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Messaggi - Apeiron

#511
@Kobayashi forse ti possono essere d'aiuto questi passi scritti  da Nietzsche sul concetto della Volontà di Potenza:

13.
I fisiologi dovrebbero riflettere prima di fare dell'istinto di conservazione un impulso cardinale di un essere organico. Un'entità vivente vuole prima di tutto liberare la propria forza ‑ la vita stessa è volontà di potenza ‑:


259.

Astenersi reciprocamente dall'offesa, dalla violenza, dallo sfruttamento, equiparare la propria volontà a quella degli altri: ciò può divenire in un certo qual rozzo modo una buona abitudine tra individui, ove ve ne siano le condizioni (cioè la loro effettiva omogeneità di forze e di valori e la loro appartenenza reciproca all'interno di un unico corpo). Non appena però si volesse prendere questo principio in senso più ampio e, se possibile, come principio fondamentale della società, esso si dimostrerebbe subito per ciò che è: volontà di negazione della vita, principio di dissoluzione e di decadenza. Occorre qui pensare in modo esaustivo al fondamento e rifiutarsi ad ogni debolezza sentimentale: la vita stessa è essenzialmente, appropriazione, violazione, sopruso su ciò che è estraneo e più debole, oppressione, durezza e imposizione delle proprie forme, annessione e perlomeno ‑ ed è il caso più benevolo ‑, sfruttamento, ma a che scopo bisognerebbe usare sempre proprio queste parole, sulle quali si è impressa sin dai tempi antichi un'intenzione diffamatoria?

Anche quel corpo, all'interno del quale, come prima abbiamo supposto, gli individui si trattano da uguali ‑ avviene in ogni sana aristocrazia ‑, deve esso stesso, nel caso esso sia un corpo vitale e non moribondo, fare contro altri corpi tutto ciò da cui gli individui che sono in lui si astengono dal fare reciprocamente: esso dovrà crescere per attrarre a sé, conquistare, vorrà prevalere, ‑ non a causa di una qualche moralità o immoralità, ma perché egli vive, e perché vita è appunto volontà di potenza. In nessun punto tuttavia la coscienza comune degli Europei è più ostile all'insegnamento di quanto non lo sia qui; oggi ci si entusiasma ovunque, addirittura sotto un travestimento scientifico, di condizioni future della società, dalle quali dovrà scomparire il «carattere di sfruttamento»: ‑ ciò suona alle mie orecchie come se si promettesse di inventare una vita che si trattenesse da ogni funzione organica.

Lo «sfruttamento» non appartiene a una società deteriorata o incompleta e primitiva: esso appartiene all'essenza stessa di ciò che è vivente, come organica funzione fondamentale essa è una conseguenza della caratteristica volontà di potenza, che è appunto la volontà della vita. ‑ Posto che questa sia nuova come teoria ‑ come realtà è il fatto originario di tutta la storia: si sia onesti verso se stessi fino a questo punto! ‑ (Al di là del Bene e del Male)

La "volontà di potenza" quindi non è neanche "relazionale", bensì (secondo Nietzsche) è il modo in cui la vita in quanto tale si afferma. In sostanza per Nietzsche la vita è conflitto e contesa e vivere in modo "autentico" significa (da come lo interpreto io, Garbino e green forse la pensano in modo differente) lasciare libera da ogni restrizione questa tendenza all'affermazione e al conflitto. Ma siccome questo conflitto causa sofferenza, Nietzsche ritiene che storicamente quasi tutti i filosofi precedenti hanno "ripudiato" il mondo pieno di conflitto, postulando l'esistenza di "un altro mondo" di calma e di pace. E per affermare questo "altro mondo" hanno imposto l'etica, la metafisica ecc in modo da "rinchiudere" questa volontà d'affermazione. Secondo Nietzsche il conflitto e la tendenza a dominare sono il modo naturale in cui la vita si manifesta. E dove gli indiani vedono la caduta proprio in questa conflittualità, Nietzsche vede l'affermazione della vita stessa.

Ed è proprio su questo che non sono d'accordo. Paradossalmente sono proprio la pace e la traquillità - secondo me - ad essere "spontanee" perchè la contesa è sempre una lotta, una tendenza a (e quindi c'è sempre un fine - anche se magari non c'è più nemmeno l'idea dell'"io" che interviene. Pura volontà di affermazione, nemmeno mediata da un "io" che vuole affermarsi). In sostanza tra il buddhismo e Nietzsche si ha un'opposizione enorme: per il buddhismo il risultato della liberazione dalle finzioni è pace, tranquillità, calma ecc, nel caso di Nietzsche invece conflitto, lotta, contesa... Il problema che tu vedi secondo me è il problema centrale di Nietzsche e il motivo per cui preferisco altre filosofie. Ad ogni modo anziché potenza puoi usare "espressione" - volontà di espressione - ma vedrai che il risultato in fin dei conti è quello!

In sostanza non ritengo vero che tolto il soggetto (e le altre finzioni) quello che rimane è la tendenza ad esprimere "qualcosa". Quello che rima è invece "la pace" in quanto questa tendenza cessa non appena non c'è più niente da esprimere. (Questo è il mio pensiero e il motivo per cui credo che Nietzsche abbia compiuto un "grosso" errore e purtroppo questo errore non è notato nemmeno da chi lo paragona alle "filosofie indiane". Dal punto di vista nietzscheiano ovviamente queste filosofie sono veramente "nichiliste" in quanto negano la volontà, la tendenza ad esprimere ecc ma credo (e qui ahimé ammetto che non ho basi davvero razionali per crederlo, ma solo "ragionevoli") che questo nulla sia qualcosa di relativo - ossia che negata la "tendenza" rimanga "qualcosa" ;) )
#512
Grazie green! mediterò sulla risposta (secondo me hai un punto di vista molto originale sulla questione, d'altronde la filosofia Nietzscheiana può essere vista come qualcosa di "polimorfo", quindi è interessante leggere le altrui opinioni  ;) )

Dici "Ovviamente sono fiducioso sul fatto che le tue intenzioni sono buone"
Lo spero  ;D
#513
Ne ho combinata un'altra. Nella frase "@Phil e @sgiombo, quello che "tu".." il "tu"era riferito a Phil. LOL


Citazione di: sgiombo il 22 Novembre 2017, 11:07:12 AMPer Apeiron  Personalmente ritengo che dalla neurofisiologia (dai cervelli) possano emergere unicamente i comportamenti "coscienti" (ma che sarebbero neurologicamente del tutto indistinguibili da come sono se fossero incoscienti, "propri di zombi" anziché di animali coscienti), non certo le esperienze coscienti che "li accompagnano e vi corrispondono biunivocamente", esistendo in un "diverso piano ontologico trascendente", che non fanno parte degli "insiemi integrati di eventi fenomenici di coscienza" (delle determinate esperienze fenomeniche coscienti) cui i cervelli considerati appartengono, ma costituiscono altri, diversi "insiemi integrati di eventi fenomenici di coscienza" (determinate altre, diverse esperienze fenomeniche coscienti), uno per ciascun cervello (vivo e regolarmente funzionante, non in coma).  Concordo con parte del resto del tuo intervento (in particolare contro il relativismo), ma non con la pretesa di adeguare scopi e scelte filosofici agli scopi e scelte scientifiche.  Inoltre dissento dal fatto che il libero arbitrio sia una conditio sine qua non dell' etica, essendo invece convinto proprio dell' esatto contrario (l' etica presuppone per me necessariamente il determinismo), ma per carenza di tempo non ripeto qui le argomentazioni che già più volte ho proposto nel forum.  
Aspetta ma la tua posizione è quella di Spinoza? Ossia il parallellismo psico-fisico? Ti ho (sempre) scambiato per un kantiano al di fuori ovviamente dell'ambito politico ;D

Ad ogni modo vorrei precisare una cosa. Non credo che "la materia" sia più fondamentale della "mente" ma in modo simile a te, sgiombo, ritengo che siano due aspetti della realtà complementari. Quindi per me in un certo senso anche la particelle hanno una "mente" - o più precisamente un "aspetto mentale" - e ad evidenza di ciò porto la regolarità dei fenomeni. La coscienza invece è una proprietà "emergente" della mente e il suo emergere è in parallelo a quello dei comportamenti coscienti. La coscienza quindi è un fenomeno emergente a meno che non si creda come fanno quasi tutte le filosofie indiane che esista un qualche tipo di coscienza che rimane dopo la morte (che non ha niente di "corrispondente" nel mondo materiale  ;)  - su cui sorprendentemente la mia attuale posizione è un agnosticismo anche se razionalmente ammetto che non c'è alcuna evidenza di tale "coscienza".). Quindi ritengo che sia necessario separare le due cose ossia "mente" e "coscienza" (quest'ultima richiede la consapevolezza di sé). La mia posizione è una sorta di "panpsichismo".



Riguardo invece alla questione della libertà. Se con "determinismo" intendi "fatalismo" ossia che tutte le nostre azioni sono in realtà inevitabili, anche se ci "pare" che non sia così non posso essere d'accordo, anche se per un periodo ero convinto di ciò per l'influenza del grande Spinoza. Voglio dire se passo col rosso ha senso che venga multato perchè potevo fare altro a differenza invece della tegola che mi cade in testa, la quale invece "ha compiuto" un'azione "libera" perchè non poteva fare nient'altro (ossia è un'azione spontanea). Ritengo invece che l'etica ha senso perchè possiamo "in qualche modo" scegliere di fare una determinata azione invece di un'altra anche se ammetto che capire come ciò avviene è quasi impossibile e semmai c'è evidenza del contrario. Tuttavia seguendo Kant per me è un postulato della "ragione pratica". Credo però che sia interessante notare che in molte tradizioni religiose la "vera libertà" non è la possibilità di decidere tra varie alternative (che in realtà ci causa indecisioni e ci fa sentire "persi" - e quindi in un certo senso è una schiavitù), bensì la "vera libertà" è rinunciare alla "pretesa" di auto-determinazione (nelle religioni dove è presente una Divinità Personale come "Realtà Ultima" questa libertà è "affidarsi alla divinità" come ad esempio Socrate che nell'Apologia dice "ateniesi voi siete mei amici e vi rispetto ma obbedisco al dio.". In altre ovviamente no... Lo scrivo in piccolo perchè è solo un esempio  ;D ). Quindi tu intendi che l'etica coincide nell'abbandonarsi al "determinismo" (in un certo senso ricorda molto il daoismo e lo stoicismo). Però uno può anche decidere di non farlo,no? (chiaramente puoi non rispondere se non hai tempo adesso...)

Se fosse inevitabile essere virtuosi o meno, che senso ha tutta questa discussione sulla responsabilità?  ;) Altrimenti la responsabilità di un uomo sarebbe veramente diversa da quella di una tegola che mi cade in testa in una giornata ventosa?
#514
Sì quando parlavo di "natura" intendevo "materia", perdonate l'equivoco  ;D

@Phil e @sgiombo, il fenomeno che tu descrivi è l'emergentismo. In sostanza tu ritieni che la coscienza e i concetti di "giusto" e "sbagliato", "responsabilità" ecc "emergano" in modo analogo a quando in fisica si dice che ad esempio le fasi "liquida" e "solida" sono proprietà emergenti (visto che ovviamente le singole particelle non si possono trovare in queste fasi). Questa teoria è l'unica che per me ha senso da un punto di vista scientifico, l'unica che può dare un'idea di cosa sia la "coscienza" senza andare a tirar fuori "cose strane"  ;) ad ogni modo ogni liquido per esempio ha la caratteristica di adattarsi al contenitore e ogni solido ha la caratteristica di avere una struttura regolare. Il "giusto" e lo "sbagliato" però agiscono sia a livello individuale, sia a livello sociale e ritengo che sia bene non confondere gli ambiti. In ambo i casi però avremo chiaramente differenti individui e differenti società. Chiaramente non nego né le differenze individuali né quelle tra le varie società, così come non nego la differenza tra l'acqua e un altro liquido. Però da "fisico" ritengo che a dispetto di queste differenze abbia senso parlare di "proprietà" condivise: ossia che abbia senso parlare del fatto che ci siano cose "sbagliate", così come tutti i solidi hanno una struttura ordinata. Il problema che ho io quando sento dire che le regole morali siano "mere convenzioni" è proprio questo: si vedono i vari liquidi e dall'ovvio fatto che sono diversi si deduce che non è possibile parlare del "liquido". Per esempio anche la frase "l'acqua è salutare per la salute del corpo" a livello delle particelle non ha senso, visto che "salute" è un concetto che nasce in un contesto in cui c'è un essere vivente. Però così come esiste in medicina la possibilità di distinguere tra "salute" e "malattia" (che sono di  fatto concetti "emergenti"). E anche se sono emergenti noi li trattiamo come "oggettivi", anche perchè non farlo solitamente non è proprio una buona scelta  ;D Mi sorprende quindi che nel caso del "relativismo" si tende a sottolineare l'arbitrarietà e le differenze (che ovviamente esistono) ma ci si "dimentica" le cose in comune, quando per esempio nella scienza (che al giorno d'oggi è la base di tutta la visione "occidentale" del mondo) si cerca di fare esattamente l'opposto, ossia quello di trovare la spiegazione universale di tutti i fenomeni (ossia la "teoria del tutto") dato che questo procedimento di unificazione proprio nella scienza ha dato ottimi risultati: l'elettromagnetismo come unione di elettricità e magnetismo, la teoria della relatvità ristretta come unione tra elettromagnetismo e meccanica, la teoria dell'evoluzione come unificazione per così dire "delle specie" (che ci ha mostrato che gli orientali nel loro affermare che non siamo così diversi dagli animali avevano buoni motivi per dirlo  ;) ). Posso capire un tentativo più cauto di "unificare" in ambito etico ma appellarsi di continuo alle differenze mi pare semplicemente tra le altre cose un ragionamento non conforme alla scienza.
Tornando in topic, ossia nella questione del libero arbitrio vorrei anzitutto dire che l'emergentismo in realtà non postula l'esistenza di "nulla di spiritico"  ;D però mentre è un assioma che ad esempio nel caso della fase solida è possibile spiegare la fase partendo dai livelli "inferiori", nel caso della libertà umana è un po' diverso perchè si ha un salto qualitativo completamente nuovo. Se vogliamo accettare il concetto di responsabilità morale dobbiamo postulare (se volete alla Kant) che è possibile per un essere umano almeno in determinate situazioni scegliere tra due o più alternative in modo "sufficientemente" libero dalle costrizioni esterne. Ossia per esempio io potevo anche non scrivere questo post - la mia decisione però non è né dovuta al fato né a sistemi casuali. Ovviamente non sono un "dio" e quindi la mia libertà è condizionata, per esempio posso scrivere su questo forum perchè la connessione di casa stasera funziona, tuttavia la responsabilità morale ha senso se e solo se è possibile per me scegliere in modo autonomo. Se si scarta questo assioma secondo me cade tutto l'edificio dell'etica  ;) il che sinceramente mi pare piuttosto pericoloso...
#515
Grazie Garbino per la precisazione su Stirner  :)  Nietzsche mi sembra molto più profondo.


Sì mi scuso d'aver fatto una divagazione così lunga sul pensiero orientale che tra l'altro nemmeno Nietzsche conosceva bene (anche se il suo trattamento del buddhismo come "negazione del mondo" agli occhi di un nicciano ha perfettamente senso a differenza di quanto dicono molti studiosi che si fermano appunto a vedere che "entrambi" negano l'io). Motivo per cui tra l'altro ritengo che paragonare la "disoggettivazione" di Nietzsche e delle filosofie orientali rischia di essere fuorviante vista la grossa differenza che si nota appunto nel "risultato finale".
#516
Tematiche Filosofiche / Re:Il valore
21 Novembre 2017, 10:39:37 AM
Citazione di: altamarea il 19 Novembre 2017, 19:31:36 PMCiao Apeiron, dopo aver approfondito il valore da vari punti di vista, compreso il relativismo, non si può trascurare di ampliare il dialogoanche sul valore e l'amoralità, intesa questa come indifferenza verso le norme e le regole della società che incanalano l'agire nella quotidianità. L'amoralità sfugge ai principi universali di bene e male, non adotta la norma morale come criterio di valutazione. Ma è possibile vivere in modo amorale per lungo tempo ? Pensare di poter vivere senza i filtri delle regole, delle norme e dei valori credo sia illusorio. Osserviamo e giudichiamo la realtà in base a determinati criteri di valore e di giudizio che abbiamo introiettato tramite l'educazione avuta dalla famiglia, dalla socializzazione (in senso antropologico) ricevuta dalla scuola, dal gruppo dei pari, dai mass media, ecc.. Valori che governano le nostre azioni. Ovviamente sul nostro comportamento influiscono anche i gruppi di potere, ed è da stabilire se il loro agire è morale, immorale o amorale. Accettare e seguire le regole, i valori condivisi fa sentire "normali", rifiutarli per praticare la propria opinione può essere soddisfacente per l'individuo ma è anche a rischio sanzioni. E' meglio l'amoralità o l'immoralità ? L'abisso della corruzione, per esempio, non è tanto nell'immoralità ma nell'amoralità, quando non c'è la distinzione tra bene e male, quando c'è l'offuscamento della coscienza etica. "Corrotto" deriva dal latino "cor-ruptum" (= cuore rotto), perciò incapace di battere secondo la legge della morale. E questa è una sindrome che può colpire anche i giusti. "Corrompere" deriva dal verbo "rompere", in questo caso possiamo considerarlo metafora dello sconquasso che la corruzione genera nella società. Lo scrittore calabrese Corrado Alvaro (1895 – 1956) nel suo libro titolato "Ultimo diario 1948 – 1956", afferma: La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile".

Concordo su tutto. Non è possibile vivere senza regole, senza distinzione tra bene e male e come concordo con quanto dice Corrado Alvaro (che non conoscevo ). Mentre l'amoralità è per così dire il rifiuto che esista una distinzione tra "bene" e "male" e che questa come ben dici nasca anche (certamente) dal bisogno dell'uomo di "vivere nella società", l'immoralità (se è così che la intendi) nasce invece quando invece per così dire "si scambiano bene e male". Personalmente ritengo che il "relativismo" in genere favorisca proprio coloro che ritengono che si possa "vivere" senza appunto la "legge della morale" in quanto si ritiene che la morale è una "mera convenzione". Ritengo però che la morale sia per così dire necessaria a "condurre" l'uomo verso uno stato "più alto", nel quale non ha più bisogno di pensarla come una "regola da seguire" - ossia lo stato di "perfezione morale" che tanto andava di moda parecchio tempo fa. Però la morale è uno strumento che deve essere direzionato proprio in questa direzione sia a livello individuale che a livello sociale (sempre che si possa veramente fare una distinzione tra i due livelli  ::) ), motivo per cui si hanno due alternative per come pensarla. Prima alternativa: la morale può essere vista come una "catena" arbitraria che viene fatta da alcuni "moralisti" per "schiavizzarci" a dovere. Il che è innegabile che sia successo, che succede oggi e che succederà in futuro. Da questa "morale" concordo che sia giusto liberarsi, come ha ad esempio esortato di farlo Nietzsche. Tuttavia questa liberazione è pericolosa perchè in fin dei conti libera l'uomo dalla "legge" quando ancora ne ha bisogno e ciò è pericolosissimo. Infatti se si perde la consapevolezza che la morale sia qualcosa di "reale" e non una mera costruzione ad hoc dell'intelletto in fin dei conti i peggiori "mostri amorali" sono pure coerenti perchè non vedono nulla che li costringa ad "abbracciare" la morale, visto che la convenzione è in fin dei conti arbitraria e quindi non è migliore della loro "nuova visione" (lo stesso in realtà vale per gli "immorali" che scambiano bene e male). Se ammettiamo che la "morale" invece sia una via che ci porta ad uno stato migliore (e qui ahimé si deve fare una sorta d'atto di fede, che chiaramente non è necessariamente religioso...) e che quindi vivere secondo queste "catene" in realtà ci aiuti a vivere meglio. Per esempio l'obbligo di non "vivere nel lusso estremo" anche se sembra una privazione di un piacere ci rendiamo conto che ci fa vivere meglio. Ma dobbiamo secondo me ammettere che la morale sia "qualcosa" di reale, che comunichi qualcosa di "reale" al cuore di ogni uomo, proprio per evitare la "corruzione" di cui parli.
#517
Caro Phil  :) ammetto che non sono chiaro talvolta. Ad ogni modo il discorso della biologia l'ho "usato" come una sorta di "tranello".


Lasciamo stare la "morale divina" (non credo d'aver mai tirato in ballo Dio, almeno non direttamente e al massimo come "esempio"...). Il mio discorso sulla morale si basava su un ragionamento di questo tipo. Se affermiamo che "il giusto e lo sbagliato" sono convenzioni, abitrarietà, ecc allora siamo costretti a dire che in fin dei conti "giusto" e "sbagliato" sono concetti che nascono "non naturalmente" - ossia che in fin dei conti noi siamo "altro" rispetto alla natura. Se ad esempio valesse il rigido determinismo (o l'indeterminismo di alcune interpretazioni della meccanica quantistica) non avremo la possibilità di dire che la morale è convenzionale, visto che nessuno "decide" che la morale è convenzionale. Ergo siamo costretti a dire che la morale è in realtà un fenomeno analogo a tutti gli altri. E quindi in questo caso, in mancanza di libero arbitrio, non è possibile pensare al concetto di "responsabilità" in quanto l'uomo diventa equiparabile ad altri fenomeni naturali "inanimati".

Se invece ammettiamo l'esistenza di una qualche forma di libertà allora è possibile "affrancarci" dalla natura. Ergo è possibile solo in questo caso essere "artefici del nostro destino" e scegliere arbitrariamente la nostra "morale". Le convenzioni però da un punto strettamente evoluzionistico (credo... chi ne sa di più, per favore, mi bastoni se dico cavolate) nascono proprio da quei comportamenti "sociali" che troviamo nel mondo animale, dal quale ovviamente deriviamo. Ergo "qualcosa in noi" ci spinge a fare convenzioni e ci spinge a farle in modo che in genere creino "ordine" tra gli individui. Ma mentre nel mondo animale noi diciamo che è "la loro natura" a scegliere determinate gerarchie di individui (mi riferisco al "capobranco") e di "comportamenti" visto che riteniamo (giustamente?) che non hanno "libero arbitrio" ma sono mossi dall'istinto, nell'uomo invece se diciamo che ha libero arbitrio diciamo anche che crea "convenzioni" arbitrariamente. Cosicché per esempio l'etica scelta in una comunità non può essere paragonata in alcun modo a quella di un'altra perchè osserviamo delle differenze. Ma nuovamente questo è dimenticarsi del fatto che tra gli uomini esistono somiglianze. E ci dimentichiamo che è proprio la vita comunitaria talvolta a "scolpire" l'uomo in una certe direzione anziché in un'altra e quindi le differenze talvolta vengono proprio dal contesto sociale in cui è (il quale è stato scelto in modo "libero" in origine). A mio giudizio se si riconosce che esiste sia il libero arbitrio che una enorme somiglianza tra gli individui è necessario ammettere che "ciò che è bene" per "me" "assomigli" a "ciò che è bene" per un altro, a meno che non si creda in una sorta di "anima" che ci distingua in modo completo l'uno dall'altro. In un'ottica materialista, riduzionista ecc questo è completamente assurdo in quanto in fin dei conti in quest'ottica siamo chiaramente simili. Nuovamente però se diciamo che vi è il libero arbitrio e la reponsabilità siamo costretti a non abbracciare un materialismo stretto, bensì dobbiamo ammettere che "qualcosa" sfugga alle leggi di natura (materiale). Questo qualcosa se appartiene al mondo oggettivo deve anch'esso avere una sua natura e dobbiamo asserire che deviazioni da questa "natura" sono paragonabili alle patologie del corpo, e quindi in ultima analisi dobbiamo ammettere che in questo scenario la responsabilità morale sia qualcosa di "oggettivo".
#518
La nostra libertà non è completa in quanto il nostro inconscio, la nostra biologia, i condizionamenti sociali ecc condizionano le nostre scelte. Però è allo stesso modo "evidente" che abbiamo la facoltà di scegliere ossia abbiamo il libero arbitrio.

Citazione di: Phil il 19 Novembre 2017, 18:20:13 PMIl cielo di sera non è buio per convenzione sociale, mentre il giusto e lo sbagliato lo sono  

Invece questa affermazione è sbagliata considerando proprio la scienza stessa. Il "giusto" e lo "sbagliato" hanno anche fondamenti "biologici" ed evoluzionistici. Il fatto stesso che creiamo convenzioni sociali la dice lunga sul fatto che il "giusto" e lo "sbagliato" derivano dalla nostra natura. Quindi anche considerando la scienza non è possibile affermare che l'etica sia qualcosa di totalmente convenzionale. A meno che non si consideri anche il nostro DNA, il nostro cervello ecc come qualcosa di "convenzionale". Motivo per cui la moralità non è completamente "soggettiva" come afferma il relativismo  ;) non pretendo di convertire nessun "relativista" al mio "fallibilismo" ma affermare così senza problemi che il giusto e lo sbagliato sono convenzioni secondo me è completamente erroneo anche se si considera solo ciò che conosciamo dalla scienza. Nuovamente comunque non capisco questa convinzione per cui l'etica sia totalmente arbitraria.
#519
Tematiche Filosofiche / Re:Il valore
19 Novembre 2017, 12:09:13 PM
@Green i tuoi due interventi mi hanno lasciato un po' perplesso così come mi lascia perplesso il tuo duplice apprezzamento dell'induismo e di Nietzsche. Ho grosse difficoltà ad inquadrarti (il che potrebbe essere una cosa positiva  ;D)
Interessante è la tua posizione per la quale "quello che conta veramente" è la gerarchia. Però lasciami prima farti capire la questione del "TU DEVI". No, non mi sono fatto capire. Il mio non è un "TU DEVI" bensì l'etica, la morale (e anche l'estetica) contiene un dovere verso sé stessi prima di ogni altra cosa. Si parte da sé stessi, non si impone nulla. Non c'è nessuno qui che dice "TU DEVI", però riconosco invece la presenza di alcune "cose" che sono estreamente importanti e che quindi è un "dovere" che queste cose vengano fatte dall'individuo. Questo mi accomuna volendo a Nietzsche (credo) e ai "relativisti", però come spero d'aver fatto capire la loro soluzione è rispettivamente secondo me "erronea" (nel caso di N.) e incompleta, nel caso dei relativisti. Non  è un "TU DEVI", bensì è un "IO DEVO" e questo dovere è in realtà - coincidentia oppositorum - il dover seguire i propri diritti. Questo dovere non rinchiude l'uomo in una prigione bensì lo libera.

Per chiarire uso la seguente notazione: "valore= ciò che rende importante una cosa anche in senso quantitativo", "bene= ciò che è importante". Ritengo che dire che "amicizia", "fratellanza" ecc siano "valori" faccia nascere solo confusione e non aiuti per niente l'indagine. Concordo con te che in automatico si arrivi al "massimo bene". Non concordo con te che ciò sia dovuto alla mera paura dell'ignoto. O più precisamente non solo a causa della paura ma anche a causa della volontà di essere veramente liberi, della volontà vivere in modo autentico, la responsabilità e così via. Come spesso dici anche tu "Dio" è qualcosa che spaventa ma deve essere cercato (no? o almeno è il tuo lato "induista" a dirlo  ;D ).


Mi perplede poi la tua risposta a Kobayashi anche se ammetto di non averla veramente capita. Il relativismo afferma che anche quanto tu dici "non si può definire meglio" di quanto dicono gli altri perchè ogni morale, individualistica o colletivistica che sia, in fin dei conti è "arbitraria". Quello che tu dici in realtà è che si debba cercare qualcosa che è meglio, la trascendenza. Secondo me, così come secondo le filosofie indiane, il modo paradossalmente più "diretto" per arrivarci è essere responsabili, cercare di "essere giusti" e così via.

La morale e l'etica non sono solo "bigottismo" e catene per l'uomo, ma lo valorizzano. Questo si è perso. La morale è un dovere che facciamo a noi stessi (quindi una sorta di "diritto" - coincidentia oppositorum). Cerca di valorizzare ciò che nella nostra natura è importante. Che poi i "moralisti" storicamente abbiano visto la morale solo come una catena contro la vita è un altro discorso (sul quale non ha senso ripetere la critica corretta che ha fatto Nietzsche). Ma non è l'unico modo di vedere l'etica, la morale e i valori universali. Spero d'essere stato chiaro!  (questo paragrafo è lo stesso che c'è nella discussione di Nietzsche. L'ho riscritto anche qui per "il beneficio del lettore", visto che ritengo affermi una cosa molto importante che troppo spesso viene "ignorata" ;) )

@Il_Dubbio. Il "fallibilismo" per coerenza non può dire (almeno all'inizio) che una morale già esistente non è quella "giusta". Il fallibilismo vede il problema, vede che in noi vi è la "tendenza" a cercare ciò che è importante e da lì parte per "edificare" il "carattere" dell'uomo così come cercarono di fare ad esempio Socrate e Platone partendo da zero. Il fallibilismo valorizza la mitologia e la "conoscenza degli antichi" perchè riconosce che sono cose che sono state fatte da persone che cercavano una soluzione a questo problema. Riguardo alla storia si può vedere come i concetti di "giusto" sono stati stravolti. Ma ciò non significa come intendono i relativisti che tale concetto sia arbitrario. Significa semmai che deve essere ricercato con la massima serietà, proprio come facevano i filosofi antichi, da cui credo che dobbiamo solo imparare.

L'obbiettivo non è l'onniscienza, bensì conoscere ciò che è per noi importante. Valorizzare ciò che è veramente importante e distogliere l'attenzione da ciò che invece non lo è o è addirittura dannoso.
#520
Citazione di: green demetr il 18 Novembre 2017, 17:58:38 PMx Sari Penso che ci sia un fraintendimento grave da parte di Gide, scrittore profondamento religioso e disturbante, ricordo ancora la sensazione sgradevole della sua prosa virulenta in "Pastorale". E cioè che in Nietzche vi sia un idea di riscatto, quando invece è chiaramente una posizione escatologica, ed avulsa, anzi deplorata dalla filosofia del tedesco. x Apeiron cit"Ad un certo punto afferma: "Nietzsche lascia la libertà impotente sostenendo l'inconsistenza dell'Io". Ciò in realtà è falso perchè d'altronde Nietzsche voleva affermare l'individuo - quindi anche se ogni tanto Nietzsche sembra dire che "l'io non esiste" in realtà si ha lo "strapotere" dell'io in quanto l'"io" non ha più niente su cui basare la propria libertà d'agire." E invece ti sbagli perchè fermandoti alla porta di ingresso del vero pensiero Nietzchiano, ossia quello della desogettivazione, ripiombi per i noti meccanismi paranoici di blocco e proiezione, nel tuo, e solo tuo, credere forte nel soggetto. Ripetendo un errore che torna a ripetizione, nonostante in teoria sei uno fra i pochi che lo ha inquadrato abbastanza bene. Come spesso ti dico: Il maestro tedesco chiede uno sforzo in più ;) Tra l'altro da conoscitore del Buddismo dovresti sapere quanto è importante la desogettivazione!(motivo per cui Nietzche è spesso avvicinato al buddismo). Anche se ritengo che collegamenti di senso fra le due scuole di pensiero non siano accettabili. Hai invece ragione sul fatto che la frase è sbagliata ;) , perchè il concetto di libertà è invece fondamentale in Nietzche. Sul rapporto tra Nietzche e Dostoevski. Non è un vero e proprio rapporto, anche se entrambi sono testimoni del nichilismo. I loro orizzonti sono però a mio avviso estremamente incompatibili. Resta il fatto che all'altezza di Nietzche ci sono soltanto Dostoevski e Rilke. Non si possono non leggere. (che mi combini Garbino? come si fa a non leggere Dostoevski?) ;)


Se non c'è alcun soggetto non c'è nessuna volontà di affermarsi. Quello che Nietzsche non capì, secondo me, è proprio questo. La Storia richiede intenzionalità, aspirazioni, "sofferenza", conflitto, lotta ecc. Sarà stato anche un maestro del "de-soggettivismo" ma allo stesso tempo  riteneva che "tolto" il soggetto "con le sue paranoie" e le sue pretese di controllo quello che rimaneva non era "cessazione, pace..." bensì al contrario volontà di affermazione.  Il buddhismo viene paragonato ad Epicuro epppure il buddhismo a differenza dell'epicureismo "predica" il ciclo delle rinascite e il nirvana. Il buddhismo viene paragonato a Schopenhauer ma anche qui la differenza è che Schopenhuaer ha reso la Volontà un assoluto e così facendo ha creato un "misto" tra vedanta e buddhismo. Il buddhismo zen (e il daoismo) viene paragonato a Wittgenstein dimenticandosi del fatto che la filosofia di Wittgenstein non richiede la trascendenza mentre il buddhismo sì. Infine il buddhismo (specie quello zen - ma anche il daoismo) viene paragonato a Nietzsche ma il filosofo tedesco ha sempre preferito la "moralità dei signori" dove c'era l'"esplosione" della volontà, del conflitto ecc - inoltre manca completamente in Nietzsche la trascendenza (a meno che ovviamente non si ha un'interpretazione "realistica" dell'Eterno Ritorno e della Volontà di Potenza - ma nuovamente questo fa cadere nella metafisica)
Ad ogni modo perfino il buddhismo (!) come Sari nel topic ha ben precisato non va in giro a predicare che "il soggetto non esiste" (la posizione del "Canone Pali" è in realtà ambigua https://www.canonepali.net/2015/06/sn-44-10-ananda-sutta-ad-ananda/ perchè forse anche "il soggetto non esiste" è una teoria metafisica, dopotutto  ::) ) e inoltre è ben chiaro che prima di giungere all'Estinzione e alla realizzazione che "ogni cosa è non-sé" c'è da fare un durissimo lavoro su se stessi per eliminare ogni tendenza che genere attaccamento e avversione, ossia l'eliminazione della brama, la sete. Nietzsche avrà anche "intuito" che il "soggetto non esiste", che l'io è una prigione però la descrizione dell'oltre-uomo non è (guarda a caso  ;D ) così simile a quella dell'arhant.

In sostanza per riassumere: per il buddhismo tolto il "soggetto" quello che rimane è a "pace del nirvana". Per Nietzsche tolto il soggetto quello che rimane è "la volontà di affermazione"  ;) Il suo grande "distacco" da Schopenhauer d'altronde è stato quello di considerare che non è vero che la volontà deve essere negata (ossia dire che la "Storia non esiste" come predicano in India  ;) ), bensì secondo Nietzsche la "volontà deve essere affermata" e quindi l'inesistenza dell'io "libera" la volontà da ogni restrizione. Se vogliamo il motivo per cui viene negato l'io per il buddhismo e per Nietzsche è opposto. Per Nietzsche l'io viene negato per "non mettere più alcuna diga sulla fiumana della Volontà", per il buddhismo invece l'io (di fatto) coincide con la volontà e quindi negare l'io è negare la volontà, ossia usando il tuo lessico "negare la Storia".

Detto questo ripeto ci sono ovviamente somiglianze. "Dio" è assente o ha un ruolo marginale, l'uomo deve mirare alla libertà, la costruzione dell'identità personale è vista come una prigione, c'è la consapevolezza che la rete di concetti con cui "controlliamo" la realtà non è la realtà stessa, il fatto che il divenire è ben più "reale" dell'essere ecc Però dove il buddhismo nega la volontà nega anche il "soggetto". Viceversa secondo Nietzsche dove si nega il soggetto si afferma la "volontà" e la "storia" (non a caso lui prende d'esempio come "grandi uomini" Napoleone, Cesare  - ossia uomini che "spezzano la storia in due"). Questo è il mio problema con Nietzsche. Dove lui vede l'affermazione della "volontà" e del "conflitto" io vedo invece l'esatto opposto. Sarò tardo  ;)

La mia "fissazione" col soggetto deriva dal fatto che volenti o nolenti si deve partire proprio da lì, studiarlo bene, capirlo. Si deve "ammestrarlo", perfezionarlo. Una volta che si è raggiunto l'obbiettivo però credo che si debba lasciarlo andare per essere veramente liberi, così come una volta attraversato un fiume si lascia andare la zattera. Ergo la metafisica è importante proprio in questo senso: è grazie a lei che possiamo "distoglierci" dalla confusione "mondana" e iniziare il lungo viaggio con anche il necessario "timore e tremore".


Citando una bellissima frase Garbino "l' uomo sarà veramente libero, o almeno sulla strada per esserlo, soltanto quando riuscirà a liberarsi del bisogno metafisico." Concordo a quel punto l'uomo avrà trasceso anche il suo bisogno metafisico e quindi sarà libero. Ma non conviene lasciare andare la zattera prima di aver raggiunto l'altra riva, è molto rischioso  ;) Però il risultato non sarà l'oltre-uomo o l'affermazione  ;)

(X Green e Garbino) Comunque in Dostoevskij personalmente trovo talvolta uno "spirito" un po' patologico ed eccessivamente critico della natura umana e soprattutto della ragione. In sostanza mi sembra troppo orientato a far vedere che l'uomo "ha cattivi istinti" e quindi rinnega anche la ragione. Paradossalmente preferisco Kierkegaard che invece si concentra sull'angoscia, lo "scacco" della morale e la liberazione del singolo dall'eventuale cattiva moralità della società in cui è inserito ;) Nuovamente vista la direzione del pensiero Nietzsche è qualcosa di unico che merita d'essere studiato (spero che le mie parole non abbiano suggerito che Nietzsche non meriti di essere studiato. Anzi ritengo il suo pensiero meritevole di una attenta analisi per evitare che venga accettato o rifiutato per le ragioni errate...).

La morale e l'etica non sono solo "bigottismo" e catene per l'uomo, ma lo valorizzano. Questo si è perso. La morale è un dovere che facciamo a noi stessi (quindi una sorta di "diritto" - coincidentia oppositorum). Cerca di valorizzare ciò che nella nostra natura è importante. Che poi i "moralisti" storicamente abbiano visto la morale solo come una catena contro la vita è un altro discorso (sul quale non ha senso ripetere la critica corretta che ha fatto Nietzsche). Ma non è l'unico modo di vedere l'etica, la morale e i valori universali. Spero d'essere stato chiaro!  

Curiosità/domanda per Garbino e Green. Conosco Stirner solo per fonti indirette. Si dice che nella sua filosofia "è simile a Nietzsche". A me non sombra. Lo conoscete? Se sì, cosa ne pensate?


P.S. Personalmente ho letto solo "Delitto e Castigo" di Dostoevskij. Ho provato a leggere "I Fratelli Karamazov" ma ho scelto il periodo sbagliato per leggerlo e quindi l'ho messo da parte. Non ho mai letto invece nulla di Rilke.
#521
@Sari, il problema è sempre lo stesso: tolto Dio (o qualsivoglia base "universale" su cui fondare l'etica) non c'è nessuna ragione per cui un'azione può essere "permessa" o "non permessa". Quindi di fatto sono possibili entrambe le visioni per le quali "tutto è permesso" e "tutto non è permesso" o anche nessuna delle due. Qui ho trovato qualcosa che è chiaramente legato a quanto hai citato http://www.filosofico.net/dostoevskijmrusso.htm.

Ad un certo punto afferma: "Nietzsche lascia la libertà impotente sostenendo l'inconsistenza dell'Io". Ciò in realtà è falso perchè d'altronde Nietzsche voleva affermare l'individuo - quindi anche se ogni tanto Nietzsche sembra dire che "l'io non esiste" in realtà si ha lo "strapotere" dell'io in quanto l'"io" non ha più niente su cui basare la propria libertà d'agire. In questo modo l'oltre-uomo nietzschiano diventa una sorta di "uomo-dio" in quanto si autogestisce da sé e questo unito al fatto che è sparita l'esistenza di modi comportamentali condivisi fa in modo che l'oltre-uomo fa tutto ciò che vuole. Ergo si ha l'acume della volontà e dell'affermazione e quindi per così dire la massima "libertà". Essendo sparita ogni cosa che può tenere a freno l'io allora l'io può pensare di essere libero di "affermare" qualsiasi suo aspetto. E l'affermazione sarà diversa, in linea di principio, da individuo ad individuo. Ognuno a questo punto è libero di "creare nuovi valori", ossia di scegliere come "comportarsi" con il "resto del mondo" (uomini compresi) e non avrà alcuna ragione per considerare la scelta dei "nuovi valori" come giusta o sbagliata. Quello che chiaramente resta è un caso di conflitto, guerra, lotte, contese... (Ovviamente ciò avviene perchè la "volontà di potenza" si manifesta in modo diverso a priori in ognuno di noi e quindi non è possibile a priori trovare un terreno in comune - ossia un'etica che possa essere quella "giusta". Per questo motivo ognuno è libero di "creare nuovi valori" a seconda della sua volontà - si noti la contrapposizione con le filosofie "atee"*  buddhiste, daoiste, induiste ecc per le quali però esiste una base oggettiva e universale dell'etica e inoltre tendono a fare in modo che si "rinunci" alla volontà d'affermazione del proprio "io". Una conclusione opposta di quella Nietzche...). Nietzsche in sostanza ha voluto sia "negare Dio" che "affermare la storia (dell'uomo)", da qui la sua contrapposizione con (forse) tutti i filosofi precedenti visto che anche Eraclito comunque ha sempre ammesso che l'uomo è subordinato al "logos"...

Ad ogni modo non sono d'accordo con l'affermazione (per me completamente errata) che l'autrice fa per la quale "Nietzsche... si risolve nel nichilismo perchè legato troppo alla cultura greca". Chiaramente ciò è vero se togliamo di mezzo Socrate, Platone, Aristotele, Pitagora, lo stoicismo ecc dalla cultura greca ::) no Nietzsche si è "ribellato" anche contro la cultura greca! Ad ogni modo concordo con quanto dice l'autrice: entrambi hanno compreso appieno tutte le conseguenze della negazione di ogni "Dio". Entrambi sono "grandi" pensatori. Però la loro conclusione è curiosamente opposta.


P.S. Secondo me in genere l'errore del relativismo-nichilismo è di dimenticarsi che in fin dei conti tra gli uomini ci sono più somiglianze che differenze...

*"atee" in questo caso significa "che non ritengono che la Realtà Ultima sia una divinità personale" (in realtà tutte queste tradizioni orientali ammettono l'esistenza di divinità.)
#522
Tematiche Filosofiche / Re:Il valore
18 Novembre 2017, 12:39:00 PM
Ottima risposta @Il_Dubbio  ;) Provo a darti una risposta che pur essendo a mio giudizio insufficiente a rispondere alle tue domande, sarà utile per andare avanti nel dibattito e magari far tornare altri che hanno partecipato.


Nuovamente, ritengo, che sia doveroso chiarire il significato della parola "valore" prima di usarla. (porta pazienza ma sto seguendo la metodologia dei dialoghi platonici... per ora siamo ancora nella confusione  :( ). Se ammettiamo come buona la mia "definizione" (che non è in realtà una vera definizione, in quanto circolare) allora dobbiamo dire che il valore non è un oggetto, bensì definisce "quanto sia importante un oggetto per un soggetto". Il valore perciò pare essere una quantità, assimilabile al numero. Potremo dire che un oggetto "Y" vale più di un oggetto "Z" per il soggetto "X" anche nella forma matematica "{X_valore(Y)>X_valore(Z)}" avendo rappresentato il "valore" con una scala numerica ordinata (ordinata=si può definire in modo sensato il concetto di "maggiore" (>)). In questa notazione ho usato la forma "soggetto_valore(oggetto)". Chiaramente si può avere che utilizzando due soggetti X1 e X2 e due oggetti Y1 e Y2 la relazione di ordine è rispettata (ossia che valore(Y1)>valore(Y2) per entrambi) ma X1_valore(Y1) è un numero diverso da X2_valore(Y1). Se l'oggettoY1 è il "benessere economico" dunque sto dicendo che il "benessere economico" per X1 è più importante che per X2 ma allo stesso tempo se l'oggetto Y2 è "andare su Marte" entrambi valutano che il "benessere economico" è più importante di "andare su Marte". Ci sono come osservi giustamente tu anche i cosiddetti "oggetti di valore astratti" (che a causa della loro "astrazione") sono comunemente detti "valori" (tuttavia per consistenza nella notazione dovremo utilizzare anche in questo caso la nomenclatura di "oggetto" per evitare un conflitto nella notazione). Come dunque confrontare il valore del "benessere economico" con il valore della "fratellanza". Anzitutto dobbiamo ammettere che affinché questi confornti abbiano senso anche la "fratellanza" non sia un qualcosa di astratto ma rappresenti qualcosa di reale (il termine astratto viene dunque usato per indicare il fatto che è più difficile da definire rispetto ad esempio al "benessere economico"). Supponiamo però che sia per X1 che per X2 sia chiaro cosa significa "fratellanza" e che ad esempio entrambi siano d'accordo di definire tale "oggetto" come la disposizione per la quale "amo il prossimo come se fosse un mio fratello" (ammesso che "fratellanza=amore fraterno"). Nuovamente possiamo dunque definire che "fratellanza=Y3" e quindi ad esempio: X1_valore(Y3)> X1_valore(Y1)>X1_valore(Y2). Supponiamo che X2 non sia d'accordo e per lui: X2_valore(Y1)> X1_valore(Y3)>X1_valore(Y2). I due personaggi hanno una gerarchia diversa. Come ho già detto il "valore" è qualcosa di relazionale (essendo l'importanza di un oggetto che viene data da un soggetto).

Definiamo relativismo estremo quella posizione filosofica per la quale non v'è nulla che può distinguere che una gerarchia è migliore dell'altra. Se fosse vera questa posizione allora sarebbe falso dire sia che la gerarchia di X1 è "migliore" (o "peggiore") di X2 perchè non c'è alcun criterio veramente comune tra i due. Una forma di relativismo un po' meno estrema invece, che definisco "relativismo forte" è quella per la quale il confronto delle gerarchie è davvero possibile se e solo se i soggetti X1 e X2 sono uguali (ossia sono indistinguibili). Considerando che le persone differiscono tra di loro per l'educazione, le preferenze personali, le abilità, il contesto sociale in cui vivono, la famiglia ecc allora questo tipo di relativismo asserisce che il confronto delle gerarchie nella realtà è privo di significato - ossia il dialogo stesso è del tutto senza senso. Un "relativismo debole" invece asserisce che i soggetti X1,...,XN riusciranno a trovare beneficio dal dialogo perchè ad esempio sono ignari della gerarchia "migliore" per essi. Tuttavia è categoricamente escluso dal relativismo che si possa definire un "maestro" in quanto in fin dei conti le diversità individuali a priori tendono a fare in modo che ognuno abbia la sua "gerarchia" (e quindi in realtà è possibile per il relativismo che in fin dei conti X1,...,XN abbiano le loro "giuste" gerarchia completamente diverse l'uno dall'altro). La mia posizione "fallibilistica" invece asserisce che anche se è vero che ci sono differenze individuali è pur vero che le somiglianze tra gli individui sono molto più evidenti (per esempio una cosa in comune a tutti gli esseri umani è essere "potenzialmente senzienti"). Ciò significa che è possibile che i soggetti X1,...,XN possano essere ignari della gerarchia a loro favorevole ma che in virtù delle evidenti somiglianze queste gerarchie in realtà si somigliano.

Nella situazione esposta nel primo paragrafo nel caso del "relativismo forte" e in quello "estremo" si deve semplicemente prendere nota delle differenze (non c'è alcuna ragione per cui X1 e X2 debbano ad esempio dialogare). Nel caso del "relativismo debole" invece X1 e X2 potranno dialogare e ognuno "testerà" la gerarchia dell'altro - tuttavia entrambi potranno ragionare in questo modo: "l'altro è diverso da me e quindi mi tengo la mia gerarchia perchè è quella giusta" o viceversa uno dei due potrebbe dire "l'altro è diverso da me però la sua gerarchia mi sembra interessante anche per me". Però non c'è alcuna ragione di fondo per la quale uno dovrebbe mutare la sua gerarchia. Nel caso del fallibilismo invece è possibile ritenere che uno dei due cambi "gerarchia" in quanto solo una delle due è "quella giusta" per entrambi. Il "fallibilismo" in sostanza sostiene che la divergenza delle gerarchie può essere causata dall'ignoranza o dall'errore dei soggetti stessi. Si badi bene che nel caso del "relativismo forte" od "estremo" non è possibile fare un'affermazione simile in quanto il concetto di "errore" o di "ignoranza" è privo di significato. Nel caso del relativismo "debole" invece addirittura i due soggetti non hanno alcun motivo a-priori per cui possono affermare che l'altro può essere in errore o in stato di ignoranza. Nel caso del fallibilismo invece è possibile che entrambi siano motivati a cercare di trovare la "giusta" gerarchia per entrambi facendo magari qualche modifica per adattarla alle predisposizioni individuali. Essendoci per assunto però in questo caso un terreno in comune in generale è possibile parlare di "maestri", di "gerarchie" condivise ecc nel caso del relativismo debole invece il fatto che il dialogo sia utile all'individuo è solamente una mera accidentalità, un caso fortuito.  ;)
#523
Riesumo questo vecchio topic per parlare dell'enorme influenza (fino a pochi giorni fa non mi ero accorto che era così grossa) di Platone sul mio pensiero. Più precisamente nella sua teoria delle forme e in particolare sulla Forma del Bene. Più precisamente ritengo che il genio del filosofo ateniese è da vedersi nella sua metafora tra "valore" (ciò che rende qualcosa importante, cioè "un bene") e la luminosità di un oggetto (ossia la proprietà di un oggetto che lo rende visibile). Il soggetto vede gli oggetti luminosi grazie alla facoltà della vista, allo stesso modo grazie al suo intrinseco "senso" di ciò che "vedere" l'importanza ("valore") delle cose ritiene importanti gli oggetti "di valore". Nel caso di Platone la "Forma del Bene" "partecipando" in tutti gli esseri li rende "buoni" (gli gnostici quando dissero che la materia era "male" non capirono Platone...) e la "Forma del Bene" quindi rende di "valore" gli oggetti, così come il Sole rende visibili gli oggetti. Gli oggetti che più "somigliano" alla "Forma del Bene" hanno "maggior valore", così come le cose più luminose "somigliano" più al Sole (si faccia conto che nell'antichità la luce artificiale era molto poca, quindi a parte poche eccezioni per un antico l'unica "sorgente" della luce era il Sole). Quindi qui abbiamo una corrispondenza tra "oggetto luminoso" - "oggetto di valore", "vista" - "capacità innata dell'uomo di riconoscere gli "oggetti di valore" ossia i beni", "Sole" - "ciò che rende possibile sia il valore degli oggetti che la nostra capacità di vederlo".
Credo che Platone abbia sviluppato un sistema filosofico estremamente simile al vedantismo, se si sostituisce Brahman con "la Forma del Bene". Ovviamente per Platone avendo uguagliato in sostanza il "bene" con la "conoscenza" arriva a dire che la Forma del Bene è anche la causa della nostra capacità di conoscere. E ritengo che ciò sia estremamente simile alla filosofia indiana.
Ad ogni modo il paragone tra il "valore" e la "luminosità", tra vedere e conoscere lo trovo molto suggestivo. Mi ci "ritrovo" molto.

Per quanto riguarda poi la fisica, il fascino dell'unificazione delle forze e cose simili che è centrale per la fisica stessa, deriva essenzialmente da un pensiero di stampo platonico (anche se in questo caso non è lui l'origine di questo tipo di pensiero...). Inoltre la convinzione dell'importanza del kosmos (l'ordine razionale del mondo) deriva essenzialmente da filosofie simili a quella platonica, visto che le "leggi" sono qualcosa di intangibile. 

Il collegamento con Pirsig (per chi lo conosce) è invece secondo me ovvio. Anche nel suo caso si può paragonare il "valore" alla luce (lui preferiva il termine "qualità"). Nel suo caso l'Assoluto coincide con la qualità stessa e quindi con il "valore". Quindi in questo caso: assoluto=qualità=luce? Ritengo Pirsig molto "vicino" a me per l'interesse che ha avuto nell'esplorazione di questa tematica.

Forse si può fare anche un collegamento col buddhismo (?) :)  il buddhismo non nega che ad esempio il reame dei devas sia qualcosa di "felice" e quindi per certi versi simile al Nirvana. Però il Nirvana, il Summum Bonum del buddhismo non è in rapporto causale come la Forma del Bene platonica o il Brahman dei vedanta. Però anche col Nirvana si può fare un discorso analogo di quanto fatto per la Forma del Bene in quanto anche il Nirvana è un "bene" e con ciò assomiglia ai "beni mondani", così come il Sole assomiglia agli oggetti luminosi. Così dunque il "Nirvana" è l'unica realtà incondizionata per queste scuole di pensiero e quindi il bene più grande. Il Nirvana essendo quindi la "pace incondizionata" è visto come il "sommo bene" (avendo le caratteristiche di ciò ci aspettiamo come "bene" ed essendo incondizionato)


Anche se non è sostenuta dalla scuola Theravada, la "dottrina" della "Natura di Buddha" sembra essere in qualche modo vicina a questa idea: addirittura la "natura di buddha" è vista come lo stato naturale, luminoso della mente ;)
#524
Tematiche Filosofiche / Re:Il valore
17 Novembre 2017, 12:51:21 PM
Per quanto riguarda le filosofie orientali... Beh ad esempio nel buddhismo per esempio si rinuncia a tutto per "raggiungere" il Nirvana, il Bene Supremo. E stando al Buddha questo Bene è il Bene Supremo per ogni essere senziente.  ;) Ovviamente già a suo tempo c'era chi pensava che il nirvana non era il "bene supremo" (ossia la cosa più importante per ogni soggetto) e per questo motivo il Buddha sosteneva (ovviamente stando alle parole a lui attribuite ad esempio nel Canone Pali) che chi non si rende conto che il bene supremo è il nirvana ha "polvere negli occhi": in sostanza il bene supremo per il buddhismo è raggiungere il nirvana, ma non lo è solo per i buddhisti - secondo i buddhisti lo è per tutti. Per gli indù è Brahman e per i daoisti è il Dao... Ergo non mi paiono così tanto diverse da questo punto di vista dalla filosofia occidentale (greca, ma anche cristiana) tanto bistrattata (d'altronde tra Platone e la filosofia induista c'è pieno di somiglianze!)  ;)  (ti consiglio di leggere il topic del buddhismo...https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/buddhismo/). Vorrei però evitare di parlare delle religioni o delle filosofie (se non come esempio...) altrimenti si rischia l'off-topic. Per esempio posso dire "Dio è il Bene Supremo Universale" per i cristiani mentre per i buddhisti il "Bene Supremo Universale" è il Nirvana però lascerei perdere (almeno per ora) la descrizione dei "beni supremi universali" delle particolari filosofie o religioni
(LOL forse sarebbe opportuno aprire un "topic" sulle filosofie orientali  ;) d'altronde anche nel topic del buddhismo si parla continuamente - per colpa mia  ;D - delle filosofie "orientali" rivali ad esso. )


Tornando a parlare dei valori... (nota: la gerarchia strettamente parlando è degli "oggetti di valore" a seconda del loro valore)
Credo che a causa della mia inabilità a spiegarmi di aver creato una sorta di equivoco. Ora cerco di scrivere le cose in modo chiaro.
1) Provando a definire il "valore" ho notato che si cade nella circolarità, o meglio "il valore è ciò che rende importante un "oggetto" per un soggetto", in realtà sposta il problema sulla definizione di "oggetto importante", che a sua volta si definisce come qualcosa che ha "valore" ("oggetto di valore" o "bene"). Direi che è un fatto che si può definire a-priori della nostra esperienza e quindi non è definibile se non in modo circolare.
2) il valore è relazionale, perche qualcosa è "importante" solo in riferimento a un soggetto. D'altronde è sempre un soggetto che distingue una cosa come molto importante, importante, indifferente ecc
3) il valore quindi non può essere considerato come una proprietà  dell'oggetto (!). Ma richiede un soggetto e un oggetto.
4) è possibile che più di un soggetto diano lo stesso valore a un determinato "oggetto" (mi pare ovvio, almeno in generale), così come è possibile che due soggetti non siano d'accordo sull'importanza di un determinato "oggetto"
5) è possibile che esista almeno un valore "universale". Cosa voglio dire? Che tutti i soggetti diano la stessa "importanza" (lo stesso "valore") ad un determinato oggetto. Il termine "assoluto" può essere utilizzato in quanto in questo caso può essere utilizzato come sinonimo di universale.
6) ogni soggetto ha una gerarchia di valori (fatto empirico)...
7) è quindi possibile pensare che più di un soggetto abbia una stessa gerarchia (scrivo "una" perchè possono dire che ad esempio i Beatles sono meglio dei Rolling Stones ma possono non essere d'accordo sul fatto che "i Beatles sono meglio dei Queen"). Ed è possibile che esista una gerarchia condivisa da tutti.
8 ) è possibile pensare che esista un (oggetto di) valore massimo per ogni soggetto (per ogni soggetto X esiste un oggetto Y che ha valore massimo - in genere dobbiamo dire che tali oggetti di valore siano diversi).
9) è possibile pensare che esista l'oggetto di valore massimo sia lo stesso per ogni soggetto.
10) si definirà come "bene supremo" l'oggetto che ha il massimo valore (ossia l'oggetto di valore massimo, oppure ciò che ha massima importanza...). Se è unico per ogni soggetto allora tale "bene supremo" sarà anche "universale" (o "assoluto").
E fin qui non ho fatto alcuna conclusione... Ora però andando avanti:
11) empiricamente osserviamo che ad esempio gli esseri umani sono simili tra di loro;
12) ergo è ragionevole pensare che diverse cose siano importanti per tutti gli esseri umani;
13) è ragionevole pensare che anche i "beni supremi" di ogni essere umano siano simili tra di loro;
14) ergo se uno riesce a capire ciò che per lui stesso è importante, sarà utile condividerlo tale comprensione anche agli altri individui (per il loro... bene  ;D );
15) per il principio di somiglianza se ciò è di benificio per quell'individuo è ragionevole pensare che possa esserlo per gli altri;
16) è ragionevole pensare che per il principio di somiglianza anche alcune gerarchie di beni (la gerarchia strettamente parlando è degli "oggetti di valore" a seconda del loro valore) siano condivise;
17) non è così irragionevole pensare che ciò che è più importante per un determinato individuo lo sarà anche per tutti gli altri (d'altronde empiricamente osserviamo che gli esseri viventi senza acqua ( ;D ) non vivono).

Spero di essere stato abbastanza chiaro stavolta... Non credo di riuscire a fare di meglio... :(



Non riesco a capire comunque l'obiezione per cui il valore "assoluto e supremo" non esista o che tale "concetto" sia senza senso (sarò tardo  :D ). Ora se per "assoluto" si intende "universale" non credo proprio che si possa dimostrare che non esistano. Il fatto che i valori siano relazionali non significa che non esistano valori universali. Mi fai l'esempio della fisica... ebbene in relatività ristretta per ogni sistema di riferimento universale il "valore" della velocità della luce è... "c"  ;)  in fisica c'è pieno di quantità che sono misurate (e la misura è in fin dei conti l'interazione tra un soggetto e un oggetto - e quindi è una "cosa" relazionale) che sono uguali per una grande classe di sistemi di riferimento. Motivo per cui ci possono essere tanti valori universali ma chiaramente questi valori "universali" in genere formano una gerarchia  ;)

Ad ogni modo concordo con te che la libertà è un valore universale - ci mancherebbe  :) però secondo me non è quello più importante visto che per sua natura non è completo e non riesce a dare la completa sodddisfazione (ciò che credo che uno si aspetti quando "raggiunge" l'oggetto che ha il massimo valore - se ottengo d'altronde ciò a cui aspiro più di tutto il resto ovviamente mi pare anche abbastanza chiaro)  ;)

P.S. dici:"Sei un fisico e quindi conosci la matematica meglio di me." Anzitutto sono un mero studente di fisica LOL ad ogni modo è meglio dire che "so probabilmente più cose della matematica e della fisica" però "Sapere molte cose non insegna la comprensione" (Eraclito) :(


Ad ogni modo chi volesse sapere cos'è che mi ha causato questa "ossessione" con il "valore", segnalo https://www.riflessioni.it/logos/percorsi-ed-esperienze/quali-sono-state-le-maggiori-influenze-sul-vostro-pensiero/msg16817/#new, risposta 23.
#525
Tematiche Filosofiche / Re:Il valore
16 Novembre 2017, 12:49:49 PM
Non si può parlare di "bene" e di "valore" in termini esclusivamente teoretici. Come ho scritto nel post d'apertura il "valore" è "ciò che rende per noi importante un oggetto". La definizione è circolare e quindi bisogna partire dall'assioma (e lo stesso vale per una parola come "esperienza". L'esperienza è l'insieme delle cose che vedo, sento ecc ma ovviamete è nuovamente circolare). Il valore è chiaramente relazionale. L'oggetto Y ha valore per il soggetto X. E il soggetto X cerca ciò che è più importante per lui, preferisce cercare l'oggetto Z se è veramente convinto che Z abbia più valore di Y. Si può pensare ad un oggetto "S" che abbia più valore di ogni altro oggetto per il soggetto X. Beh... tendo a dire di sì. Il valore di tale fantomatico oggetto è chiaramente massimo. E l'oggetto di tale valore non è semplicemente la ricerca di tale valore o la possibilità di ricercarlo. In realtà è importantissimo e la mente del soggetto "vorrebbe tanto" che ci fosse veramente un simile soggetto. Pura illusione di sognatori? Retaggio culturale errone? Eppure è proprio l'uomo l'unico (a nostra attuale conoscenza) a essere consapevole che cerca sempre ciò che per lui ha "più valore" - è consapevole di preferire l'oggetto Z rispetto all'oggetto Y se Z è visto più importante di Y. Vedendo questo è naturale che se trova un oggetto W che sembra avere più valore di Z, cercherà di arrivare a W. E così via. Ma ognuno di questi oggetti è una realtà non è solo un concetto. Quindi anche il "Bene Supremo", l'eventuale (?) "bene" che ha valore massimo "deve" per così dire essere una "realtà", una realtà che supera la sola possibilità di cercarlo o la sola possibilità di poter scegliere di cercarlo. Poter solo riconoscere un bene non è la "cosa più importante", esser libero di scegliere l'ozio o la ricchezza come beni non è "la cosa più importante". Anche perchè queste sono solo possibilità e non realtà, la "possibilità di" non è qualcosa di "reale" e inoltre è sempre subordinata a qualcosa di esterno, si rivolge sempre ad altre cose. No... il "bene supremo" - se c'è - dev'essere qualcosa di "completo"  ;)