@Kobayashi forse ti possono essere d'aiuto questi passi scritti da Nietzsche sul concetto della Volontà di Potenza:
13.
I fisiologi dovrebbero riflettere prima di fare dell'istinto di conservazione un impulso cardinale di un essere organico. Un'entità vivente vuole prima di tutto liberare la propria forza ‑ la vita stessa è volontà di potenza ‑:
259.
Astenersi reciprocamente dall'offesa, dalla violenza, dallo sfruttamento, equiparare la propria volontà a quella degli altri: ciò può divenire in un certo qual rozzo modo una buona abitudine tra individui, ove ve ne siano le condizioni (cioè la loro effettiva omogeneità di forze e di valori e la loro appartenenza reciproca all'interno di un unico corpo). Non appena però si volesse prendere questo principio in senso più ampio e, se possibile, come principio fondamentale della società, esso si dimostrerebbe subito per ciò che è: volontà di negazione della vita, principio di dissoluzione e di decadenza. Occorre qui pensare in modo esaustivo al fondamento e rifiutarsi ad ogni debolezza sentimentale: la vita stessa è essenzialmente, appropriazione, violazione, sopruso su ciò che è estraneo e più debole, oppressione, durezza e imposizione delle proprie forme, annessione e perlomeno ‑ ed è il caso più benevolo ‑, sfruttamento, ma a che scopo bisognerebbe usare sempre proprio queste parole, sulle quali si è impressa sin dai tempi antichi un'intenzione diffamatoria?
Anche quel corpo, all'interno del quale, come prima abbiamo supposto, gli individui si trattano da uguali ‑ avviene in ogni sana aristocrazia ‑, deve esso stesso, nel caso esso sia un corpo vitale e non moribondo, fare contro altri corpi tutto ciò da cui gli individui che sono in lui si astengono dal fare reciprocamente: esso dovrà crescere per attrarre a sé, conquistare, vorrà prevalere, ‑ non a causa di una qualche moralità o immoralità, ma perché egli vive, e perché vita è appunto volontà di potenza. In nessun punto tuttavia la coscienza comune degli Europei è più ostile all'insegnamento di quanto non lo sia qui; oggi ci si entusiasma ovunque, addirittura sotto un travestimento scientifico, di condizioni future della società, dalle quali dovrà scomparire il «carattere di sfruttamento»: ‑ ciò suona alle mie orecchie come se si promettesse di inventare una vita che si trattenesse da ogni funzione organica.
Lo «sfruttamento» non appartiene a una società deteriorata o incompleta e primitiva: esso appartiene all'essenza stessa di ciò che è vivente, come organica funzione fondamentale essa è una conseguenza della caratteristica volontà di potenza, che è appunto la volontà della vita. ‑ Posto che questa sia nuova come teoria ‑ come realtà è il fatto originario di tutta la storia: si sia onesti verso se stessi fino a questo punto! ‑ (Al di là del Bene e del Male)
La "volontà di potenza" quindi non è neanche "relazionale", bensì (secondo Nietzsche) è il modo in cui la vita in quanto tale si afferma. In sostanza per Nietzsche la vita è conflitto e contesa e vivere in modo "autentico" significa (da come lo interpreto io, Garbino e green forse la pensano in modo differente) lasciare libera da ogni restrizione questa tendenza all'affermazione e al conflitto. Ma siccome questo conflitto causa sofferenza, Nietzsche ritiene che storicamente quasi tutti i filosofi precedenti hanno "ripudiato" il mondo pieno di conflitto, postulando l'esistenza di "un altro mondo" di calma e di pace. E per affermare questo "altro mondo" hanno imposto l'etica, la metafisica ecc in modo da "rinchiudere" questa volontà d'affermazione. Secondo Nietzsche il conflitto e la tendenza a dominare sono il modo naturale in cui la vita si manifesta. E dove gli indiani vedono la caduta proprio in questa conflittualità, Nietzsche vede l'affermazione della vita stessa.
Ed è proprio su questo che non sono d'accordo. Paradossalmente sono proprio la pace e la traquillità - secondo me - ad essere "spontanee" perchè la contesa è sempre una lotta, una tendenza a (e quindi c'è sempre un fine - anche se magari non c'è più nemmeno l'idea dell'"io" che interviene. Pura volontà di affermazione, nemmeno mediata da un "io" che vuole affermarsi). In sostanza tra il buddhismo e Nietzsche si ha un'opposizione enorme: per il buddhismo il risultato della liberazione dalle finzioni è pace, tranquillità, calma ecc, nel caso di Nietzsche invece conflitto, lotta, contesa... Il problema che tu vedi secondo me è il problema centrale di Nietzsche e il motivo per cui preferisco altre filosofie. Ad ogni modo anziché potenza puoi usare "espressione" - volontà di espressione - ma vedrai che il risultato in fin dei conti è quello!
In sostanza non ritengo vero che tolto il soggetto (e le altre finzioni) quello che rimane è la tendenza ad esprimere "qualcosa". Quello che rima è invece "la pace" in quanto questa tendenza cessa non appena non c'è più niente da esprimere. (Questo è il mio pensiero e il motivo per cui credo che Nietzsche abbia compiuto un "grosso" errore e purtroppo questo errore non è notato nemmeno da chi lo paragona alle "filosofie indiane". Dal punto di vista nietzscheiano ovviamente queste filosofie sono veramente "nichiliste" in quanto negano la volontà, la tendenza ad esprimere ecc ma credo (e qui ahimé ammetto che non ho basi davvero razionali per crederlo, ma solo "ragionevoli") che questo nulla sia qualcosa di relativo - ossia che negata la "tendenza" rimanga "qualcosa"
)
13.
I fisiologi dovrebbero riflettere prima di fare dell'istinto di conservazione un impulso cardinale di un essere organico. Un'entità vivente vuole prima di tutto liberare la propria forza ‑ la vita stessa è volontà di potenza ‑:
259.
Astenersi reciprocamente dall'offesa, dalla violenza, dallo sfruttamento, equiparare la propria volontà a quella degli altri: ciò può divenire in un certo qual rozzo modo una buona abitudine tra individui, ove ve ne siano le condizioni (cioè la loro effettiva omogeneità di forze e di valori e la loro appartenenza reciproca all'interno di un unico corpo). Non appena però si volesse prendere questo principio in senso più ampio e, se possibile, come principio fondamentale della società, esso si dimostrerebbe subito per ciò che è: volontà di negazione della vita, principio di dissoluzione e di decadenza. Occorre qui pensare in modo esaustivo al fondamento e rifiutarsi ad ogni debolezza sentimentale: la vita stessa è essenzialmente, appropriazione, violazione, sopruso su ciò che è estraneo e più debole, oppressione, durezza e imposizione delle proprie forme, annessione e perlomeno ‑ ed è il caso più benevolo ‑, sfruttamento, ma a che scopo bisognerebbe usare sempre proprio queste parole, sulle quali si è impressa sin dai tempi antichi un'intenzione diffamatoria?
Anche quel corpo, all'interno del quale, come prima abbiamo supposto, gli individui si trattano da uguali ‑ avviene in ogni sana aristocrazia ‑, deve esso stesso, nel caso esso sia un corpo vitale e non moribondo, fare contro altri corpi tutto ciò da cui gli individui che sono in lui si astengono dal fare reciprocamente: esso dovrà crescere per attrarre a sé, conquistare, vorrà prevalere, ‑ non a causa di una qualche moralità o immoralità, ma perché egli vive, e perché vita è appunto volontà di potenza. In nessun punto tuttavia la coscienza comune degli Europei è più ostile all'insegnamento di quanto non lo sia qui; oggi ci si entusiasma ovunque, addirittura sotto un travestimento scientifico, di condizioni future della società, dalle quali dovrà scomparire il «carattere di sfruttamento»: ‑ ciò suona alle mie orecchie come se si promettesse di inventare una vita che si trattenesse da ogni funzione organica.
Lo «sfruttamento» non appartiene a una società deteriorata o incompleta e primitiva: esso appartiene all'essenza stessa di ciò che è vivente, come organica funzione fondamentale essa è una conseguenza della caratteristica volontà di potenza, che è appunto la volontà della vita. ‑ Posto che questa sia nuova come teoria ‑ come realtà è il fatto originario di tutta la storia: si sia onesti verso se stessi fino a questo punto! ‑ (Al di là del Bene e del Male)
La "volontà di potenza" quindi non è neanche "relazionale", bensì (secondo Nietzsche) è il modo in cui la vita in quanto tale si afferma. In sostanza per Nietzsche la vita è conflitto e contesa e vivere in modo "autentico" significa (da come lo interpreto io, Garbino e green forse la pensano in modo differente) lasciare libera da ogni restrizione questa tendenza all'affermazione e al conflitto. Ma siccome questo conflitto causa sofferenza, Nietzsche ritiene che storicamente quasi tutti i filosofi precedenti hanno "ripudiato" il mondo pieno di conflitto, postulando l'esistenza di "un altro mondo" di calma e di pace. E per affermare questo "altro mondo" hanno imposto l'etica, la metafisica ecc in modo da "rinchiudere" questa volontà d'affermazione. Secondo Nietzsche il conflitto e la tendenza a dominare sono il modo naturale in cui la vita si manifesta. E dove gli indiani vedono la caduta proprio in questa conflittualità, Nietzsche vede l'affermazione della vita stessa.
Ed è proprio su questo che non sono d'accordo. Paradossalmente sono proprio la pace e la traquillità - secondo me - ad essere "spontanee" perchè la contesa è sempre una lotta, una tendenza a (e quindi c'è sempre un fine - anche se magari non c'è più nemmeno l'idea dell'"io" che interviene. Pura volontà di affermazione, nemmeno mediata da un "io" che vuole affermarsi). In sostanza tra il buddhismo e Nietzsche si ha un'opposizione enorme: per il buddhismo il risultato della liberazione dalle finzioni è pace, tranquillità, calma ecc, nel caso di Nietzsche invece conflitto, lotta, contesa... Il problema che tu vedi secondo me è il problema centrale di Nietzsche e il motivo per cui preferisco altre filosofie. Ad ogni modo anziché potenza puoi usare "espressione" - volontà di espressione - ma vedrai che il risultato in fin dei conti è quello!
In sostanza non ritengo vero che tolto il soggetto (e le altre finzioni) quello che rimane è la tendenza ad esprimere "qualcosa". Quello che rima è invece "la pace" in quanto questa tendenza cessa non appena non c'è più niente da esprimere. (Questo è il mio pensiero e il motivo per cui credo che Nietzsche abbia compiuto un "grosso" errore e purtroppo questo errore non è notato nemmeno da chi lo paragona alle "filosofie indiane". Dal punto di vista nietzscheiano ovviamente queste filosofie sono veramente "nichiliste" in quanto negano la volontà, la tendenza ad esprimere ecc ma credo (e qui ahimé ammetto che non ho basi davvero razionali per crederlo, ma solo "ragionevoli") che questo nulla sia qualcosa di relativo - ossia che negata la "tendenza" rimanga "qualcosa"
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Nietzsche mi sembra molto più profondo.
), motivo per cui si hanno due alternative per come pensarla. Prima alternativa: la morale può essere vista come una "catena" arbitraria che viene fatta da alcuni "moralisti" per "schiavizzarci" a dovere. Il che è innegabile che sia successo, che succede oggi e che succederà in futuro. Da questa "morale" concordo che sia giusto liberarsi, come ha ad esempio esortato di farlo Nietzsche. Tuttavia questa liberazione è pericolosa perchè in fin dei conti libera l'uomo dalla "legge" quando ancora ne ha bisogno e ciò è pericolosissimo. Infatti se si perde la consapevolezza che la morale sia qualcosa di "reale" e non una mera costruzione ad hoc dell'intelletto in fin dei conti i peggiori "mostri amorali" sono pure coerenti perchè non vedono nulla che li costringa ad "abbracciare" la morale, visto che la convenzione è in fin dei conti arbitraria e quindi non è migliore della loro "nuova visione" (lo stesso in realtà vale per gli "immorali" che scambiano bene e male). Se ammettiamo che la "morale" invece sia una via che ci porta ad uno stato migliore (e qui ahimé si deve fare una sorta d'atto di fede, che chiaramente non è necessariamente religioso...) e che quindi vivere secondo queste "catene" in realtà ci aiuti a vivere meglio. Per esempio l'obbligo di non "vivere nel lusso estremo" anche se sembra una privazione di un piacere ci rendiamo conto che ci fa vivere meglio. Ma dobbiamo secondo me ammettere che la morale sia "qualcosa" di reale, che comunichi qualcosa di "reale" al cuore di ogni uomo, proprio per evitare la "corruzione" di cui parli.
). Se ammettiamo come buona la mia "definizione" (che non è in realtà una vera definizione, in quanto circolare) allora dobbiamo dire che il valore non è un oggetto, bensì definisce "quanto sia importante un oggetto per un soggetto". Il valore perciò pare essere una quantità, assimilabile al numero. Potremo dire che un oggetto "Y" vale più di un oggetto "Z" per il soggetto "X" anche nella forma matematica "{X_valore(Y)>X_valore(Z)}" avendo rappresentato il "valore" con una scala numerica ordinata (ordinata=si può definire in modo sensato il concetto di "maggiore" (>)). In questa notazione ho usato la forma "soggetto_valore(oggetto)". Chiaramente si può avere che utilizzando due soggetti X1 e X2 e due oggetti Y1 e Y2 la relazione di ordine è rispettata (ossia che valore(Y1)>valore(Y2) per entrambi) ma X1_valore(Y1) è un numero diverso da X2_valore(Y1). Se l'oggettoY1 è il "benessere economico" dunque sto dicendo che il "benessere economico" per X1 è più importante che per X2 ma allo stesso tempo se l'oggetto Y2 è "andare su Marte" entrambi valutano che il "benessere economico" è più importante di "andare su Marte". Ci sono come osservi giustamente tu anche i cosiddetti "oggetti di valore astratti" (che a causa della loro "astrazione") sono comunemente detti "valori" (tuttavia per consistenza nella notazione dovremo utilizzare anche in questo caso la nomenclatura di "oggetto" per evitare un conflitto nella notazione). Come dunque confrontare il valore del "benessere economico" con il valore della "fratellanza". Anzitutto dobbiamo ammettere che affinché questi confornti abbiano senso anche la "fratellanza" non sia un qualcosa di astratto ma rappresenti qualcosa di reale (il termine astratto viene dunque usato per indicare il fatto che è più difficile da definire rispetto ad esempio al "benessere economico"). Supponiamo però che sia per X1 che per X2 sia chiaro cosa significa "fratellanza" e che ad esempio entrambi siano d'accordo di definire tale "oggetto" come la disposizione per la quale "amo il prossimo come se fosse un mio fratello" (ammesso che "fratellanza=amore fraterno"). Nuovamente possiamo dunque definire che "fratellanza=Y3" e quindi ad esempio: X1_valore(Y3)> X1_valore(Y1)>X1_valore(Y2). Supponiamo che X2 non sia d'accordo e per lui: X2_valore(Y1)> X1_valore(Y3)>X1_valore(Y2). I due personaggi hanno una gerarchia diversa. Come ho già detto il "valore" è qualcosa di relazionale (essendo l'importanza di un oggetto che viene data da un soggetto).
). Ora se per "assoluto" si intende "universale" non credo proprio che si possa dimostrare che non esistano. Il fatto che i valori siano relazionali non significa che non esistano valori universali. Mi fai l'esempio della fisica... ebbene in relatività ristretta per ogni sistema di riferimento universale il "valore" della velocità della luce è... "c"