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Messaggi - maral

#526
Tematiche Filosofiche / Re:Coscienza
17 Novembre 2016, 19:36:29 PM
Citazione di: bluemax il 17 Novembre 2016, 17:35:52 PM
Beh... credo che la scienza abbia come unico obbiettivo quello di spiegare o meglio, cercare di capire la realtà. Le stesse neuroscienze affermano che l'ego, questa sorta di illusione di cui il cervello non puo' far a meno, trova come ostacolo quello di essere "accettata" proprio per la riluttanza che ha il cervello a far a meno del proprio "sè". Eppure quel "sè" quando dormi non è presente, quando sei in coma, o quando cesserai di avere la forma di adesso (la morte) e sarai sparso tra oceani, terra, piante e animali non è presente. come non è presente durante la guida dell'auto mentre pensi ad altro (puoi fare km e km in modo automatico senza che quelle azioni abbiano un "sè" visto che il tuo "sè" è altrove).
Del resto, anche quando fu fatto notare che era la terra a girare attorno al sole vi fu la medesima riluttanza (tanto che gli invitati non volevano, per paura, guardare nel cannocchiale). O come quando fu scoperto che il cuore aveva l'unica funzione di pompare il sangue e non quella di contenere l'anima e così via fino agli albori dell'uomo prima scimmia.

Considera inoltre che questi concetti non sono ad opera delle moderne scoperte scientifiche. Tali "scoperte" sono avvenute 2500 anni or sono e prende il nome di vacuità in quella dottrina buddista inquinata poi da rituali religiosi da persone che non potevano comprendere.

Tu dici che "la spiegazione della nostra coscienza come mera attività neuronica, non è che il prodotto della cultura in cui ci troviamo inscritti". Considera che puo' anche esser vero il contrario, ossia che siamo indotti ricercare e creare quello che inconsciamente sappiamo ma razionalmente non vogliamo accettare.

cmq interessante il concetto secondo il quale sono le "scoperte" a determinare la società...
La scienza ha senza dubbio come scopo quello di spiegare e capire come stanno le cose, ma lo fa sempre a partire da un modo di stare delle cose, descrive com'è la realtà da un modo di essere della realtà che è determinato da un modo (una prospettiva che non siamo noi a scegliere), di vederla, dalla nostra cultura, dalle nostre tecniche, prassi e pregiudizi. Non è e non può essere la realtà in sé quello che la scienza spiega, ma la sua attuale interpretazione di senso (e questo vale da sempre per tutti i tentativi di spiegare la realtà). E' su questo che penso occorra mantenere viva la consapevolezza, soprattutto da parte dello scienziato, ma poi di tutti.
Il sé può essere presente o meno: quando dormo un sonno profondo senza sogni non lo è, se faccio cose automaticamente senza pensare non lo è, ma questo non toglie che questo posso dirlo e vederlo solo quando io sono presente a me stesso e allora di nuovo interpreto, interpreto una situazione come mia momentanea assenza, ma è sempre a partire dalla mia presenza cosciente che lo faccio, sempre a partire dal significato che appare alla mia attuale coscienza interpretante e dalla sua a me necessaria continuità.
La scoperta che la terra gira attorno al sole fu anch'essa resa possibile dal determinarsi di una situazione storica e sociale e  dall'affermarsi di una tecnologia che consentiva un nuovo modo di interpretare e vedere il mondo (non semplicemente il cannocchiale, perché non è che solo guardando con il cannocchiale che vedo la terra girare attorno al sole, occorre tutta una storia di interpretazioni e presupposti per intenderla così); anche l'idea del cuore che è solo una pompa per il sangue presuppone tutto un modo di considerare e interpretare, non è che chi riteneva il cuore anziché il cervello la sede dell'essenza di se stesso (dell'anima) stesse farneticando, semplicemente vedeva la realtà secondo il suo pre-giudizio, esattamente come noi che abbiamo un pre-giudizio diverso che ci presenta una visione diversa di ciò che viviamo nel suo significare, non nel suo essere.
E certamente vi includo anche questo che vengo dicendo e che non sarebbe probabilmente mai passato per la testa (o nel cuore) né di un Parmenide, né di un Newton, perché anche questo è prodotto culturale, è un pregiudizio dei tempi, ma è solo a partire dal pre-giudizio che qualcosa si può dire e che si può fare una scienza o intendere qualsiasi cosa, compresi noi stessi: il punto su cui ci innalziamo per tentare visioni panoramiche "oggettive" e verificabili sono sempre e solo i nostri pregiudizi che ci danno anche il senso delle nostre verifiche.
L'errore è mettersi nella prospettiva di pensarsi potenzialmente come Dei onniscienti ed è un errore comune sia al mito, che alla filosofia che alla tecno-scienza positiva, tutte pratiche umane, quindi è un errore umano che l'umano però può giungere a intendere a partire da se stesso. Chissà se una macchina può commettere lo stesso errore, se ci riuscirà allora la riconosceremo come umana (e non l'umano come una macchina).
#527
Tematiche Filosofiche / Re:Coscienza
17 Novembre 2016, 17:02:43 PM
CitazionePer capire l'architettura della mente occore usare un metodo ' l'ingegneria
inversa', una specie di tecnica chee parte dai problemi adattativi dei nostri
antenati e cerca di dedurre gli adattamenti psicologici che si sarebbero evoluti
per risolverli. Non ci sono dentro di noi essenze magiche, spiriti, fantasmi,
siamo animali come gli altri.
Già, ma questo significa che noi ci riteniamo di in grado di discernere "oggettivamente" i problemi adattativi dei nostri antenati dall'alto della nostra conoscenza e di possedere una visione panoramica che ci permette da questi di dedurre gli adattamenti psicologici che furono a loro necessari per risolverli, del tutto indipendentemente dai nostri contesti culturali che stabiliscono i "pre-giudizi" di questa grandiosa visione. In effetti la visione di come funzionano le cose al mondo, fuori e dentro di noi, la spiegazione della nostra coscienza come mera attività neuronica, non è che il prodotto della cultura in cui ci troviamo inscritti, con tutta la sua storia, la sua necessità, i suoi desideri, bisogni e aspettative. E tutto questo la scienza positiva rifiuto di considerarlo, ci passa sopra tranquilla, illudendosi di vedere come stanno davvero le cose come se il mondo nascesse adesso, per come è, nudo davanti al suo occhio oggettivo.
Noi siamo come qualsiasi altro essere vivente ed è vero, ma è anche vero che non è così, poiché ogni essere vivente è fondamentalmente diverso e l'essere vivente umano è diverso da qualsiasi altro essere vivente, infatti può immaginare un se stesso e parlare di sé con altri, vedere un sé negli altri e ancor di più può parlare di sé con se stesso. Non che questo valga di più del saper volare, del poter abitare nelle profondità oceaniche o digerire la cellulosa, ma vale, è una differenza fondamentale.
L'uomo può anche immaginarsi (se il contesto culturale glielo propone) di essere una macchina dopo aver pensato che tutto sia macchina. E' una favola, un mito questo, esattamente come quello di sentirsi una creatura modellata  dall'argilla in cui un Demiurgo soffia dentro un'anima. I miti sono prodotti delle tecnologie in uso: un tempo c'erano i vasai, oggi gli ingegneri costruttori di macchine (meccaniche, elettroniche, in prospettiva biologiche), ciò che produciamo diventa il nostro mito, quello in cui ci identifichiamo nelle favole in cui ci raccontiamo la nostra origine per crederci: l'origine è sempre quello che siamo arrivati a fare. Infatti noi possiamo immaginarci di essere sempre stati macchine solo da quando abbiamo cominciato a costruire, cosicché tutto, da allora, è diventato pensabile come macchina.
Il problema delle macchine, il problema per cui l'idea suscita ancora una certa resistenza, è che non lavorano per se stesse: la macchina funziona (è stata fatta e progettata) per uno scopo che non è la propria autopoiesi, deve servire ad altro, altrimenti, è inutile, è inaffidabile e va rottamata.
Per questo anche se sia la visione animistica che meccanicistica del mondo intero con noi inclusi sono entrambe favole, dopotutto quella animistica è un po' meno angosciante anche se non ci conforta di quella "utilizzabilità" che la macchina garantisce in linea di principio senza sorprese, riproducibilmente in serie. Chissà, magari (in un'altra favola) anche le macchine hanno un'anima che gli ingegneri che le costruiscono (ancora troppo umanamente centrati) non riescono proprio a vedere.
#528
Tematiche Filosofiche / Re:Coscienza
15 Novembre 2016, 23:14:04 PM
Citazione di: altamarea il 15 Novembre 2016, 21:31:00 PM
Grazie Maral e Sgiombo per la vostra opinione. Però mi viene un dubbio:  quanto il vostro sapere filosofico condiziona la vostra opinione sulla coscienza ?
Il neuroscienziato  italiano Giulio Tononi lavora negli Stati Uniti, dirige il "Center for sleep and consciousness" nell'università del Wisconsin, perciò presumo che sappia quel che dice.
Per quanto mi riguarda la condiziona moltissimo, anzi la determina. Come l'opinione filosofica di Giulio Tononi condiziona ciò che dice il neuroscienziato Giulio Tononi, che peraltro crede di non aver alcuna opinione filosofica a monte del suo osservare le cose, di partire da un terreno libero e vergine da ogni preconcetto e semplicemente di vedere quello che accade in oggetto, di per se stesso, (i neuroni, le sinapsi ...) come se neuroni e sinapsi e il modo di considerarle non fossero il prodotto significante di una lunghissima storia filosofica, quella di cui appunto Tononi, come neuroscienziato, non si rende minimamente conto di quanto lo condizioni. Siamo tutti precondizionati (e tanto più quanto più ci sentiamo specialisti in materia), il pregiudizio è assolutamente necessario per poter pensare e dire qualcosa sviluppando ragionamenti, la differenza è tra chi se ne rende conto e considera il proprio immancabile pregiudizio come base necessaria per un'esplorazione interpretativa che possa anche dire altro e chi invece non si rende per nulla conto di averlo, perché lo considera come punto di arrivo finale (del tutto autogiustificato) dopo il quale non c'è proprio nient'altro da dire.
Grazie a te comunque per le tue considerazioni. Colgo l'occasione per ricordare, dato che c'è una sezione scientifica nel forum che langue (a differenza di questa filosofica), di utilizzare anche quella per argomentazioni di questo tipo (qui è ovvio che la preminenza vada data all'aspetto filosofico delle questioni e la filosofia degli scienziati, anche se neuroscienziati di elevatissimo profilo,  è spesso tremendamente ingenua)
#529
Andare oltre l'io suona bellissimo, ma significa morire come quell'io nei cui limiti in cui solo possiamo riconoscere la nostra esistenza. Sono infatti solo i nostri limiti che determinano il significato della nostra esistenza in ogni atto (di pensiero o di azione) che facciamo, senza questi limiti non vedo né coscienza né esistenza. D'altra parte non sarà mai possibile costruire una coscienza collettiva senza annientare l'io di tutti coloro che ne sono parte. In ogni caso occorre morire e a farlo senza dubbio la tecnologia può già aiutare. 
#530
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
15 Novembre 2016, 14:21:56 PM
Che vuoi che dica Sgiombo, se non che proprio tutti i miei infruttuosi tentativi di mostrarti che sia logicamente che empiricamente l'esistenza di "io" implica quella reale dell' "altro" e i tuoi per negarne il fondamento, mostrino la nostra irriducibile e reale alterità, che tu non sei né una creazione della mia mente né della mia percezione (per quanto per di più mediata dallo schermo di un computer). E non è per fede che lo credo, non ho fede che tu esista come altro da me, so che tu esisti come altro da me e per questo anch'io posso esistere realmente come altro da te (e sono convinto che pure tu lo sai e non ci credi per fede).
Con l'altro a volte ci si intende e altre no, a volte si condivide ed altre ci si oppone e in modo diverso con ogni altro a cui ci si trova legati da un accadere insieme e proprio questo manifesta che il reale comincia sempre da 2 (anzi, per la precisione da 3 visto che c'è pure la relazione che collega i 2, con tre gambe la realtà sta in piedi) e mai da 1, comunque lo si intenda.
#531
Citazione di: Phil il 14 Novembre 2016, 22:25:36 PM
per cui, forse, più che di "vera vita a riferimento di verità", bisognerebbe parlare di "vita coerente a riferimento del rispettivo criterio" oppure, stando in bilico sui confini del dicibile, si potrebbe parlare di v(er)ita: un gioco di parole che mi piace utilizzare per alludere alla verità della vita come evento vissuto, quindi confusione di verità (non logica ma esperenziale) e vita (non astratta ma esperita).
Il riferimento al rispettivo criterio è senza dubbio interessante, ma pone comunque il problema di quale debba essere questo criterio? Va bene qualsiasi criterio basta che lo si senta proprio? Inoltre trovare un proprio criterio su cui impegnare la propria stessa vita può essere tutt'altro che facile.
Mi sembra anche molto interessante il tentativo di fondare un significato laico di spiritualità, fondata sull'immanenza piuttosto che sulla trascendenza.
Oltre alla scuola stoica a cui fa riferimento CVC, come accennavo, vi sono stati i cinici, considerati in modo ambiguo dalla filosofia, ma che sicuramente hanno nutrito un senso molto forte e pure provocatorio di cosa si dovesse intendere per "vera vita", per "vera felicità", "vera libertà" e "vera maestà". La filosofia è qui manifestazione del corpo, non più di una mente che pensa separata dal corpo. Mi chiedo in quale misura proprio nel corpo si possa trovare quel concetto di spiritualità che prima Platone, poi il cristianesimo ci ha insegnato a cercare nell'anima disincarnata.
C'è anche, sempre nel cinismo, oltre alla pratica dell'estrema povertà come affermazione di completa autonomia, l'accettazione del dolore e dell'umiliazione sia come messa alla prova di se stessi che come felice accettazione del proprio destino. Appunto un sovrano sentirsi liberi da ogni bisogno, affermando la propria nuda "naturalità" anche con gesti che disgustano, scandalizzano e suscitano pubbliche repulsioni violente, ma che il cinico accetta così da ribaltare la situazione. Il miserabile Diogene poteva sfidare il potentissimo Alessandro dicendogli che era lui, Diogene, il vero re, discendente da Heracle (eroe indomito sempre combattente) e quindi da Zeus, non il sovrano macedone la cui potenza era condizionata e sempre rimessa in discussione. Ma oggi temo Che Diogene se si presentasse in tal modo a chi pensa di tenere la potenza del mondo non sarebbe nemmeno ascoltato, probabilmente rinchiuso in manicomio o in galera ancor prima di aprire la bocca. Anche la potenza ha subito una degradazione.
Acquario ha collegato la vera vita come un sentirsi in natura, in sintonia con la natura. Mi sa che dopo l'elezione di Trump con le sue prospettive in materia di sviluppo, sarà sempre più difficile viverla. E temo che un Diogene avrebbe poco successo con lui. 
 


#532
Mi pare un'ipotesi molto suggestiva quella introdotta da questa domanda, anche perché finora la tecnologia ha ben più spesso tentato di creare un'incoscienza collettiva, piuttosto che una coscienza e c'è riuscita pure con notevole successo. Decisamente l'incoscienza collettiva pare assai più funzionale della coscienza individuale o collettiva che sia. :)
#533
Tematiche Filosofiche / Re:Coscienza
15 Novembre 2016, 00:07:40 AM
Citazione di: altamarea il 14 Novembre 2016, 11:44:48 AM
Lo psichiatra e neuroscienziato Giulio Tononi in un suo articolo pubblicato sul quotidiano "Il Sole 24 Ore" del 13 novembre 2016 col titolo "Come si misura la coscienza", ha fra l'altro scritto: "Sappiamo bene, ormai, che la coscienza dipende dal cervello, che è una macchina biologica complicata. È fatto di materia che non ha nulla di misterioso: come il cuore, il cervello è fatto di miliardi di cellule specializzate a condurre impulsi elettrici. Non solo. Ormai abbiamo apparecchi sempre più potenti per guardare dentro il cervello, scoprire come è organizzato, regione per regione, cellula per cellula, e stabilire come ogni neurone è collegato ad altri neuroni, sinapsi per sinapsi. E siamo sulla buona strada per capire come funziona – come può distinguere una faccia dall'altra, come può immagazzinare memorie, e come controlla il movimento. Si tratta di funzioni complicate, ma che non pongono problemi insuperabili, tanto che stiamo costruendo macchine capaci di eseguirle quanto o meglio di noi.
Mi sa che lo psichiatra e il neuroscienziato Giulio Tononi se pensa di poter chiarire definitivamente cosa sia l'autocoscienza studiando neurone per neurone e sinapsi per sinapsi non abbia nemmeno lontanamente capito cosa sia la coscienza e se è così non è nemmeno all'inizio della buona strada per poterlo capire, semplicemente ha preso la strada sbagliata, cosa che capita di frequente a psichiatri e neuroscienziati. Viene il sospetto che sia per il mestiere che fanno.


CitazioneIIT rovescia i termini della questione, andando dalla fenomenologia alla fisica: invece di partire da come è fatto il cervello o dalle funzioni che svolge, IIT comincia con l'identificare le proprietà essenziali della coscienza stessa per derivarne i requisiti necessari e sufficienti perché un substrato fisico renda possibile l'esperienza soggettiva. Le proprietà essenziali della coscienza – vere di ogni esperienza concepibile - sono cinque: l'esperienza esiste intrinsecamente (per il soggetto, non per un osservatore esterno); è strutturata (è composta di svariati contenuti e delle loro relazioni); informativa (ogni esperienza è specifica - quella che è, pertanto diversa da innumerevoli altre); integrata (una e irriducibile); definita (ha i contenuti che ha, nulla di meno e nulla di più).
Queste cinque proprietà essenziali della fenomenologia sono tradotte da IIT nei cinque requisiti fisici che devono essere necessariamente soddisfatti da qualsivoglia substrato fisico della coscienza. Dove per "fisico" si intende, in modo del tutto generale, qualunque substrato che abbia potere causale – ossia che possa essere manipolato od osservato, direttamente o indirettamente - dal cervello ai neuroni alle particelle elementari.
Ma dopotutto potrebbero anche essere sei, oppure sette, o forse solo tre. Mi chiedo poi perché tra ciò che può essere osservato e manipolato non si includano ad esempio le emozioni. Non sono forse osservabili (assai più facilmente dei neuroni) e manipolabili? Non sono forse molto strettamente correlate alla coscienza?
In ogni caso se proprio occorre tracciare mappe e formulare metafore credendo di tenere in pugno il fenomeno in sé preferisco mappe e metafore più comprensibili di questo IIT, quanto ai coscienzometri non è che necessariamente misurino il livello di coscienza, ma solo il livello di ciò in cui si è stabilito opportuno considerare come coscienza sulla base di un certo numero di pre assunzioni riguardanti componenti fisiche che con la coscienza hanno ben poco a che vedere o di proprietà da considerare essenziali a una certa mappatura definitoria.
#534
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
14 Novembre 2016, 23:19:07 PM
Citazione di: sgiombo il 14 Novembre 2016, 20:12:18 PM
Ma che significa "nel momento in cui esperiamo il mondo (i "segni" direbbe Sini) nel suo significato questa esperienza del significato non mi appare come una mia creazione dal nulla, ma mi appare data da una storia che coinvolge innumerevoli altre coscienze di cui il mio stesso essere cosciente è il risultato piuttosto che l'origine"?
Significa che i significati che ci appaiono accadendo in forma di enti reali non ci si presentano originariamente come inventati da noi dal nulla, ma come dati dalla storia della coscienza umana che ingloba miliardi di altri soggetti.
CitazioneDel mondo constatato empiricamente "esse est percipi": l' esperirlo non è altro che insieme e successione di sensazioni fenomeniche.
L'esperire è sempre esperire un significato, non una cosa, non un fenomeno puro e senza alcun significato, ma qualcosa che ha già significato nel momento stesso in cui lo esperisco.
CitazioneNemmeno capisco che cosa possa significare che "La mia coscienza può apparirmi solo come riflesso della coscienza di un altro che prende atto del mio accadere";
significa che originariamente la mia coscienza è generata da un altro che prende coscienza di me come individuo.

Citazionee comunque la "mia" coscienza (la coscienza immediatamente esperita) può anche essere pensata del tutto logicamente, senza alcuna contradizion che nol consente, come tutto ciò che accade realmente senza alcuna altra coscienza nell' ambito della quale si prenda atto dell' accadere della "mia" coscienza stessa (esistenza di "altre" coscienze che dunque pare indimostrabile, né mostrabile empiricamente).
Sì, è possibile postularla in tal modo, ma questo non spiega perché originariamente il mondo mi si dia abitato da altri individui coscienti quanto me (a me simili in fatto di coscienza). Non solo, ma quanto più la cultura è "primitiva", quanto più l'uomo è vicino alla sua infanzia, tanto più questa coscienza altra appare estesa. Il solipsismo appare piuttosto come un punto di arrivo acquisito da una lunga storia di interpretazioni che sottraggono via via coscienza, piuttosto che come un punto di partenza originario ove ogni forma fenomenica appare piuttosto dotato di una forma di coscienza sua propria, altra dalla mia ancora embrionale e, come forma embrionale, contenuta nell'altro.  

Citazione"Niente è" mi sembra evidentemente un' affermazione falsa, ma non contraddittoria (sarebbero contraddittorie "niente è e inoltre è qualcosa" o "qualcosa è niente").
Da un punto di vista logico il falso è autocontaddittorio (non vi è alcun altro falso logico che non sia una contraddizione). Se niente è allora "il niente" è, proprio perché tutto è niente.
CitazioneNon vedo comunque come potresti dimostrare l' affermazione che "Il solipsismo, comunque lo si intenda, è la negazione dell'altro (ne risolve la problematica postulandone la negazione) ed è ovvio che, se coerentemente portato avanti alle sue estreme conseguenze, non possa che giungere a sostenere che niente è [= la contraddizione nichilistica ontologica]": il solipsismo, anche inteso nell' accezione più radicale, ammette comunque l' esistenza di "qualcosa che è": (per lo meno) l' esperienza fenomenica cosciente immediatamente esperita (se non anche il suo soggetto).
No, ammette l'esistenza solo del soggetto, che sono io stesso che esperisco creando dal nulla l'oggetto. Ma questo soggetto originario che precede il suo oggetto non può esserci da solo senza l'oggetto che pretende di creare, dunque non è l'assoluto originario.

CitazioneMa perché mai "L'io che pensa" non dovrebbe poter "coincidere con l'io pensato dall'io che pensa", ovvero perché mai il soggetto del pensare non potrebbe esserne anche l' oggetto?
Proprio perché essere soggetto del pensare è l'opposto dell'esserne oggetto, l'oggetto e il soggetto del pensare sono tenuti insieme da quel pensare che accade, ma sono posti ai due poli estremi dal pensare che li lega. Essere contemporaneamente italiano e medico nella stessa identità è possibile, perché non rappresentano polarità opposte come il pensante e il pensato (fermo restando che è ancora possibile pensare Sgiombo solo come italiano o solo come medico e in questo caso le due entità parimenti non coincidono).
CitazioneDunque l' impossibilità di questa "perfetta auto sussistenza isolata" ecc. la credi per fede, dal momento che essa è pensabile sensatissimamente, senza alcuna contradizion che nol consente, e cioè non dimostrabile essere impossibile.
No, non è per nulla sensatissima, dato che risulta auto contraddittoria e si mostra autocontraddittoria in quanto l'accadere senza che nulla accada equivale al nulla dell'accadere. Ed è proprio per questo che il solipsismo, esattamente come il puro oggettivismo è una tappa verso il nichilismo ontologico di cui sopra: il nulla è assoluto (nulla del soggetto, nulla dell'oggetto, nulla dello stesso accadere in quanto ognuno di questi elementi preso in origine separato è nulla e non per fede, ma per logica)  

CitazioneMa un accadere che sta da solo, non é un accadere di nulla, bensì un accadere di qualcosa che non è accadere di alcunché ad alcuno(la lingua italiana con l' illogicissima ammissione di due negazioni che negano anziché affermare può creare fraintendimenti), ma non un non accadere di alcunché (in assoluto): affermarlo significherebbe cadere nella contraddizione ("nichilistica ontologica"?) pretendendo che qualcosa accada e anche contemporaneamente non accada.
Va vene, diciamo che "l'accadere accade per l'accadere", ma anche in questo caso abbiamo posto un accadere che è soggetto del proprio accadere e un accadere che è oggetto del proprio accadere e, come sopra si è detto non sono la stessa cosa essendo uno il soggetto e l'altro l'oggetto e non possono esserlo contemporaneamente.




CitazioneMa il solipsismo non è l'affermazione che "il soggetto crea il mondo pensandolo" (questo è casomai idealismo), bensì al massimo che "esiste solo il soggetto con la sua esperienza fenomenica (che non crea ad libitum; vedi risposta #79 di Phil) in un accezione "debole"; o magari addirittura che esiste solo l' esperienza fenomenica cosciente (senza soggetto) in una più "forte" o più "scettica".
solipsismo significa solo io stesso: io solo sono e faccio tutto, penso, percepisco e creo mentre penso e percepisco. Le radici del solipsismo stanno negli aspetti assoluti del cogito cartesiano e certo, anche dell'idealismo. Come poi possa sussistere un'esperienza fenomenica cosciente senza una coscienza resta un grande mistero, un vero mistero della fede.


CitazioneNon lo constatiamo empiricamente bensì lo crediamo fideisticamente interpretando indimostratamente ciò che constatiamo empiricamente.
Lo constatiamo proprio empiricamente in ogni istante anche minimamente cosciente della nostra esistenza, mentre fideisticamente si può giungere a credere il contrario, ossia di essere coincidenti con la totalità dell'esistente, senza nessun altro che me in giro, e al limite nemmeno me stesso, proprio in quanto tutto.

Ma mi sa che stiamo imbarcandoci in un'altra delle nostre discussioni senza fine caro Sgiombo (da cui ogni altro partecipante a ragione subito rifugge), quindi non aggiungerò altro se non che a me l'autocontraddizione logica del solipsista (del "solo me stesso") e la contraddizione rispetto all'esperienza primaria della realtà appare quanto mai evidente e chiara, prendo atto che per te non lo è altrettanto.
#535
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
14 Novembre 2016, 16:01:04 PM
Citazione di: sgiombo il 14 Novembre 2016, 09:05:06 AM
Tutto questo, e dunque la falsità del solipsismo, non é dimostrabile: nulla dimostra che "questa" coscienza immediatamente esperita" (non in relazione con alcun altra coscienza) non sia tutto ciò che realmente accade.
Il punto è che nel momento in cui esperiamo il mondo (i "segni" direbbe Sini) nel suo significato questa esperienza del significato non mi appare come una mia creazione dal nulla, ma mi appare data da una storia che coinvolge innumerevoli altre coscienze di cui il mio stesso essere cosciente è il risultato piuttosto che l'origine. Ovviamente si potrebbe anche dire che questa storia che mi consegna il significato di un mondo e di qualsiasi cosa all'interno di esso è una mia creazione dal nulla, ma questo non è ciò che immediatamente si presenta alla mia coscienza. Ciò che si presenta in principio alla mia coscienza infatti non è la mia coscienza, ma l'essere di me cosciente da parte di qualcun altro che mi guarda e mi considera mentre per lui accado. La mia coscienza può apparirmi solo come riflesso della coscienza di un altro che prende atto del mio accadere e solo su questa base posso anche arrivare follemente a pensare che quella coscienza che l'altro ha avuto originariamente di me non è mai esistita e vivere il delirio di un'autocoscienza perfettamente autocratica.  

Citazione(Mi scuso pe rl' ignoranza) Qual' é la contraddizione nichilistica ontologica?
che niente è.

CitazioneL' affermazione "anche affermando che "penso me stesso pensante" o "dubito di me stesso dubitante" o "interpreto me stesso interpretante" quel me stesso (pensato, dubitato, interpretato) in oggetto, non è quell'io soggetto che pensa, dubita, interpreta, quindi è un altro" mi sembra autocontraddittoria.
In lingua italiama "penso me stesso" significa che io stesso sono sia il soggetto che l' oggetto del pensiero e non un altro (di cui il solipsista indebitamente si appropria credendo di essere sempre lui).
In lingua italiana e probabilmente in molte altre lingua, ma questo non toglie che sia una sorta di astrazione presa per comodità, ma concretamente falsa. L'io che pensa non può coincidere con l'io pensato dall'io che pensa, anche se lo pensa e lo vuole intendere come sé medesimo, uno è soggetto e l'altro è oggetto del pensare e questo non è per nulla indifferente alle caratteristiche specifiche concretamente differenzianti.

CitazioneHo evidenziato "ci si rende conto" per chiederne spiegazione: significa "si crede per fede" che? "Si dimostra (ma come?)" che? O cos' altro?
Lo intendo come un "appare evidente che" ogni accadere è l'accadere di qualcosa a qualcuno e non un accadere che sta da solo, ossia un accadere di nulla a nessuno.
L'accadere è sempre l'accadere di qualcosa (pensare, percepire ecc.), ma se qualcosa in qualche modo accade l'accadere non è auto sussistente (necessita cioè di qualcosa che accade), questa impossibile perfetta auto sussistenza isolata è quella che identificavo come caratteristica di un "puro accadere" che quindi altro non è che un accadere di nulla a nessuno, totalmente disincarnato.


Citazione"l'accadere sempre di un soggetto e di un oggetto e della pluralità di questi, l'accadere di un mondo che continuamente accade nei suoi sempre diversi soggetti e oggetti di cui io faccio parte; soggetti e oggetti l'uno verso l''altro pensanti e pensati, interpretanti e interpretati, dubitanti e dubitati la cui totalità singola e collettiva può solo essere simbolica a partire dai segni che l'un l'altro reciprocamente e continuamente si inviano" lo credo vero.
Ma non vedo come possa (mi rendo conto che non può) essere dimostrato logicamente né constatato empiricamente
Bè, la proposizione "il soggetto crea il mondo pensandolo" si può dimostrare insoddisfacente nel momento in cui ci si domandi che cosa crea il soggetto, e contraddittoria se si pensa il mondo come tutto quello che c'è e quindi il soggetto creatore come fuori dal mondo, da qualche parte che non c'è, dato che non è al mondo, ma lo precede.
Empiricamente penso che constatiamo tutti i giorni (sogni compresi, che non sono forme solipsistiche) che non siamo mai assolutamente soli (forse lo siamo solo nel sonno profondo, perfettamente incosciente), nemmeno quando siamo con noi stessi. L'altro si dà sempre alla coscienza e, proprio alla luce della coscienza, mi pare che solo dall'esperienza dell'altro può fare apparire di riflesso un me stesso differente da lui e pertanto in necessario e originario rapporto con lui.
#536
Mi pare però che più che di una contrapposizione, che senza dubbio sussiste, tra una posizione empirista-razionalista-positivista e una idealistico-mistico-spirituale della filosofia, si tratta di una contrapposizione tra una visione teoretica della verità (che potrà essere razionalista, mistica ecc.) e una prassi della verità per la quale la verità non è teoria, ma prassi vera in quanto è l'espressione diretta di un agire riconducibile (o lo era per gli antichi) alle stesse caratteristiche della aletheia (vero è essere manifesto e non nascosto, non corruttibile, non viziato, autonomo e retto). 
Sono d'accordo con CVC sul fatto che l'espressione scritta abbia favorito l'approccio teoretico oggettivo alla verità portando la filosofia in questa direzione che è poi la stessa direzione sulla quale è stata soppiantata dalla scienza che ha stabilito un metodo preciso e univoco con cui discriminare gli aspetti validi da quelli non validi (ossia soggettivi) dell'esperienza per cui la verità si riduce a ciò che può diventare oggettivamente pubblico, ben condivisibile e valido per tutti, dunque è vero ciò che è "pubblicabile" (messo per iscritto e non solo detto).  D'altra parte invece la prassi della verità che pone in primo piano la dimensione etica della filosofia (un'etica non di principio, ma in atto), è stata assorbita dalla religione cristiana, in primo luogo con l'ascetismo monacale, poi con l'istituzione degli ordini mendicanti, soprattutto alle origini del francescanesimo (ma anche evidentemente da altri simili movimenti ereticali).
Mi chiedo appunto oggi da chi e in che modo e in quali ambiti questa prassi della verità (che necessita tra l'altro di un'assoluta povertà e di una pari onestà) possa essere praticata o anche solo concepita praticabile.

Il Socrate platonico (non certo per come ne fa l'ironia Aristofane) in molti dialoghi è presentato proprio in riferimento alla prassi della verità più che alla sua teoresi. Socrate inizia la sua pratica filosofica quando viene a sapere che l'oracolo di Delfi lo aveva indicato come il più sapiente di tutti gli uomini, allora comincia ad andare in giro per Atene a interrogare la gente (dal più miserabile al più ricco e potente) su quello che sa per verificare se l'oracolo ha detto la verità su di lui (si sa infatti che i detti dell'oracolo erano sempre molto ambigui e il rischio di fraintenderli enormi). Chiedendo alla gente di ciò che essa sa, Socrate scopre innanzitutto che molti sanno più di lui, e sono soprattutto quelli che, come gli artigiani, erano ritenuti i più ignoranti, ma scopre anche che in realtà nessuno davvero sa, piuttosto tutti credono di sapere, specialmente quelli che sono ritenuti i più sapienti. A questo punto Socrate comincia ad accorgersi di sapere di non sapere e per questo sa davvero più di tutti gli altri e allora si assume la "missione" di mettere alla prova tutti i concittadini su ciò che realmente sanno affinché se ne rendano davvero conto. Una missione che gli procurerà accuse e denunce, fino alla condanna a morte. Socrate non annuncia teorie filosofiche, non vaga con la testa tra le nuvole come per Aristofane, ma scende in strada e adotta in pubblico una prassi molto fastidiosa. La filosofia diventa così una discesa in campo ai limiti della provocazione, una pratica da esercitare in strada tra la gente con tutti i rischi che da questo conseguono. 
#537
La verità filosofica, già in Platone, si presenta non solo come corrispondenza formale istituita dal logos tra ciò che si dice e la realtà, ma anche sulla coerenza che trova la parola del filosofo con la sua vita, nella misura in cui essa si presenta come vera vita. Come dice Michel Foucault nelle sue ultime lezioni, la vera vita assume un'importanza fondamentale per alcune scuole filosofiche che svilupperanno meno il loro impianto teorico ontologico per soffermarsi sugli aspetti esistenziali e morali, in particolare l'Epicureismo e lo Stoicismo, ma soprattutto i Cinici per i quali il tema della "vera vita" diventa fondamentale e portato alle più estreme e provocatorie conseguenze: la filosofia si fa con il proprio stile di vita, con i propri atti ben più che con i discorsi.
Questo principio diventerà però filosoficamente sempre meno praticato, la "vera vita" assumerà con il cristianesimo una connotazione religiosa, anche se debitrice delle idee filosofiche che l'hanno preceduta e la filosofia si indirizzerà verso un'argomentazione sempre più formalmente oggettiva, finché lascerà il campo della verità alla scienza moderna, per la quale il tema della "vera vita" non determina alcunché rispetto al valore oggettivo di verità di una teoria scientifica che si considera del tutto indipendente dai comportamenti dello scienziato - soggetto che la enuncia.
La verità, aletheia, per i Greci è ciò che si presenta non nascosto, non modificato, diritto e immutabile e la vera vita è enunciata secondo questi stessi principi: la vita vera (come il vero amore) non dissimula, non presenta ombre, non è corrotta, mantiene la sua direzione diritta senza disperdersi, è una vita retta che evita i perturbamenti senza cedere ai vizi e che mantiene immutabile la propria identità, perfettamente padrona di se stessa, libera e autonoma. E' una vita che richiede il coraggio di sostenerla, sempre posta in sfida per risultare esemplare senza nulla nascondere.
In tempi in cui le verità metafisicamente stabilite dalle teoresi mostrano la loro inesorabile decadenza, mi chiedo se questo ideale della "vera vita" (quale dovrebbe essere la vita del filosofo) possa venire a costituire un nuovo punto di riferimento che invita a fare filosofia con i propri atti e le proprie prassi ben più che con i propri discorsi e se i termini in cui gli antichi ravvisavano la vita come vera possono essere assunti ancora oggi.
#538
In realtà il senso c'è ed è fondamentale, consiste nel fatto che il paradosso logicamente irrisolvibile mostra l'impossibilità della logica formale di fondare la totalità delle sue affermazioni per dire se esse siano vere, false o anche indecidibili (come il teorema di Godel mostra per quella faccenda logica che è l'aritmetica). In un certo senso è vero che le logiche paraconsistenti tentano di risolvere questa incresciosa situazione indebolendo il principio del terzo escluso (diminuendo la forza di alcuni connettivi logici), ma finché si mantengono nei termini del formalismo logico, quanto più lo indeboliscono, tanto più aumentano la "trivialità" logica delle loro proposizioni. A questo proposito ho trovato molto utile il libro di Berto "Teorie dell'assurdo" che ne tratta.
#539
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
13 Novembre 2016, 21:59:54 PM
Il solipsismo, comunque lo si intenda, è la negazione dell'altro (ne risolve la problematica postulandone la negazione) ed è ovvio che, se coerentemente portato avanti alle sue estreme conseguenze, non possa che giungere alla contradizione nichilistica ontologica.
L'assunzione di un me stesso come unico soggetto cosciente del mondo si limita a negare la dimensione altra della coscienza, ma non tiene conto che la coscienza (la mia coscienza) è un fatto relazionale determinato da altre coscienze che la fondano, affidandomi il significato originario di ciò di cui via via divento cosciente. La mia coscienza si presenta solo nel mutare dei segni ad essa dati da altre coscienze, non è originaria.
La totale negazione dell'altro (indicata come seconda più radicale posizione), sia come soggetto che come oggetto, pone il problema di un pensare del tutto soggettivo e privo di oggetto. Cosa sente e pensa questo "io che sento, penso, dubito e rappresento"? Il nulla o me stesso? O il nulla che è me stesso, dunque ciò che avevo presupposto come tutto? Si noti che anche affermando che "penso me stesso pensante" o "dubito di me stesso dubitante" o "interpreto me stesso interpretante" quel me stesso (pensato, dubitato, interpretato) in oggetto, non è quell'io soggetto che pensa, dubita, interpreta, quindi è un altro di cui il solipsista indebitamente si appropria credendo di essere sempre lui.
L'autocoscienza (richiamata da Phil) come interiore coscienza di se stessi ha già presupposto quel soggetto autocosciente autore di ogni pensare, dubitare, interpretare; quindi non lo dimostra (il cogito cartesiano non dimostra il sum, ma lo presuppone e lo mostra come un prestigiatore che teneva nascosto il coniglio nel doppio fondo del cappello).
La posizione più radicale e coerente è appunto quella, indicata da Sgiombo, in cui non vi è più ne soggetto né oggetto, ma un puro accadere fenomenico: accade il pensare, il percepire e via dicendo. E' una posizione ambigua, senza dubbio nichilistica se si ritiene che questo è tutto quello che accade, mentre non lo è se ci si rende conto che questo accadere implica l'accadere sempre insieme di qualcuno (soggetto) e qualcosa (oggetto) nella loro singolare diversità di volta in volta presentata. L'accadere di me e di un altro insieme e inseparabilmente uniti dall'alterità che ci lega reciprocamente. Il pensiero filosofico attuale è giunto proprio a questo bivio e ha davanti a sé da un lato quel puro accadere che può solo essere l'accadere del nulla e quindi il nulla dello stesso accadere (per cui in realtà nulla accade), dall'altro l'accadere sempre di un soggetto e di un oggetto e della pluralità di questi, l'accadere di un mondo che continuamente accade nei suoi sempre diversi soggetti e oggetti di cui io faccio parte; soggetti e oggetti l'uno verso l''altro pensanti e pensati, interpretanti e interpretati, dubitanti e dubitati la cui totalità singola e collettiva può solo essere simbolica a partire dai segni che l'un l'altro reciprocamente e continuamente si inviano. La realtà accadendo lascia segni che giocano giochi simbolici e questi giochi simbolici sono la sua autentica rappresentazione di cui siamo parte a nostra volta come segni per ogni altro.
#540
Citazione"Questa affermazione é falsa"
equivale a dire (esplicitando il soggetto della frase) =
"L'affermazione <<Questa affermazione é falsa>>...è falsa."
Esatto, ma di conseguenza <<Questa affermazione è falsa>> dice di sé "oggettivamente" il vero, quindi se dice di sé il vero è oggettivamente vera proprio e solo in quanto è certamente falsa.