarci dietro lo schermo virtuale, ma non ha importanza)
In primo luogo, come moderatore la invito a mantenersi nel rispetto dovuto verso ogni utente: cominciare un intervento con un
CitazioneScusa... tizio, come ti chiami, Freedom?
è da attaccabrighe all'osteria.
In secondo luogo non ho cancellato io l'ultimo suo intervento di cui si rammarica per l'eliminazione, ma ha ben poca importanza perché l'ho letto dopo che era stato segnalato e l'ho trovato già cancellato, ma ne condivido l'eliminazione da parte di chi l'ha fatto.
E qui chiudo il ruolo del moderatore, avvisando la gentile signora che ulteriori polemiche in merito saranno da me direttamente cancellate senza replica ulteriore e se la cosa proseguirà chiederò la bannazione dell'utente al gestore. Si regoli lei, signora, dato che le piacciono i metodi forti sono sicuro che apprezzerà: law and order e gli attaccabrighe da osteria a casa loro.

In merito alla risposta invece gradirei che si tentasse piuttosto di argomentare, anche perché non mi pare proprio che se il mio post è  
Citazioneintriso di falsità, banalità e luoghi comuni che farebbe sorridere anche un bambino delle elementari
il suo che auspica le maniere forti e l'uso delle pistole (la bacchetta magica che risolve tutto del mitico Far West della nostra infanzia ) sia da meno. Capisco che per chi ha tanto bisogno dell'uomo forte castigamatti (duce, capoclan o capo manipolo, basta che tenga ben saldo il bastone nodoso e usi maniere spicce) sia tanto difficile, ma ci provi, con i tempi che corrono sarebbe davvero meritevole.
Per come la penso non si tratta di destra o sinistra, di fascismo o di comunismo: sotto le dittature comuniste l'ordine, la legge e la pulizia sociale sono e sono state rispettate proprio come sotto quelle fasciste, basti pensare alla vecchia URSS come si rigava diritto! Non è un caso che Hitler e Stalin sotto sotto si ammirassero reciprocamente, due facce diverse, ma stessa razza che piace a chi crede nei padri padroni che sistemano ogni cosa in due e due quattro (e magari per un po' ci riescono pure, a prezzo di qualche milione di morti poi o altre inezie del genere).  Lo stesso vale in un quartiere o un paese in mano a un boss mafioso, la violenza è delegata a lui e al suo clan che ne gestisce il monopolio in esclusiva. Se questo alla signora piace, a me no e non ci trovo alcun maggior benessere sociale, anche se di manigoldi e sporcaccioni in giro non ce ne sono più tranne quelli che hanno il giusto distintivo ben appuntato sul berretto. Per me questa è solo una sconfitta in partenza per qualsiasi società fosse anche la più etnicamente pura che si possa immaginare, fosse anche un condominio di parenti stretti circondato da venti cinte di muraglie invalicabili.
#525
Attualità / Re:Voglio una pistola
17 Novembre 2016, 22:00:54 PM
Il problema non credo sia la violenza: episodi di violenza ci sono sempre stati in forma diversa (sociale, politica) ed energumeni alterati che sbraitano e agitano i pugni e sbraitano senza motivo contro il primo malcapitato che gli entra a tiro si sono sempre visti, come ci sono sempre stati borseggi, scippi e guardoni. Certo in società di tipo autoritario c'è un più basso livello di violenza diffusa, questo perché un soggetto, in virtù della sovrastante potenza che la massa gli affida, si arroga il ruolo di esercitare tutta la violenza e di delegare chi può esercire violenza in nome suo secondo il suo arbitrio (è quello che capita nelle società mafiose o in quelle fasciste, del tutto equivalenti sotto questo aspetto). Il problema vero è l'indifferenza e la paura e le ragioni specifiche da cui nascono questa indifferenza e paura, in primo luogo il senso di totale estraneità dell'altro, un'estraneità che ci isola e insieme ci minaccia continuamente.
Ognuno è per conto suo, una piccola monade isolata esposta a un reale incomprensibile, circoscritta nel suo mondo virtuale. Ognuno con il suo cellulare davanti agli occhi e il suo auricolare nell'orecchio, per non vedere e non sentire quello che ha davanti, isolato ed esposto, indifferente e tremebondo nella folla di monadi come lui che lo circonda e lo spintona.
Abbiamo il fantastico mondo del baraccone delle meraviglie a portata di dito, questo è il rovescio della medaglia della bacchetta magica che ci trascina come sue appendici e ci seduce (e la pistola è un'altra bacchetta magica: mi basta premere con il dito per ristabilire la giustizia; povera monade illusa!).