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Messaggi - Carlo Pierini

#526
Tematiche Filosofiche / Re:Perchè il materialismo basta
26 Settembre 2018, 14:01:32 PM
Citazione di: Phil il 26 Settembre 2018, 12:44:59 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Settembre 2018, 11:53:20 AM
Citazione di: Phil il 25 Settembre 2018, 23:30:42 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 25 Settembre 2018, 21:41:38 PM
Citazione di: Phil il 25 Settembre 2018, 15:48:05 PMPHIL
non è una necessità che la realtà del sacro diventi realtà di conoscenza
CARLO
I preti del '600 avevano una posizione simile alla tua: nemmeno loro ritenevano necessario che la realtà fisica diventasse oggetto di conoscenza.
PHIL
Ho scritto "realtà del sacro", non "realtà fisica" (v. sottolineatura mia); io e una buona fetta dell'epistemologia tendiamo a tenerle ben distinte  

CARLO
Sì, ho letto bene. Volevo mostrarti l'estremismo uguale e contrario al tuo: lo spiritualismo. Così come gli spiritualisti considerano la materia un epifenomeno dello spirito, i materialisti vedono lo spirito come un epifenomeno della materia.
PHIL
Per esserci simmetria, i materialisti dovrebbero considerare lo spirito sostanzialmente materiale, mentre gli spiritualisti dovrebbero considerare la materia "sostanzialmente" spirituale... è davvero così?

CARLO
Certo. Lo spirito era considerato la sostanza dell'Essere e la materia una apparenza, una sua manifestazione non sostanziale, ma epifenomenica.
Lo stesso significato è espresso nell'idea orientale del mondo materiale inteso come "maya", come illusione, come una sorta di maschera immanente dietro cui si nasconde la vera realtà, la realtà trascendente dello spirito (Brahman) di cui la nostra anima (atman) è consustanziale. In tale concezione, il "Mayadevi" è una specie di "gravità psichica" che ci tiene ancorati al mondo fisico e induce la nostra anima incarnata ad identificarsi col mondo materiale.
Perciò è importante, in questa prospettiva, la pratica costante dello yoga; per essere sempre vigili e consapevoli di questa forza e non farci dominare da essa, per non smarrire la nostra vera natura trascendentale. E nel momento in cui "il velo di Maya" viene sollevato, si ottiene l'Autorealizzazione: il Sé vede la realtà illusoria di tutto quello che lo circonda.

Qualcosa di simile mi è accaduto all'epoca delle "visioni", come ho raccontato nel thread (Risposta # 2):

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/parallelismo-analogico-tra-due-organismi-il-corpo-e-la-mente/

PHIL
Se così fosse, o gli spiritualisti sarebbero monisti (tutto è spirito) come i materialisti (tutto è materia).

CARLO
Esattamente. Un monismo spirituale contrapposto simmetricamente ad un monismo materiale.


VIVALDI: Veni me sequere fida, op. Juditha Triumphans
https://youtu.be/zM0-tT8ghvA
#527
Tematiche Filosofiche / Re:Perchè il materialismo basta
26 Settembre 2018, 11:53:20 AM
Citazione di: Phil il 25 Settembre 2018, 23:30:42 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 25 Settembre 2018, 21:41:38 PM
Citazione di: Phil il 25 Settembre 2018, 15:48:05 PMPHIL
non è una necessità che la realtà del sacro diventi realtà di conoscenza
CARLO
I preti del '600 avevano una posizione simile alla tua: nemmeno loro ritenevano necessario che la realtà fisica diventasse oggetto di conoscenza.
PHIL
Ho scritto "realtà del sacro", non "realtà fisica" (v. sottolineatura mia); io e una buona fetta dell'epistemologia tendiamo a tenerle ben distinte  

CARLO
Sì, ho letto bene. Volevo mostrarti l'estremismo uguale e contrario al tuo: lo spiritualismo. Così come gli spiritualisti considerano la materia un epifenomeno dello spirito, i materialisti vedono lo spirito come un epifenomeno della materia. Cosicché, i primi considerano fondamentale la conoscenza dello spirito per spiegare i fenomeni della materia, mentre per i secondi è dalla conoscenza della materia che si deve partire per spiegare lo spirito.
Nessuno dei sostenitori dei due opposti paradigmi prende in considerazione la possibilità che materia e spirito siano entrambi fondamentali e che costituiscano le due polarità naturali (di pari dignità ontologica) di un principio superiore ultimo: Dio, o il Tao, o il Principio di Complementarità degli opposti.
Scrivevo nel thread "Logica classica e Dialogica":

<<Gadamer usa spesso il termine "dialogica" in sostituzione di "dialettica": mi sembra corretto, visto che la dialogica (dia=due) fa un chiaro riferimento ad uno sdoppiamento (analitico) e ad una riunificazione (sintetica) di due logiche indipendenti e non reciprocamente riducibili. La Logica è davvero solo UNA, come il mondo, ma, come il mondo si presenta con DUE volti, quello materiale-concreto-univoco-quantitativo, e quello spirituale-soggettivo-duale-qualitativo; pertanto essa non può che rispecchiarne la polarità suddividendosi nei DUE distinti regimi di "logica matematica" (o "logica dell'oggetto") e di "dia-logica" (o "logica del soggetto"). La logica classica è la logica della determinazione e della definizione univoche, mentre la dialogica definisce un equilibrio armonico di logiche opposte-complementari.
Mentre il principio di non-contraddizione proibisce la coesistenza di logiche opposte imponendo l'eliminazione di una delle due, la dialogica, al contrario, impone la coesistenza (armonica) di entrambe e proibisce il sacrificio dell'una sull'altare dell'altra; un sacrificio che conduce ineluttabilmente a ciò che chiamiamo "estremismo".
Un esempio indicativo può essere quello che riguarda gli opposti "libertà" e "legge": se sacrifichiamo la legge in nome di una libertà assoluta cadiamo nell'estremismo squilibrato dell'anarchia; se, invece, sacrifichiamo la libertà in nome di una assoluta obbedienza alla legge, cadiamo nell'estremismo opposto del dispotismo e della tirannide.

Pertanto, questa dualità di logiche implicita nella dialettica (o dialogica) non costituisce un inaccettabile "dualismo cartesiano" poiché l'unità è recuperata in una realizzata complementarità armonica delle due. Anzi, il dualismo cartesiano rappresenta la negazione stessa della dialogica, poiché impone la coesistenza di due logiche opposte quando esse, nella loro rigidità assolutistica, non ancora reciprocamente armonizzate, di fatto si relazionano in modo conflittuale, come i due termini di una contraddizione>>.


MOZART: Conc. clarinetto K. 622 II
https://youtu.be/o_gm0NCabPs?t=1148
#528
Tematiche Filosofiche / Re:Perchè il materialismo basta
25 Settembre 2018, 22:46:53 PM
Citazione di: viator il 25 Settembre 2018, 22:04:37 PM
Salve. Non ditemi che questa fecondissima discussione sta per finire !! Per di più nei personalismi un poco acidi e senza aver raggiunto una qualche ragionevole verità !

Non sono così presuntuoso da pensare di riuscire a rianimarla. Mi limiterò a starnutire citando :


Citazione da: Carlo Pierini - 24 Settembre 2018, 23:49:11 pm

se si scoprisse l'esistenza di un Principio universale valido in OGNI disciplina del sapere [...]? [...] Ecco: io credo che questa sia l'unica possibilità che ha l'uomo per trasformare la realtà del sacro da oggetto di fede ad oggetto di conoscenza.
.

Ma un Principio Universale valido in ogni disciplina del sapere secondo me esiste già !
Si tratta del Principio di Persistenza. Cioè della inesorabile tendenza dell'Essere a perpetuarsi attraverso il divenire. Secondo voi tale principio non è forse universale ? Non è applicabile ad ogni aspetto della "realtà" e della conoscenza ?

CARLO
dove lo mettiamo il Principio del Divenire, il "panta rei" di Eraclito?

VIATOR
Fede e Sacralità invece non hanno alcun bisogno di divenire e possono accontentarsi di persistere immobilmente.

CARLO
Naturalmente. Anzi, devono persistere se vogliono obbedire al tuo "principio di persistenza". ...Se poi trasgrediscono il Principio del Divenire, beh, ce ne faremo una ragione. Giusto?

VIATOR
Dicotomia, polarità, dualismo, duplicità che impedisce la percezione della singolarità-unitarietà della monade-essere.

CARLO
Hai mai sentito parlare dell'"eterna unità del Tao" (Lao Tzu)? Cosa credi voglia dire? ...Che la dualità yin-yang è una bufala?



HÄNDEL: Lascia ch'io pianga, op. Rinaldo
https://youtu.be/WuSiuMuBLhM
#529
Tematiche Filosofiche / Re:Perchè il materialismo basta
25 Settembre 2018, 21:41:38 PM
Citazione di: Phil il 25 Settembre 2018, 15:48:05 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 23:49:11 PM
se si scoprisse l'esistenza di un Principio universale valido in OGNI disciplina del sapere [...]? [...] Ecco: io credo che questa sia l'unica possibilità che ha l'uomo per trasformare la realtà del sacro da oggetto di fede ad oggetto di conoscenza.

PHIL
Tale trasformazine è possibile, tuttavia (almeno per me) non è una necessità che la realtà del sacro diventi realtà di conoscenza (la realtà "stratificata" non la vedo come "difettosa").

CARLO
I preti del '600 avevano una posizione simile alla tua: nemmeno loro ritenevano necessario che la realtà fisica diventasse oggetto di conoscenza.
Che intendi per "stratificata"?

Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 23:49:11 PM
Riguardo, invece, al tuo possibilismo della "prova contraria", se ti aspetti una prova matematico-sperimentale, rimarrai monista in eterno.
PHIL
Perché escluderlo? Chissà quanti avranno detto, in epoche non troppo lontane, "se aspettiamo una prova matematico-sperimentale della memoria umana, aspetteremo in eterno" e invece, dando tempo al tempo, si parla già di manipolarla (http://www.ninjamarketing.it/2018/09/21/neuralink-ricordi-scaricare-rivedere/).

CARLO
Questa si chiama "pubblicità ingannevole". Senti cosa scrive Eccles:

"Quella che mi sembra particolarmente inopportuna è la pretesa dei fautori dell'intelligenza artificiale che sostengono di essere ad un passo dalla costruzione di super-computer che saranno in grado di possedere una coscienza. (...)
Searle (Mente, cervello e scienza - 1984) afferma: «Nessun programma di computer è di per sé sufficiente a fornire una mente a un sistema. In breve, un programma non è una mente. Il progetto che mira a creare una mente semplicemente progettando programmi è destinato a fallire in partenza; la coscienza, il pensiero, i sentimenti, le emozioni, implicano ben più che una sintassi» (..).
Molti anni fa, in occasione di una conferenza alla Yale University, chiesi a Marvin Minsk, il più eloquente fra i tenaci sostenitori dell'intelligenza artificiale, il motivo per cui pretendevano di giungere a supercomputer coscienti. La sua sorprendente risposta fu: «Perché riesco ad avere maggiori fondi per le mie ricerche!» ". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.209]

Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 23:49:11 PM
L'importante è che non ti sieda in riva al fiume in attesa che le acque ti scodellino su un piatto d'argento una comoda prova scientifica che illumini il mistero. Se è vero che non escludi la possibilità dualista, comincia ad occuparti anche delle discipline che studiano l'altra realtà, la realtà n° due.

PHIL
Probabilmente è una questione di metodo: discorsi sull'inesistente se ne possono fare (la logica formale non lo vieta e tantomeno la storia della filosofia); che ciò di cui non è stata accertata l'esistenza possa funzionare come spiegazione indimostrata/indimostrabile, è un altro dato di fatto. A questo punto, le discipline che studiano l'"altra realtà", mi paiono perlopiù modelli interpretativi, di cui ne possono esistere anche di contraddittori senza che, appunto, una prova inconfutabile.

CARLO
Quelli della psicologia sono modelli interpretativi di osservazioni disciplinari concrete. La tesi monista, invece è un modello interpretativo a-priori, alla cieca, privo di qualunque osservazione e fondato solo sulla fede ...che un giorno se ne dimostrerà la validità.
Per esempio, la psicologia ha molto da dire su esperienze simili alle mie, anzi, c'è una teoria - quella junghiana - che spiega fin nei minimi dettagli i termini fondamentali di quanto mi è accaduto; anzi, mostra degli elementi di predittività molto simili a quelli delle teorie scientifiche dimostrate. Grazie ad essa, io sono guarito da una nevrosi ansioso-depressiva che mi trascinavo dietro da 25 anni. La neurobiologia, invece, di fronte a tali eventi resta assolutamente muta, non formula alcuna ipotesi, non ha modo di associare alcun aspetto di essi ai fatti conosciuti del cervello: il silenzio più totale. Tant'è che il mio neurologo di allora (rigorosamente monista) non seppe fare altro che rincoglionirmi di farmaci per almeno dieci anni, senza alcun risultato.
Eppure tu, insieme ai neuroscienziati, continui a pensare alla psicologia come a un'accozzaglia di interpretazioni vaghe e inaffidabili e al monismo come qualcosa di solido e affidabile, ...perché un giorno....!!
Questi, sì, sono i miracoli della fede!

CitazioneCARLO

Perché se Maometto non va alla montagna, la montagna rimane lì dov'è con tutti i suoi misteri.  

PHIL
Se anche Maometto non va dalla montagna, non può escludere che ci sia davvero una montagna, ma non per questo deve fidarsi di tutte le leggende che ne parlano (o prendere per indizi validi gli elementi comuni a tutte le narrazioni...). E se decidesse di mettersi in cammino per cercare la montagna, qualora non la trovasse, sarebbe sempre incerto: "la montagna non esiste... oppure non l'ho cercata nel posto giusto?". Ben diverso è il caso dell'ubriaco che sa per certo che ci sono le chiavi (avendole perse) e le cerca nel posto sbagliato (in questo caso è una ricerca a posteriori).

CARLO
Appunto. Il tuo "possibilismo" è solo millantato, mentre il tuo atteggiamento, di fatto, è perfettamente identico a quello di un monista "talebano".  Infatti il talebano se ne frega della psicologia perché è certo che la mente non esista e che, quindi la psicologia non possa essere che una pseudo-scienza. Quindi, non sarebbe forse più semplice ammettere di essere semplicemente un monista convinto, invece di nasconderlo dietro a una nuvola di suprflue circonvoluzioni verbali?


VERDI: Zingarelle e toreri, op. Traviata
#530
Tematiche Filosofiche / Re:Perchè il materialismo basta
25 Settembre 2018, 12:00:46 PM
Citazione di: sgiombo il 25 Settembre 2018, 07:10:49 AM
X Phil

Poiché il tuo ultimo intervento conferma in pieno la tua malafede e la tua scorrettezza, in particolare  nell' insistere a pretendere che il tuo monismo sarebbe criticamente fondato e disposto a mettersi in dubbio e insinuando che invece il mio dualismo (dei fenomeni; e monismo neutro del noumeno) sarebbe acritico e pregiudiziale (insinuazione palesissima, senza ammettere la quale tutti i tuoi contorcimenti dialettici in questa discussione non avrebbero alcun senso), confermo che chiudo definitivamente qualsiasi confronto di idee con te .

Non perderò certo tempo e pazienza a leggere la tua probabilissima ulteriore replica in malafede come le altre, nè alcun altro tuo intervento nel forum (l' ultimo tuo intervento l' ho letto sperando, in un impulso di ottimismo sfrenato, che mutassi atteggiamento).

CARLO
Su questo mi sento di dare ragione a Phil.
Il carattere di dogmaticità delle tue argomentazioni è evidente in tre punti essenziali:
1 - nella mancata esplicitazione del concetto di "chiusura causale" e quindi nella convinzione (infondata) che l'ipotesi di interazione mente-cervello violi i principi della fisica; da cui la pretesa "necessità" di un parallelismo tra enti separati e incomunicanti;
2 - nella tua refrattarietà a confrontarti con esperienze mentali reali (atti volontari / atti involontari; finalismo delle azioni umane; libertà, ecc.);
3 - nel tuo rifiuto di approfondire il concetto di "noumeno", che è centrale nella prospettiva "parallelista".

In altre parole, penso proprio che la tua sia la classica ipotesi che "fa i conti senza l'oste", cioè che si tratti di una costruzione essenzialmente speculativa e fortemente carente sul piano del confronto con l'esperienza e con le conoscenze acquisite in questi ultimi 150 anni dalla psicologia.
#531
P.S.
Rileggendo questo post, mi rendo conto che l'ultima parte potrebbe apparire come una "stroncatura" del sapere scientifico nella sua estromissione del soggetto dalla conoscenza del mondo fisico. Ma non è così.

Quello che intendevo dire è che pur nella massima oggettivizzazione operata dalla scienza, il soggetto non è affatto estromesso, ma è pienamente presente nella specie dei simboli matematici e logico-filosofici che egli impiega per trasmutare gli oggetti fisici in scienza. Come dice Tommaso: "L'oggetto conosciuto è nel conoscente secondo la natura del conoscente stesso". La "natura del conoscente" è presente nel suo "verbo", nell'<<ordo et connexio idearum>> che consente il trasferimento dell'oggetto dalla realtà fisica, dall'<<ordo et connexio rerum>> al "libro della conoscenza". Un "verbo" soggettivo, cioè, fatto originariamente a "immagine e somiglianza" della realtà fisica oggettiva.
 
"In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste". (Giovanni, 1:1-4)

E' in questo senso che il Principio superiore unifica soggetto e oggetto nella loro consustanzialità col Verbo (Logos) originario. E' la natura originaria di "Verbo" sia del soggetto che dell'oggetto ciò che suggella la loro unità ultima pur nella loro distinzione dialettica di "fenomeno fisico" e di "rappresentazione del fenomeno". Torniamo cioè all'idea leibniziana di "armonia prestabilita", cioè di complementarità ontologica tra tra parola e mondo, tra matematica e realtà sensibile, tra Metafisica e Fisica.
#532
Tematiche Filosofiche / Re:Perchè il materialismo basta
24 Settembre 2018, 23:49:11 PM
Citazione di: Phil il 24 Settembre 2018, 16:56:33 PM
Mi pare sia questo l'elemento insormontabile che rende incommensurabili (per ora e fino a prova contraria) le nostre prospettive:

Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 00:19:55 AM
Io non ho fede in Dio, ma so della Sua esistenza, come lo scienziato sa dell'esistenza dei protoni; lui fonda la sua certezza sull'espe-rimento, io sull'espe-rienza personale.

PHIL
Il motto "io non ho fede in Dio, ma so della sua esistenza" descrive l'essenza del misticismo: per il mistico, l'evidenza della divinità non è affatto mistica, ma è pari a quella di un qualunque altro oggetto da lui percepito (e per questo la definisce "oggettiva"). Tuttavia per gli altri (che non hanno vissuto l'esperienza mistica), tale evidenza resta inaccessibile e infalsificabile. Soprattutto, tale esperienza-di-evidenza è incomunicabile; pare che "mistico" derivi da "myein" che significa "chiudere" e "tacere": l'esperienza mistica non è infatti aperta a tutti e chi la vive, solitamente tace, in un silenzio che non troverà parole per descriverla adeguatamente a chi ne è rimasto chiuso fuori.
Finché non avrò (se mai l'avrò) un'esperienza simile alla tua, la tua evidenza della divinità resterà per me mistica: chiusa e silente.
La differenza fra "esperienza" ed "esperimento" è infatti questa: l'esperimento può essere ripetuto e verificato intersoggettivamente, l'esperienza mistica a cui alludi, no (si tratta dunque di due certezze ben differenziate).

CARLO
...E - come dicevo nel resoconto del Caduceo - se si scoprisse l'esistenza di un Principio universale valido in OGNI disciplina del sapere (principio logico nella Logica, filosofico in Filosofia, psicologico in Psicologia, storico nella Storia, simbolico nella Simbologia, teologico in Teologia, etico nell'Etica, fisico nella Fisica, ecc.)? ...Un Principio i cui attributi (onnipresenza, unità-dualità-trinità, trascendenza, ecc.) corrispondessero con quelli che le principali tradizioni religiose hanno riconosciuto da sempre alla figura divina?   :)
Ecco: io credo che questa sia l'unica possibilità che ha l'uomo per trasformare la realtà del sacro da oggetto di fede ad oggetto di conoscenza.
Qualche indizio in psicologia:
 
"Il problema dei contrari inteso come principio inerente alla natura umana rappresenta un altro passo avanti nel nostro graduale processo conoscitivo. Questo problema è un problema dell'età matura".  [C.G.JUNG: Psicologia dell'inconscio - pg.107]
 
"Una teoria psicologica che voglia essere più di un semplice sussidio tecnico deve fondarsi sul principio dei contrari; senza tale principio potrebbe ricostruire soltanto una psiche nevroticamente squilibrata. Non esiste equilibrio e non esiste sistema autoregolantesi senza un termine di opposizione". [JUNG: Psicologia dell'inconscio - pg.110]
 
"La polarità della struttura della psiche è in comune con tutti i processi naturali. Questi ultimi sono fenomeni energetici che scaturiscono sempre da uno stato "meno probabile" di tensione tra gli opposti. Questa formula si rivela di particolare importanza per la psicologia, nella misura in cui la coscienza esita di solito a riconoscere o ad ammettere il carattere di polarità del suo sfondo, anche se proprio da quest'ultimo trae la sua energia".  [JUNG: Mysterium coniunctionis  - pg. 8]
 
"Il processo naturale dell'unificazione tra contrari è diventato per me un modello e il fondamento del metodo psicoterapeutico". [JUNG: Psicologia dell'inconscio - pg.135]
 
"I simboli usciti dall'inconscio, che appaiono nei sogni, indicano la necessità di porre a confronto i contrari, mentre le immagini della meta rappresentano la loro armonizzazione ben riuscita". [JUNG:Psicologia e religione - pg.441]
 
Qualche indizio nella Filosofia:
 
"Un giorno certamente scopriremo il principio sotteso all'esistente, e sarà così semplice, così bello e così elementare che esclameremo stupiti: «Ah, come abbiamo potuto esser tutti così ciechi e così a lungo!»". [J. A. WEELER: Gravità e spazio-tempo]
 
"Per Eraclito, questa connessione dialettica che produce armonia mediante opposizione non è un modo tra i tanti con cui opera la Natura, ma è il modo fondamentale con cui essa si dispiega producendo cose ed eventi (...). Analogamente, per i taoisti, il nesso tra Yin e Yang non è un nesso tra gli altri, non è uno dei tanti rapporti tra opposti, ma è il prototipo di ogni rapporto oppositivo, anzi, l'unico nesso in grado di spiegare la costituzione delle cose e la formazione degli eventi. (...) Lo Yin e lo Yang si riflettono, si sovrappongono, si regolano l'un l'altro, (...) Regolano reciprocamente l'ordine del loro susseguirsi, inducono reciprocamente il volversi dei loro turni (...) secondo la modalità dell'alternanza (...), secondo la modalità della complementarità (...) e della continuità".   [G. PASQUALOTTO: Il Tao della filosofia - pp. 31-32]
 
"La dialettica non è stata creata da accorgimenti umani, ma è fondata dalla natura stessa, è stata creata dall'Autore di tutte le arti che sono veramente arti, scoperta dai sapienti ed usata per il vantaggio di ogni solerte indagine sulle cose".  [G. SCOTO ERIUGENA: De divisione Naturae, IV, 4]
 
"La dialettica è per Hegel la legge del mondo e della ragione che lo domina. Essa è la trascrizione filosofica del concetto religioso di provvidenza. Ha infatti il compito di unificare il molteplice, conciliare le opposizioni, pacificare i conflitti, ridurre ogni cosa all'ordine e alla perfezione del tutto".   [N. ABBAGNANO: Storia della filosofia, vol.V - pg.108]
 
"La bi-unità divina risponde a un bisogno fondamentale dell'essere umano: la reintegrazione dell'uomo nel Cosmo attraverso un'assoluta unificazione; in essa scompaiono gli estremi e si fondono i contrari".   [M.  ELIADE: Il mito della reintegrazione - pg. 55]
 
"La parte formale della Dialettica di Schleiermacher considera il pensiero nel suo divenire, il pensiero in movimento, cioè in quanto si avvale dell'idea del mondo e di Dio come di un principio costruttivo del sapere. (...) L'attivítà etica è quella che tende a superare l'opposizione e a realizzare l'unità. Essa è l'azione della ragione, diretta a produrre l'unità di natura e spirito che senza questa azione non ci sarebbe ".  [N. ABBAGNANO - Storia della filosfia , vol. V - pp 38-40]
 
Altri indizi puoi trovarli qui:
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/perche-un-principio-universale/
 
Cit. CARLO
...Questione centrale: il monismo non è una teoria scientifica, ma un precetto di fede.
 
PHIL
Forse il monismo chiuso e dogmatico è una fede; il mio personale "monismo" (per la gioia degli amanti delle etichette   ;)  ) è invece aperto e possibilista (in quanto "philismo" ;D ); per me sono possibili: la "prova contraria", la falsificazione del mio punto di vista, l'esistenza di una divinità, l'origine da un pianeta differente, la trascendenza della mente e molte altre eventualità (che altri forumisti, autoingannati dalle etichette che mi avevano apposto, hanno erroneamente interpretato come "sarcasmo malevolo", nonostante la mia esplicita affermazione "non sono sarcastico" o simili; mi auguro di aver maggior successo comunicativo con te   :)  ).
 
CARLO
Per me, il sarcasmo e la mordacità, se non eccedono i limiti del rispetto personale, sono il sale e il pepe delle "dispute" filosofiche.
Riguardo, invece, al tuo possibilismo della "prova contraria", se ti aspetti una prova matematico-sperimentale, rimarrai monista in eterno. Saresti come l'ubriaco della barzelletta che non dispera di trovare il portafogli sotto il suo lampione.
 
PHIL
Il mio cosiddetto "monismo" ("philismo" per gli amici) contempla la possibilità del dualismo (e di ben altro), mentre il dualismo non sono sicuro possa fare altrettanto (forse sbaglio); questa sarebbe l'ennesima asimmetria che connota il campo d'indagine in cui ci muoviamo.
 
CARLO
Io la vedo così: gli uomini più saggi e illuminati di ogni tempo e di ogni luogo hanno concepito se stessi come corpo e anima; e la scienza non ha scoperto nulla che contraddica questa concezione.
 
PHIL
La fede, correggimi se sbaglio, comporta dogmi, e i dogmi (incarnando certezze apodittiche) mal si confondono con le possibilità, soprattutto se aperte alla temporalità futura: il dogma, in quanto tale, è creduto vero sempre (non solo qui ed ora, "per adesso" e "fino a prova contraria").
Se vogliamo chiamare la mia posizione "fede", dobbiamo almeno distinguerla (filosoficamente) da altre fedi, non possibiliste, foriere di una sedicente verità assoluta oppure (vedi sopra) "chiuse e silenti".
 
CARLO
L'importante è che non ti sieda in riva al fiume in attesa che le acque ti scodellino su un piatto d'argento una comoda prova scientifica che illumini il mistero. Se è vero che non escludi la possibilità dualista, comincia ad occuparti anche delle discipline che studiano l'altra realtà, la realtà n° due. Perché se Maometto non va alla montagna, la montagna rimane lì dov'è con tutti i suoi misteri.   :)


PAISIELLO: Cavatina, op. Barbiere di Siviglia
https://youtu.be/xFat-8HOOgs
#533
Nella doppia relazione della coscienza umana - da un lato con le cose sensibili e dall'altro con le entità metafisiche dello spirito - l'intermediario è sempre il simbolo.
Da una parte, per conoscere le cose l'uomo deve prima trasformarle in linguaggio, in concetto, in numero, cioè in simbolo; dall'altra, il regno dello spirito si è sempre presentato all'uomo sotto forma di simbolo (miti, leggende, simboli sacri, ecc.) e da sempre egli vi si è relazionato attraverso il rito, la cui natura essenziale è, ancora una volta, squisitamente simbolica. Il rito è gesto simbolico, o simbolo incarnato nel gesto. Il gesto simbolico è un atto immanente che allude ad un significato trascendente.
In tal senso la conoscenza è un rito, poiché amministra simboli per conoscere il mondo fisico così come il sacerdote amministra i simboli rivelati per conoscere Dio. Da una parte i sacerdoti dell'immanenza, gli scienziati, e dall'altra i sacerdoti della trascendenza, i teologi, entrambi nella comune ricerca della verità.

Le ragioni dell'esistenza e i fini di un rito - come, per esempio, quello della messa, o del sacramento eucaristico (comunione) - non sono rintracciabili né nel mondo oggettivo né nella sua storia, poiché fanno parte dell'"altra" storia, quella della dimensione psico-spirituale e dei simboli che la caratterizzano. L'assunzione dell'ostia è un simbolo ritualizzato, la metafora di qualcosa che non appartiene al mondo delle cose, ma a quello mentale-spirituale. In particolare, simbolizza l'accoglienza del significato di Cristo nell'intimità psichica personale (l'ostia è una figurazione del "Corpus Christi") ma, più in generale, è una metafora della conoscenza intesa nel suo senso più alto e universale.
Infatti, l'ostia, nella sua accezione di "pane", cioè di "alimento", ribadisce ancora una volta - come nel già citato detto: "Non si vive di solo pane..." - l'analogia esistente tra le funzioni del corpo e quelle dell'anima, in particolare tra l'assunzione di cibi e l'interiorizzazione, la com-prensione di significati (com-unione). In alcune tradizioni arcaiche si mangiava letteralmente il corpo del defunto (in alcune il cuore, in altre il cervello, ecc.) con il fine di assimilarne "il significato", cioè le qualità spirituali; ma anche Cristo, nell'eucarestia, si offre come "pasto eucaristico" e invita a mangiare il suo corpo e bere il suo sangue nelle specie del pane e del vino. Fin dalle origini della cultura l'uomo ha associato la conoscenza con la funzione alimentare, poiché la conoscenza non è che l'interiorizzazione e l'assimilazione profonda dei significati essenziali dell'oggetto, poi tradotti in concetto astratto, in simbolo, e trasformati in Sapere. Il termine stesso di "assimilazione" presenta la doppia accezione di "digestione" e di "comprensione".

"Si trovarono le tue parole e io le mangiavo". (Ger. 15:16);

"E mi diceva: "Figlio dell'uomo, ...mangia questo rotolo, e va, parla alla casa d'Israele". ...E io lo mangiavo, e nella mia bocca fu per dolcezza come il miele".  (Ezech. 3:1, 2)

"C'è conoscenza - diceva Plotino - quando l'anima si unifica profondamente con l'oggetto conosciuto"; Platone definiva il conoscere come un "rapporto di identificazione" con l'oggetto; Shelling e Hegel consideravano il sapere come l'unione profonda del soggetto con l'oggetto; e con S. Tommaso la conoscenza diventa una vera e propria interiorizzazione eucaristica dell'oggetto: "L'oggetto conosciuto è nel conoscente secondo la natura del conoscente stesso".
Ma pur senza scomodare l'alta simbologia, lo stesso linguaggio quotidiano presenta molti segni di questo parallelismo: si parla di "sete di conoscenza", "fame di giustizia", di "idee difficili da digerire", di parole "dolci", "amare", parole "che feriscono", ecc..
Quindi l'eucarestia non è solo un invito alla conoscenza (Cristo è il Logos), ma anche una indicazione sul modo universale di conoscere: l'interiorizzazione dell'oggetto da parte del soggetto, in una sorta di trasmutazione dell'uno nell'altro, come il cibo si trasforma in corpo vivente.
Nel linguaggio più comune diciamo, per esempio, che per comprendere una persona, dobbiamo "metterci nei suoi panni", "immedesimarci" in lei.
Ciò riconferma, tra l'altro, la legittimità della nostra suddivisione iniziale della totalità nei tre livelli di trascendenza (mondo, coscienza, inconscio-spirito), autonomi e reciprocamente separati ma "comunicanti" grazie alla coscienza e al suo abile uso dell'utensile "simbolo" (che sia numero, concetto o simbolo sacro) per fini conoscitivi in entrambe le direzioni dell'esperienza: spirito e materia. I simboli delle Scritture e dei miti per comprendere il Disegno Divino di Redenzione e i simboli logico-numerici per comprendere l'altro Disegno Divino, quello della materia e della vita.
Tuttavia, la cosa curiosa è che questa metafora eucaristica della conoscenza sembra contraddire frontalmente quella scientifica che è improntata, invece, alla massima separazione dell'oggetto dal soggetto osservatore, al massimo distacco, alla massima oggettivizzazione del sapere, fino alla ideale esclusione assoluta del soggetto stesso dalla conoscenza. Quando apriamo un libro di fisica vogliamo trovarci una descrizione oggettiva dei fenomeni fisici, non l'opinione soggettiva dell'autore su di essi, e su questa logica si è costruita la Scienza. Perché, dunque, i simboli insistono, come anche Tommaso, su un aspetto di consustanzialità-unità tra soggetto e oggetto?
Ebbene ciò è possibile solo in un caso: che esista un Principio superiore che governa entrambi senza assorbirne la diversa identità nel proprio essere uno. Solo in questo caso la consustanzialità può convivere con una compiuta distinzione tra i due. L'unità esiste su un piano diverso da quello in cui esiste la dualità-distinzione. E' la complementarità ad un medesimo principio ciò che li rende consustanziali senza tuttavia con-fonderne l'identità.
Come gli amanti, o i duetti musicali: sono due, ma nell'armonia amorosa o musicale, i due sono uno.
#534
Così come ogni misura quantitativa si determina nel confronto con l'UNITÀ di misura, ciò vale anche nel dominio qualitativo, nel quale il valore e il significato di un certo 'oggetto' si definiscono, ugualmente, nel confronto con l'archetipo (paradigma universale) che lo contiene. Ma mentre l'unità di misura quantitativa è stabilita arbitrariamente e il rigore riguarda soltanto la definizione dei suoi multipli e sottomultipli, l'archetipo È IN SÉ la "pietra di paragone", l'immagine di riferimento, la grandezza-campione, rigorosamente definita. In altri termini, se è vero che potremmo chiamare convenzionalmente "metro" qualsiasi lunghezza, non possiamo chiamare "verità" qualunque proposizione di principio scelta convenzionalmente, né "logica" qualunque forma sintattica convenzionale. Il metro qualitativo non è arbitrario o convenzionale, ma rigorosamente determinato nel confronto analitico delle sue diverse varianti od espressioni reali (storiche, psicologiche, mitologiche, ecc.).
E' per questa diversità di principio tra enti fisici e enti metafisici che si deve parlare di DUE REGIMI LOGICI compiutamente autonomi e non reciprocamente riducibili, pur se la loro UNITÀ è compiutamente realizzata nella perfetta analogia funzionale tra numeri ed archetipi, cioè tra la funzione della logica-matematica nel mondo degli enti quantificabili e la funzione della dialettica nel mondo degli enti non-quantificabili.
Scrive P. Duhem:

"Nella categoria della qualità non si incontra niente che somigli al formarsi di una grande quantità per mezzo di quantità più piccole. Non è possibile trovare nessuna operazione né associativa né commutativa che possa meritare il nome di addizione e venire rappresentata dal segno "+".   [P. DUHEM: Théorie Physique – pg. 112]

Gadamer pone in evidenza una medesima distinzione e un medesimo 'dualismo' tra "l'ideale della conoscenza scientifica" e quella che lui chiama "l'interpretazione linguistica del mondo". Tuttavia egli non esclude la possibilità di un riassorbimento dialettico del linguaggio scientifico in quello universale della filosofia.
Scrivono Gadamer e Cassirer:

"Che l'ideale della conoscenza scientifica seguìto dalla scienza moderna sia derivato dal modello della matematizzazione della natura, sviluppato per primo da Galileo nella sua meccanica, comportava che l'interpretazione linguistica del mondo, ossia l'esperienza sedimentata linguisticamente nel mondo della vita, non costituisse più il punto d'avvio della formulazione dei problemi del sapere e che invece l'essenza della scienza fosse costituita da ciò che è spiegabile e costruibile sulla base di leggi razionali.
Con ciò la lingua naturale perdeva il suo indiscusso primato, pur mantenendo la sua forza espressiva. Che l'ideale della lingua, nella logica e nella teoria della conoscenza moderna, venisse sostituito dall'ideale della designazione univoca, costituiva uno sviluppo coerente delle implicazioni di questa moderna scienza matematizzata della natura. E che la lingua naturale, intesa come universale, si sia nel frattempo reiserita nel cuore del dibattito filosofico, è un fenomeno che va annoverato tra le esperienze-limite connesse con l'universalità dell'accesso scientifico al mondo".   [H. G. GADAMER: Verità e metodo 2° - pg.298]

"Abbiamo così, da una parte, la semiotica e la linguistica che hanno condotto a nuove conoscenze sul funzionamento e la struttura dei sistemi linguistici e segnici e, d'altra parte, la teoria della conoscenza che comprende che è la lingua il medium  di ogni accesso al mondo. Entrambe le prospettive concorrono a fornire un diverso punto d'inizio alla legittimazione filosofica dell'accesso scientifico al mondo. Quest'ultimo si affidava al soggetto che, procedendo con consapevolezza metodica, fa sua la realtà dell'esperienza con i mezzi della costruzione razionale-matematica formulata in proposizioni. In tal modo il soggetto compiva il suo peculiare compito conoscitivo, culminante nella simbolizzazione matematica con cui la scienza della natura si dà uno statuto universalmente valido. Secondo questo ideale l'intermedium della lingua È ESCLUSO; ma nella misura in cui si diviene consapevoli della lingua in quanto tale essa insegna l'originaria mediatezza di ogni accesso al mondo e, ancor più, l'impossibilità di aggirare lo schema linguistico ".  [H. G. GADAMER: Verità e metodo 2° - pg.299]

"Il linguaggio scientifico non è la stessa cosa del linguaggio ordinario. I suoi simboli sono di un tipo diverso, e si formano in un modo diverso. L'uomo sviluppa una serie di linguaggi scientifici in cui ciascun termine viene definito in maniera chiara ed inequivoca, ed in cui diviene possibile descrivere le relazioni oggettive delle idee e la concatenazione delle cose. Egli procede dai simboli verbali impiegati nel linguaggio ordinario ai simboli dell'aritmetica, della geometria, dell'algebra, a quei simboli che troviamo nelle formule chimiche. Si tratta di un passo decisivo nel processo di oggettivazione. Ma questa conquista l'uomo la paga a caro prezzo. La sua esperienza immediata, concreta della vita sbiadisce esattamente nella stessa misura in cui si avvicina alle sue più elevate mete intellettuali. Ciò che resta è un mondo di simboli intellettuali; il mondo dell'esperienza immediata si è dissolto.
Per preservare e riconquistare questo approccio immediato, intuitivo alla realtà sono necessari una nuova attività ed un nuovo sforzo. E ad assolvere questo compito occorre non già il linguaggio, ma l'arte". [ERNST CASSIRER: Simbolo, mito e cultura - pg.157-58]

La simbolizzazione matematica è solo uno dei molteplici linguaggi simbolici attraverso cui si può leggere il mondo; esso NON ESCLUDE ma, anzi, INTEGRA "l'intermedium della lingua" (Gadamer) o il "linguaggio ordinario" (Cassirer) cioè l'approccio logico-filosofico. Infatti la descrizione matematica degli enti fisici è necessariamente accompagnata ed integrata dalla "parola", sia pur disciplinata sulla sola aristotelica.
Non è la matematica ad essere esclusa dalla "lingua naturale" (si studia già dalle elementari), ma è l'intero approccio scientifico-materialista che, essendo ritagliato sull'univocità statica degli enti fisici e delle loro relazioni, non è di alcuna utilità (se non nei suoi criteri epistemici generali) nel dominio delle discipline dello spirito, nelle quali l'aspetto duale-polivalente, oltreché astratto, dei suoi enti (sentimenti, concetti, ideali, immagini, leggi, ecc.) e delle loro relazioni reciproche, richiede una metodologia sui generis, che si eleverà a un rango di rigore e di affidabilità comparabile a quello della scienza nella misura in cui REALIZZERÀ nel proprio dominio particolare, quello della qualità, UNA COMPIUTA ANALOGIA di ciò che il metodo scientifico è nel dominio del quantificabile.

Ciò che maggiormente differenzia ed oppone i due regimi, è il concetto di RIGORE, il quale si identifica e si realizza soprattutto nell'UNIVOCITÀ di significato dei simboli scientifici (il numero è l'archetipo stesso dell'univocità, della distinzione analitica, dell'oggettività rigorosa: la matematica non è un'opinione soggettiva), mentre, all'opposto, nel dominio dialettico della qualità (simboli), il rigore, la definizione e la verità di un significato si misurano, paradossalmente, proprio sulla MOLTEPLICITÀ delle accezioni che vi convergono complementariamente, non escluse le accezioni opposte (non contraddittorie). In altri termini, mentre nella logica scientifica il rigore e l'univocità delle conclusioni sono garantiti dal rigore e dall'univocità delle premesse, nella dia-logica si giunge alla univocità della sintesi a partire dalla alterità semantica (opposizione) delle premesse 'tesi' e 'antitesi'; o possiamo anche dire che si giunge alla definizione dell'ente a partire dal confronto tra i molteplici aspetti di opposizione semantica che lo costituiscono. Scrive G. Durand:

"Se l'oggetto della simbologia è per essenza pluridimensionale, e si rifrange lungo tutto il tragitto antropologico, ne risulta che non si può più accontentarsi di una ermeneutica restrittiva, a una sola dimensione. In altre parole, le ermeneutiche riduttive peccano tutte per la restrizione del campo esplicativo. Esse non possono prendere il loro valore se non aggiunte le une alle altre: la psicoanalisi si illumina mediante la sociologia strutturale e quest'ultima riferendosi a una filosofia del simbolo di tipo cassireriano, junghiano, bachelardiano. ll corollario del pluralismo dinamico e della costanza bipolare dell'immagine è, come ha scoperto Paul Ricoeur in un decisivo articolo, la coerenza degli ermeneuti ".     [G. DURAND: L'immaginazione simbolica - pg.101]  

Scrive Gadamer:

"Logica e dialettica appartengono ad un unico movimento circolare, dove il dialéghesthai è sempre in funzione di un lógos che non viene concepito come universalità astratta, ma come movimento delle determinazioni, come processualità linguistica".    [G. GADAMER: L'enigma del tempo - pg.195]

Quando si comprenderà che la dialettica è il processo di sintesi di due logiche opposte o, meglio, è il processo di interazione dei due sensi opposti, autonomi e necessari di una logica superiore, e che il lógos rappresenta la sintesi finale di tale processo, si capirà molto meglio la relazione tra logica classica e dialettica.

Gadamer usa spesso il termine "dialogica" in sostituzione di "dialettica": mi sembra corretto, visto che la dialogica (dia=due) fa un chiaro riferimento ad uno sdoppiamento (analitico) e ad una riunificazione (sintetica) di due logiche indipendenti e non reciprocamente riducibili. La Logica è davvero solo UNA, come il mondo, ma, come il mondo si presenta con DUE volti, quello materiale-concreto-univoco-quantitativo, e quello spirituale-soggettivo-duale-qualitativo; pertanto essa non può che rispecchiarne la polarità suddividendosi nei DUE distinti regimi di "logica matematica" (o "logica dell'oggetto") e di "dia-logica" (o "logica del soggetto"). La logica classica è la logica della determinazione e della definizione univoche, mentre la dialogica definisce UN EQUILIBRIO armonico di logiche opposte-complementari.
Mentre il principio di non-contraddizione proibisce la coesistenza di logiche opposte imponendo l'eliminazione di una delle due, la dialogica, al contrario, impone la coesistenza (armonica) di entrambe e proibisce il sacrificio dell'una sull'altare dell'altra; un sacrificio che condurrebbe ineluttabilmente a ciò che chiamiamo "estremismo".
Un esempio indicativo può essere quello che riguarda gli opposti "libertà" e "legge": se sacrifichiamo la legge in nome di una libertà assoluta, cadiamo nell'estremismo squilibrato dell'anarchia; se, invece, sacrifichiamo la libertà in nome di una assoluta obbedienza alla legge, cadiamo nell'estremismo opposto del dispotismo e della tirannide.

Pertanto, questa dualità di logiche implicita nella dialettica (o dialogica) non costituisce un inaccettabile "dualismo cartesiano" poiché l'unità è recuperata in una realizzata complementarità armonica delle due. Anzi, il dualismo cartesiano rappresenta la negazione stessa della dialogica, poiché impone la coesistenza di due logiche opposte quando esse, nella loro rigidità assolutistica, non ancora reciprocamente armonizzate, di fatto si relazionano in modo conflittuale, come i due termini di una contraddizione.

Scrive C. Sini:

"Dobbiamo imparare a reinterpretare il mondo sulla base della pari dignità epistemologica delle due logiche, cioè, in breve, dobbiamo ridare respiro all'analogia e ai suoi prodotti. [...]
Bisogna tornare a un sapere che non si riduca più al mero conoscere (identità), ma che sia un assaporare e un dar senso (analogia), cogliendo quelle vibrazioni armoniche dei simboli attraverso le quali parla anche la natura nei suoi enigmi più riposti. La simbolica si delinea pertanto, non come una scienza particolare, ma come una sorta di metascienza o di scienza di tutte le scienze. [...] ln certo modo la simbolica armonizzerà il momento analogico con quello analitico, conferendo a entrambi il loro giusto posto nel sapere e nella prassi complessiva dell'uomo". [CARLO SINI: Dal simbolo all'uomo, in AUT. VARI: Simbolo, Metafora, Filosofia - pg.35]
#535
"Il carattere dell'analogia nei suoi due sensi di attribuzione e di proporzione, si riverbera [in Cusano] sulla stessa configurazione ontologica dell'universo nella sua totalità (...). Tutte le cose si richiamano e si corrispondono; vi sono armonie e similitudini scoperte o segrete, più evidenti e superficiali o più profonde che soltanto la ricerca può portare alla luce. Ma è in virtù di queste similitudini che noi possiamo istituire rapporti fra le cose e progredire nella conoscenza, nella cultura e nella civiltà. Tutte le arti (...) hanno radice in questa capacità discorsive e relazionali della nostra mente".   [G. SANTINIELLO: Introduzione a N. CUSANO, De docta ignorantia - pg. 19]

"Uno dei risultati più interessanti dell'analisi della funzione metaforica proposta da Richards, riguarda gli effetti della cooperazione di tenore e veicolo (cooperazione che egli ribattezza 'interanimazione, o 'interazione'). Di fatto, si afferma esplicitamente che è la dinamica specifica di tale cooperazione a produrre un tipo di significato che non sarebbe perseguibile altrimenti. L'enfasi si sposta dunque sull'incremento di senso che l'interazione metaforica introduce in un contesto enunciativo.
Esiste un insieme di teorie, dette 'incrementaliste' che analizza proprio questo aspetto del problema. In generale, esse affermano che il contributo di una metafora al significato di una espressione linguistica consiste nell'allargamento, o 'incremento', appunto, dello spazio della significazione attribuibile a quella espressione. Conflitti teorici fra le singole posizioni sorgono poi a proposito di come vada interpretato l'incremento metaforico. In particolare, due teorie appaiono, da questo punto di vista, antitetiche. Nell'un caso (Davidson), pur concedendo che un incremento 'emotivo' sia indotto dalla metafora sull'atto enunciativo, si nega che questo abbia a che vedere col significato dell'espressione. Nell'altro caso, invece (Beardsley), l'incremento metaforico è considerato esso stesso di tipo cognitivo, ed è equiparato ad un aumento di contenuto informativo: l'incremento farebbe parte dunque del significato dell'espressione. Cercherò di mostrare come quest'ultima sia la posizione più plausibile ed epistemologicamente auspicabile". [E. MONTUSCHI: Le metafore scientifiche – pp. 12/14]

Il conflitto tra queste due teorie contrapposte si risolve solo in una prospettiva fondazionista nella quale l'incremento è definitivamente spiegato dal regime di ANALOGIA universale che regna necessariamente in un mondo in cui tutte le cose sono fatte 'ad immagine e somiglianza' di UN unico Principio, di un unico Essere. Scrive F. Riva:

"Questa ragione della similitudine degli enti nell'Essere risalta bene nella dimostrazione a-priori che il Suárez offre per l'unità del concetto obiettivo di essere, dimostrazione che metterà ancora bene in rilievo l'analogia. (...) La prova «quasi a priori» del concetto obiettivo di essere insiste dunque sulla similitudine degli enti tra loro in virtù del comune riferimento all'Essere".  [F. RIVA: L'analogia metaforica – pg. 114]

"L'analogia metaforica pone in relazione orizzonti diversi di globalità che interagiscono in una unità superiore".  [F. RIVA: L'analogia metaforica – pg. 178]

"La grande scoperta della più recente fìlosofìa è propriamente la coscienza dell'analogia che regna in ogni sfera dell'universo e il cui vertice è costiruito dall'identità di pensiero ed essere, identità che è già espressa con precisione nel principio di Spinoza «Ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexio rerum» (...). Tutto si riflette a sua volta in tutto, perché un pensiero fondamentale attraversa l'essenza del tutto".  [AUGUST von CIESZKOWSKI: Prolegomeni alla storiosofia - pg.94]

"[Per Reimarus (1754)] ciò che l'occhio non può raggiungere, appunto la ragione deve conquistarlo, avvalendosi anche dell'analogia e della verosimiglianza. Quando si sia riusciti a confidare nella natura, questa fiducia ci porta avanti, il noto ci apre l'accesso all'ignoto: «La totale concordanza con tutto ciò che noi altrimenti sappiamo di Dio, del mondo ed in particolare del nostro suolo terrestre, decifra all'intelletto i segreti della natura altrettanto validamente che la chiave ritrovata di una scrittura occulta»".   [H. BLUMENBERG: La leggibilità del mondo - pg.180]

In un tale COSMO ANALOGICO, ogni idea compiuta, ogni concetto, ogni ente, ogni scienza non sono che altrettante metafore del Principio (piano verticale) e, quindi, metafore l'una dell'altra (piano orizzontale).
Senza questa ipotesi, lo stesso 'incrementalista' si preclude a ogni possibile argomentazione sui motivi dell'incremento, poiché solo se regna analogia tra i due termini della metafora (il 'tenore' e il 'veicolo') i termini noti dell'uno possono illuminare e rivelare i termini ignoti dell'altro.

"[Secondo Cusano] è necessario che nel Principio vi sia un'unità tale che, ad un tempo, essa possa rappresentare anche il modello ideale di ogni possibile relazione, quasi il principio di quella relazionalità che vediamo attuarsi in maniera imperfetta nell'esperienza.". [G. SANTINIELLO: Introduzione a N. CUSANO, De docta ignorantia - pg. 23]

"Per M. Ficino, se vogliamo renderci conto della connessione delle cose in un senso dinamico, c'è bisogno d'un modo di pensare che si fondi principalmente sul principio dell'affinità. Secondo questo, l'eguaglianza e l'affinità originaria delle cose produce il loro rapporto reciproco e da questo risulta l'unità concreta del mondo come una comunione viva di azione e di movimento.
Il principio dell'affinità si fa valere dapprima nella dottrina ontologica del pensiero, come abbiamo visto sopra. Poiché il soggetto del pensiero appartiene anch'esso all'ordine oggettivo dell'essere, anche l'atto del pensiero dovrà presentarsi come un rapporto reale del pensante e del pensato. Perciò ogni possibilità del conoscere si fonda su un' affinità originaria della mente con i suoi oggetti. E viceversa l'intelletto e il suo oggetto, appunto mediante la conoscenza, sono congiunti in un'unità concreta da cui risulta immediatamente le verità del pensiero.
In quanto l'intelletto si unisce realmente agli oggetti pensati, può anche comunicare loro qualche cosa della sua proprm essenza. In modo particolare ci interessa il suo rapporto con le cose corporee, che esso per la forza del suo pensare altera quasi nella loro proprietà ed eleva ad un grado superiore dell'essere".   [P.O. KRISTELLER: Il pensiero filosofico di M. Ficino - pg.105]

"Non diversamente dal pensiero, anche l'amore è soggetto alla legge dell'affinità. Se un essere ama un altro, occorre che ci sia già un'affinità originaria fra loro e su questo si fonda il carattere reciproco dell'amore. L'amore nasce dalla somoglianza e questa regola vale non solo per gli uomini, ma per tutte le cose esistenti. [...] Perciò l'amore, riconducendo dappertutto all'unità le cose distinte, può considerarsi come il principio intimo d'una connessione universale e dinamica del mondo".      [P.O. KRISTELLER: Il pensiero filosofico di M. Ficino - pg.108]

"L'analogia non può essere pensata come un tipo di metafora, ma come la modalidà generale di attuazione della metafora. (...) La metafora 'forza la mente' verso un ragionamento di tipo analogico: inaugura analogie attraverso un effetto-sorpresa, non contrae semplicemente analogie pre-esistenti".   [E. MONTUSCHI: Le metafore scientifiche – pg. 31]

"L'intelletto non può intervenire nella conoscenza della natura che tramite l'analogia; o, piuttosto,l'analogia è l'atto principale dell'intelletto nella conoscenza della natura". [S.WEIL: Lezioni di filosofia – pg. 144]

Sono più che evidenti gli incrementi di significato apportati (sul piano della conoscenza) dall'uso della matematica come metafora degli eventi materiali (Fisica); in questo senso la Fisica ha operato la più grande metafora che l'intelletto abbia mai realizzato; ma essa è talmente grande che nessuno ha saputo scorgerne i confini, né i fisici-logici-matematici, né i filosofi-semiologi-linguisti: nessuno di loro ha ancora colto il carattere essenzialmente metafisico della Matematica, la quale, invece,  è stata impropriamente classificata tra le 'scienze della natura'.
In definitiva, sarebbe piuttosto imbarazzante per Davidson dover sostenere che gli "incrementi di significato" apportati alla conoscenza dalla rivoluzione matematico-scientifica siano di tipo puramente 'emotivo'.
Laddove un problema fisico è risolvibile solo traducendolo e processandolo in linguaggio matematico, e poi di nuovo ritraducendone i risultati nel linguaggio originario, abbiamo una distinzione netta tra i due ambiti; e laddove questa operazione apporta un incremento di conoscenza pari a quello che il fenomeno 'Scienza' ha apportato alla cultura umana, non si può più negare l'importanza dell'aspetto di analogia PRE-ESISTENTE tra i due linguaggi. Moltiplicazione e divisione aritmetica sono state inventate/scoperte qualche millennio PRIMA che si rivelassero anche come paradigmi delle leggi più importanti della fisica.
Tuttavia, una tale pre-esistenza strutturale OGGETTIVA e universale dell'analogia non si traduce in una banalizzazione della metafora, cioè, in una esclusione del talento SOGGETTIVO - sia esso poetico, filosofico o logico/matematico – necessario per portarla alla luce. Ciò deriva da un motivo molto semplice: che il  regime di analogia non si manifesta nell'empiria oggettiva delle cose o nell'esperienza immediata che abbiamo di esse, ma si rende evidente solo al livello dell'essenza più intima e profonda di esse, che è il livello proprio dell'arte e della riflessione creativa. "La metafora è lo strato profondo e dimenticato del concetto" scrisse Nietzsche.


HÄNDEL: Non lo dirò col labbro, op. Tolomeo
https://youtu.be/_Ff0PDotr0A
#536
Dopo Galilei-Newton, chiamiamo legge fisica l'analogia rigorosa tra una struttura matematica e un certo ordine di eventi oggettivi. In una legge fisica le grandezze fisiche si relazionano tra loro secondo la stessa logica con cui si relazionano tra loro i numeri.
Pertanto, la matematica può essere vista come una metafora dei fenomeni fisici, l'immagine numerica dell'ordine delle cose sensibili.  Scrive la Montuschi:

" In una metafora il significato di un termine si trova ad essere 'dislocato' in un nuovo contesto espressivo, deviando dalle soglie convenzionali di attribuzione di senso. Lo scopo della deviazione – che ne costituisce anche il risultato – è quello di presentare un oggetto come se fosse qualcos'altro. Ovviamente tale strategia si rende particolarmente interessante quando l'oggetto da presentare è sconosciuto e la metafora, accostandolo a qualcosa di noto, crea una possibilità per la sua identificazione. (...) Secondo Max Black – che si ispira alla posizione richardsiana – in una enunciazione metaforica un soggetto primario e uno secondario interagiscono in modo tale che il secondario applica al primario il campo di implicazioni che gli competono. (...)
Per Richards, il significato metaforico non è una semplice sostituzione di un significato ad un altro, lo spazio interattivo creato dalla metafora è costituito dai due spazi di significato in interazione, sommato ad 'UN PIÙ' di significato che si crea come conseguenza dell'azione interattiva". [E. MONTUSCHI: Le metafore scientifiche – pg. 17]

Una legge fisica, così come una metafora, rappresenta un confronto-incontro tra due logiche e tra due ordini di grandezze: le grandezze fisiche e le grandezze metafisico-simbolico-numeriche. E la misura rappresenta il 'ponte' che unisce le due dimensioni, che rende possibile la loro complementarizzazione.
Infatti, nel suo accostare due mondi logici autonomi e sovrani e nel suo trarne delle conclusioni di valore universale (incremento semantico), la metafora si struttura come un sillogismo dialettico, cioè un sillogismo le cui premesse siano costituite da una coppia di opposti dialettici.

"La trasposizione da un ambito ad un altro non ha solo una funzione logica: ad essa corrisponde la fondamentale metaforicità del linguaggio come tale. La metafora come figura stilistica esplicitamente riconosciuta non è che l'accezione retorica di questo principio formativo, che è insieme linguistico e logico. Cosí, Aristotele può dire: «Fare una buona metafora vuol dire conoscere i tratti comuni»".     [H. G. GADAMER: Verità e metodo 1° - pg.494]

"La mentalità barocca ritiene le metafore «oggetti del discorso» e non «strumenti accessori» più di quanto non sembri al Mayr. Il processo metaforico, è oramai nozione acquisita, non è soltanto ornamentale o retorico, ma piuttosto gnoseologico; è una forma di visione conoscitiva, un modello dinamico di euresi".     [V.BONITO: L'occhio del tempo - pg.19]

Per esempio, nella Fisica, la relazione generale F=ma non è solo la fusione armonica tra "due spazi di significato" (quello matematico e quello fisico); ad essi si somma davvero "UN PIÙ di significato", visto che si tratta di una LEGGE (la seconda legge della dinamica) e visto il suo alto grado di universalità.
Una legge fisica, cioè, può essere legittimamente definita come una fusione armonica (per mezzo della misura) e rigorosamente complementare tra elementi matematici ed elementi fisici, la quale è sempre uguale a se stessa per le infinite combinazioni possibili dei valori delle tre variabili F (forza), m (massa) e a (accelerezione).
In altri termini, possiamo dire che alla base della rivoluzione scientifica c'è una "dialettica realizzata" (Marx-Engels), una complementarizzazione di opposti, una "coniunctio oppositorum", la quale rappresenta tradizionalmente il momento più alto e più produttivo di ogni processo dialettico. Scrivono Jung e Eliade:

"Il simbolismo spontaneo della complexio oppositorum, indica proprio il contrario di un annientamento degli opposti, poiché attribuisce al prodotto dell'unione o durata eterna, cioè incorruttibilità e immutabilità imperturbabile, o massima e inesauribile efficacia".    [JUNG: Psicologia e religione - pg. 182]

"I contrari (come nello yang e nello yin cinesi) si fondono in una unità che non contiene più opposizioni, e che è dunque incorruttibile."  [JUNG: Psicologia e alchimia - pg.40]

Per spiegare tali proprietà 'incrementaliste' della metafora e del processo sillogistico-dialettico, ancora una volta c'è la necessità di postulare un regime di analogia universale, quella che Leibniz chiamava « armonia prestabilita », poiché, se la totalità si costituisse di una molteplicità di enti assolutamente diversi, su di essi non si potrebbe costruire alcuna metafora. Solo se esiste una analogia oggettiva e di principio tra gli enti, solo in questo caso il semplice accostamento metaforico può produrre dei chiarimenti nel confronto tra gli aspetti conosciuti dell'uno e gli aspetti oscuri dell'altro o delle conclusioni di carattere altamente generale e paradigmatico (come le leggi fisiche).   Alcune citazioni:

"Nel trasformare il concetto in figura, la parola in forma, la geometria e il numero in valori etici o metafisici, il trasferimento di senso da un codice all'altro, per Bruno, è garantito dalla permanenza di una forma di similitudo  nei due campi, cioè di una identica struttura profonda e nascosta".   [ABBAGNANO: Filosofia moderna dei secoli XVII e XVIII- pg. 42]

"Il fatto che cose del mondo possano fungere da segni per altre cose del mondo, poggia su una specie di «armonia prestabilita» nella quale «ad ogni essere singolo è dato di pervenire alla perfezione secondo la sua disposizione naturale e, nell'esercizio dell'attività propria, di correlarsi ad altro». (Plotino, Enneadi, III l, 6). Su questa precomprensione si fondano relazioni che noi diremmo «simboliche».  [H. BLUMENBERG: La leggibilità del mondo - pp.37-38]

"Il simbolo, come l'allegoria, riconduce il sensibile e il figurato al significato, ma in più per sua natura è anche l'epifania del significato inaccessibile, cioè apparizione dell'indicibile attraverso e nel significante.
Di nuovo si vede quale sarà il terreno privilegiato del simbolismo: il non sensibile sotto tutte le forme, inconscio, metafisico, soprannaturale, surreale. Queste «cose assenti o impossibili a percepirsi», per definizione, sono pure in maniera privilegiata i soggetti della metafisica, dell'arte, della religione".    [G. DURAND: L'immaginazione simbolica - pg.12]

"Il simbolo dunque è una rappresentazione che fa apparire manifesto un significato nascosto, è l'epifania d'un mistero. La metà visibile de simbolo, il «significante» sarà sempre carica di un massimo di certezza [...], ma egualmente l'altra metà del simbolo, quella parte d'invisibile e d'indicibile che ne fa un mondo di rappresentazioni indirette, di segni allegorici sempre inadeguati, costituisce una specie di logica tutta a parte. [...]Il termine significante, il solo concretamente conosciuto, rinvia in «estensione», se si può dire così, a tutte le sorte di «qualità» figurabili e ciò fino all'antinomia. [...]
Ma, parallelamente, il termine significato, concepibile nel migliore dei casi ma non rappresentabile, sciama nell'universo concreto tutto intero: minerale, vegetale, animale, astrale, umano, «cosmico», «onirico» o «poetico»".    [G. DURAND: L'immaginazione simbolica - pp.14-15]

Scrive S. Moravia:
"Questo sistema dell'armonia prestabilita di Leibniz fornisce una nuova prova, fin qui sconosciuta, dell'esistenza di Dio, perché è manifesto che l'accordo di tante sostanze, delle quali l'una non ha influenza sull'altra, può derivare solo da una causa generale dalla quale tutte dipendono e che deve avere una potenza ed una saggezza infinita per prestabilire tutti questi accordi". [SERGIO MORAVIA: G. Leibniz - pp. 63-64]

"Secondo Schopenhauer l'unità della volontà, che si manifesta in tutte le forze della natura inorganica e in tutte le forme di quella organica, si mostra nell'intima affinità che lega i fenomeni. Questa affinità risulta soprattutto ai livelli superiori della sua oggettivazione, nel regno vegetale e animale, attraverso una generale analogia di tutte le forme, un tipo fondamentale che si ritrova in tutti i fenomeni della natura".    [ARTUR HÜBSCHER:  Arthur Schopenhauer - pp. 50-1]

" Le metafore sono dei tropoi (in senso etimologico e non solo retorico), modi originari di 'rivolgersi' al mondo, di orientarsi e disporsi nei confronti della realtà, atteggiamenti che si assumono ancor prima di ogni presa di posizione riflessiva. [...]
La metafora non è [...] una regressione intollerabile dal logos al mito, ma il quadro 'tropico' di riferimento del pensiero. Anche le forme più astratte di conoscenza trovano le loro radici nel 'pre-categoriale', a cui prescrivono un 'progetto', un campo di proiezioni possibili. [...]
L'amore per il sapere si conquista storicamente il diritto di non essere semplice concupiscientia oculorum, condannabile temerarietà e cupidigia. Conoscenza e interesse, riflessione e mondo della vita, sono in Blumenberg intrecciati in una nuova filosofia delle forme simboliche (che unisce il mito al logos e la metafora ai concetti) e in una storia della cultura che si presenta solcata da metafore e miti di lunga durata. Questi sono forniti di una robusta vitalità non malgrado, ma proprio grazie alle loro innumerevoli variazioni all'interno del paradigma".       [H. BLUMENBERG: La leggibilità del mondo - pp. XIX-XX]

Continua...
#537
Tematiche Filosofiche / Re:Perchè il materialismo basta
24 Settembre 2018, 00:19:55 AM
Citazione di: Phil il 23 Settembre 2018, 22:17:35 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2018, 20:40:47 PM
l'inconscio è la regione della mente che conduce alle vette/profondità del Tao, o di Dio.
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2018, 23:08:24 PM
La Psicologia è filosofia,
Citazione di: Carlo Pierini il 23 Settembre 2018, 01:31:16 AM
dopo un paio di secoli di studi biologici e biomolecolari, non è uscito fuori un solo indizio che supporti il paradigma monista, mentre ne esistono ormai a migliaia a favore della tesi opposta

PHIL
In assenza di certezze confutabili (almeno per entrambi  ;) ), ognuno può ovviamente avere la sua interpretazione; tuttavia, non sarei "onesto" a seguire la tua: è come se tu mi stessi chiedendo di accompagnarti a fare spesa usando dei soldi che a me sembrano fotocopiati; magari non lo sono, ma finché mi sembrano tali, preferisco non accompagnarti  :)

CARLO
L'importante, caro Phil, e che tu mediti adeguatamente sulla questione centrale: il monismo non è una teoria scientifica, ma un precetto di fede. E che se tu fossi sufficientemente informato su tutto ciò che si conosce sulle proprietà-qualità oggettive della nostra mente, la tua visione filosofica del mondo sarebbe ben diversa.
Quando ebbi la famosa "esperienza visionaria" io ero un teorico entusiasta del materialismo e della scienza; ma è bastato quel breve terremoto di non più di tre o quattro secondi per far crollare le fondamenta di quarant'anni di certezze. Non sapevo, allora, come avrei ricostruito "la casa" e quale nuova forma le avrei dato; ma fu assolutamente evidente che ciò che era successo falsificava clamorosamente il paradigma della mia vita (à la Popper).
Ci sono voluti tanti anni per ricostruirne uno nuovo e per "passare al nemico", ma ti assicuro che ogni nuovo mattone ha dovuto superare l'esame intransigente del Carlo materialista-ateo che era ancora ben presente in me.
La mia "conversione", cioè, non ha niente a che vedere con la fede (la fede è un dono che a me non è stato mai concesso), ma si è trattato di un processo squisitamente intellettuale-conoscitivo. Io non ho fede in Dio, ma so della Sua esistenza, come lo scienziato sa dell'esistenza dei protoni; lui fonda la sua certezza sull'espe-rimento, io sull'espe-rienza personale.
Pertanto, se le mie banconote a te sembrano fotocopiate, io so che quelle poche che credi di avere tu fanno parte di un conto ...promissorio.

PHIL
Non dico che hai torto: la questione per me è sospesa al "fino a prova contraria" del monismo, mentre per te è nettamente sbilanciata verso il dualismo (o meglio,"complementarismo psicologista", se non ho frainteso).

CARLO
Io la chiamerei in generale "dialettica materia-mente". La Dialettica è la variante filosofica del Principio di complementarità degli opposti, anch'essa "trinitaria": tesi-antitesi-sintesi.
La tua fede nella "prova contraria" è legittima da un punto di vista giuridico, ma lo è molto meno da quello epistemico. Anche una fede deve poggiare su solide motivazioni, altrimenti sfiora l'illusione.


VIVALDI: Matrona inimica, op. Juditha Triumphans
https://youtu.be/wv-6gMxIK8E
#538
Tematiche Filosofiche / Re:Perchè il materialismo basta
23 Settembre 2018, 14:49:19 PM
PHIL
Anzi, sarebbe interessante un'interpretazione in chiave taoista del materialismo (e viceversa), ma non m'azzardo minimamente, chissà cosa succederebbe qui  

CARLO
L'interpretazione del materialismo in chiave taoista è presto detta: lo Yin corrisponde alla "Terra", cioè, alla materia, al corpo, e lo Yang al "Cielo", cioè, allo "spirito", all'anima. Se poi aggiungiamo che Yin e Yang non sono reciprocamente riducibili, ecco che il taoismo è l'archetipo del dualismo interazionismo di J. Eccles.
Naturalmente, la coppia Yin-Yang non si riferisce solo a questo aspetto del reale, ma a "diecimila" altri aspetti, proprio come il Principio di complementarità degli opposti, di cui il Tao (insieme al Caduceo) è simbolo archetipico.

<<Il termine "Essere" indica la Madre delle diecimila cose>>.
[Tao Tê Ching, a cura di J.J.L. Duyvendak, Adelphi, 1975, Milano, p.26]
#539
Tematiche Filosofiche / Re:L'egualitarismo
23 Settembre 2018, 12:26:16 PM
Citazione di: viator il 21 Settembre 2018, 12:25:35 PM
Salve. Nel frequentare il Forum ho ovviamente notato come la trattazione degli argomenti delle diverse sezioni fosse – sempre ovviamente – influenzata dalle ideologie più o meno condivise dal singolo utente.

Fondamentalmente la divisione riguarda la scelta liberismo-egualitarismo.

Il tema viene collocato tra gli argomenti filosofici poichè tale è il punto di vista complessivo che – credo proprio – esso assumerà, escludendo ogni aspetto politico od etico.

Voglio rivolgermi agli utenti inclini al secondo orientamento (e solo di riflesso agli altri) per illustrare il perchè – secondo me – l'egualitarismo si è rivelato finora e continuerà ad essere una visione utopistica destinata ad essere sconfitta dalla realtà.
Il perchè quindi l'idealismo sia destinato a soccombere alla prassi.

Anzitutto il liberismo non incarna una ideologia. Che ci sia chi ha tentato o tenta di farne una dottrina od una ideologia non interessa poichè esso si limita a proporre ed affermare il libero svolgimento dei meccanismi naturali (iniqui secondo la visione umana di molti).

Il liberismo ha avuto dei teorici solo dopo essere nato nella notte dei tempi. Nessun fondatore  ne ha mai posto le basi. Esso quindi rappresenta la meccanica originaria dei rapporti causa-effetto tra le aspirazioni individuali e gli effetti collettivi, i bisogni umani e la disponibilità di risorse, l'egoismo e la trascendenza, la forza e la necessità.
Perciò consiste in una prassi basata sull'individualismo e su quello che io chiamo "progresso anarchico" perchè spontaneo e privo di regole..

L'egualitarismo (che è stato ed è incarnato da dottrine anche parecchio diverse, al cui interno però la più importante è stata il comunismo) rappresenta una visione ideale piuttosto recente (anche se come semplice concezione risulta assai più antica) che ha avuto dei teorici e sviluppato una dottrina (e persino una bozza realizzativa costituita dal "socialismo reale"). Perciò esso è diventato una ideologia.

E già qui emerge la sua intrinseca debolezza. Infatti una dottrina-ideologia che intenda sovrapporsi e sostituire uno stato di cose esistente ha necessità di tempo per organizzarsi, per concretarsi. Intanto che lo fa, il "progresso anarchico" esistente fuori di essa procede inesorabile. E stiamo parlando di lassi di tempo di almeno diversi anni.

In pratica è come se l'ideologia, nel preparare il futuro, quando diventi pronta all'azione si ritrovi collocata nel passato rispetto a chi ha agito senza darsi alla costruzione di utopie.

L'altro grave difetto di una ideologia collettivistico-egualitaria è costituito dalla necessità di una burocrazia che controlli ed indirizzi in modo forzatamente centralizzato meccanismi e comportamenti sociali. Purtroppo le burocrazie soffrono di tempi decisionali ed esecutivi troppo più lunghi di quelli che esistono all'interno del liberismo.

E' da notare come il socialismo-comunismo sia nato in un certo senso quale reazione alla "rivoluzione industriale", si sia diffuso all'interno dei tempi della "rivoluzione scientifica" e si sia sgonfiato con la turbinosa "rivoluzione comunicativa (informatica)".

Questo è un aspetto assai interessante poichè sembra confermi la mia tesi circa il differenziale di velocità tra il progresso "libero e selvaggio" e la "uniformità burocraticizzata" che inesorabilmente ha agito penalizzando l'egualitarismo.

Valga infine una considerazione finale : tanto caro all'egualitarsimo è il motto "A ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le proprie capacità".
Tanto esso è gradevole ed astrattamente sensato quanto è ingenuamente candido ed utopistico.

Come se l'animo umano (proprio il fattore che il buon Marx ha evitato di analizzare all'interno delle proprie disquisizioni) non fosse naturalmente propenso a dilatare i propri bisogni ed chiedere sempre maggiori compensi per le proprie supposte capacita !. Ma come si fa a non capire che – a livello collettivo e complessivo – se si ha il minimo necessario ci si guarderà bene dal dare più del minimo obbligatorio ?

Conclusione : la sfida era tra il liberismo-capitalismo basato sul "progresso" e l'egualitarismo-socialismo basato sulla burocraticizzazione di un'utopia. Saluto attendendo obiezioni.


CARLO
La soluzione ideale è sempre una complementarità di opposti: la libertà nell'uguaglianza, cioè una libertà che non leda, ma esalti l'uguaglianza intesa come pari dignità di tutti gli individui. Il comunismo, invece, ha "materializzato-monetizzato" l'uguaglianza trasformandola da pari dignità a pari ricchezza materiale, sottraendo così la libera iniziativa all'individuo e attribuendola interamente allo Stato. Ciò ha creato le premesse per una dittatura di Stato. Non più uno Stato libero in quanto costituito da liberi "compagni", ma uno Stato di burocrati liberi di imporre le proprie iniziative all'intera collettività, violando così il principio di pari dignità (complementarità) degli opposti: Stato e individuo.

Ma la filosofia stessa del comunismo (Marx) si fonda su una violazione del principio di complementarità che dovrebbe applicarsi agli opposti "struttura economica" e "sovrastruttura culturale". Così come il materialismo delle neuroscienze moderne riduce (riduzionismo) la metafisica della mente alla fisica del corpo fino al punto di credere che ogni malattia della mente debba essere curata intervenendo sul corpo (farmaci, elettroschock, neurochirurgia, ecc.), Marx ritiene che per "curare" la "sovrastruttura culturale" da quella malattia chiamata "ideologia borghese" si debba intervenire sulla sottostante "struttura economica" imponendo un "chirurgico" sovvertimento dei "rapporti di produzione" per mezzo di quella drastica "chirurgia" chiamata "rivoluzione armata". In barba alla stessa idea di "dialettica" massicciamente presente nella filosofia marxista, l'economia diventa il fondamento dell'esistenza e la cultura è emarginata a "epifenomeno" dell'economia.

Ma se il capitalismo si ispira più o meno allo stesso principio (<<la cultura non si mangia>>) non è vero, allora, che comunismo e capitalismo siano due visioni del mondo antitetiche, bensì è vero il contrario: che sono entrambi figli di una stessa ideologia aberrante: il materialismo, cioè, il frutto filosofico di una violazione del Principio di Complementarità degli opposti.
#540
DAVINTRO
...E in questo quadro si possa credo considerare anche la posizione dell'inconscio così problematica, come intesa spesso nella psicanalisi: l'inconscio inteso come realtà trascendente rispetto alla coscienza, di cui però si presume di averne una conoscenza ben articolata, e dunque, in evidente contraddizione, di poterne avere un'esperienza cosciente, dunque non più separabile dalla coscienza.

CARLO
Forse non ti è chiaro che la coscienza trascende la realtà fisica non meno di quanto l'inconscio trascenda la coscienza. Ma così come la realtà fisica si manifesta alla coscienza ed è quindi conoscibile a partire dall'osservazione di tali manifestazioni (fenomeni), lo stesso possiamo dire dell'inconscio: esso è conoscibile poiché si manifesta alla coscienza (sogni, visioni, ispirazione, ma anche idee fisse, fantasie persecutorie, manìe, raptus incontrollabili, ecc.). Naturalmente le modalità di manifestazione del mondo e dell'inconscio sono assai diverse, ma il principio è lo stesso.
Ciò significa che quando si parla di trascendenza mondo-coscienza e coscienza-inconscio (o coscienza-Dio), si deve intendere sempre una trascendenza non-assoluta, cioè non deve considerarsi come una separazione abissale tra i livelli che la costituiscono. Se Dio fosse assolutamente separato dalla coscienza, nessuno ne avrebbe mai parlato; la storia invece, dimostra l'esatto contrario.
Pertanto è sempre e comunque l'osservazione degli eventi (fisici o psichici che siano) il fondamento di ogni possibile conoscenza e l'unica garante possibile delle verità su cui si costruisce. La ragione, la logica e la filosofia, da sole, non vanno da nessuna parte.

Come indica il simbolo universale della Trinità:

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/le-varianti-simboliche-della-'trinita'/msg21914/#msg21914

...sono tre i "livelli dell'essere": mondo-mente-Dio.

<<L'anima umana è per Ficino la parte centrale nella serie graduata delle sostanze, il che non significa solo che per la sua qualità oggettiva sta in mezzo tra l'intelligibile e il corporeo, fra l'eterno e il temporale, ma anche che è rivolta nel suo atteggiamento consapevole in su e in giù e unisce così fra di loro le due metà dell'universo. All'anima viene quindi assai logicamente attribuito un doppio affetto e una doppia inclinazione per cui essa è ugualmente rivolta verso il divino e verso il sensibile. [...] Rispetto a questo suo duplice indirizzo il Ficino paragona qualche volta l'anima a Giano i cui due volti guardano in direzioni opposte".   [P.O. KRISTELLER: Il pensiero filosofico di M. Ficino - pg.209]

https://www.ariannaeditrice.it/data/articoli/big/0/0-12990.jpg